"Paradiso perduto" dei neoborbonici

Aperto da doxa, 01 Giugno 2021, 09:35:34 AM

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doxa

In Rete  scrivono appartenenti a gruppi che si definiscono neoborbonici o filoborbonici e  indicano il Regno delle due Sicilie come una sorta di paradiso perduto, basandosi sulle informazioni del best seller del 2010 "Terroni", scritto da Pino Aprile. Essi  tendono a enfatizzare i lati oscuri del Risorgimento italiano cercando il riscatto per una terra che non era né il paradiso perduto immaginato dai neoborbonici né l'inferno descritto dai primi storici risorgimentali.


Infatti si sbaglia chi considera il Regno delle due Sicilie un Paradiso trasformato in Inferno dalla dinastia sabauda.


Il Regno delle Due Sicilie in sé è esistito per un periodo relativamente breve, dal 1816 al 1861.


Analisi giuridiche, statistiche ed economiche decostruiscono la mitologia che negli anni è stata "fabbricata" dai cosiddetti neoborbonici o da studiosi che considerano il processo di unificazione nazionale come una guerra di conquista, saccheggio e distruzione del Regno di Sardegna nei confronti del Regno delle due Sicilie.


Per cominciare, furono davvero un milione le vittime meridionali dell'esercito piemontese ?  Le vittime furono poche migliaia, briganti inclusi.


Il Sud pre-unitario era davvero un territorio industrialmente avanzato ?


Ed è vero che le industrie del Sud furono depauperate, trasferite al Nord e osteggiate dal nuovo governo piemontese ?


Sono oggettivi i tanti primati che i neo-borbonici rivendicano sul Regno delle due Sicilie ?


Lo storico Pino Ippolito Armino nel suo libro titolato: " Il fantastico Regno delle due Sicilie. Breve catalogo delle imposture neo-borboniche" (edit. Laterza) abbatte tutti i totem dei neo-borbonici, leggendo il Regno delle due Sicilie nella sua interezza, evidenziando le bugie propagandistiche, le azioni liberticide e il disinteresse per le condizioni socio-economiche delle classi subalterne.


Armino contesta l'uso distorto  che i neo-borbonici fanno delle fonti storiche, spesso manipolate in funzione di una lettura populista e vittimistica della "questione meridionale".


Non era un Paradiso il Regno delle due Sicilie del 1860. E non è scaricando sull'unità d'Italia le responsabilità del ritardo socio-economico del Sud che si riesce a comprendere le reali ragioni del divario.


Il primo regnante della famiglia Borbone a entrare in Italia e regnare sia sul Regno di Napoli che su quello di Sicilia fu Carlo di Borbone nel 1735. 
Carlo, seguito dal fido consigliere Tanucci, avviò una serie di riforme che porteranno davvero alla rinascita di due territori che erano considerati delle colonie, passate di mano in mano tra corone francesi, austriache e spagnole.

iano

Io credo che la breve storia del regno delle due Sicilie, comunque là si scriva , distolga da una storia ben più lunga e significativa , che è quella della continuità della Magna Grecia nel sud Italia.
Se è vero che la cultura occidentale ne deriva, al sud quella cultura rista'.
A me sembra infatti di vedere ancor attuali le stesse beghe descritte da Omero, nel bene e nel male.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

doxa

Grazie Iano per il tuo intervento, perché mi dai la possibilità di ampliare il mio precedente post in questo topic.


L'associazione per lo sviluppo dell'industria Mezzogiorno (SVIMEZ) ha pubblicato dei libri in occasione del centenario dell'unità d'Italia e ai 150 anni dall'unità d'Italia. Per esempio:  "150 anni di statistiche italiane: Nord e Sud 1861-2011" ;  "Le Università del Mezzogiorno nella storia dell'Italia unita. 1861-2011", pubblicati dall'editore Il Mulino, e il numero speciale della Rivista giuridica del Mezzogiorno, trimestrale della SVIMEZ dedicato a "Federalismo e Mezzogiorno a 150 anni dall'Unità d'Italia".

Per quanto riguarda le strade ferrate, re Ferdinando II oltre la Napoli-Portici,  dal 1838 fece costruire la linea Napoli-Nocera con diramazione per Castellamare di Stabia.

Un secondo tronco ferroviario, finanziato dallo Stato borbonico, raggiunse Caserta nel 1843 e Capua nel 1844.
 
Nel 1853 fu concessa in appalto la costruzione della Nola-Sarno-San Severino, che avrebbe dovuto proseguire per Avellino. Il programma prevedeva poi che la linea Napoli Capua fosse prolungata a Cassino per allacciarsi con la ferrovia dello Stato Pontificio.

In Sicilia erano previste le linee Palermo Catania-Messina, e Palermo-Girgenti (Agrigento)-Terranova. Previste, ma non realizzate.

Le linee ferroviarie meridionali al tempo dei Borbone  è uno dei principali motivi di vanto dei sostenitori dell'idea di un Sud avanzato, penalizzato piuttosto che aiutato dall'Unità d'Italia. Ma fu veramente così?  Alcuni  progetti ferroviari non furono realizzati.

Secondo i dati contenuti nello studio della Svimez,  nel 1861 nel  Sud Italia l'estensione della linea ferrata era di 184 chilometri,  limitati in Campania. Nel Centro Italia i chilometri erano 535,  nel Nord 1.801, dieci volte in più.

Durante il regno di Ferdinando II, dopo la repressione del 1849, ci  fu una riduzione drastica della costruzione di nuove strade ferrate. Questo sovrano era giunto alla conclusione che  i collegamenti ferroviari  erano strumento di propagazione delle idee rivoluzionarie e, quindi, elemento di rischio per la stabilità politica ristabilita  in quell'anno.
 
Il Regno delle due Sicilie aveva un'economia basata sul trasporto marittimo, non sul trasporto ferroviario.

Ovvio! Il Sud aveva privilegiato le linee marittime perché circondato dal mare. La  grande flotta era un vanto del regno borbonico.   

Invece la Lombardia e il Piemonte non avevano la  flotta marittima, per i collegamenti dovevano costruire strade.

Per quanto riguarda il brigantaggio meridionale il protagonista fu quasi sempre il contadino, il pastore o il brigante (che poi è la stessa cosa), ma interessò anche la classe sociale dei 'galantuomini': grandi proprietari terrieri e allevatori del Sud Italia,  responsabili del patto con l'amministrazione piemontese. (Il romanzo "Il Gattopardo", di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, docet. Come ben sai narra le trasformazioni avvenute nella vita e nella società in Sicilia durante il Risorgimento, dal momento del trapasso del regime borbonico alla transizione unitaria del Regno d'Italia).

La lotta al brigantaggio coincise con i difficili anni successivi alla formazione dello Stato unitario, quando l'esigenza dei governi di quel tempo era quella di fermare in modo rapido le insurrezioni in varie province meridionali incorporate al nuovo Regno d'Italia dopo l'impresa garibaldina.

Le autorità militari  agirono con metodi brutali ed indiscriminati, a volte illegali. Ci furono molte esecuzioni sommarie ed eccidi. A loro volta, nel corso di una vasta ondata sommosse, anche numerosi crimini e atti di spietata violenza vennero commessi dalle bande di briganti col sostegno iniziale di ex soldati borbonici e la connivenza di esponenti clericali.

Tra il 1861 e il 1864 avvenne la guerra civile tra gli italiani del Nord e quelli del Sud, fra i  cosiddetti "piemontesi" inclini a considerare il Mezzogiorno una zona della penisola non ancora approdata alla "civiltà", e gran parte della popolazione locale indotta a odiare i "conquistatori" scesi del settentrione accusati di mire di dominio e di pesanti vessazioni fiscali.

Ma quello che si svolse dopo l'unificazione nazionale (con l'impiego da un lato di un esercito cresciuto man mano da 15 mila a 116 mila uomini contro i cosiddetti "briganti",  e, dall'altro, con la mobilitazione di folti nuclei di insorti trasformati in guerriglieri) fu un capitolo di un conflitto di più vasta portata. Tra l'eclissi dei Borbone e l'avvento dei primi governi post-unitari riemersero due generi di ostilità: una "guerra fratricida" di meridionali contro altri meridionali, e una "guerra di classe" fra proprietari e contadini senza terre.