Afrodite Urania e Afrodite Pandémia

Aperto da doxa, 20 Gennaio 2021, 16:06:46 PM

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doxa

Il recente libro dell'archeologo Mario Torelli (1937 –2020) titolato "Ritorno a Santa Venera. Storia del santuario di Afrodite Urania-Venere Iovia di Paestum" (edizioni ETS, collana di studi del Parco archeologico di Paestum e Velia) mi ha motivato ad approfondire l'argomento e indotto a scrivere alcuni post in questo topic, che penso necessiti del contributo dei forumisti amanti della filosofia, in particolare Platone, per togliere o aggiungere alcune parti da quanto da me scritto. 


Paestum, l'antica città della Magna Grecia, denominata dai coloni elleni Poseidonia in onore di Poseidone, il dio del mare, ma essi erano molto devoti anche alle dee  Atena ed  Era.


I resti archeologici dimostrano che l'area fu abitata fin dall'epoca paleolitica.

 
La fondazione della colonia da parte dei Greci sarebbe avvenuta in due tempi, come loro uso: prima la costruzione  sulla costa di una fortificazione ("teichos"), necessaria per i loro scambi commerciali, che avvenivano via mare e via terra, fino alle zone interne,  poi giunsero altri coloni e crearono  l'oikesis, la città, nel VII sec. a. C..


Tra il 420 e il 410 a. C. Poseidonia fu conquistata dai Lucani e la località venne da loro chiamata "Paistom".


Nel 273 a. C. Roma sottrasse Paistom alla confederazione lucana e vi  collocò una propria colonia di veterani. Il toponimo venne di nuovo cambiato: da Paistom a Paestum.


L'estensione dell'antico abitato è ancora oggi riconoscibile, racchiuso dalle mura di epoca greca,  modificate in epoca lucana e poi romana.


Nel 1907 in un'area fuori le antiche mura di Paestum, in località Santa Venera, durante lavori di scavo per impiantare la fabbrica della Cirio vennero alla luce alcuni resti di un complesso templare dedicato al culto di Afrodite Urania (Venere Iovia per i Romani), vicino il corso del fiume Salso e al margine di una vasta necropoli.


Il sito extra moenia fu scavato a più riprese:  è composto da  un tempio preceduto da un portico,  il temenos (recinto sacro),  le sale per riunioni e stanze  per lustrazioni.


I resti murari contrastano con i celebrati templi entro le mura.


L'area del santuario è rettangolare. 


Il prof. Mario Torelli  nei suoi scavi con l'aiuto di collaboratori (1982 – 1984) identificò  l'ambiente dedicato ad Afrodite Urania e la raffigurazione nella cella del cerchio, simbolo del planisfero celeste, simile a quello che c'è in un edificio templare dedicato alla dea ad Olimpia, in Grecia.


Alcune iscrizioni della fine del  I sec. a. C. rinvenute  in loco narrano  che due sacerdotesse, Sabina e la nipote Valeria,  fecero rifare i pavimenti, aggiunsero nuovo arredo, una cucina e cinque "strongyla": nicchie a ferro di cavallo che servivano per il bagno lustrale delle fanciulle nel rito di passaggio semi-pubblico  che le preparava al matrimonio.

La sacerdotessa aveva anche la funzione di "mnamon" (= memore), tramandava gli usi sacrali alle ragazze che frequentavano il luogo sacro, nel quale c'erano anche stanze riservate ad alcune prostitute, però non era "prostituzione sacra", ma sfruttamento economico di donne.

Il rito iniziatico delle nubende spiega la lunga vita del santuario e consente di allargare lo sguardo ad analoghi siti nelle colonie achee della Magna Grecia (Crotone, Metaponto) e in Grecia (Olimpia, Atene).

doxa

Afrodite, antica dea greca associata all'amore, alla bellezza, alla sessualità e alla procreazione. Era denominata Venus dagli antichi Romani.


Esiodo fa derivare il nome  Afrodite da aphrós (= "schiuma di mare"), interpretando il nome come "nata dalla schiuma", gli studiosi, però, considerano tale nome non di origine greca ma  semitico o mesopotamico: il culto di Afrodite  derivò da quello della dea fenicia Astarte, affine alla dea semitica orientale Ishtar.


In Grecia i principali centri di culto di Afrodite erano Cythera , Cipro , Corinto e Atene.


Dagli antichi Greci veniva festeggiata per alcuni giorni nella stagione estiva con  gli  Aphrodisia,  dai Romani l'1 aprile con i Veneralia.


Afrodite come dea dell'amore è presente anche nel  "Sympòsion" di Platone.


Il testo è strutturato in forma di dialogo narrato, o meglio, in un agone oratorio, in cui ogni interlocutore espone con un ampio discorso la propria teoria su  Eros, durante un banchetto offerto dal poeta Agatone.


Il secondo a parlare fra gli ospiti è il politico ed oratore Pausania, il quale  critica Fedro per aver lodato Eros in modo generico.


Platone fa dire a Pausania (Simposio, 180c-185c)  che ci sono due Afroditi e due Eros: l'Afrodite Urania, "celeste" (spirituale),  figlia di  Urano ma non ha madre,   e l'Afrodite Pandèmia, popolare (sensuale)  figlia di  Zeus e di Dione; c'è l'Eros Pandemio e l'Eros Uranico.


Anche l'Eros Pandemio è sensuale, rivolto al corpo e non all'anima; gli interessa solo lo scopo e non il modo.


Invece l'Eros uranio è teso alla spiritualità,  ha come fine la virtù.


Pausania sviluppa il suo discorso  analizzando il rapporto tra amanti omosessuali collegato al relativismo etico, per cui nulla è in sé buono o cattivo, dipende dai modi in cui le scelte vengono fatte. Il suo discorso si conclude con la ricerca della giustificazione dell'amore omofilo.


Per evitare confusione è meglio dire che Afrodite è una, distinta in due suoi aspetti, identificati da due dei suoi numerosi epiteti, idem per Eros.


Afrodite Urania è la dea dell'amore spirituale che sublima la sessualità; è priva di  hỳbris, di volgarità, di prevaricazione.


Invece Afrodite Pandémia  (Pandémos vulgivaga) è la dea  dell'amore sensuale, dell'attività sessuale.


L'amore volgare desidera solo il corpo, quello celeste desidera l'anima.

doxa

#2
Afrodite Pándēmos: è in genere adorna di fiori ed è associata alla primavera, alle gioie dell'amore e alle emozioni dell'innamoramento.


La potenza divina di Afrodite Pandémos è l'amplesso (gamos), che ha una dimensione sacrale: sacra  perché  manifesta "la forza" (dynamis) che congiunge l'elemento maschile con l'elemento femminile.


Pandémos: antica parola greca composta da "pan" (= tutto) + "demos" (= popolo), allude a tutta la popolazione.



Gli antichi Greci, però, non usarono mai  la parola "pandemìa" nel significato medico che le diamo noi oggi.  Questa parola fu coniata nell'ambito medico  alla fine del XVIII secolo sul modello di "epidemia", lemma usato nel IV sec. a. C. dal medico greco Ippocrate (460 a. C. circa - 377 a. C. circa, considerato il fondatore della medicina) per indicare il rapido diffondersi di una malattia contagiosa.


Egli rivoluzionò il concetto di medicina, tradizionalmente associata con la teurgia e la filosofia, stabilendo la medicina come professione.In particolare, ebbe il merito di far avanzare lo studio sistematico della medicina clinica, riassumendo le conoscenze mediche delle scuole precedenti, e di descrivere le pratiche per i medici attraverso il "Corpus Hippocraticum" e altri testi.


Il culto di Afrodite Pandémos era diffuso in numerose località dell'antica Grecia. A Elis  fu rappresentata dallo scultore e architetto greco Skopas (390 a. C. circa – 330 a. C. circa) mentre cavalca un ariete: Afrodite Epitragia.



Charles Gleyre, "Aphrodite Pandemos", 1854.



Cammeo di epoca romana,  I secolo a.C. - II secolo d. C., Museo  archeologico nazionale di Napoli

doxa

 
Afrodite Urania

Nell'antica arte greca Afrodite Urania veniva rappresentata su un cigno, oppure col piede su un globo o una tartaruga.

Fidia (o collaboratore), "Afrodite Urania", circa 430 – 420 a. C.; Berlino, Antikensammilungen
La dea è raffigurata col piede sinistro su una tartaruga.
Questa  scultura potrebbe essere quella che era nel tempio dedicato a lei ad Atene, costruito nel V sec. a. C..

Platone  considerava Afrodite Urania figlia del dio greco Urano, concepita e nata senza madre.

Secondo Esiodo la dea Afrodite nacque dai genitali recisi di Urano, divinità primordiale che personificava il cielo. 

La dea emerse dalla schiuma del mare. Era considerata protettrice dei marinai durante i loro viaggi. Alcuni suoi  tratti evocano l'antica dea orientale Astarte, sotto la cui protezione navigavano i Fenici, e alla Venus Iovia dell'epoca lucana e repubblicano-imperiale.

Afrodite Urania  veniva spesso associata ad Ares e rappresentata armata;  le sue sacerdotesse dovevano rimanere vergini.

sapa

Citazione di: doxa il 20 Gennaio 2021, 16:31:38 PM

Afrodite Urania

Nell'antica arte greca Afrodite Urania veniva rappresentata su un cigno, oppure col piede su un globo o una tartaruga.

Fidia (o collaboratore), "Afrodite Urania", circa 430 – 420 a. C.; Berlino, Antikensammilungen
La dea è raffigurata col piede sinistro su una tartaruga.
Questa  scultura potrebbe essere quella che era nel tempio dedicato a lei ad Atene, costruito nel V sec. a. C..

Platone  considerava Afrodite Urania figlia del dio greco Urano, concepita e nata senza madre.

Secondo Esiodo la dea Afrodite nacque dai genitali recisi di Urano, divinità primordiale che personificava il cielo. 

La dea emerse dalla schiuma del mare. Era considerata protettrice dei marinai durante i loro viaggi. Alcuni suoi  tratti evocano l'antica dea orientale Astarte, sotto la cui protezione navigavano i Fenici, e alla Venus Iovia dell'epoca lucana e repubblicano-imperiale.

Afrodite Urania  veniva spesso associata ad Ares e rappresentata armata;  le sue sacerdotesse dovevano rimanere vergini.
Ciao doxa, mi incuriosisce molto approfondire che simbolo sia quello di raffigurare Afrodite Urania con il piede sulla tartaruga. Secondo Esiodo, Afrodite è generata dai genitali di Urano, recisi dal figlio Crono e poi buttati in mare. La schiuma da cui nasce la dea è, in pratica, il seme di Urano. Mi pare un simbolo poco "etereo", piuttosto materiale.

doxa

Buongiorno Sapa,


in questo topic, nel secondo capoverso del mio secondo post, ho scritto che l'Afrodite della mitologia greca fu un culto d'importazione, ed aggiungo,  dal Vicino o Medio Oriente.


Per quanto ne so, derivò dalla dea fenicia Astarte, affine alla dea semitica Ishtar. Queste, a loro volta, "discendenti" dalla "Grande Madre" o "Dea Madre", divinità femminile primordiale che venne materializzata in varie forme e in diverse civiltà.


La Grande Madre, dea della natura, miti e leggende la collegano al ciclo vitale nascita-morte, è a Lei che la vita ritorna per rinascere, come nei cicli della vegetazione.


Con l'evolversi delle civiltà, le competenze e gli attributi della Grande Madre  che inizialmente erano raggruppati soltanto in lei, cominciarono ad essere specializzati e moltiplicati in distinte divinità, come Astarte- Ishtar-Afrodite Pandémia,  dando a loro caratteristiche e simbologie.


La tartaruga è solo uno degli attributi della dea Afrodite-Urania: questo rettile fu considerato simbolo di connessione tra la Terra e il Cielo. Nella parte  esterna superiore del guscio, quella convessa, ci sono esagoni, e l'esagono è l'emblema dell'unione del Cielo con la Terra. Il suo carapece tondeggiante  rappresenta la cupola celeste, il Cielo, mentre la parte inferiore, dove poggia il corpo, evoca la Terra.


La mitologia greca spiegava la genesi dell'animale con la leggenda della ninfa Chelone, dalla quale la tartaruga prese  il nome.  Questa ninfa osò deridere Zeus ed Hedra nel giorno delle loro  nozze, e fu punita dagli dei: la trasformarono in tartaruga e la gettarono in mare, condannandola a recare sul dorso la propria casa. 


Ancòra la mitologia greca: al dio Hermes (Mercurio) erano stati assegnati come attributi simbolici anche due animali, il gallo e la tartaruga, oltre a quelli notori:  il suo borsellino di pelle, i sandali,  il cappello alato, il petaso, e il bastone da messaggero, il kerykeion.


La tartaruga era  pure diffusa nell'antica arte egizia.


In Mesopotamia la tartaruga era associata al dio Enki.


Dopo averti annoiato con la simbologia ti allieto la vista con l'immagine  del gruppo scultoreo che raffigura  Venere e Adone, realizzato da Antonio Canova.



sapa

Ciao doxa, sei un grande, altro che annoiato! Hai risposto in modo impeccabile ed esauriente alla mia domanda e ti ringrazio molto anche per la "perla" scultorea, che effettivamente allieta sempre. A presto.

doxa

#7
Dopo la digressione con "Venere e Adone" del Canova, torno al tema  :)




Tiziano Vecellio, "Amor sacro e Amor profano", 1515 circa, olio su tela, Roma, Galleria Borghese.

Le due figure femminili con i capelli fulvi sono sedute sul bordo di un'antica urna sepolcrale, usato come vasca di raccolta per l'acqua. Il sarcofago è
  decorato sul fronte con un bassorilievo di stile classico.

Le due giovani sembrano avere la stessa fisionomia. Forse Tiziano volle alludere a due diversi tratti caratteriali nella stessa persona, "coincidentia oppositorum", Afrodite Urania e Afrodite Pandèmia ?


Gli alberi dipinti dietro alle ragazze  sono in controluce e le loro sagome paiono grandi macchie scure. Infatti il cielo che sovrasta il paesaggio riproduce l'alba a sinistra e il tramonto a destra.

Il dipinto ha diversi livelli di lettura, anche filosofico. 

E' notorio che spesso i filosofi con le loro elucubrazioni vanno fuori dal seminato e scambiano lucciole per lanterne, oppure si perdono in oscuri e astrusi meandri,  però in questo caso alcuni di loro che hanno esaminato il quadro mi sembra che siano rimasti "lucidi mentalmente".   :D


 
L' interpretazione filosofica neoplatonica vede nelle due donne la contrapposizione tra l'amore sacro (in senso metafisico, trascendentale e trascendente) e l'amore profano (in senso fisico, inteso come desiderio e piacere sessuale), l'Afrodite spirituale e l'Afrodite "umana". 

Amore "sacro" e amore "profano, continuamente si congiungono, si separano, si ricongiungono in dimensioni distinte ed antitetiche.  Se l'amore profano non può fare a meno del fisico, l'amore sacro non può fare a meno del metafisico.


La figura della donna nuda, sulla destra  guardando il quadro, la considerano la rappresentazione dell'Afrodite celestiale, nell'atto di sollevare verso l'alto  una piccola lucerna, variamente leggibile come simbolo di illuminazione spirituale o di conoscenza. 

Per contrapposizione la donna vestita che è sulla sinistra,   sarebbe l'Afrodite "umana", simbolo della forza generatrice della natura.
 

Tra le due donne c'è il piccolo Cupido, in questo caso mediatore tra la spiritualità e la concupiscenza, tra il Cielo e la Terra.


Il titolo attribuito  a questo dipinto di Tiziano è arbitrario. Non gli fu dato dall'autore né dal committente, forse non gli fu dato in origine, perciò definirlo rappresentazione dell'amor sacro e dell'amor profano  può essere fuorviante e far pensare alla mitologia greca, ad Afrodite Urania ed Afrodite Pandémia.


 
Nel tempo a quest'opera furono date diverse intestazioni a sfondo moralistico: "Beltà disornata e beltà ornata" (1613); "Tre Amori" (1650); "Amor profano e Amor divino" (1693); "Donna divina e donna profana" (1700). L'attuale  titolo fu attribuito al quadro nel 1792 dai curatori degli inventari e cataloghi della Galleria Borghese, dove il quadro è conservato, a Roma.


Secondo una delle interpretazioni più accreditate il quadro fu un dono di nozze e il tema è nuziale, allude con le due donne raffigurate a due aspetti del matrimonio: quello sessuale (voluptas) e quello  morale (pudicitia), tra loro uniti.


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doxa

#8
E
il piccolo Eros gioca con l'acqua



Lo stemma nobiliare in alto a destra sul fronte del sarcofago ha permesso di  collegare il dipinto alle nozze avvenute nel maggio del  1514 tra il veneziano Niccolò Aurelio (segretario del Consiglio dei Dieci, eletto  nel 1523  gran cancelliere della Repubblica Veneta) e Laura Bagarotto, figlia del  giureconsulto padovano Bertuccio Bagarotto.


Il quadro pervenne nelle collezioni Borghese nel 1608


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doxa

#9



Guardando il dipinto, sulla sinistra c'è la giovane in procinto di diventare moglie; è seduta in posizione frontale  sul bordo della vasca; indossa un ampio abito nuziale di colore bianco. Il vestito è scollato, stretto in vita da una cintura dorata con fibbia;  le maniche sono di colore diverso, una è rossa,  l'altra  è bianca. La nubenda ha i guanti, con la mano destra sorregge un rametto con fiori (di mirto ?);  un altro fiore, una rosa, è poggiato sul bordo della vasca;  la ragazza ha sul capo il fermacapelli creato con bacche di mirto, il "myrtus coniugalis", simbolo di amore coniugale; le lunghe ciocche fulve sono raccolte verso la schiena;  la mano sinistra poggia su un catino, elemento  tipico dei corredi, utilizzato dopo il parto, e quindi leggibile come un augurio di fertilità. Allo stesso significato procreativo allude la coppia di conigli sulla sinistra della donna.





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La donna seminuda sulla destra è in posizione frontale ma il volto è di profilo; con il braccio sinistro sorregge l'ampio mantello rosso lungo fino ai piedi con un sinuoso drappeggio; un panno bianco è sulle cosce per nascondere la zona genitale; la mano destra è vicina ad una patera d'argento poggiata sul bordo della vasca; nella mano sinistra innalzata verso l'alto  ha una lucerna, simbolo religioso tra immanenza e trascendenza.




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#11
Due diversi paesaggi fanno da sfondo alle  figure femminili. Le sezioni sono divise dall'albero dietro il putto. Ogni sezione è abbinata a una delle due donne.

 
Sulla sinistra della donna vestita il paesaggio  è montuoso; un sentiero in salita viene percorso da un cavaliere  col cappello piumato  sul cavallo al galoppo che si dirige verso il borgo dove c'è il castello, del quale si vede il mastio; all'esterno dell'abitato c'è un gruppo di persone.



A destra, dietro la donna nuda,  il paesaggio è pianeggiante. Ci sono due uomini a cavallo che guardano i loro cani da caccia che corrono dietro una lepre che fugge; sulla radura  c'è il gregge al pascolo, controllato dal pastore che è in piedi, mentre un altro, poco distante, è seduto;  in lontananza ci sono le colline,  il fiume lambisce il centro abitato, dominato dal campanile cuspidato della chiesa. 






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