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Il presepe

Aperto da doxa, 03 Gennaio 2023, 12:53:13 PM

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E' "fresco di stampa" il libro  titolato "Il presepe" (edito da Il Mulino)  scritto dagli antropologi Marino Niola ed Elisabetta Moro.

All'università "Suor Orsola Benincasa" di Napoli il prof. Niola insegna "Antropologia dei simboli" e "Antropologia della contemporaneità", la professoressa Moro è docente di "Antropologia culturale". 

E' interessante il loro libro sul presepe perché considerato dal punto di vista antropologico.

I due autori hanno come riferimento iniziale il cosiddetto "presepe vivente" organizzato da Francesco d'Assisi  con i suoi confratelli la sera del 24 dicembre nel 1223 in una grotta usata come stalla a circa due chilometri da Greccio, in provincia di Rieti, per rappresentare la nascita di Gesù; poi Niola e Moro argomentano sul "presepio napoletano", del quale parlerò in un altro post.

Ma a Francesco quell'idea non venne  come illuminazione dallo Spirito Santo...

Da mie ricerche in  passato sul teatro medievale risulta che antecedente a Greccio nel periodo natalizio in numerose chiese la nascita di Gesù e l'Epifania venivano ricordate con i tropi (brevi dialoghi cantati dai religiosi), poi  dalla mistione dei tropi con i testi canonici derivarono  i  drammi liturgici in lingua volgare (dialogo, musica, elementi scenografici) interpretati da alcuni chierici che recitavano sul sagrato o all'interno della chiesa, con folta partecipazione di persone quasi tutte analfabete che comprendevano ciò che  ascoltavano e vedevano.

La nascita del Bambino Gesù veniva celebrata con le due processioni del cosiddetto "Officium stellae" (i Magi che attraversavano tutta la chiesa fino all'altare dove depositavano i doni) e dell'Officium  pastorum (la processione dei pastori).

L'evoluzione di quella forma liturgica fu poi la rappresentazione della natività da parte di Francesco a Greccio,  ma non c'erano figuranti nel ruolo di Maria,  di Giuseppe e del neonato. Erano presenti solo la mucca e l'asino ai lati di una mangiatoia nella quale era stato messo del fieno e venne celebrata la Messa davanti la grotta- stalla con la partecipazione  di numerose persone.

Si lo so Cono e Rachele, dicendovi queste cose vi faccio crollare un mito, ma così avvenne.

Stando alla tradizione, Francesco e i suoi confratelli in quel periodo erano nella zona di Greccio per il ritiro spirituale sul monte Lacerone, ad un'altezza di oltre mille metri, abitando tra i boschi in una modesta capanna. Spesso Francesco  scendeva in paese, dove predicava il Vangelo. Le sue parole suscitarono l'ammirazione del feudatario  del luogo, Giovanni Velita, che lo esortò a rimanere in quell'ameno luogo.

Il frate Tommaso da Celano (prov. L'Aquila), compagno e primo biografo di Francesco, scrisse che "C'era in quella contrada un uomo di nome Giovanni (Velita, il feudatario) di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: "Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello". Appena l'ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l'occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo. E giunge il giorno della letizia, il tempo dell'esultanza! Per l'occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s'accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l'asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l'umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme" ("Vita prima", cap. XXX, 468 - 469).

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I due citati autori del libro evidenziano che "ll presepe francescano rappresenta la Natività, il presepe napoletano l'umanità; e per questo ha conquistato l'immaginario globale, ed è amato da credenti e non credenti".

Per Niola e Moro la versione partenopea della nascita di Gesù è un teatro della devozione: si fondono e si confondono sacro e profano. In poco spazio ci sono le statuine che raffigurano la "folla multicolore e multietnica: pastori, mercanti, suonatori, venditori ambulanti, osti, lavandaie, cuoche contadine, tessitrici, balie, re neri, visir ottomani, schiavi nubiani. Cui anno dopo anno si aggiungono personaggi dell'attualità".

In merito ai personaggi dell'attualità vi faccio leggere un po' di righe scritte dai due docenti.

"Fu Antonio Bassolino, sindaco della città (Napoli), il primo fra i politici a troneggiare sui banchi di via San Gregorio Ameno, il cuore antico dell'arte presepiale napoletana. Sigaretta fra le dita, mani aperte nel gesto di arringare la folla, addirittura aureolato, con il capo circondato da stelline luminose come quello dei santi. Da allora il presepe è diventato un andirivieni di personaggi contemporanei spinti e risucchiati dall'onda della cronaca, una sorta di borsino della popolarità in continua oscillazione.
Dopo Bassolino fu il turno dei 'pastori dalle mani pulite' a far risuonare tra la grotta e la taverna l'eco di Tangentopoli. Fu allora che il pool milanese, con in testa Antonio Di Pietro, fece il suo ingresso in scena, accanto alle figure di sempre, come Benino il dormiente e i Re Magi, la Sacra Famiglia e il pastore della meraviglia.
Con fulmineo tempismo nel 1994 comparve un'attonita statuetta di Berlusconi con in mano un foglio recante l'avviso di garanzia, esposto insieme a Umberto Bossi in canottiera che inalberava un cartello esaltante la virilità leghista in termini crudamente anatomici. Era solo il primo atto di quel teatrino della politica che da allora non ha più abbandonato il presepe. [...]
Ai politici fecero seguito i personaggi dello spettacolo, dello sport e perfino del gossip. E il presepe uscì dai suoi confini per farsi sempre più glocal.
Qualcuno gridò al sacrilegio vedendo in questa contaminazione la fine del presepe. Ma in realtà questo turn over iconografico, che associa i tempi lunghi di una tradizione immemoriale e quelli corti di una storia in cui risuona l'eco immediata della cronaca, hanno sempre caratterizzato il presepe napoletano, facendone una teatrale miniatura del tempo. O meglio dei tempi, sottratti al fluire lineare degli eventi e acronicamente coesistenti"
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Inoltre: "A Napoli la nascita di Gesù Bambino ha come sfondo il Vesuvio, le montagne appenniniche e le rovine di Pompei. Insomma il presepe è un plastico del dogma teologico della Natività. Ma è anche arte, tradizione, colore locale. Ethos e phatos, sentimento e passione, rito e teatro. Di fatto, il Vangelo in dialetto".

Il sovrappopolamento urbano si trasferisce sulla cartapesta e diventa folla animata e concitata. E' la vita quotidiana sorpresa in un fermo immagine che la consegna all'eternità.

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La rievocazione della Natività voluta da san Francesco nella grotta-stalla a Greccio ispirò successivamente  il pittore (Giotto di Bondone o Pietro Cavallini ? )  per l'affresco nella Basilica Superiore di Assisi.

Per i fautori di Giotto, questo avrebbe affrescato la fascia inferiore della navata con le 28 "Storie di san Francesco", secondo il testo della  "Legenda" elaborata dal frate Bonaventura da Bagnoregio.


Giotto (?).La scena non è ambientata in una grotta-stalla ma evoca la basilica inferiore di Assisi.

Il pittore ha collocato gli spettatori da un punto di vista dell'abside, che è zona  riservata al clero.

Le caratteristiche dell'ambiente oltre il tramezzo che lo separa dalla navata: un  ciborio, i frati che cantano nel  coro  guardando al leggio, un pulpito  visto dal lato dell'ingresso ed una croce lignea appesa, vista dal dietro, con tutti i rinforzi, raffigurata obliqua mentre pende verso la navata.

In primo piano Francesco con il Bambino tra le mani (provvisto pure lui di aureola)  mentre lo depone nella mangiatoia affiancata dal bue e l'asino;  ma le donne osservano dalla porta perché non possono entrare.

I  frati sporgono in alto rispetto alle altre persone perché  sono in piedi sugli stalli del coro, di cui si intuisce la presenza solo da un piccolo dettaglio vicino la porta. Essi hanno le bocche aperte perché stanno cantando; il loro sguardo è diretto verso il leggio, sul quale c'è il libro con le parole e la musica.


Giotto tornò ad Assisi, quasi 15 anni dopo aver realizzato la sua grande opera d'esordio con le Storie di San Francesco nella Basilica Superiore.

Nella basilica inferiore, il transetto destro e quasi tutto occupato dalle "Storie dell'Infanzia di Cristo", attribuite a quel pittore  e alla sua bottega.



Il Transetto destro della basilica inferiore di Assisi presenta numerosi affreschi di importanti autori del Trecento.

Sulla parete di fondo  c' la scena dell'Annunciazione, attribuita a Giotto e collaboratori.

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/c/c4/Giotto%2C_Lower_Church_Assisi%2C_Nativity_01.jpg/800px-Giotto%2C_Lower_Church_Assisi%2C_Nativity_01.jpg

La Natività affrescata da Giotto nel transetto destro della Basilica inferiore di San Francesco d'Assisi, 1313 circa.

L'affresco è unico al mondo. In primo piano  le due figure di levatrici che accudiscono il Bambino; esse  hanno dimensioni ridotte rispetto a Maria seduta sul letto  mentre sorregge il neonato.

I lattanti  sono due, ma  simboleggiano l'unicum, Gesù, che ha  due nature: umana e divina. 

In basso, sulla sinistra, San Giuseppe, come al solito appartato e pensieroso, è seduto su una pietra.

In alto,  sopra la stalla ci sono gli angeli, sembrano schierati per proteggere il neonato.

Il cielo terso di colore bleu è  ottenuto con il pigmento ricavato dal lapislazzulo.

Nella parte destra della composizione c'è il gregge ammassato e due pastori che stanno ascoltando  dall'angelo l'annuncio della nascita del messia, secondo il Vangelo di Luca.

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Le fonti per la raffigurazione del presepe sono 180 versetti compresi nei Vangeli di Matteo e di Luca, denominati "Vangeli dell'infanzia": essi narrano la nascita di Gesù, avvenuta a Betlemme, in Giudea.

L'iconografia della natività fu arricchita dai racconti di altri tre vangeli apocrifi: il protovangelo di Giacomo, il vangelo dello pseudo Tommaso ed il vangelo arabo dell'infanzia.
Nei Vangeli canonici non è menzionata la grotta come luogo di nascita di Gesù.

Di una grotta parlò, per la prima volta il filosofo e martire palestinese Giustino (100 circa - 163 circa), originario di Flavia Neapolis, l'odierna Nablus, in Israele. Egli circa 150 anni dopo gli avvenimenti nel "Dialogo con Trifone" scrisse: "Al momento della nascita del bambino a Betlemme, poiché non aveva dove soggiornare in quel villaggio, Giuseppe si fermò in una grotta prossima all'abitato e, mentre si trovavano là, Maria partorì il Cristo e lo depose in una mangiatoia, dove i Magi, venuti dall'Arabia lo trovarono" (78).

Di Giustino (venerato come Padre della Chiesa dai cattolici e dagli ortodossi) abbiamo anche la più antica descrizione del rito eucaristico, nella sua  "Prima apologia a favore dei cristiani" (cap. 66 – 67).

Successivamente a Giustino, la grotta  venne citata in due Vangeli apocrifi, il Protovangelo di Giacomo e il Vangelo dello pseudo Matteo.

Il Protovangelo di Giacomo (elaborato tra il 140 ed il 170) amplia i racconti degli evangelisti Luca e Matteo e rielabora le narrazioni canoniche sulla natività. Questo libro è considerato il più antico testo cristiano che sostenga la verginità di Maria prima, durante e dopo la nascita di Gesù.

Il Vangelo dello Pseudo Matteo fu invece scritto in lingua latina, forse nell'VIII – IX secolo, come rielaborazione del testo del Protovangelo di Giacomo ed altri.

Si attribuisce al filosofo e teologo cristiano Origene Adamanzio (185 – 254) l'ideazione della stalla come luogo della natività di Gesù.

La bugia di Origene riguardante la "stalla" fu creduta vera e tramandata insieme all'altra bugia inerente la grotta.

Per quanto riguarda il bue e l'asino essi non sono citati nei Vangeli di Luca e Matteo.

I due animali sono invece menzionati insieme una sola volta, nel Libro di Isaia. Dio dice: "Il bue conosce il proprietario / e l'asino la greppia del padrone, / ma Israele non conosce / e il mio popolo non comprende" (Is 1, 3).

La lamentela di Dio è fondata sul fatto che gli animali sanno riconoscere il loro padrone, mentre Israele non riconosce il suo Signore.

Perciò mettere il bue e l'asinello nel presepe significa affermare che gli animali riconoscono Dio nel bambino Gesù, mentre gli uomini non l'hanno riconosciuto.

Nel vangelo apocrifo attribuito allo pseudo Matteo c'è scritto: "Tre giorni dopo la nascita del Signore nostro Gesù Cristo, la beatissima Maria uscì dalla grotta ed entrò in una stalla, depose il bambino in una mangiatoia, ove il bue e l'asino l'adorarono. Si adempì allora quanto era stato detto dal profeta Isaia" (cap. 14, 1).

L'autore (o gli autori) del Vangelo dello pseudo-Matteo, scrivendo: "Il terzo giorno dopo la nascita del Signore, Maria uscì dalla grotta ed entrò in una stalla", volle conciliare la tradizione orientale, che parlava di una grotta, con quella occidentale, che parlava di una stalla.

Secondo alcuni si avverò anche la profezia teofanica di Abacùc (VI sec. a. C.) che disse: "Sarai conosciuto in mezzo a due animali" (3, 2) ma tale interpretazione è sbagliata.

Nel Libro del profeta Abacuc (3, 1 – 2) la versione (C.E.I.) corretta è:

1 "Preghiera del profeta Abacuc, in tono di lamentazione.
2 Signore, ho ascoltato il tuo annunzio,
Signore, ho avuto timore della tua opera.
Nel corso degli anni manifestala,
falla conoscere nel corso degli anni.
Nello sdegno ricordati di avere clemenza".

La traduzione del testo ebraico nella versione della Bibbia in lingua greca il penultimo versetto fu reso: " sarai conosciuto in mezzo a due animali" anziché "falla conoscere nel corso degli anni"...

Il papa emerito Benedetto XVI nel suo libro "L'infanzia di Gesù" ricostruisce l'iconografia cristiana e natalizia e conferma che il bue e l'asino non erano nella stalla con Gesù.

Quindi né grotta né stalla. L'evangelista Luca nel testo greco del suo Vangelo usa la parola "katalyma" (= caravanserraglio) per indicare il luogo dove Giuseppe e Maria cercarono alloggio.
Maria  "diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'alloggio" (Lc 2,7).
Il caravanserraglio era un luogo di sosta e ristoro per i carovanieri ed il loro bestiame, ma anche per i viandanti. Nel nostro tempo ci sono gli autoporti, i centri logistici per i T.I.R., nei quali ci sono anche alloggi per gli autisti.