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vacuita

Aperto da bluemax, 17 Aprile 2024, 11:38:41 AM

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bluemax

Uno degli argomenti più complessi e difficili della filosofia buddhista, soprattutto per noi occidentali, è quello sulla vacuità (sans. Śūnyatā, tib. stong-pan-yid).
La confusione su questo argomento è davvero tanta e ho sentito interpretazioni davvero fantasiose e prive di qualsiasi fondamento sia logico che scientifico.

Storicamente l'insegnamento della vacuità è difficilmente collocabile all'interno della filosofia buddhista. Sappiamo che intorno al I secolo A.C. (quindi mezzo millennio dopo Buddha Śākyamuni) comparvero dei testi (Discorsi sulla Perfezione della Saggezza), che esponevano l'insegnamento della vacuità.

I testi sostengono che tutti i fenomeni sono "vuoti", ossia "mancanti".
Vuoti di che cosa però?

I testi parlano di "mancanza/vacuità" di Svabhāva. Questo termine è estremamente difficile da tradurre (letteralmente significa "propria esistenza" o "proprio divenire"), ma il termine che io trovo più corretto è quello di "esistenza intrinseca".

Cosa vuol dire esistenza intrinseca? Un qualcosa che esiste intrinsecamente, è un qualcosa che esiste in maniera totalmente indipendente e autonoma, un qualcosa la cui esistenza non dipenda da niente, se non da sé stesso.

Essere quindi "vuoti di esistenza intrinseca", significa quindi essere mancanti di esistenza autonoma e indipendente. Se tutti i fenomeni sono quindi vuoti di esistenza intrinseca, significa che tutti i fenomeni, per esistere, devono dipendere da qualcosa.

L'insegnamento della vacuità ci insegna che tutti i fenomeni dipendono da tre fattori.
Tutti i fenomeni (compresa la persona) dipendono quindi da questi tre fattori: da cause e condizioni, dalle proprie parti, da una designazione nominale.

- Cause e condizioni: L'esistenza di un tavolo dipende da un albero, dal falegname, dal sole, dalla pioggia, dal cibo di cui si nutre il falegname e così via fino ad arrivare all'intero UNIVERSO. Un complesso intreccio di cause e condizioni fa sì che il tavolo si manifesti. Il tavolo dunque DIPENDE (è il risultato) di cause e condizioni.

- Dalle proprie parti: Il tavolo dipende da asse e gambe, che a loro volta dipendono dagli atomi che le compongono, che a loro volta dipendono dalle molecole e così via. Ogni fenomeno è "composto" di parti e dipende da esse. Il tavolo non è l'asse e le gambe, ma senza di esse non esiste nessun tavolo! Il tavolo quindi DIPENDE dalle proprie parti.

- Da una designazione nominale: Questa è la dipendenza più difficile da comprendere. Un "tavolo" è tale soltanto in dipendenza di una mente che lo designa e lo identifica come "tavolo". Senza una mente che lo designa e lo definisce tale, il tavolo non è altro che un insieme di forme e colori in costante trasformazione, senza nessuna distinzione da tutto ciò che lo circonda. Questo non significa che il fenomeno non esiste ed è solo il prodotto della nostra mente, ma che senza la nostra mente tale fenomeno non sarebbe "tavolo". Ciò che fa sì che il "tavolo" sia tale e non altro, è il nostro definirlo "tavolo"... senza una mente che lo definisce "tavolo", esso non sarebbe tale!

Ecco quindi che i fenomeni sono "vuoti di esistenza intrinseca", perché dipendono da questi tre fattori.
Questo complesso e sofisticato sistema metafisico non è tuttavia un semplice esercizio intellettuale di sofistica... è invece l'insegnamento definitivo che conduce alla liberazione dalle sofferenze.
Perché?

Nel buddhismo, si dice che l'origine della sofferenza consista nell'aggrapparsi all'esistenza intrinseca dei fenomeni (questo aggrapparsi a tale concezione è definito "ignoranza"). Quando infatti consideriamo un fenomeno come esistente intrinsecamente, ci aggrappiamo a questa concezione e sviluppiamo attaccamento o avversione verso quel fenomeno.
Quando consideriamo un "nemico" esistente intrinsecamente e non come il prodotto di cause e condizioni, proprie parti e designazione nominale, sviluppiamo profonda avversione verso di lui. Quando invece consideriamo la sua vacuità e iniziamo a capire che il "nemico" è tale per cause e condizioni, per le proprie parti e per la nostra mente che lo definisce "nemico", allora l'avversione perde gran parte del suo potere: non esiste realmente un "nemico", ma una condizione che si è venuta a strutturare sulla base di questi fattori. In altre condizioni infatti, questo "nemico" potrebbe smettere di essere tale e diventare "amico".

Allo stesso modo, quando noi consideriamo un "amico" come esistente intrinsecamente, sviluppiamo un forte attaccamento verso di lui. Se invece lo considerassimo come il prodotto di cause e condizioni, delle proprie parti e della nostra mente che lo definisce come "amico", allora parte dell'attaccamento perderebbe il proprio potere. Non esiste realmente un "amico", ma una condizione che si è venuta a strutturare sulla base di questi fattori. In altre condizioni infatti, questo "amico" potrebbe smettere di essere tale e diventare "nemico".

Eliminando l'ignoranza (primo veleno mentale) attraverso la comprensione corretta della vacuità, eliminiamo l'attaccamento (secondo veleno mentale) e l'avversione (terzo veleno mentale).


Da qui la domanda.
Non capisco, se si parla di vacuità dei fenomeni della mente, della coscienza ecc... ecc... e in ultima istanza, quindi, di un sè, perchè mai uno dovrebbe avere compassione ?
Ad un livello più alto, odio e compassione sono anch'essi dualità, pertanto non dovrebbero/potrebbero rappresentare la via ultima.

niko

Io penso che, se assumiamo che non ci sia in ultima istanza un se' separato (insomma una autoconsistenza dei fenomeni) allora ne dovrebbe conseguire che non c'e' neanche una vera possibilita' di estinguere la sofferenza -separatamente- in se' stessi, fregandosene degli altri.

Da cui la necessita' della compassione.

La possibilita' di essere felici in un mondo di sofferenti, la possibilita' di danzare leggiadri sulle rovine, testimonierebbe in assoluto la verita' di un se' separato (io sono felice, mentre gli altri, sono tristi), verita' che tutto il discorso buddista tende a negare.

Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Phil

Citazione di: bluemax il 17 Aprile 2024, 11:38:41 AMse si parla di vacuità dei fenomeni della mente, della coscienza ecc... ecc... e in ultima istanza, quindi, di un sè, perchè mai uno dovrebbe avere compassione ?
Se la compassione viene concepita come un dovere, significa che c'è ancora un'idea forte di una soggettività "piena", di un sé che si "attacca" ad una legge, perché è "quella giusta".
Una volta tolti ignoranza, attaccamento e avversione ciò che rimane spontaneamente (non per dovere), è un'azione innocua, che non nuoce.
Chiaramente si tratta di rivolgersi all'altro come a qualcosa di identificato e designato; tuttavia, senza ignorare la sua vacuità (intesa come hai ricordato), la nostra "natura" ci spingerà, nella momentanea "pienezza" dell'evento-relazione, o alla compassione o, per chi è meno empatico, alla non-curanza (che è una forma di non-attaccamento più "ascetica").
L'innesto problematico di tale attitudine nella società, spiega sia come mai il buddismo abbia sviluppato storicamente compromessi sociali (sotto forma di culto, cerimonie, credenze, etc.), sia perché risulti più "facile" essere buddisti in un monastero (e ancor più nella solitudine di un eremo).

bluemax

Citazione di: Phil il 17 Aprile 2024, 14:26:44 PMUna volta tolti ignoranza, attaccamento e avversione ciò che rimane spontaneamente (non per dovere), è un'azione innocua, che non nuoce.
Vero... non ci avevo pensato... grazie

Ipazia

#4
La "vacuità" è essenzialmente anti noumenica, e ciò spiega la distanza dalla metafisica occidentale che si è formata intorno all'idea di numi, corpi ideali, essenza, sostanza, tutti pieni di sè, autosufficienti e autoreferenziali.

Concetti sussumibili nel concetto di Essere che tiene banco da Parmenide a Severino. Di fronte a questo millenario flusso metafisico, il buddismo appare oltremodo nichilista e lontano.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#5
Citazione di: bluemax il 17 Aprile 2024, 11:38:41 AMI testi sostengono che tutti i fenomeni sono "vuoti", ossia "mancanti".
Vuoti di che cosa però?

Non so niente di buddismo, ma per il modo in cui lo hai delineato combacia bene con la mia personale filosofia, trovandovi molte corrispondenze.
Quindi la mia risposta è ''vuoti di necessità'', ma non perciò arbitrari.
Intendo con ciò che, se la realtà è suddivisibile in fenomeni in diversi modi, senza che alcuno di essi necessariamente si imponga, cioè venga da se, allora perciò ogni fenomeno manca di realtà, ma allo stesso tempo dipende da cause la cui necessità è insita nella particolare suddivisione.
Posso nominare le cose, definendole, solo a seguito di una avvenuta suddivisione.
Il poterli nominare è la prova stessa che la suddivisione è avvenuta.
Nella mia personale filosofia manca solo la corrispondenza col riferimento alla sofferenza, per cui qui vado a naso.
Ad esempio potremmo trovare rimedio alla sofferenza se essa dipendesse dalla particolare suddivisione della realtà in fenomeni, essendo che per essa  è sempre possibile trovare una alternativa, ma perchè questo passaggio sia possibile bisogna prima prendere coscienza della loro ''intrinseca vacuità''.
La sofferenza sarebbe cioè relativa al nostro modo di agire che è legato a sua volta alla particolare suddivisione, cui tendiamo coll'abitudine a dare  una sostanza in se , come fosse necessaria, creandoci di fatto così letteralmente il mondo in cui viviamo e che tendiamo a confondere con la realtà.
Ma se la sofferenza è intrinseca nel mondo, e se il mondo si può cambiare, allora questo cambiamento è una possibile medicina.
Se ad esempio sono nato mio malgrado in un mondo basato sull'accumulo e sulla ricchezza e mi rendo conto che ciò mi provoca sofferenza, allora so già cosa devo fare, creandomi un mondo in cui tutto ciò non sia necessario.
Ma se non voglio che ciò comporti dovermi chiudere in accessibili monasteri, come ben dice Phil, devo in qualche modo continuare a considerare il diverso mondo in cui vivono gli altri, e continuare quindi ancora a viverci in qualche modo, allontanatomene quel tanto che scongiuri la mia sofferenza.
Devo vivere cioè con un piede in un mondo e uno nell'altro, ma senza compatire gli altri per la loro vacuità, perchè ogni possibile mondo  è fatto di vacuità, e le loro saranno diverse delle mie, ma non perciò meno vacue.
Quindi per trovare un rimedio alla sofferenza il primo passaggio è spezzare l'abitudine che crea evidenze ed ovvietà, operazione che farà sparire il mondo come mi appare, operazione che  coloro che credono che ad esso non vi siano alternative, bolleranno di nichilismo.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#6
Citazione di: bluemax il 17 Aprile 2024, 11:38:41 AMUno degli argomenti più complessi e difficili della filosofia buddhista, soprattutto per noi occidentali, è quello sulla vacuità (sans. Śūnyatā, tib. stong-pan-yid).
La confusione su questo argomento è davvero tanta e ho sentito interpretazioni davvero fantasiose e prive di qualsiasi fondamento sia logico che scientifico.

Credo perchè logica e scienza non siano fondamentali, ma abbisognano esse stesse di fondamenta, e i fondamenti della logica e della scienza quindi non sono ne logici, ne scientifici.
Banalmente la scienza è il modo con cui ci rapportiamo con la realtà, cioè il modo in cui agiamo, che non essendo univoco, perchè relativo relativo a un noi che cambia, deve sempre necessariamente aggiornare le sue fondamenta metafisiche.
Ma per poterlo fare prima si deve prendere coscienza delle fondamenta usate, operazione non facile se su esse in modo non del tutto consapevole abbiamo edificato il nostro mondo.
Non facile perchè è questa inconsapevolezza che da solidità ed evidenza al mondo in cui viviamo.
La scienza è un modo di agire ad alto tasso di consapevolezza capace perciò di minare la solidità e le evidenze del mondo in cui viviamo, creando mondi alternativi privi di concretezza e di evidenze, a causa di ciò, o, come si lamenta, sempre più astratti e meno comprensibili.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

Il Śūnyatā si pone in opposizione frontale all'Essere, l'amor vacui in opposizione allo horror vacui.

Entrambe le metafisiche lo fanno con lo scopo di liberarci dal dolore, rispettivamente della permanenza e dell'impermanenza.

Per cui un fondamento entrambe le metafisiche lo hanno: la sofferenza umana, intesa in senso lato.

Dietro ogni metafisica, per quanto astuta e acrobatica, c'è una fisica.

Sulla quale è possibile fondare una terza metafisica, immanentista: amor fati.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Pio

Penso che la vacuità vada intesa anche come uno SPAZIO che permette agli elementi della "realtà" di sorgere (da cause e condizioni) e di svanire ( per cause e condizioni). Senza questo spazio non potrebbe esserci cambiamento. Lo spazio vuoto permette l'impermanenza degli elementi e di conseguenza il dolore.
Non ci abitueremo mai ai metodi ruvidi di Dio, Joseph (cit. da Hostiles film)