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Spiritus Sanctus

Aperto da doxa, 29 Maggio 2020, 18:36:23 PM

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giopap

Citazione di: bobmax il 01 Giugno 2020, 13:01:30 PM

c'è solo ciò che è qualcosa.
Se non è qualcosa, non c'è.

Il Tutto non è un qualcosa.
So che è difficile farsene una ragione, ma proprio non può essere qualcosa.



Di modo che possiamo ben dire che, seppur paradossalmente, il Tutto non c'è.

E non essendoci non possiamo certo dire cosa sia: non è "cosa".

Questa è la ennesima volta che rispondo alla tua interlocuzione. Senza che vi sia mai stato alcun seguito.

Qui confondi l' "essere qualcosa" (un ente o evento particolare con determinate caratteristiche; in quanto preso in considerazione, pensato nell' ambito della totalità indistinta del reale) con l' "esistere realmente".

C' é (esiste) realmente tutto ciò che c'é (esiste) realmente (la totalità indistinta del reale), qualsiasi cosa sia.
E tutto ciò che c'é (esiste) realmente, qualsiasi cosa sia (la totalità indistinta del reale), c' é (esiste realmente) singolarmente (ciascun ente o evento reale che possa essere considerato ad libitum) e complessivamente (tutti gli enti ed eventi considerati nel loro insieme).
La differenza fra "qualcosa" e "tutto" non sta nella realtà (nella totalità indistinta del reale), ma nel (nostro) modo di considerare (ad libitum, arbitrariamente) la realtà, ciò che esiste (parzialmente o complessivamente).

bobmax

No Giopap, esistere, così come esserci, significa stare fuori.
E sta fuori proprio in quanto c'è altro.
È infatti l'altro a fare in modo che qualcosa possa esserci.

Noi stessi ci siamo solo perché c'è altro da noi.
Se altro non ci fosse noi non potremmo esserci.
È l'altro che ci fa essere!
E con "altro" si deve intendere ogni cosa diventi oggetto per noi.

È un errore fuorviante far coincidere "essere" con "esserci", "essere" con "esistenza".

L'esistenza è a valle della scissione originaria soggetto/oggetto.
Mentre l'essere è a monte.

Siamo così abituati all'oggetto, così convinti che la razionalità sia fonte di "verità", che cadiamo nell'allucinazione del pensiero logico/razionale.
Per il quale, persino il Tutto è un qualcosa.

Ci immaginiamo di porci fuori (!) dal Tutto per poterlo osservare, a mo' di oggetto, e quindi affermare: "È un qualcosa!"
Ma questo è solo il risultato della nostra mente allucinata.

Il Tutto non è affatto un qualcosa!
Come potrebbe?

Il Tutto è un'idea aperta.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

giopap

Citazione di: bobmax il 01 Giugno 2020, 23:10:11 PM
No Giopap, esistere, così come esserci, significa stare fuori.
E sta fuori proprio in quanto c'è altro.
È infatti l'altro a fare in modo che qualcosa possa esserci.


Non é vero:

"esistere" (e basta) == "esserci" (e basta) =/= "esistere dentro qualcosa" == "eistere fuori da qualcosa".
Esistere, così come esserci, significa essere reali, essere "al mondo", nella realtà, dentro o fuori qualsiasi luogo o recipiente recipiente indifferentemente.

Non confondiamo l' etimologia col significato attuale dei termini.



Citazione di: bobmax il 01 Giugno 2020, 23:10:11 PM
Noi stessi ci siamo solo perché c'è altro da noi.
Se altro non ci fosse noi non potremmo esserci.
È l'altro che ci fa essere!
E con "altro" si deve intendere ogni cosa diventi oggetto per noi.


Molto ovviamente e banalmente (e poco o punto filosoficamente) se non ci fossero (stati) i nostri genitori e tutto ciò che ha consentito loro di vivere e riprodursi di fatto non potremmo esistere.

Ma in generale, in linea teorica o di principio l' esistenza di qualcosa non richiede affatto necessariamente l' esistenza di altro.
Potrebbe essere reale unicamente un sasso e basta: perché no? Cosa lo renderebbe impossibile (in teoria non di fatto)?


E' casomai il nostro pensare, conoscere qualcosa che richiede di distinguerlo da altro; nell' ambito del pensiero, della conoscenza "omnis determinatio est negatio" (Spinoza), anche perché fuori dal pensiero, dalla conoscenza "nihil est determinatum" (giopap, si parva licet componere magnis; e basta con questo latinorum!).




Citazione di: bobmax il 01 Giugno 2020, 23:10:11 PM
È un errore fuorviante far coincidere "essere" con "esserci", "essere" con "esistenza".

L'esistenza è a valle della scissione originaria soggetto/oggetto.
Mentre l'essere è a monte.

Siamo così abituati all'oggetto, così convinti che la razionalità sia fonte di "verità", che cadiamo nell'allucinazione del pensiero logico/razionale.
Per il quale, persino il Tutto è un qualcosa.

Ci immaginiamo di porci fuori (!) dal Tutto per poterlo osservare, a mo' di oggetto, e quindi affermare: "È un qualcosa!"
Ma questo è solo il risultato della nostra mente allucinata.

Il Tutto non è affatto un qualcosa!
Come potrebbe?

Il Tutto è un'idea aperta.



No, questi sono irrazionalissimi paralogismi, autocontraddizioni.


E la razionalità é indispensabile (non sufficiente, ma necessaria) alla conoscenza della verità.
Infatti violandola si cade in errori come quello di confondere l' "essere qualcosa" di determinato nell' ambito del pensiero, delle considerazioni sulla "realtà in toto indistinta, quale é indipendentemente dall' eventuale essere oggetto di pensiero o meno" con l' "essere reale nell' ambito della
"realtà in toto indistinta, quale é indipendentemente dall' eventuale essere oggetto di pensiero o meno".
E conseguentemente si pretende erroneamente, falsamente, contraddittoriamente che il tutto (tutto indistintamente ciò che é reale) non sia reale per il fatto che non é "qualcosa" di pensato in particolare.

E questo é il risultato della nostra mente irrazionale.

Jean

Nella narrazione biblica mi sembra sia possibile assumere che l'azione dello Spirito Santo sia quella di legare due piani altrimenti distinti permettendone l'interazione e, al massimo grado, la fusione.

Scendendo di livello è l'azione dell'ispirazione che collega il piano immaginativo-creativo a quello reale-pratico.

Ancor più giù è l'azione di una persona che funge da mediatore (amico/figura che entrambe le parti rispettano accettandone il ruolo).

Ed ancor scendendo è l'autorealizzazione che la propria opinione, pur se proveniente da studi approfonditi ed esperienze significative, rimane confinata al background che l'ha prodotta e resa possibile (semplificando, se stessi) e che per quanto di gran valore non si collega a quelle altrui.

Passare dalla conoscenza al riconoscere non par possibile rimanendo quel che si è.   

Il riconoscimento è il dono dello spirito (o se preferite di qualcosa che trascende l'usuale dominio del pensiero uomano).


Cordialement
Jean

bobmax

Giopap, chi stabilisce cosa è reale?
Sei tu e solo tu!
In quanto... soggetto.

La scissione soggetto/oggetto è stata già affrontata nel migliore dei modi da Kant.
Il quale, con l'onestà intellettuale che lo contraddistingue, non ne viene a capo. Se non con circoli e tautologie.

Certamente però non banali come la risposta empirista che non si avvede neppure della questione.
Come la tua, dove l'oggetto è semplicemente la realtà!
Cioè, parafrasando... reale è ciò che e reale...

Ma la realtà è un problema! Cara Giopap.

Apprezzo la tua grinta, ma a volte occorre trattenerla e meditare.

Soprattutto quando pur avendo la percezione del "limite" volutamente lo trascuriamo.

Ed è proprio questa nostra mente, che mente, la causa della corruzione della "verità" che pure ci ispira.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

viator

Salve bobmax. Ecco uno dei "quid" tra di noi : infatti usiamo vocabolari (mentali, intellettuali) assai diversi.

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Per esempio : "esserci" per me significa "stare ivi" (cioè dentro un certo ambito specificabile), mentre vedo che per te vorrebbe dire "stare fuori" (forse intendi "stare a noi ?").

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Lasciamo poi perdere "Il Tutto non è un qualcosa." poichè tu evidentemente usi le parole a mò di ventose per arrampicarti sugli specchi delle irresolubili tautologie.
Un qualcosa può consistere in un'unica singola parziale cosa come pure di una pluralità (parziale) di cose tra loro distinguibili, come pure di una pluralità (parziale) di cose tra loro magari indistinguibili ma intrinsecamente distinte (un insieme). Infine il qualcosa può pure consistere in un illimitato insieme di insiemi. Cioè nel TUTTO. Ti saluto.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

bobmax

Viator, scrivi:
"esserci" per me significa "stare ivi" (cioè dentro un certo ambito specificabile)

Converrai perciò con me che il Tutto non può esserci.

Quando si giunge al limite è difficile non cadere in contraddizione. Ma la caduta è indispensabile, per proseguire.

Il problema con gli specchi, è che tanti vi si arrampicano senza tuttavia accorgersene.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

giopap

Citazione di: bobmax il 02 Giugno 2020, 10:36:12 AM
Giopap, chi stabilisce cosa è reale?
Sei tu e solo tu!
In quanto... soggetto.

La scissione soggetto/oggetto è stata già affrontata nel migliore dei modi da Kant.
Il quale, con l'onestà intellettuale che lo contraddistingue, non ne viene a capo. Se non con circoli e tautologie.

Certamente però non banali come la risposta empirista che non si avvede neppure della questione.
Come la tua, dove l'oggetto è semplicemente la realtà!
Cioè, parafrasando... reale è ciò che e reale...

Ma la realtà è un problema! Cara Giopap.

Apprezzo la tua grinta, ma a volte occorre trattenerla e meditare.

Soprattutto quando pur avendo la percezione del "limite" volutamente lo trascuriamo.

Ed è proprio questa nostra mente, che mente, la causa della corruzione della "verità" che pure ci ispira.


E' ovvio che a pensare la realtà, come a formulare qualsiasi altro pensiero sia un soggetto del pensiero stesso.
Questo credendo al fatto indimostrabile che l' esperienza cosciente non esaurisca a realtà, che ne esista anche un soggetto (e degli oggetti), fatto indimostrabile; perché altrimenti esisterebbe solo il pensiero della realtà, oltre che eventualmente altri enti ed eventi reali non pensati, sconosciuti (e proprio qui, nel raggiungimento della consapevolezza dell' indimostrabilità di nulla che ecceda la realtà degli eventi coscienti sta la grandezza dell' empirismo, e in particolare dell' "ultimo e più conseguente degli empiristi classici", David Hume: molto più perspicace e meno banale di Kant secondo me).

Ma questo fatto che, ammessa l' esistenza reale di un soggetto (e anche di oggetti), a pensare la realtà sia un soggetto non toglie che pensando alla realtà, a ciò che é reale, il soggetto pensante (senziente il pensiero della realtà) si riferisce non solo (non necessariamente solo) a se stesso o alla ("sua") esperienza cosciente ma anche ad eventuali atri enti ed eventi, l' esistenza reale dei quali non appare e non é dimostrabile esserci, accadere, ma nemmeno non esserci, non accadere.
Fra il possibile altro, se stesso come soggetto-oggetto e gli oggetti da sé diversi della sua esperienza fenomenica cosciente).

Hume, essendo consapevole dell' indimostrabilità del soggetto e degli oggetti di esperienza cosciente, di alcunché che la ecceda, é rimasto secondo me insuperato da Kant, che invece non ne era consapevole (e di averlo superato si illudeva).

Ma, a parte questo limite, mi sembra che Kant, distinguendo chiaramente fra apparenze coscienti (fenomeni) e cose in sé (noumeno) abbia risolto brillantemente, e in maniera logicamente corretta e plausibile, il problema dei rapporti fra soggetto e oggetto, entrambi cose in sé manifestantisi fenomenicamente -come fenomeni- al soggetto dell' esperienza fenomenica stessa.

Che la realtà sia la realtà é ovvio e banale come tutte le tautologie. Come pure (salvo il carattere non tautologico) che la conoscenza della realtà é un problema.

Per me la realtà é (sono) innanzitutto i fenomeni immediatamente apparenti, avvertiti, i quali sono l' unica cosa, gli unici enti ed eventi reali di cui non possa dubitarsi (se e quando accadono "presentemente in atto").
Ma essi (i fenomeni immediatamente apparenti) non sono né il soggetto né l' oggetto di essi stessi (compreso di quel particolare caso di esperienza fenomenica cosciente che é -se c' é, se realmente accade- la conoscenza; ovvero il predicato che é reale qualcosa che é reale o che non é reale qualcosa che non é reale).

Il soggetto e gli oggetti di esperienza cosciente fenomenica (e in particolare di pensiero e di eventuale conoscenza) non possono che essere (se esistono realmente, cosa credibile e che credo ma non dimostrabile) altre cose che la realtà fenomenica stessa: delle cose in sé, dal momento che si intendono essere reali anche indipendentemente, se e quando non sono reali, non accadono realmente le esperienze cosciente ed in particolare le eventuali conoscenze della realtà: né io né tu stiamo necessariamente sempre ininterrottamente sentendo (o in particolare conoscendo) qualcosa, ma sussistiamo anche durante il sonno senza sogni.

Francamente, senza presunzione, credo che, da seguace dell' "scettico moderato" Hume con tutti i dubbi dei quali ti ho appena mostrato di essere ben consapevole (con tutti i "se" e gli "eventualmente" che ho impiegato), non mi pare proprio di trascurare il senso del limite della conoscenza umana.
Nè di rischiare di "corrompere" la mia verità (di cadere in errore), ma piuttosto di sospendere prudentemente il giudizio (e nei casi nei quali, soprattutto a fini pratici, do l' assenso a giudizi non provabili, che potrebbero essere falsi, per lo meno di essere consapevole di questa loro incertezza o dubitabilità).

giopap

Citazione di: bobmax il 02 Giugno 2020, 13:54:04 PM
Viator, scrivi:
"esserci" per me significa "stare ivi" (cioè dentro un certo ambito specificabile)

Converrai perciò con me che il Tutto non può esserci.

Quando si giunge al limite è difficile non cadere in contraddizione. Ma la caduta è indispensabile, per proseguire.

Il problema con gli specchi, è che tanti vi si arrampicano senza tuttavia accorgersene.


Oltre ad essere in tanti -spesso gli stessi- ad usare loro propri personalissimi dizionari senza tuttavia accorgersene.

Convengo che il tutto certamente non può (assurdamente, contraddittoriamente) esserci dentro un ambito parziale.
Non che non può essere reale (dentro alcunché di ulteriore che contraddittoriamente pretenda di contenerlo).