Ricordati di me. La rivoluzione digitale tra memoria e oblio

Aperto da doxa, 15 Marzo 2020, 21:32:57 PM

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doxa

Nella nostra epoca "digitale" l'umanità non sembra d'accordo se è meglio o peggio dimenticare, e si affida alla costruzione di una memoria totale, alla conservazione di un passato che non passa, perché registrato in un immenso archivio digitale, sempre disponibile e consultabile. E' come un'enciclopedia, scritta in presa diretta ma a futura memoria.

E' in questo orizzonte che Davide Sisto nel suo libro titolato "Ricordati di me. La rivoluzione digitale tra memoria e oblio", da filosofo e con l'aiuto dei filosofi pone la questione in un abile intreccio di conoscenze scientifiche e di riflessioni sull'evoluzione dei social network.

Sisto si domanda come cambia oggi il rapporto fra memoria e oblio nelle nostre vite dominate dal "digitale", come cambia il nostro modo di ricordare e di dimenticare.La dimensione online è considerata come la nostra seconda casa. Ma nella casa tradizionale la porta d'ingresso separa l'esterno dall'interno, il fuori dal dentro, invece la "casa" digitale ha la porta sempre socchiusa, se non spalancata. Questo è l'imperativo di Internet: condividere.

L'autore del libro dice che col "digitale" il passato è un continuo presente. I ricordi sepolti nella memoria hanno oggi la possibilità, in virtù delle tecnologie digitali, di essere dissotterrati in qualsiasi momento e riportati in vita virtuale con la stessa attualità che li ha caratterizzati nel momento in cui sono stati vissuti.

Questo libro, pubblicato dalla Bollati-Boringhieri, è una piacevole riflessione filosofica sui nuovi modi di ricordare nel tempo digitale.

doxa

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La psicologia e le neuroscienze ci insegnano che la memoria non è la semplice registrazione del passato. La memoria è sempre una ricostruzione, soggetta alla deformazione, alla rimozione di eventi realmente accaduti, e persino alla formazione di falsi ricordi. E' controllata dal presente, dai desideri, dalle paure.

La scomparsa della presenza fisica di una persona cara o della casa familiare e la presenza delle loro tracce generano turbamento nel ricordo.La casa in cui si abita da molto tempo è l'archetipo della memoria. E' archivio della memoria soggettiva. Abitare una casa significa lasciare "impronte" che si oppongono al loro dissolvimento all'incalzare dell'oblio. Per questo il rapporto con la casa, con i ricordi è complesso e ambivalente. A un estremo, si può diventare prigionieri di presenze spettrali. All'altro estremo, per la loro insopportabilità, si può essere indotti a distruggere ogni traccia del passato, come fece il noto etologo Desmond Morris, dopo la morte della compagna, Ramona, con la quale visse insieme per 66 anni.Dopo 7 mesi Morris vendette tutto ciò che poteva ricordargli la moglie: oggetti di antiquariato, vestiti, mobili, migliaia di libri, la tazza e la poltrona usate da lei, i dipinti acquistati insieme, le foto che restituiscono un tempo senza tempo perché non riproducibile, via anche la casa ad Oxford per non soffrire troppo in una "gabbia" di ricordi. Per lui è un lutto insuperabile. Se uno muore, muore anche l'altro.

Dopo una perdita, c'è chi allestisce una casa mausoleo (i genitori che non si rassegnano alla scomparsa di un figlio) o "una casa spogliata", senza più tracce dell'altro, come una "damnatio memoriae". Ma c'è una terza possibilità: una casa che, con tempi e modi propri, può consentire a chi è rimasto in vita un'elaborazione del lutto tollerando la sospensione continua tra perdita e memoria.

La poetessa e saggista polacca Maria Wisława Anna Szymborska (1923 – 2012), premio Nobel per la letteratura nel 1996, nella sua poesia titolata "Autonomia" argomenta sull'oloutaria, un celenterato capace di rigenerare se stesso. Questi versi la Szymborska li dedicò alla memoria della poetessa polacca Halina Poświatowska, scomparsa in giovane età per complicazioni chirurgiche in seguito ad un'operazione al cuore.

"Autonomia"

In caso di pericolo, l'oloturia si divide in due:
dà un sé in pasto al mondo,
e con l'altro fugge.

Si scinde d'un colpo in rovina e salvezza,
in ammenda e premio, in ciò che è stato e ciò che sarà.

Nel mezzo del suo corpo si apre un abisso
con due sponde subito estranee.

Su una la morte, sull'altra la vita.

Qui la disperazione, là la fiducia.

Se esiste una bilancia, ha piatti immobili.

Se c'è una giustizia, eccola.

Morire quanto necessario, senza eccedere.

Ricrescere quanto occorre da ciò che si è salvato.

Già, anche noi sappiamo dividerci in due.
Ma solo in corpo e sussurro interrotto.
In corpo e poesia.

Da un lato la gola, il riso dall'altro,
un riso leggero, di già soffocato.
Qui il cuore pesante, là non omnis moriar,
tre piccole parole, soltanto, tre piume d'un volo.

L'abisso non ci divide.
L'abisso circonda.

Forse Desmond Morris è quel che sta cercando di fare. Cerca di rinascere da singolo. Non è una questione tra ricordare e dimenticare. È una questione di vita o di morte.

doxa

#2
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Lo scrittore e regista teatrale tedesco Bertold Brecht (1898 – 1956) nella sua poesia titolata "Elogio della dimenticanza", dice che questa deve essere considerata la salvezza della nostra esistenza. La "fragilità" della memoria dà forza e sostiene l'individuo, permette di cancellare il male subìto, di avere speranze.

Buona cosa è la dimenticanza!
Altrimenti come farebbe
il figlio ad allontanarsi dalla madre che lo ha allattato?
Che gli ha dato la forza delle membra
e lo trattiene per metterle alla prova?

Oppure come farebbe l'allievo ad abbandonare il maestro
che gli ha dato il sapere?
Quando il sapere è dato
l'allievo deve mettersi in cammino.

Nella casa vecchia
prendono alloggio i nuovi inquilini.
Se vi fossero rimasti quelli che l'hanno costruita
la casa sarebbe troppo piccola.

La stufa riscalda. Il fumista
non si sa più chi sia. L'aratore
non riconosce la forma del pane.

Come si alzerebbe l'uomo al mattino
senza l'oblio della notte che cancella le tracce?
Chi è stato sbattuto a terra sei volte
come potrebbe risollevarsi la settima
per rivoltare il suolo pietroso,
per rischiare il volo nel cielo?

La fragilità della memoria
dà forza agli uomini.
(trad. di Franco Fortini)

viator

Salve altamarea. Vivide citazioni, le tue. A proposito di XXXXX"L'autore del libro dice che col "digitale" il passato è un continuo presente"XXXXX.......devo far notare che l'affermazione è solamente una immagine pittoresca poichè quanto più tendiamo a conservare del passato all'interno della nostra vita, tanto più limiteremo i contenuti del nostro prossimo futuro.
Ciò perchè la dimensione totale, "assoluta" di un qualsiasi intervallo di tempo (fisico o psichico che lo si voglia considerare) è data sempre dal totale di passato+futuro.

Semplicemente, più una biblioteca viene ampliata, più difficile risulta possibile consultarla completamente in modo utile senza con ciò sottrarre il nostro tempo e la nostra attenzione a ulteriori nostre diverse e future attività.

Tale aspetto è anche quello che rende ragione della estrema dispersività delle nozioni contenibili in archivi troppo grandi : è IMPOSSIBILE TRARNE DELLE SINTESI. Saluti.

Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Phil

Citazione di: altamarea il 15 Marzo 2020, 21:32:57 PM
Nella nostra epoca "digitale" l'umanità non sembra d'accordo se è meglio o peggio dimenticare, e si affida alla costruzione di una memoria totale, alla conservazione di un passato che non passa, perché registrato in un immenso archivio digitale, sempre disponibile e consultabile. E' come un'enciclopedia, scritta in presa diretta ma a futura memoria.

E' in questo orizzonte che Davide Sisto nel suo libro titolato "Ricordati di me. La rivoluzione digitale tra memoria e oblio", da filosofo e con l'aiuto dei filosofi pone la questione in un abile intreccio di conoscenze scientifiche e di riflessioni sull'evoluzione dei social network.
Una delle cause dell'invenzione della scrittura è stato probabilmente anche il desiderio di ricordare dei dati per riutilizzarli (riscuotere un credito, sancire una legge, etc.); oggi, con il digitale, l'esigenza si è sdoppiata anche nel suo rovescio: il tema del diritto all'oblio, della necessità di non lasciare traccia (e cookies), di poter rimuovere dalla rete immagini e informazioni sgradevoli. Estremizzando un po', si è passati dal voler lasciare la propria impronta sulle pareti di una caverna a cercare di ridurre il "fingerprinting" del proprio dispositivo.
Significativamente, il memorizzare un file o un'impostazione (su un dispositivo) viene detto «salvare»; salvare da cosa, se non dalla cancellazione nel/del tempo?

Attualmente la mole di dati creati e immagazzinati al secondo (nel mondo) è abnorme rispetto a solo una decina di anni fa; compresi alcuni dati che ci appartengono e su cui non abbiamo il controllo. Questa è una dinamica tanto incalzante quanto impattante, per il singolo e per la società, per l'orizzonte esistenziale e per l'etica (e per le digital humanities); fortunatamente, alcuni filosofi e/o pensatori (anche italiani: Ferraris, Diodato, Floridi, Benanti, Fabris, etc.) hanno bene inteso come sia pane (fresco) per i loro denti.

Ipazia

Pane fresco certamente, che butta altra carne al fuoco della vexata quaestio del tempo sempre meno riducibile ad una unica natura e verso.

Sempre meno metafisicizzabile con argomenti datati e nostalgie di assoluto.

Clamorosa la digitalizzazione sofisticata del lutto già trattata in altra discussione.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

doxa

Buongiorno Viator, è interessante la tua riflessione
Citazionequanto più tendiamo a conservare del passato all'interno della nostra vita, tanto più limiteremo i contenuti del nostro prossimo futuro.
Ciò perchè la dimensione totale, "assoluta" di un qualsiasi intervallo di tempo (fisico o psichico che lo si voglia considerare) è data sempre dal totale di passato+futuro.

Però, però, se ho compreso bene ciò che vuoi dire, e se si considera la memoria digitale come un'appendice e non parte "all'interno della nostra vita", in tal caso non limitiamo "i contenuti del nostro prossimo futuro" perché il nostro "spazio-tempo mentale" rimane immutato, non lo limitiamo nella percezione e significazione.

Il digitale ci permette di avere il passato come un continuo presente.

La "biblioteca viene ampliata" ma non nella stessa metaforica stanza.

La memoria privata in forma  digitale ci permette di rivivere avvenimenti come  effettivamente si sono svolti, senza la deformazione, l'idealizzazione o la rimozione che di solito  subisce la nostra mente quando ricordiamo.

E' un  supplemento della memoria umana, per ricordare ciò che  abbiamo visto oppure ascoltato.


Buona giornata, nonostante il virus che condiziona la nostra vita. Mi consolo pensando a quanto disse Eduardo De Filippo in "Napoli milionaria": "adda' passa' a nuttat"

https://www.youtube.com/watch?v=_2A5K71DYxU

viator

Salve altamarea. Il senso di ciò che penso risulta a mio parere contenuto nella seconda parte del mio intervento, quella che tu non hai citato.
Il nocciolo non è tanto il dove sia disponibile la massa sterminata delle informazioni generata dall'accumularsi del passato (e che non può occupare un presente adimensionale posto a confine tra passato e futuro).

E' la sua disponibilità, ovunque essa sia.

Se ricordi, esperienze, informazioni (i quali - lo ripeto - di per sè andranno a costituire una massa indifferenziata alla quale solo il singolo può dare sintesi e "senso") si trovano fuori di noi, si danno solo tre casi :

1 - ci sono ma nessuno le guarda;
2 - ci sono e qualcuno (ciascuno ?) le guarda tutte od in parte per poi dedicarsi ad altro senza averle interiorizzate;
3 - ci sono e qualcuno (ciascuno ?) le guarda tutte od in parte provvedendo ad interiorizzarne quanto lo interessa e nei limiti delle proprie capacità.

Nel caso 1 le informazioni ci sono tutte ma è proprio come se non ci fossero nè fuori nè dentro di noi.

Nel caso 2 le informazioni ci sono tutte ma per ciascuno di noi nessuna di esse viene utilizzata. Forse, in futuro, torneremo a dar loro un'occhiata (sempre più difficile sarà il richiamarle poichè sommerse a travolte dai loro continui aggiornamenti).

Nel caso 3 le informazioni ci sono tutte ma noi potremo interiorizzarne solo una piccola parte, traendone una sintesi utile ma che per forza di cose risulterà sempre più limitata rispetto alla quantità totale di dati (in costante crescita) che potremmo/vorremmo sintetizzare.

Quindi il problema non è la quantità di dati o la loro collocazione, ma la nostra capacità di utilizzarli mentalmente (per questo abbiamo inventato i calcolatori ed ora stiamo cercando di creare le succursali mentali rappresentate dalla Intelligenza Artificiale - ma calcolatori e AI resteranno pur sempre collocazioni esterne !)........che resta sempre la medesima.

Infine esiste il risvolto psichico : l'aumento della quantità di informazioni da altri prodotte e roteanti attorno a noi provoca - in chi sia affascinato dal loro turbinio - inevitabile ingestibile disorientamento psichico. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Phil

Sul rapporto fra memoria e digitale, archiviazione e fruizione, verità e prassi sociali, etc. segnalo il terzo episodio della prima stagione di Black Mirror, intitolato "Ricordi pericolosi"; l'ho trovato molto suggestivo.

Lou




«Al mio ritorno a casa, mia madre, vedendomi infreddolito, mi propose di bere, contrariamente alla mia abitudine, una tazza di tè. Dapprima rifiutai, poi, non so perché, cambiai idea. Mandò a prendere uno di quei dolci corti e paffuti che chiamano Petites Madeleines e che sembrano modellati dentro la valva scanalata di una "cappasanta". E subito, meccanicamente, oppresso dalla giornata uggiosa e dalla prospettiva di un domani malinconico, mi portai alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato che s'ammorbidisse un pezzetto di madeleine. 
Ma nello stesso istante in cui il liquido al quale erano mischiate le briciole del dolce raggiunse il mio palato, io trasalii, attratto da qualcosa di straordinario che accadeva dentro di me. Una deliziosa voluttà mi aveva invaso, isolata, staccata da qualsiasi nozione della sua casa. Di colpo mi aveva reso indifferenti le vicissitudini della vita, inoffensivi i suoi disastri, illusoria la sua brevità, agendo nello stesso modo dell'amore, colmandomi di un'essenza preziosa: o meglio, quell'essenza non era dentro di me, io ero quell'essenza. Avevo smesso di sentirmi mediocre, contingente mortale. Da dove era potuta giungermi una gioia così potente? 
Sentivo che era legata al sapore del tè e del dolce, ma lo superava infinitamente, non doveva condividerne la natura. Da dove veniva? Cosa significava? Dove afferrarla? Bevo una seconda sorsata nella quale non trovo di più che nella prima, una terza che mi dà un po' meno della seconda. È tempo di smettere, la virtù della bevanda sembra diminuire. È chiaro che la verità che cerco non è in essa, ma in me. È stata lei a risvegliarla, ma non la conosce, e non può far altro che ripetere indefinitamente, con la forza sempre crescente, quella medesima testimonianza che non so interpretare e che vorrei almeno essere in grado di richiederle e ritrovare intatta, a mia disposizione (e proprio ora), per uno schiarimento decisivo. 
Depongo la tazza e mi volgo al mio spirito. Tocca a lui trovare la verità... retrocedo mentalmente all'istante in cui ho preso la prima cucchiaiata di tè. Ritrovo il medesimo stato, senza alcuna nuova chiarezza. [...] All'improvviso il ricordo è davanti a me. Il gusto era quello del pezzetto di madeleine che a Combray, la domenica mattina, quando andavo a darle il buongiorno in camera sua, zia Leonia mi offriva dopo averlo inzuppato nel suo infuso di tè o di tiglio».


Questo è il famoso passo tratto da Proust, la memoria sensoriale resta una prerogativa del vivente, non c'è memoria digitale che ne sia provvista è una forma di memoria monca..
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche