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Il Nome della Rosa

Aperto da Jacopus, 01 Novembre 2024, 22:05:39 PM

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Jacopus

"Stat Rosa Pristina nomine, nomina nuda tenemus".

Con queste parole si chiude "il nome della Rosa" di Umberto Eco. Un libro che ha avuto su di me sempre un grande fascino. L'ho riascoltato recentemente nel podcast di Raiplaysound, con un lettore straordinario, Moni Ovadia. Grazie a questa nuova esperienza sonora, il libro mi ha ritrasmesso quella percezione di materialità, che già nella versione su carta mi aveva piacevolmente sorpreso. Questo è il primo aspetto estetico che affascina. Ben pochi romanzi sono riusciti a farmi immergere fra i personaggi, fino al punto di sentirmi quasi accanto a loro. Eco riesce a donare questa tridimensionalità, quasi da realtà virtuale, attraverso una conoscenza approfondita della storia del pensiero medioevale. Questa magia non sarà più raggiunta da Eco, nei successivi romanzi.
I dibattiti continui su essenza e singolarità, sul male e sul bene, sulla povertà e la ricchezza, su verità e falsità che si inseguono nel corso del romanzo, sono assolutamente deliziosi, come le citazioni sparse, come quando l'amplesso del coprotagonista Adso da Melk viene espresso con le parole del Cantico dei Cantici mescolate a quelle del Cantico delle Creature. Ma anche la descrizione accurata di chiese, torri, cori, stalle, farmacie, con le parole specifiche, parole che spesso costringono di andarle a cercare sul web per capirle perfettamente, anche questo fa ottenere questo effetto di materialità, di realtà virtuale. Il dialogo fra Guglielmo e il farmacista dell'Abbazia, Severino, sulle qualità delle erbe officinali è ancora una volta un esempio di maestria, in questo senso. Sembra di essere accanto a loro mentre discettano di veleni ed erbe curative.
Già questa cura "gotica" per i particolari e per le citazioni sparse (da cercare, come in una caccia al tesoro) sarebbe sufficiente per rendere questo libro un grande libro.
Ma la grandezza si intensifica anche per altri motivi. Il primo di questi è la sovrapposizione di chiavi di lettura, il libro è al primo livello un "giallo", al secondo livello è un "romanzo storico", al terzo livello è un "romanzo filosofico", al quarto livello è un romanzo "semiologico".
Difficile affrontare tutte le molteplici questioni affrontate dal romanzo, che è in realtà un vero e proprio mondo a sè stante. Mi soffermo solo sul tema della conoscenza, che già si affronta nel primo capitolo, a proposito della fuga del cavallo Brunello. Da un lato vi è la visione di Guglielmo da Baskerville, che è l'avatar di un altro Guglielmo, ovvero Guglielmo da Occam, teorico di quella nuova visione del mondo, che è alla base del nuovo metodo scientifico, che si affermerà definitivamente solo 300 anni dopo. L'antagonista è Jorge da Burgos, il monaco anziano e cieco, che non accetta la conoscenza come ricerca dei dati sensibili ma come sottomissione della stessa alla teoria, che nel suo caso è la religione rivelata. Ogni dato sensibile che contrasta a quella visione va rigettato, anche se la realtà invece afferma quella verità. Una verità rivelata e dogmatica contro una verità che va sperimentata sul dato sensibile.
L'oggetto del contendere è infatti il secondo libro (perduto) sull'arte di Aristotele, dedicato alla commedia e all'umorismo. Libro che pur esistendo, non doveva esistere perchè contraddiceva la visione di un potere che, per affermare il suo potere totalitario ed assoluto, non poteva accettare la presenza del riso, dell'umorismo e dell'ironia, primo segnale del relativismo e della possibile presenza di tante verità.
Questo contrasto è il contrasto fra chi indaga le parole ammettendone il loro status convenzionale e storico, come strumenti per capire l'umanità e le sue azioni, e chi invece attribuisce a quelle parole un valore assoluto, di verità indiscutibile, di "idola" che fondano il potere, che in primo luogo era, a quei tempi, potere religioso. La parola, per Jorge, si scinde dalla sua storia e diventa "potente" proprio perchè scissa dalla sua storia, che invece Guglielmo, analizzandola, riduce nuovamente ad elemento di indagine della cultura umana.
Per questo "Stat Rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus".
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

iano

#1
A me la scena iniziale, quella del cavallo Brunello, mi ha folgorato, e non sò perchè ma mi richiama alla memoria l'inizio del ''Deserto dei tartari'' di Buzzati.
L'ho letto due volte, e ancora lo rileggerò, perchè come ben dici, si presta a ''diverse letture''. :)
Ne è apparsa di recente anche una versione a fumetti a puntate su Linus, che ho trovato nella sua versione completa da Feltrinelli, ma un pò deludente; un pò meno deludente il film, ma il romanzo ha un fascino  non trasponibile altrove.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

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