Spiritualità, religione e definizione del nemico

Aperto da Jacopus, 08 Agosto 2016, 22:43:33 PM

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Jacopus

Buonasera a tutti. Il presupposto del discorso che vorrei proporvi è dato dalla differenza fra spiritualità e religiosità, intendendo con la prima una ricerca interiore magari anarchica, artistica, ma che intende superare i limiti di una visione semplicemente materialistica del mondo. La seconda è invece quella stessa spiritualità inserita in una organizzazione, in una identità connotata, all'interno della quale si produce subito una ortodossia più o meno rigida.
Ebbene, ho l'impressione che una volta che la spiritualità si organizza e diventa "istituzione religiosa", subito compare il nemico, l'impuro, il malvagio, l'empio. Colui che non sta con noi e che quindi deve essere emendato o bruciato attraverso il fuoco purificatore (simbolico o reale). Si può giungere in questo assetto a pensare che eliminare il corpo possa essere salutare per l'anima. Questo meccanismo in realtà è presente in tutti i gruppi. In qualche modo e fatte le debite proporzioni anche un interista è un empio per un milanista. La differenza deriva dall'importanza di ciò che c'è in palio. Uno scudetto, salvo personalità patologiche, non scatena le stesse emozioni di un certo regime politico o di una visione del mondo terreno e ultraterreno.
E' come se le istituzioni e fra queste quelle religiose, si ritenessero in fondo, ognuna l'unica depositaria della verità e gli altri come dei soggetti che stanno "errando".  Una visione monodimensionale  amplificata dalle religioni monoteiste. Vi porgo un indizio piuttosto noto che ci viene dato dalla radice del sostantivo diaballein che in greco significa colui che divide e che richiama anche il numero due e che è anche il nome greco del diavolo, cioè il grande nemico.
D'altro canto è vero che una società armonica dovrebbe somigliare ad un orchestra, dove tutti gli strumenti suonano, nella loro diversità, un'unica sinfonia. Eppure, nello stesso tempo, quella serenità apparente, quella condivisione potrebbe nascondere la fine della libertà del pensiero dell'umanità, come molte cronache del passato, non solo religiose, ci hanno tristemente tramandato.
Il messaggio evangelico risulta sicuramente un passo avanti verso il superamento di questo concetto del nemico, ma in qualche modo lo trascende e lo fa diventare un nemico ultraterreno. La lotta fra un unico bene e un unico male continua: il nemico continua ad essere presente, come un totem forse indispensabile alla nostra identità, ma che nello stesso tempo incatena la nostra cultura e non le permette di evolversi verso differenti forme di pensiero.
E' incredibile ma tutto ciò mi è venuto in mente riascoltando per l'ennesima volta "Via del Campo" di Fabrizio de Andrè, associata ad alcuni articoli riguardanti lo jhad e l'integralismo islamico. E un pò anche pensando ad Ulisse, a cui mi ha indirizzato Sariputra nell'altro topic sull'amore.
La tesi finale che sostengo è quindi quella di una maggiore umanità presente nelle varie forme di spiritualità non organizzata, rispetto a quelle organizzate. In fondo è proprio da società organizzate religiosamente che è scaturito questo terribile mondo attuale (o non è poi così terribile?). Altre domande e altri pensieri si accodano ma mi fermo qui.
Voi cosa ne pensate? Prometto a Giona  che sarò cortese. Anzi dichiaro pubblicamente che dopo questo incipit non interverrò più, se non proprio tirato per la giacchetta.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Phil

La parola del titolo che mi ha colpito, e credo sia un fulcro su cui discutere, è "nemico": il nemico-nemesi è ciò che dall'esterno rafforza l'identità e il senso all'interno (e il senso dell'interno stesso); se poi si parla di un interno che scopre il fianco a ingerenze di tipo economico e politico (come ci insegna la storia delle religioni), allora il nemico diventa quasi più una necessità che una conseguenza (anzi, si possono così avere differenti tipi di nemici: la polemica-polemos diventa inevitabile...). Nella ricerca spirituale il nemico può essere metaforicamente presente, mentre nella prospettiva religiosa è realmente concreto, non è una licenza poetica, ma è il cattivone da combattere (sia esso un demone o un altro uomo).

Anche l'espressione, da te giustamente usata, "ricerca spirituale" allude ad una differenza non trascurabile: nelle religioni (dall'interno) non si cerca nulla, le risposte sono già tutte fornite dall'orto-dossia (in senso etimologico) e se non sono sufficienti, i ministri del culto hanno la possibilità di aggiornarle, reinterpretarle e contestualizzarle. La sfida, spesso molto ardua, proposta dalle religioni è quella di adempiere ai rispettivi comandamenti, di seguire la via della "Verità" accettata; si prova dunque ad essere buoni praticanti perché si è già trovato quale religione-verità praticare: l'impegno è "pragmatico", non teoretico o esistenziale. Quindi non c'è autentica ricerca, anzi, visto che siamo in tema, c'è il suo "nemico" (metaforicamente  ;)): la fede... che accomuna, identifica ed è l'arma per affrontare il vero nemico (stavolta non in senso metaforico...).
Nella ricerca spirituale, la difficoltà è più "a monte" perché si cerca qualcosa che indirizzi verso le risposte (e che non è una tradizione già canonizzata), per cui non c'è, e forse non ci può nemmeno essere, un nemico reale da combattere. Direi che la "religione organizzata"(cit.) non cerca risposte e combatte i suoi nemici (spirituali, metafisici, ma talvolta anche umani), la ricerca spirituale non combatte ma cerca risposte (al netto delle possibili metafore descrittive...). 

Risulta evidente come la religione fornisca la rassicurazione dell'appartenenza ad una comunità consolidata (con un passato importante), della condivisione di ideali e regole, mentre la ricerca spirituale "freestyle", soprattutto se individuale, ha l'eroismo malinconico dell'avventura esplorativa (con al massimo ostacoli da evitare, non nemici da distruggere).

Ci sarebbe poi da considerare se e come ciascuna delle due prospettive possa dialogare con il pluralismo, e quali ne siano le conseguenze, ma forse è meglio non spalancare troppo il discorso...

giona2068

#2
Buon giorno.


L'uomo per poter vivere ha bisogno di confidare in qualcosa.
Per sua natura l'umano, fino a quando non si inquina, confida nel Signore Dio spontaneamente.
La fiducia in Lui lo rende spirituale, cioè lo fa vivere  avulso dalle cose del mondo.
La spiritualità di costui è quindi la fiducia nel Signore Dio e il suo  distacco dalle cose del mondo.
In ogni caso l'attaccamento dipende dalla speranza di trovare vita/gioia/pace ecc..  nelle cose oggetto dell'attaccamento stesso.
Se questa speranza/certezza è nel Signore Dio avviene che l'uomo vive da santo. Il santo è l'uomo spirituale per eccellenza.
Quando questa speranza è riposta nelle cose materiali, anche se sono un inganno, l'uomo diventa materialista.
La religione è la via che preserva la persona dalla caduta e l'aiuta a rialzzarsi se si accorge della trappola in cui è caduta.
Questa consapevolezza non è scontata. Vedasi i due ladroni crocifissi a dx e sx di nostro Signore.
Il nemico è colui che tenta l'uomo perché lo odia a causa dell'immagine e somiglianza del Signore Dio che portiamo o dovremmo portare.
Se abbiamo perso questa immagine e non ne siamo consapevoli siamo già vittime del nemico in modo irreversibile.
La religione è  la via per ritornare alla vita, cioè ritrovare l'immagine del Signore Dio, cioè la via della salvezza, cioè la via per ritornare esseri spirituali che vivono di Spirito e Verità.
Questo cammino di ritorno non è semplice ne veloce perché chi ci ha fatto cadere, a secondo della gravità della caduta, ci domina e il suo dominio consiste proprio nel contrastarci per farci rimanere come siamo.
Questo è il nemico e lo possiamo quindi  definire come colui che tenta l'uomo, impedisce di rialzzarsi a quelli ai quali ha fatto perdere completamente la verità ed ostacola chi ha un bricciolo di vita e cerca la salvezza.


PS

Ho provare ad aprire il  Topic sull'Adulterio, come promesso, ma è scomparso.
Non so se ho fatto un errore o se Freedom o chi x lui l'abbia cancellato.
Attendo lumi.

Duc in altum!

**  scritto da Jacopus:
CitazioneIn fondo è proprio da società organizzate religiosamente che è scaturito questo terribile mondo attuale (o non è poi così terribile?).
Perché il mondo fondato su società non organizzate religiosamente ha scaturito qualcosa di meno terribile?
Come sempre si interagisce (esponendolo) attraverso ciò che si pensa sia vero oggettivamente.
Io, personalmente, non incontro il mondo poi così terribile, ma questo è dovuto al fatto, soggettivo, di aver incontrato (trovato come dice Freedom e il Vangelo), anche materialmente, quella pace interiore che, secondo il mio modesto parere, come tanti altri esempi del passato, solo il cattolicesimo può concedere: l'amicizia di Gesù Cristo.

Questa dimensione di restare "serenamente gioiosi" (anche mentre ti sgozzano su di un altare), e quindi di vedere sempre il "mondo" mezzo pieno, e non una realtà terribile, non è utopia; solo che non è possibile accedervi stoicamente, ecco dunque la necessità ontologica di credere o nella religione (di cui l'ateismo e l'agnosticismo ogni giorno ne divengono sempre più degni rappresentanti) o nella metafisica (la spiritualità).

CitazioneEbbene, ho l'impressione che una volta che la spiritualità si organizza e diventa "istituzione religiosa", subito compare il nemico, l'impuro, il malvagio, l'empio.
Ma non c'è bisogno di organizzarsi e molto meno di credersi spirituale o religioso, ognuno, per facoltà donatagli ontologicamente, ha dei pregiudizi verso l'altro: il nemico che ostacola l'ascesa e la convalida oggettiva della propria verità assoluta sul senso e sull'origine dell'esistenza umana.

Io, personalmente, vivo, per il mio servizio da laico, quotidianamente la Parrocchia e la sua religione, ma per vicissitudini empiriche, mi sento un po' distante da "quella religione", sperimentando maggiormente lo stadio spirituale, un livello mistico superiore, che a volte devo redarguire, grazie alla preghiera, causa superbia o velleità, ma non per questo non incontro forza e coraggio di amare attraverso alcune pratiche religiose tradizionali.
Per meglio intenderci cito un pensiero: La religione è per le persone che hanno paura di andare all'inferno. La spiritualità è per coloro che ci sono già stati. (Vine Deloria, Sioux) - ecco, penso che in questo aforisma ci sia tanta esattezza. Io, per mia scelta, ho vissuto l'inferno, e non rammento di averne avuto paura, anzi, sono stato più che temerario nei suoi confronti, ma sì che un benedetto giorno ho avuto vergogna di ciò che ero divenuto, di essere una persona bella, ricca e invidiata, ma senza quella meravigliosa dignità divina della quale solo un essere umano può rivestirsi e dalla quale io avevo deciso, volente o nolente, di allontanarmi.

CitazioneIl messaggio evangelico risulta sicuramente un passo avanti verso il superamento di questo concetto del nemico, ma in qualche modo lo trascende e lo fa diventare un nemico ultraterreno. La lotta fra un unico bene e un unico male continua: il nemico continua ad essere presente, come un totem forse indispensabile alla nostra identità, ma che nello stesso tempo incatena la nostra cultura e non le permette di evolversi verso differenti forme di pensiero.
Un nemico ultraterreno che agisce attraverso gli esseri umani, non può altrimenti.
Il problema è: crederci o no?

Inoltre, secondo la mia religione/spiritualità, è proprio il non rendersi conto che il pensiero che rasserena l'animo ed eleva l'intelletto non include differenze (è sempre e solo lo stesso: Gv 13,34), che incatena la nostra cultura ed evoluzione spirituale.
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

Sariputra

#4
Si potrebbe forse fare questa distinzione: Spiritualità è l'insegnamento originario , religiosità l'organizzazione dello stesso. L'insegnamento di Gautama Siddharta, il Buddha storico, è spiritualità; Il buddhismo è religiosità. Così l'insegnamento autentico di Yeoshwa ben Youssef è spiritualità; l'organizzazione che ne darà con la sua predicazione e le sue lettere Saulo di Tarso è religiosità. Più sfumato  il discorso prendendo le figure di Moshè e di Muhammad, in cui la spiritualità e la religiosità sembrano sovrapporsi nella stessa figura fondatrice (ma non sono esperto di ebraismo e islam).
La religiosità implica sempre la devozione verso la figura che si ritiene parlare a nome o della "Verità".  Spesso questa devozione esula dallo stesso intento del fondatore. Per esempio nel budddhismo mai Siddharta  ha insegnato la devozione e il culto della sua persona. Nal Mahaparinirvanasutta, il racconto della morte o grande estinzione, ad un affranto Ananda, il Buddha insegna che è il Dharma (L'Insegnamento) che deve essere luce a se stessi, anche dopo la sua completa estinzione. e che è erroneo ritenere che il Buddha viva ancora "da qualche parte" ( ci penseranno poi le sette mahayaniche a trasformarlo, per la devozione popolare, in un Dio...). Quanta della devozione popolare che ormai è parte integrante del messaggio cristiano è contenuta nella predicazione di Yeoshwa? Pochissima. Sono "strutture" di religiosità che poco o nulla hanno a che fare con il fondatore. Forse che il Cristo ha insegnato il culto della Madonna o dei Santi ( innumerevoli santi che sono appunto oggetto di devozione, e dovrebbero invece esserlo di sola venerazione, chè la maggior parte dei devoti riservano a loro preghiere che dovrebbero invece indirizzare a Dio, per non parlare dell'obbrobrio delle reliquie, comune a quasi tutte le forme di religiosità, a Oriente come a Occidente, e l'imbalsamazione dei corpi oggetto di venerazione...). Un'altra distinzione che mi pare possa far riflettere è quella che vede sfumare nella religiosità le differenze rispetto all'insegnamento dei vari fondatori e la loro spiritualità. C'è un'enorme distanza tra l'insegnamento di Buddha e quello del Cristo, per esempio, ma poi, al netto dell'espressione folkloristica che ogni popolo esprime con la sua cultura, nella religiosità delle masse troviamo gli stessi moti, le stesse necessità e comportamenti. Abbiamo così templi, offerte di cibo , fiori o denaro ai religiosi che si autocertificano come intermediari tra l'uomo e la divinità adorata, rispetto dell'autorità  di monaci, preti o imam vari.  Poi c'è la forma tipica della religiosità: la preghiera, invocare l'aiuto del soprannaturale.
Da piccolo dicevo a mia mamma:- Ma perchè, se Gesù ha detto "Quando pregate non moltiplicate le parole , che il Padre vostro conosce già...ecc. e dite Padre nostro che sei nei cieli..." dobbiamo invece dire centocinquanta Ave Maria (rosario) ? - Al che la pia donna mi rispondeva:- Shhhhh.....che la suora ti sente- ma poi, sottovoce:- Dammi un pizzicotto se mi addormento...". Questo mi divertiva assai e , invece che pregare, passavo il tempo ad osservare mia mamma e...a pizzicarla , anche se non stava dormendo!
Nella religiosità poi, a differenza della spiritualità, il nemico è sempre esterno a noi: ci tenta , ci impedisce di progredire, è causa delle nostre cadute ...se no...Ah! Se non ci fosse questa presenza , questo nemico...come saremmo buoni tutti noi, come reciteremmo di gusto il rosario senza addormentarci...come ameremmo tutti, senza alcun egoismo, senza illusioni.
La spiritualità invece insegna a riconoscere le radici del bene e del male dentro di noi, costituenti del nostro essere, strutture della nostra personalità e non delega a ipotetici esseri soprannaturali potentissimi la responsabilità del nostro agire.
Nella stessa persona spesso convivono le due anime, quella spirituale e quella religiosa. Abbiamo così grandi personalità spirituali, come Ramakrishna, che erano pure pìì devoti. Altri invece che rifiutavano ogni forma di religiosità , come  Krishnamurti, che tentava di fondere misticismo poetico e ragionamento critico. Nel cattolicesimo abbiamo grandi devoti come Padre Pio da Pietralcina e altri che, come Don Milani, preferivano " sporcarsi le mani"( Che definizione orrenda...) nelle ormai famose "periferie del mondo" e che certo non potevano riservare, con tutti gli impegni che avevano, molto tempo alle pratiche religiose devozionali.
Nella personalità di Sariputra invece un'unica tensione lo animava, e lo anima, oggi come 2500 anni fa... :D
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

doxa

Sariputra ha scritto:
CitazioneLa religiosità implica sempre la devozione verso la figura che si ritiene parlare a nome o della "Verità".

La religiosità sta alla base di ogni esperienza religiosa e di ogni religione, ma concettualmente è diversa dalla religione.
La religiosità motiva l'individuo alla spiritualità, al soprannaturale, al mistero oltre la realtà visibile, al credere nell'esistenza di un'entità superiore assoluta.
La spiritualità è un lemma polisemico, non ha una definizione univoca. C'è chi considera la spiritualità  sinonimo di  religione, di  misticismo, e chi la pensa come  attività dello spirito umano in funzione della perfezione. 



La spiritualità è diversa dalla religione.



Numerosi non credenti rivendicano una propria dimensione spirituale.

 Molti atei o agnostici rifiutano il termine spiritualità perché deriva dall'immateriale "spirito" (dal latino "spiritus" = soffio, respiro, alito), considerato grazia concessa da Dio.

Nell'antichità per "spirito" s'intendeva il soffio vitale.

Nell'Antico Testamento per spirito s'intende il principio immortale della vita, ma anche la sede dell'intelligenza, della ragione e della coscienza morale.

La religione obbliga a credere in un dio, ha regole e riti per rapportarsi con lui, invece la spiritualità induce l'individuo alla ricerca di un essere supremo, immateriale, all'interno di sé, non necessariamente riconducibile ad una religione, ad una fede.

Comunque molti seguaci di religioni costituite considerano la spiritualità come un aspetto intrinseco e inscindibile della loro esperienza religiosa.

Sariputra

Citazione di: altamarea il 10 Agosto 2016, 14:44:50 PMSariputra ha scritto:
CitazioneLa religiosità implica sempre la devozione verso la figura che si ritiene parlare a nome o della "Verità".
La religiosità sta alla base di ogni esperienza religiosa e di ogni religione, ma concettualmente è diversa dalla religione. La religiosità motiva l'individuo alla spiritualità, al soprannaturale, al mistero oltre la realtà visibile, al credere nell'esistenza di un'entità superiore assoluta. La spiritualità è un lemma polisemico, non ha una definizione univoca. C'è chi considera la spiritualità sinonimo di religione, di misticismo, e chi la pensa come attività dello spirito umano in funzione della perfezione. La spiritualità è diversa dalla religione. Numerosi non credenti rivendicano una propria dimensione spirituale. Molti atei o agnostici rifiutano il termine spiritualità perché deriva dall'immateriale "spirito" (dal latino "spiritus" = soffio, respiro, alito), considerato grazia concessa da Dio. Nell'antichità per "spirito" s'intendeva il soffio vitale. Nell'Antico Testamento per spirito s'intende il principio immortale della vita, ma anche la sede dell'intelligenza, della ragione e della coscienza morale. La religione obbliga a credere in un dio, ha regole e riti per rapportarsi con lui, invece la spiritualità induce l'individuo alla ricerca di un essere supremo, immateriale, all'interno di sé, non necessariamente riconducibile ad una religione, ad una fede. Comunque molti seguaci di religioni costituite considerano la spiritualità come un aspetto intrinseco e inscindibile della loro esperienza religiosa.

Il termine "spiritualità" è infatti molto ambiguo. Mentre è più o meno semplice definire la religiosità, anche perchè ha manifestazioni ben visibili, diverso è il discorso sul termine spiritualità. Su questo ognuno ha da dire la sua e lo interpreta , anche linguisticamente, con sensi diversi. A volte appare perfino difficile intendersi sul significato del termine. Per esempio, dal mio punto di vista interpretativo, la spiritualità non si limita alla "ricerca di un essere supremo, immateriale, all'interno di sé", perchè di fatto questo escluderebbe tutta la ricerca che non presuppone o addirittura rifiuta questa concezione dell'attività spirituale. Per questo, secondo me, è preferibile usare  la definizione di "ricerca interiore" a quella di  ricerca spirituale, troppo gravata di preconcetti.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

donquixote

Citazione di: Jacopus il 08 Agosto 2016, 22:43:33 PMBuonasera a tutti. Il presupposto del discorso che vorrei proporvi è dato dalla differenza fra spiritualità e religiosità, intendendo con la prima una ricerca interiore magari anarchica, artistica, ma che intende superare i limiti di una visione semplicemente materialistica del mondo. La seconda è invece quella stessa spiritualità inserita in una organizzazione, in una identità connotata, all'interno della quale si produce subito una ortodossia più o meno rigida. Ebbene, ho l'impressione che una volta che la spiritualità si organizza e diventa "istituzione religiosa", subito compare il nemico, l'impuro, il malvagio, l'empio. Colui che non sta con noi e che quindi deve essere emendato o bruciato attraverso il fuoco purificatore (simbolico o reale). Si può giungere in questo assetto a pensare che eliminare il corpo possa essere salutare per l'anima.

Spiritualità e religiosità sono di fatto neologismi senza senso che hanno corso da quando, ai tempi di Pascal, venne sdoganato il sentimentalismo religioso che progressivamente si sostituì all'intelletto e alla ragione che sono invece alla base della comprensione e della espressione dei concetti, originali, di spirito e religione. Ogni popolo ha una sua religione (poi vi sono quelli che l'hanno avuta sino a qualche secolo fa), e ogni religione riconduce necessariamente allo spirito, che è ciò che dà vita all'universo e lo determina per quello che è. Antropologicamente la religione è  sinonimo di cultura, ovvero di "visione e interpretazione del mondo" che viene espressa da ogni popolo partendo dalla comprensione dello spirito, ovvero dalla metafisica che dà luogo alle dottrine che talvolta vengono espresse come "teologie",  e nella prassi si manifestano in ogni occasione, dai riti collettivi più solenni fino alle più banali azioni quotidiane. La religione (come la cultura) è ciò che unisce gli uomini fra di loro, ciò che permette loro di riconoscersi come appartenenti ad una comunità, e anche ciò che unisce questa comunità con quel qualcosa che la supera, che le sta "al di sopra". Ogni appartenente a questa comunità imparerà fin da piccolo a condividere l'interpretazione del mondo che la caratterizza e ad adeguarsi alla sua religione, ovvero ai costumi, ai riti e alle abitudini che vigono in essa e che sono stati elaborati per mantenere un equilibrio interno (ovvero fra le sue varie componenti e i suoi individui) ed esterno (ovvero fra questa e il resto dell'ambiente circostante). Solo pochi però,  i più intellettualmente dotati fra loro,  saranno in grado di cogliere lo "spirito", ovvero ciò che sta alla base dell'organizzazione della comunità e la giustifica,  che è spirito di verità poichè ogni religione è basata su principi metafisici immutabili e non su assiomi o postulati falsi come le organizzazioni sociali moderne. Lo spirito per sua natura è amorale poichè trascende qualunque cultura e religione essendone alla base mentre ogni religione, che è di fatto una organizzazione sociale, avrà invece una propria morale (codificata o meno in norme, regole e leggi) elaborata sulla base delle caratteristiche dei popoli che dovranno adottarla, dell'ambiente in cui vivono e di altre considerazioni di natura contingente. In linea di principio quindi il nemico di una religione non può essere un'altra religione, ma potrà essere solo colui che rifiuta la religione, che la nega, quindi semplicisticamente l'ateo, così come il nemico di una cultura (intesa in senso antropologico) non è un'appartenente ad un'altra cultura ma il "senza cultura". Le uniche guerre di religione che si possono definire tali sono quelle interne ad una visione del mondo, ovvero ad esempio quelle che si svolsero fra cattolici e protestanti o quelle attuali fra sciiti e sunniti nell'Islam. Tecnicamente non può esistere una guerra fra Cattolicesimo e Islam (e storicamente il prof. Cardini lo spiega molto bene) ma come spesso è accaduto si può utilizzare l'appartenenza religiosa per spingere la gente a combattere e morire per motivi molto diversi. Il Cristianesimo entrò in crisi nel '300, ma ebbe un clamoroso successo nei secoli successivi con il colonialismo e la "cristianizzazione" forzata di intere popolazioni di cinque continenti: è evidente che la cristianizzazione (e poi la "civilizzazione" del colonialismo ottocentesco) erano mere scuse per coprire la volontà di conquista dei popoli europei, che guarda caso quando il Cristianesimo era in auge e controllava la cultura europea non si è espressa per innumerevoli secoli, così come le guerre fra popolazioni cristiane e islamiche furono mere guerre di potere e non per affermare la "verità" sulla "menzogna".
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

paul11

#8
Jacopus
la mia lettura è diametralmente opposta.
L'Occidente è da almeno quattro secoli senza Dio, nel senso che la cultura religiosa ha perso con quella illuministica e neopositivista. Quale uomo ha prodotto devi dirmelo tu o gli altri del forum, io dico mediamente un debosciato decadente e talmente inebetito da esserne gioioso, tipico delle decadenze delle civiltà storicamente finite. Provocatoriamente siamo esattamente all'opposto dell'oltreuomo di Nietzsche, che temiamo e nello stesso tempo speriamo, perchè siamo ormai privi di identità culturale.Ovvero abbiamo necessità ancora di una risposta allla postmodernità che solo fascismo, nazismo, comunismo e religioni sono stati in grado di contrapporsi, ecco il motivo per cui molti intellettuali antimodernisti vi aderirono. Oggi è l'Islam che fa paura.

Phil ha intuito a mio parere il vero input ad esempio dell'ISIS. E' una guerriglia identificativa di retroguardia, perchè L'Islam ,come tradizione sta finendo nella modernità occidentale.Hanno paura di perdere la propria identità, anzi vedono che la stanno perdendo, fra sceicchi nababbi che portano il denaro alla City of London e popolazione poco più che di cammellieri o industrializzazioni (vedi primavera araba) a Nord dell'Africa, sulle sponde Mediterranee.
Il nemico esterno è ciò che compatta il popolo all'interno. Quindi il nemico aiuta a ricostruire un'identità.
Se una religione perde identità culturale diventa spiritualità ovvero individualismo e questo lo temono molto in Islam,non avendo un vero e proprio caporeligioso che li unisca.

davintro

#9
Certamente l'idea di un nemico rafforza nei membri di una comunità il senso di appartenenza ad essa. Di fronte a un nemico che ci minaccia le divergenze passano in secondo piano e ciascuno orienta il suo agire sulla base di un'idea di unità. Ma non direi che il bisogno di un nemico sia il principale motivo di differenza tra una spiritualità che può portare l'individuo a riconoscersi all'interno di una comunità, di un gruppo di cui si condividono i valori, e si condividono in modo spirituale, a partire cioè da un sentire interiore comune, e una confessione organizzata. Si può dire che cambia il modo e le motivazioni di intendere il nemico. Una confessione organizzata può agitare l'idea della minaccia di un nemico in modo strumentale, proprio al fine di rinforzare la coesione interna, di mettere a taciare eventuali dissensi interni che potrebbero minare l'ordine su cui si regge un potere (ma questo è un discorso che evidentemente va al di là del caso di una confessione, e riguarda anche il modo di fare di qualunque organizzazione politica laica come lo stato, si pensi a quanto una società si ricompatta durante una guerra e quante volte nella storia un conflitto viene utilizzato da un governo per mettere in secondo piano i conflitti sociali). La possibilità di successo di questa strategia presuppone l'assenza di una componente fondamentale per definire la spiritualità, il senso critico, dei membri dell'organizzazione, che ritenendo credibile la minaccia, sono manipolati dalla propaganda a comportarsi come determinato dal potere. Tuttavia il riconoscimento del nemico può essere prerogativa anche di una formazione spirituale come una comunità di popolo (nella misura in cui il popolo non va inteso come concetto puramente biologico o etnico, ma come risultato di un'unità formatasi a livello storico-culturale, e dunque spirituale), nel momento in cui un popolo riconosce in modo razionale la presenza di una concreta minacca alla sua esistenza e al suo benessere. Si può pensare che le persecuzioni, il costante clima di ostilità, l'antisemitismo abbia finito con il rafforzare nel popolo ebraico il senso di appartenenza alle proprie tradizioni, e il senso di solidarietà. In sintesi: spiritualmente il riconoscimento di un nemico avviene in modo spontaneo, a partire da un convincimento interiore e razionale, a livello di confessioni organizzate tale riconoscimento è l'effetto propagandistico di un'azione di convincimento di un potere che interviene sulla sfera pschica ed emozionale delle persone (non ancora critica e razionale, cioè spirituale)

Comunque non necessariamente spiritualità e religione vanno contrapposti. Se si intende "religione" nel senso etimologico rimandante a un'idea di "legame", nella misura in cui questo legame è la libera e critica adesione di un individuo alla credenza all'esistenza di un Dio o altre verità ad essa correlate, allora si può pensare a un legame spirituale, mentre se prevale l'aspetto dogmatico e conformistico, per cui si crede non per interiore convincimento del contenuto dottrinario ma solo suggestione del carisma di un'autorità religiosa ritenuta infallibile a prescindere dalla ragionevolezza di ciò che predica ("sarà così perchè lo dice lui...), allora sorge il conflitto spiritualità-religione. Ad esempio le chiese cristiane in quanto predicano una religione che storicamente è riuscita ad assorbire la razionalità della filosofia greca presentano un importante livello di spiritualità che convive e si intreccia con elementi non autenticamenti spirituali e meramente fideistici. Se non si tiene conto della mescolanza di spirituale e non-spirituale all'interno delle confessioni religiose qualunque discorso riguardo una supposta separazione tra spirituale e religioso rischia di essere fuorviante ed astratto

paul11

Se guardando il cielo verso le Perseidi vediamo le "stelle cadenti" in questi giorni e vi inviamo un desiderio e questo lo facesse 6-7 miliardi di persone contemporaneamente si pensa che ognuno pensi positivo o negativo?
Un Dio non risiede nel territorio in cui vive la comunità, sia che siano tribù animiste,panteiste o religione formali o spiritualità.Dio è tutto e comprendendo il mistero originario è universale.
Il come sotto lo stesso tetto noi chiamiamo nemico un altro essere umano solo perchè chiama Dio con il suo idioma, definisce una cosmogonia più o meno diversa, non esiste.Non sono mai esistite guerre di religione fra tribù.
il problema nasce quando da Dio nel cielo si scende nella materialità fisica del potere, della ricchezza e del territorio, ovvero quando dallo spirito si scende all'animale bipede.
Spesso hanno più autocoscienza quegli ignoranti tribali che non gli evoluti tecnologici umani che mirano a rompere le scatole per conquistare territori e ricchezze e utilizzano come vessillo il loro dio (quì volutamente minuscolo); ma di nuovo che c'entra Dio se è Tutto, è sopra la mia testa su quella degli indigeni australiani, sui monaci tibetani, su La Mecca e Gerusalemme?

Le civiltà che perdono l'autocoscienza ovvero la capacità di saper legare il naturale e il divino, l'induttivo e il deduttivo e di viverne la contraddizione costituendone un senso,sono destinate alla babele dei linguaggi,a perdersi nei meandri quantitativi delle conoscenze senza mai riuscire ad operare la sintesi che quella autocoscienza richiede. E chiamano nemico gli stessi fratelli e sorelle che nacquero da Adamo ed Eva, perchè tutti veniamo da lì.

Mario Barbella

Citazione di: Jacopus il 08 Agosto 2016, 22:43:33 PM
Buonasera a tutti. Il presupposto del discorso che vorrei proporvi è dato dalla differenza fra spiritualità e religiosità, intendendo con la prima una ricerca interiore magari anarchica, artistica, ma che intende superare i limiti di una visione semplicemente materialistica del mondo. La seconda è invece quella stessa spiritualità inserita in una organizzazione, in una identità connotata, all'interno della quale si produce subito una ortodossia più o meno rigida.
Ebbene, ho l'impressione che una volta che la spiritualità si organizza e diventa "istituzione religiosa", subito compare il nemico, l'impuro, il malvagio, l'empio. Colui che non sta con noi e che quindi deve essere emendato o bruciato attraverso il fuoco purificatore (simbolico o reale). Si può giungere in questo assetto a pensare che eliminare il corpo possa essere salutare per l'anima. Questo meccanismo in realtà è presente in tutti i gruppi. In qualche modo e fatte le debite proporzioni anche un interista è un empio per un milanista. La differenza deriva dall'importanza di ciò che c'è in palio. Uno scudetto, salvo personalità patologiche, non scatena le stesse emozioni di un certo regime politico o di una visione del mondo terreno e ultraterreno.
E' come se le istituzioni e fra queste quelle religiose, si ritenessero in fondo, ognuna l'unica depositaria della verità e gli altri come dei soggetti che stanno "errando".  Una visione monodimensionale  amplificata dalle religioni monoteiste. Vi porgo un indizio piuttosto noto che ci viene dato dalla radice del ........
Sottoscrivo la posizione descritta nel post qui riportato che distingue il sentito religioso, che dovrebbe essere tutto interiore sebbene influente sulla vita vissuta dell'individuo, dall'appartenenza partecipata a gruppi o a comunità religiose che disciplinano, volutamente o no, gli individui delle comunità medesime.
Senza volerlo, tali comunità danneggiano sia le comunità stesse che lo spirito religioso dei singoli. Tuttavia, conscio di questa debolezza di queste comunità, penso, per esempio, a quella cattolica che, appunto, soffre appieno e da sempre le conseguenze negative cui accennavo, non di meno non mi sentirei di criticarla in tutto e per tutto per motivi molto complessi  che non riuscirei di riassumere qui. :'(
Un augurio di buona salute non si nega neppure a... Salvini ! :)
A tavola potrebbe pure mancare il cibo ma... mai il vino ! Si, perché una tavola senza vino è come un cimitero senza morti  ;)  (nota pro cultura (ed anche cucina) mediterranea)

anthonyi

L'autodeterminazione religiosa  è figlia della cultura liberale, dell'idea che le religioni siano come prodotti da supermercato, uno passa col carrello e prende il prodotto che reputa migliore. In tale visione vi è una grande fiducia nella razionalità individuale, il punto è che se l'individuo è così bravo da costruirsi una spiritualità ad hoc certamente non ha bisogno di una religione visto che le religioni servono anche a portare verso la spiritualità, ma soprattutto a tenere sotto controllo errori strutturali che caratterizzano i nostri comportamenti istintivi. L'esempio banale è quello della droga, la religione produce un vincolo morale che ti condiziona e ti impedisce di compiere quell'atto che a posteriori potrebbe essere distruttivo per la tua vita.
Io contesto poi l'associazione ortodossia-istituzioni religiose come esclusiva, tutte le realtà istituzionalizzate sono ortodosse. Nella Russia atea e comunista non avere le stesse idee del sistema comportava costi notevoli. Anche il riferimento alle religioni monoteiste è discutibile, nella politeista Grecia la condanna per empietà (ateismo) era la morte, Socrate ne sa qualcosa, e quanti sono stati i Cristiani uccisi dai politeisti Romani?
In realtà l'unica ragione per la quale possiamo fare tanti ragionamenti sull'anarchismo religioso è data dal fatto che siamo in una società occidentale e liberale, i cui attributi di liberalità si sviluppano culturalmente in una società caratterizzata dal forte potere di istituzioni religiose Cristiane. Cattoliche o Protestanti, ed hanno tra i loro principali propagatori ministri della fede come il frate cappuccino Giordano Bruno e l'Abate Sieyes che, il 17 giugno 1789, per la prima volta in Francia dichiara che l'assemblea ribelle degli stati generali è sovrana, ha autorità legislativa e sù di essa il Re ha solo potere di certificazione notarile. :-*  >:(  :-*

doxa

#13
Anthonyi ha scritto: "L'autodeterminazione religiosa  è figlia della cultura liberale, dell'idea che le religioni siano come prodotti da supermercato, uno passa col carrello e prende il prodotto che reputa migliore".
Da quando l'autodeterminazione religiosa è figlia della cultura liberale ? Il filosofo inglese John Locke ed il filosofo francese Montesquieu non perorarono l'autodeterminazione religiosa.
Comunque credo sia giusto scegliere la religione attinente le proprie esigenze e non accettare per tradizione quella vigente nella società in cui si vive.


"le religioni servono anche a portare verso la spiritualità".
Di solito è la spiritualità che motiva verso una religione e non il contrario.  


"Io contesto poi l'associazione ortodossia-istituzioni religiose come esclusiva, tutte le realtà istituzionalizzate sono ortodosse. Nella Russia atea e comunista non avere le stesse idee del sistema comportava costi notevoli. Anche il riferimento alle religioni monoteiste è discutibile, nella politeista Grecia la condanna per empietà (ateismo) era la morte, Socrate ne sa qualcosa, e quanti sono stati i Cristiani uccisi dai politeisti Romani?"
Se metti insieme temi diversi non fai comprendere cosa vuoi dire. Cosa c'entra l'associazione ortodossia-istituzioni religiose con il threed del topic ? Socrate si uccise per motivi religiosi ? E quanti furono i pagani uccisi dai cosiddetti cristiani dopo gli editti dell'imperatore Teodosio che decise di fare del cristianesimo l'unica religione di Stato ? Ti consiglio di studiare prima di sentenziare !

Giordano Bruno frate cappuccino ?... da quando ? Era un monaco domenicano !

A volte mi astengo dal rispondere ai  "carenti" post altrui per evitare discussioni.  

anthonyi

Rispondo ad altamarea.

Da quando l'autodeterminazione religiosa è figlia della cultura liberale ? Il filosofo inglese John Locke ed il filosofo francese Montesquieu non perorarono l'autodeterminazione religiosa.
Comunque credo sia giusto scegliere la religione attinente le proprie esigenze e non accettare per tradizione quella vigente nella società in cui si vive.


Con cultura liberale io intendo l'idea, abbastanza dominante nel pensiero moderno, che la volontà individuale sia il fondamento della società, in economia viene chiamato individualismo metodologico.
Nella cultura liberale è giusto scegliere in funzione dei propri obiettivi, solo che la religione definisce o meglio ridefinisce gli obiettivi individuali e si pone sullo stesso livello del processo educativo, è quello che in economia viene definito un bene meritorio, del cui bisogno, cioè, l'individuo non è cosciente, per cui non è in grado autonomamente di fare una scelta razionale.

Di solito è la spiritualità che motiva verso una religione e non il contrario.
Sul rapporto spiritualità religione potremmo discutere, io mi limito ad osservare la realtà dicendo che il 99% di quelli che seguono una data religione lo fanno per ragioni  tradizionali, convenzionali, familiari, di ruolo sociale etc. Non so quanti di questi arrivino a comprendere una qualche verità spirituale. D'altronde affermare una direzione spiritualità --> religione implicherebbe la complicazione di avere una spiritualità cattolico romana, ortodossa, protestante, sunnita, sciita ...., no, così è troppo complicato.

Se metti insieme temi diversi non fai comprendere cosa vuoi dire. Cosa c'entra l'associazione ortodossia-istituzioni religiose con il threed del topic ? Socrate si uccise per motivi religiosi ? E quanti furono i pagani uccisi dai cosiddetti cristiani dopo gli editti dell'imperatore Teodosio che decise di fare del cristianesimo l'unica religione di Stato ? Ti consiglio di studiare prima di sentenziare !

Io contesto l'idea che le religioni producano ortodossia o demonizzazione del non ortodosso più di altre realtà istituzionali, e contesto anche che questo sia legato alla unicità del Dio rappresentato. I Greci, cioè la principale espressione del pensiero razionale antico, condannavano a morte i non credenti, e Socrate fu condannato per empietà. Sia le vittime delle persecuzioni dei cristiani, che quelle delle persecuzioni dei pagani, sono figlie di un unico meccanismo, cioè la persecuzione del diverso che si manifesta in quasi tutte le società umane in forme differenti.

 

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