Saper morire - Gian Domenico Borasio

Aperto da sgiombo, 06 Marzo 2019, 18:51:17 PM

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sgiombo

Gian Domenico Borasio: Saper morire. Ed. Bollati Boringhieri, 2011

Sono riflessioni di un medico italiano specialista in cure palliative che lavora da tempo in Germania (é la traduzione in italiano dall' originale in tedesco) che ripensa alla sua esperienza nella cura di malati con "prognosi infausta" in "fase terminale" (delle rispettive malattie e delle rispettive vite).
La cosa che più mi ha colpito favorevolmente é che, contro il pensiero conformisticamente dominante per così dire, considera giustamente la morte come un fatto naturale da accettare (inevitabile e non sempre necessariamente conseguenza di azioni colpose o dolose), come effettivamente é.
Inoltre critica fatti ed atteggiamenti diffusi ma errati a proposito per l' appunto della morte per malattie inguaribili (ma non "incurabili": curabili palliativamente in modo da consentire a chi ne é affetto una sopravvivenza la più serena e dignitosa e la relativamente meno breve ragionevolmente possibile, nonché una morte serena).
Per esempio il fatto che, contro le preferenze della stragrande maggioranza della popolazione e contro il buon senso, nei nostri paesi il 95 dei decessi avviene i ospedale e solo il 5% in casa; e analogamente il fatto che, salvo "casi imprevisti o di forza maggiore" la nascita (il parto) avviene sempre e comunque in ospedale e non a casa, anche nei casi di gravidanza portata regolarmente a termine senza alcun problema o rischio che non sia fisiologico (e in Italia con un evidente abuso della pratica del taglio cesareo).
Critica l' accanimento terapeutico, cioè l' atteggiamento di gran lunga prevalente fra i pazienti, ma soprattutto fra i parenti dei pazienti e i medici (in quest' ultimo caso almeno in parte a causa di più che giustificate preoccupazioni di subire ingiuste querele), per il quale la vita andrebbe il più possibile prolungata ad ogni costo, dovrebbe essere la "quantitativamente più estesa possibile" quale che sia la sua qualità.
Sembra perorare soprattutto un ritorno a una saggezza medica "antica", da sempre propria della medicina ma in tempi recenti sempre più spesso frustrata e impedita da una concezione distorta e in ultima analisi falsa della modernità e del progresso scientifico (pur sacrosanto e che l' autore no mette affatto indiscussione, ma da non assolutizzare e invece da contestualizzare nell' ambito di un sobrio, razionalistico senso del limite: del limite di ciò che quantitativamente e qualitativamente si può realisticamente pretendere dalla vita).
E' comunque un libro non rivolto in particolare agli operatori sanitari, ma a chiunque capisca la necessità di accettare la morte (comunque inevitabile) e sia intenzionato ad arrivarci il più possibile preparato in modo da viverla -proprio così!- nella maniera meno drammatica o frustrante possibile ma con serenità.
Una critica che mi sento di muovere all' autore, dichiaratamente credente cattolico, riguarda la negazione da parte sua della liceità dell' eutanasia attiva, consistente nel fatto che il medico fa morire senza dolore, almeno per quanto possibile, attraverso determinate pratiche appropriate allo scopo, un paziente, unicamente dietro richiesta insindacabile di quest' ultimo (anche se con lui discutibile per vedere se qualche alternativa per lui accettabile le cure palliative possano eventualmente offrire con ragionevole fondatezza) che dispera di poter sopravvivere ulteriormente senza insopportabili dolori fisici e/o psicologici o comunque di poter sopravvivere in maniera da lui stesso ritenta non dignitosa, nonché il suicidio assistito (mentre a mio parere un po' ipocritamente, come d' altra parte molti esponenti sia clericali che "laici" delle istituzioni ecclesiastiche, non solo cattoliche, ritiene accettabile l' eutanasia passiva, cioè il lasciare che sopraggiunga la morte del paziente astenendosi da pratiche terapeutiche che la procrastinerebbero, assecondando in questo il desiderio del paziente stesso).
A questo proposito devo dire sinceramente che una certa mia deprecabile malizia mi induce a nutrire qualche pur modesto dubbio che il fatto, comunque certissimamente vero, che i progressi compiuti dalle cure palliative consentono quasi sempre di assicurare (se applicate correttamente, nei loro aspetti strettamente medici ma anche in quelli, non meno importanti e indispensabili, infermieristici, psicologici, di assistenza "spirituale" e sociale - relazionale) ai malati terminali una sopravvivenza accettabilmente libera da dolore e sofferenza e una morte serena, possa essere stata un po' enfatizzata dall' autore.
Ma é solo un piccolo dubbio, forse eccessivamente malevolo.
Più convintamente mi sento di criticare il concetto di "assistenza spirituale".
Già il termine, incompatibile con le convinzioni dei pazienti materialisti, mi sembra decisamente da respingere: sarebbe decisamente più opportuno parlare di "assistenza filosofica" o "morale" (nel senso delle Operette "morali" del Leopardi), o magari "valoriale" o "esistenziale".
Inoltre l' autore sembra identificarla unicamente con l' assistenza di un sacerdote o comunque un autorevole conoscitore delle più diffuse confessioni religiose, ovviamente il più possibile vicino alle convinzioni del paziente.
Non vedo perché anche un non credente che ritenesse di trovarne giovamento nella fase terminale della propria vita e nella propria morte non dovrebbe poter disporre (come di un diritto da soddisfarsi da parte del SSN) di un analogo conforto da parte qualcuno che ne condivida almeno in qualche misura le più profonde convinzioni.

Ipazia

#1
Lessi il libro qualche anno fa. A onore di Borasio (cattolico) va detto che sostenne Beppino Englaro nella sacrosanta battaglia per liberare la figlia Eluana dalla vita vegetativa coatta. Borasio ha lavorato molto tra Germania e Svizzera e le equipe di fine vita in cui ha lavorato prevedevano anche preti laici (psicologi  ;D ) a sostegno degli atei che lo richiedessero. Ma la perla del suo stile di lavoro è nel coinvolgimento dei familiari in un discorso di gruppo che vale più di qualsiasi assistenza psicologica religiosa o laica, perchè la morte è un'esperienza collettiva che coinvolge dolorosamente i superstiti quanto e talvolta ancor più delle vittime. In questa "terapia di gruppo familiare" ho trovato la parte più importante del libro, che da sola ne vale la lettura.

Un altro aspetto importante è il venir meno dell'aura sacrale medicocentrica di tutta l'operazione di sostegno al fine vita. Pare che i preti nell'equipe se la siano cavata molto bene ...  :(
.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Socrate78

In realtà dietro le cosiddette cure palliative si nasconde sovente il tentativo di praticare un'eutanasia mascherata. Esistono ufficialmente centri specializzati in cure palliative per i malati terminali (soprattutto oncologici, ma non solo) che si chiamano "Hospice": in questi centri sostanzialmente ai pazienti viene somministrato un cokctail di oppiacei (soprattutto morfina associata ad anestetici) in quantità notevoli: la degenza media di questi pazienti negli Hospice è in genere di quindici giorni (anche meno), dopodiché fatalmente sopravviene la morte. Ora, perché sopravviene la morte? Il decesso sopravviene perché la morfina ha un effetto depressivo sui centri del respiro, quindi di conseguenza il sistema degli Hospice è un'eutanasia camuffata, il medico sa benissimo che il risultato del trattamento sarà letale e lo mette in atto proprio per accelerare la fine.  Ai pazienti viene detto se sono lucidi che andranno lì per semplice terapia del dolore, ma in realtà solo pochi sanno che andranno a morire, quindi questo significa anche ingannarli. E poi alla fine questi pazienti negli Hospice è come se fossero praticamente morti ancor prima di morire, perché le droghe li riducono di fatto in uno stato comatoso, anticamera della morte, in cui non credo affatto si possa parlare di maggiore dignità rispetto alla condizione di sofferenza cosciente.  Il medico dell'Hospice si arroga quindi il diritto di decidere che la vita del terminale è indegna di essere vissuta in quanto sofferente, e quindi la stronca come se fosse un Dio, anzi sostituendosi a Dio stesso nel decidere quando la vita è degna e quando no. E' la stessa arroganza che c'è dietro l'aborto terapeutico (il feto malato è indegno di vivere), che c'è dietro l'eutanasia lampante e non mascherata. Chi l'ha detto che la sofferenza non abbia un senso e non abbia dignità? Chi può decidere quando una vita debba finire, anzi quando non debba neppure iniziare proprio perché malata e sofferente?

Ipazia

Citazione di: Socrate78 il 06 Marzo 2019, 21:14:23 PM
Chi l'ha detto che la sofferenza non abbia un senso e non abbia dignità? Chi può decidere quando una vita debba finire, anzi quando non debba neppure iniziare proprio perché malata e sofferente?

Il sofferente: soltanto lui. Meglio se ci pensa per tempo. E in questo paese bigotto non basta nemmeno dichiarare la propria volontà, per cui dovrà andare all'estero. Sul feto decide chi se ne deve fare carico, e rendergliene conto, per tutta la vita. Non può certo decidere su queste cose un invasato (persona o stato) in nome di un Dio inesistente.
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simplex sigillum veri

Socrate78

Io non credo affatto che quel Dio sia inesistente, caro Ipazia, io ci crederò sempre, tu rimani pure nel tuo ateismo, io nella mia credenza secondo cui anche ciò che ci sembra negativo, abbia un significato profondo che ci sfugge. Se per te Dio è una figura mitologica falsa, non significa però che i credenti siano per forza degli invasati o dei folli, e poi hai evitato accuratamente di confrontarti con ciò che ho detto prima, cioè sul fatto che le cure palliative spesso ipocritamente nascondono una pratica che si avvicina molto all'eutanasia, ma del resto per te è ammissibile ingannare un paziente facendogli credere che starà solo meglio, invece di fatto lo si accompagna alla morte, come pure deduco per te è ammissibile decidere che un bambino debba essere abortito solo perché la sua futura vita è considerata indegna di essere vissuta in base ai parametri degli adulti, se ci pensi si tratta in ambedue i casi di sopraffazione verso i più deboli perché c'è qualcun altro in posizione di potere (genitoriale o come medico) che decide per lui. Deduco quindi, siccome hai definito i credenti invasati, che se una persona ritiene che anche la sua sofferenza abbia un significato per la sua fede religiosa e decida per questo di non sottoporsi a cure palliative, che sarebbe per te solo un malato di mente il cui pensiero non ha valore alcuno? Madre Teresa che appunto ragionava così era quindi da internare in un manicomio?

sgiombo

Citazione di: Socrate78 il 06 Marzo 2019, 21:14:23 PM
In realtà dietro le cosiddette cure palliative si nasconde sovente il tentativo di praticare un'eutanasia mascherata. Esistono ufficialmente centri specializzati in cure palliative per i malati terminali (soprattutto oncologici, ma non solo) che si chiamano "Hospice": in questi centri sostanzialmente ai pazienti viene somministrato un cokctail di oppiacei (soprattutto morfina associata ad anestetici) in quantità notevoli: la degenza media di questi pazienti negli Hospice è in genere di quindici giorni (anche meno), dopodiché fatalmente sopravviene la morte. Ora, perché sopravviene la morte? Il decesso sopravviene perché la morfina ha un effetto depressivo sui centri del respiro, quindi di conseguenza il sistema degli Hospice è un'eutanasia camuffata, il medico sa benissimo che il risultato del trattamento sarà letale e lo mette in atto proprio per accelerare la fine.  Ai pazienti viene detto se sono lucidi che andranno lì per semplice terapia del dolore, ma in realtà solo pochi sanno che andranno a morire, quindi questo significa anche ingannarli. E poi alla fine questi pazienti negli Hospice è come se fossero praticamente morti ancor prima di morire, perché le droghe li riducono di fatto in uno stato comatoso, anticamera della morte, in cui non credo affatto si possa parlare di maggiore dignità rispetto alla condizione di sofferenza cosciente.  Il medico dell'Hospice si arroga quindi il diritto di decidere che la vita del terminale è indegna di essere vissuta in quanto sofferente, e quindi la stronca come se fosse un Dio, anzi sostituendosi a Dio stesso nel decidere quando la vita è degna e quando no. E' la stessa arroganza che c'è dietro l'aborto terapeutico (il feto malato è indegno di vivere), che c'è dietro l'eutanasia lampante e non mascherata. Chi l'ha detto che la sofferenza non abbia un senso e non abbia dignità? Chi può decidere quando una vita debba finire, anzi quando non debba neppure iniziare proprio perché malata e sofferente?


Quanto scrivi qui é del tutto caricaturale e falso.

Ti consiglio molto di leggere il libro del cattolico e (secondo me a torto) "antieutanasia (per lo meno attiva)" Borasio onde essere informato sulla realtà autentica delle cure palliative.

A quel che mi risulta sono soprattutto cattolici ipocriti che talora mascherano l' eutanasia (che predicano di evitare agli altri ma vogliono per sé e i propri cari) con finte cure palliative.

Come dice bene Ipazia, l' arroganza e la prepotenza (inammissibile violenza contro gli altri) é solo di chi si arroga il diritto di decidere al posto loro se farli vivere o morire.
E il credere in Dio non la giustifica affatto (e nemmeno la giustificherebbe presso l' ammesso e non concesso Dio, se buono e giusto).

Le gravissime affermazioni false e denigratorie circa pretesi inganni ai pazienti da parte di medici sostenitori dell' eutanasia sono semplicemente infami.

E' una vergognosissima BBBalla degli integralisti cattolici contro l' eutanasia quella per la quale in merito deciderebbero i medici o chiunque altro che non siano i pazienti direttamente interessati (alla loro propria sorte).

Non si abortiscono i bambini ma gli embrioni e i feti fino a tre mesi, che di sicuro non sono persone coscienti (sono come dei vegetali, che tutti mangiamo, perfino i vegani).

Nessuno impedisce ai credenti fondamentalisti e più o meno invasati di soffrire terribilmente prima di morire o di non abortire, se lo vogliono; sono questi ultimi a pretendere ingiustamente di impedire agli altri di evitare terribili sofferenze e di abortire se lo sdesiderano.

Madre Teresa di Calcutta é astata una perfida malfattrice che convinceva le poverissime donne indiane (subdolamente anche attraverso le elemosine che dispensava loro), a non usare anticoncezionali seminando a piene miseria e sofferenza fra loro e i loro famigliari (non per niente SantosubitoGP2 si é affrettato a santificarla, come ha fatto per i peggiori sterminatori di antifascisti -anche civili, anche dnone e bambini inermi- franchisti e ustascia).

baylham

Citazione di: Socrate78 il 06 Marzo 2019, 21:14:23 PM
In realtà dietro le cosiddette cure palliative si nasconde sovente il tentativo di praticare un'eutanasia mascherata. Esistono ufficialmente centri specializzati in cure palliative per i malati terminali (soprattutto oncologici, ma non solo) che si chiamano "Hospice": in questi centri sostanzialmente ai pazienti viene somministrato un cokctail di oppiacei (soprattutto morfina associata ad anestetici) in quantità notevoli: la degenza media di questi pazienti negli Hospice è in genere di quindici giorni (anche meno), dopodiché fatalmente sopravviene la morte. Ora, perché sopravviene la morte? Il decesso sopravviene perché la morfina ha un effetto depressivo sui centri del respiro, quindi di conseguenza il sistema degli Hospice è un'eutanasia camuffata, il medico sa benissimo che il risultato del trattamento sarà letale e lo mette in atto proprio per accelerare la fine.  Ai pazienti viene detto se sono lucidi che andranno lì per semplice terapia del dolore, ma in realtà solo pochi sanno che andranno a morire, quindi questo significa anche ingannarli. E poi alla fine questi pazienti negli Hospice è come se fossero praticamente morti ancor prima di morire, perché le droghe li riducono di fatto in uno stato comatoso, anticamera della morte, in cui non credo affatto si possa parlare di maggiore dignità rispetto alla condizione di sofferenza cosciente.  Il medico dell'Hospice si arroga quindi il diritto di decidere che la vita del terminale è indegna di essere vissuta in quanto sofferente, e quindi la stronca come se fosse un Dio, anzi sostituendosi a Dio stesso nel decidere quando la vita è degna e quando no. E' la stessa arroganza che c'è dietro l'aborto terapeutico (il feto malato è indegno di vivere), che c'è dietro l'eutanasia lampante e non mascherata. Chi l'ha detto che la sofferenza non abbia un senso e non abbia dignità? Chi può decidere quando una vita debba finire, anzi quando non debba neppure iniziare proprio perché malata e sofferente?

A me sembra molto più arrogante chi vuole imporre la propria volontà a quella del malato o della donna gravida. 

Per quanto mi riguarda vorrei morire in pace, abbandonarmi, non penso che avrei voglia di discutere di filosofia o di religione con preti o filosofi, ho già dato.

Ipazia

#7
L'invasamento non sta nel proprio legittimo desiderio di soffrire per amor Dei, ma nell'imposizione dogmatica della sofferenza ad altri in nome della propria fede religiosa. La grande conquista della laicità sta esattamente nell'anteporre la persona al dogma. In ció sta anche la sua superiorità rispetto ad un Nomos arrivato fin troppo tardi nell'evoluzione umana.

(Ipazia è donna, una delle prime martiri femminili del dogmatismo cristiano)
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
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Socrate78

E allora caro Ipazia consentimi di dire che, almeno per me, anche la sofferenza ha un senso che a noi sfugge, che non è vero affatto che una vita scevra sempre di fatica, di sofferenze, sia per questo più dignitosa e più ricca di senso di un'altra invece tutta in salita, consentimi ancor più di affermare che l'aborto è un crimine, perché dal mio punto di vista quel feto non è un vegetale o un oggetto come un ateo pensa, ma al contrario ha già all'interno un'anima, infusa da Dio al momento del concepimento, e quindi ha un valore profondo che va al di là del fatto che il suo cervello ancora non sia sviluppato e che non sia ancora in grado di parlare e di pensare. E poi, a dirla tutta, per quale motivo la singola persona dev'essere superiore al dogma? E' l'ateismo con il suo veleno che ha instillato quest'idea nella società attuale. La singola persona può sbagliare gravemente, i comandamenti stessi e le leggi sono dogmi, non è forse anche un dogma quello che prescrive di "Non uccidere perché la vita ha valore"? Io potrei benissimo sostenere che per me non è giusto, e che il mio giudizio di persona singola è superiore a questa regola. Quello che la società laica sostiene (ma sarebbe meglio dire atea) è il principio del relativismo, secondo cui ogni persona ha il diritto di decidere ciò che è giusto e sbagliato e se vuoi proprio saperla tutta io da cattolico detesto anche il Papa attuale, sì, perché a ben guardare ed analizzando a fondo le sue parole il pontefice sostiene il relativismo, sostiene la società multiculturale in cui tutte le fedi sono allo stesso livello culturale e valoriale, è il papa del "Volemose bene, tanto andiamo tutti in Paradiso",  mentre Ratzinger era un vero Papa, e anche per cultura assolutamente superiore all'attuale.

tersite

------> E poi, a dirla tutta, per quale motivo la singola persona dev'essere superiore al dogma?

Forse perché il dogma veniva formalizzato da una congrega di vecchi rimbambiti che con fede e coscienza avran avuto a che fare meno che me ?

Forse perché l'ultimo dogma "dogmatizzato " dalla chiesa risale al 1950 (ai cattolici il piacere di wikipediarlo) e ormai a quella data la chiesa aveva già perso ogni credibilità morale ?

Forse perché coi dogmi han bruciato e macellato catari ed ebrei ? (le streghe no, l'inquisizione aveva poco a che fare con loro)

Forse perché non siamo più tutti quanti braccianti agricoli semianalfabeti ?
Ogni definizione è artificiosa e in ciò è il suo potenziale evolutivo. (anonimo)

Ipazia

Citazione di: Socrate78 il 07 Marzo 2019, 16:02:03 PM

Quello che la società laica sostiene (ma sarebbe meglio dire atea) è il principio del relativismo, secondo cui ogni persona ha il diritto di decidere ciò che è giusto e sbagliato e se vuoi proprio saperla tutta io da cattolico detesto anche il Papa attuale, sì, perché a ben guardare ed analizzando a fondo le sue parole il pontefice sostiene il relativismo, sostiene la società multiculturale in cui tutte le fedi sono allo stesso livello culturale e valoriale, è il papa del "Volemose bene, tanto andiamo tutti in Paradiso",  mentre Ratzinger era un vero Papa, e anche per cultura assolutamente superiore all'attuale.

Cara Socrate78 questa è una travisante demonizzazione dei fondamenti laici/atei che sostengono il diritto della persona umana di decidere sulla sua persona, non sulle altre con arroganza dogmatica come pretendono le religioni. Le decisioni collettive vanno prese democraticamente in una società laica che non divide gli umani in fedeli e infedeli, redenti e dannati. E soprattutto non riconosce ad alcun inviato speciale dall'aldilà di decidere sulla vita e sulla morte degli umani. Per questa conquista civile ci abbiamo messo secoli di sofferenza e non ce la faremo scippare dai rigurgiti del peggiore passato.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
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Socrate78

#11
La democrazia è un INGANNO e non è garanzia di alcuna vera giustizia, caro Ipazia, e mi sembra strano che tu non riesca a comprenderlo. Le decisioni prese democraticamente possono essere ottime ma anche pessime, da ogni punto di vista, perché il fatto che sia la maggioranza a decidere ciò che è giusto e sbagliato non significa che le decisioni siano giuste. L'opinione pubblica è influenzata da tantissimi fattori e nelle loro decisioni si riflette ciò che il potere vuole farle credere in base ad interessi di parte, quindi non si può parlare mai di vera democrazia. La Chiesa nella sua storia è stata antidemocratica? Bene, sono disposto ad ammetterlo, tuttavia possono benissimo esistere delle lobby laiche che decidono di manipolare l'opinione pubblica per renderla ad esempio a favore dell'aborto e dell'eutanasia, o anche della liberalizzazione sessuale, facendo propaganda in quel senso, e quindi la decisione che il popolo prenderebbe secondo me è frutto di manipolazione, non è libera. Ricordati che è molto ma molto raro che si informi in modo obiettivo, si cerca sempre di convincere, lo avrà fatto la Chiesa e lo fa, ma lo fanno anche tantissime associazioni e lobby laiche, quindi l'idea delle decisioni liberamente e democraticamente prese è più un mito che una realtà. Oltretutto dal mio punto di vista di credente, come può esistere un fondamento laico/ateo a decidere? Non può esistere dal mio punto di vista semplicemente perché ritengo che la vita sia il frutto di un progetto divino superiore, e non di un capriccio casuale. Se Dio NON esiste, allora tutto è permesso, è questa l'affermazione che in pratica racchiude ciò che penso.

tersite

----------> Bene, sono disposto ad ammetterlo, tuttavia possono benissimo esistere delle lobby laiche che decidono di manipolare l'opinione pubblica per renderla ad esempio a favore dell'aborto e dell'eutanasia, o anche della liberalizzazione sessuale, facendo propaganda in quel senso

La tua argomentazione è indubbiamente corretta ma hai scordato gli omosessuali.
 
Ogni definizione è artificiosa e in ciò è il suo potenziale evolutivo. (anonimo)

Ipazia

Sopratutto ha scordato che un conto è manipolare, altro è lapidare adultere, impiccare omosessuali, bruciare streghe ed eretici, sgozzare infedeli. E costringere malati terminali ad una sofferenza inumana negando perfino la morfina perché fa eutanasia.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

tersite

Vedo anche una certa tendenza a confondere dogma, comandamento e fai quel che ti dice il parroco che costituiscono ambiti di discussione diversi e che richiedono un diverso trattamento.

Esempio di dogmi :
Il purgatorio esiste.  Firenze 1439
Immacolata concezione. 1854 Pio IX
Infallibilità papale.  Concilio vaticano 1870.
Verginità di maria.    Costantinopoli 553.
Maria madre di dio.    Efeso 431.   

I comandamenti sappiamo cosa sono.

Rimane "quel che il parroco dice" ma non ho trovato dogmi riguardanti l'infallibilità del parroco.
Ogni definizione è artificiosa e in ciò è il suo potenziale evolutivo. (anonimo)