Spiritualità per tutti

Aperto da Angelo Cannata, 18 Maggio 2016, 12:22:44 PM

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Angelo Cannata

Mi sembra che, su quanto riguarda tutto ciò che chiamiamo "spiritualità", esista una confusione tra ciò che da una parte è adesione, condivisione e ciò che dall'altra è apprezzamento, stima. Faccio un esempio per chiarire meglio il concetto: apprezzare e stimare che nell'Egitto dei faraoni si siano create tradizioni spirituali di grande valore non significa necessariamente acconsentire all'idea che il faraone fosse davvero un dio. Oppure: stimare l'importanza di Marx non significa necessariamente essere d'accordo con le sue teorie.
Il risultato di quando invece si fa confusione è che, solitamente, realtà aventi a che fare con la spiritualità, come per esempio la Bibbia, oppure lo yoga, vengono conosciute e studiate soltanto da quanti hanno deciso di aderire a certe dottrine o a certi modi di pensare. Con questa diffusa mentalità, tante altre persone, che non si sentono di aderire a certi tipi di insegnamenti, si autoprivano, automaticamente, di tutti i contenuti validi, preziosi, importanti, di cui è possibile usufruire in qualsiasi spiritualità, al di là della scelta di aderirvi o meno.
Un esempio che per certi versi va contro questo tipo di mentalità, ma per altri vi si adegua, è la scuola: la scuola ti obbliga a studiare, per esempio, Dante Alighieri, non importa che tu sia d'accordo con lui o no: Dante fu un grande e quindi è giusto che tutti lo studino, indipendentemente dall'aderire o meno alle sue idee.
Perché non fare qualcosa di simile con la spiritualità, o meglio, le spiritualità? Perché non partire, per esempio, dall'idea che il Buddhismo è comunque portatore di enormi valori spirituali e quindi è giusto e necessario conoscerlo, indipendentemente dall'aderire o meno alle sue dottrine?
Il nocciolo del problema mi sembra consistere nel fatto che oggi le singole spiritualità vengono coltivate e approfondite quasi soltanto dagli aderenti; è praticamente inesistente una mentalità di studio delle spiritualità da un punto di vista non confessionale, non di fede, ma semplicemente scientifico, umanistico, spassionato, volto ad apprezzare quanto è apprezzabile da tutti, indipendentemente dalle scelte di pensiero personale.
Perché allora non cominciare a coltivare questo tipo di prospettiva sulle spiritualità, una prospettiva volta ad evidenziare in ogni spiritualità tutto quanto vi è di apprezzabile, ma da un punto di vista che si sforzi di essere indipendente dal credere o meno nelle sue dottrine? Mi sembra che ciò contribuirebbe a diffondere presso tutti dei tesori che oggi invece rimangono riservati solo a quanti aderiscono intimamente alle singole spiritualità.
È ovvio che il punto di vista dell'aderente sarà comunque diverso dal quello dello spassionato: è normale che un marxista convinto possa evidenziare del marxismo degli aspetti a cui un non marxista non attribuirà grande importanza o che addirittura farà fatica a comprendere. In questo senso la prospettiva neutrale che sto proponendo non intende affatto proporsi come sostitutiva delle prospettive degli aderenti, ma soltanto come un lavoro volto a diffondere quanto può essere apprezzato anche da chi non è aderente; in altre parole, eliminare il preconcetto che, per esempio, la Bibbia possa essere compresa solo dai Cristiani o solo dagli Ebrei: senza dubbio Cristiani ed Ebrei praticano sulla Bibbia dei punti di vista che consentono loro di apprezzarne finezze e grandezze che difficilmente un non credente riuscirà ad apprezzare; ma ciò non significa che nella Bibbia non esista nulla che un non credente possa apprezzare ed è proprio questo che la mia ipotesi cercherebbe di coltivare in dettaglio.
Che ne pensate?

giona2068

Intanto ti do il benvenuto e visto che non ci conosciamo ancora, ti espongo quando vado affermando in questo Forum.  
Bisogna vedere cosa una persona cerca. Se cerca di acculturarsi sul piano teologico fa o dovrebbe fare quello che tu proponi in maniera molto chiara, ma questo nulla a che fare con la spiritualità.
La persona spirituale non è quella che conosce la teologia, le scritture o che ricopre un incarico nelle gerarchie religiose, anche se ne fosse il capo.
La persona spirituale è quella che confida nel Signore Dio e Lo considera tutto in tutti.
La sua spiritualità la si vede dal suo completo distacco dal mondo di cui si serve solo per i bisogni materiali, ma sempre pronto a rinunciarci senza fatica per passare ad altra vita.
Non è Lui che guida i suoi passi, non è Lui che parla, non è Lui che ama, non è Lui che costruisce la Pace, ma è il Signore Dio fa tutto tramite Lui.
Costui può anche conoscere la teologia o avere una cultura religiosa - vedi San Paolo - ma gli serve solo per essere completo e per sapere cosa il Signore ha fatto ed ha detto nel passato e spiegarlo a chi cerca una via per arrivare alla spiritualità, ma ciò non fa ne aumentare ne diminuire la sua spiritualità. Questa via si chiama via della purificazione.

baylham

Penso che sia un atteggiamento saggio, aperto alla conoscenza, all'esplorazione dell'essere.

HollyFabius

Citazione di: Angelo Cannata il 18 Maggio 2016, 12:22:44 PM
Mi sembra che, su quanto riguarda tutto ciò che chiamiamo "spiritualità", esista una confusione tra ciò che da una parte è adesione, condivisione e ciò che dall'altra è apprezzamento, stima. Faccio un esempio per chiarire meglio il concetto: apprezzare e stimare che nell'Egitto dei faraoni si siano create tradizioni spirituali di grande valore non significa necessariamente acconsentire all'idea che il faraone fosse davvero un dio. Oppure: stimare l'importanza di Marx non significa necessariamente essere d'accordo con le sue teorie.
Il risultato di quando invece si fa confusione è che, solitamente, realtà aventi a che fare con la spiritualità, come per esempio la Bibbia, oppure lo yoga, vengono conosciute e studiate soltanto da quanti hanno deciso di aderire a certe dottrine o a certi modi di pensare. Con questa diffusa mentalità, tante altre persone, che non si sentono di aderire a certi tipi di insegnamenti, si autoprivano, automaticamente, di tutti i contenuti validi, preziosi, importanti, di cui è possibile usufruire in qualsiasi spiritualità, al di là della scelta di aderirvi o meno.
Un esempio che per certi versi va contro questo tipo di mentalità, ma per altri vi si adegua, è la scuola: la scuola ti obbliga a studiare, per esempio, Dante Alighieri, non importa che tu sia d'accordo con lui o no: Dante fu un grande e quindi è giusto che tutti lo studino, indipendentemente dall'aderire o meno alle sue idee.
Perché non fare qualcosa di simile con la spiritualità, o meglio, le spiritualità? Perché non partire, per esempio, dall'idea che il Buddhismo è comunque portatore di enormi valori spirituali e quindi è giusto e necessario conoscerlo, indipendentemente dall'aderire o meno alle sue dottrine?
Il nocciolo del problema mi sembra consistere nel fatto che oggi le singole spiritualità vengono coltivate e approfondite quasi soltanto dagli aderenti; è praticamente inesistente una mentalità di studio delle spiritualità da un punto di vista non confessionale, non di fede, ma semplicemente scientifico, umanistico, spassionato, volto ad apprezzare quanto è apprezzabile da tutti, indipendentemente dalle scelte di pensiero personale.
Perché allora non cominciare a coltivare questo tipo di prospettiva sulle spiritualità, una prospettiva volta ad evidenziare in ogni spiritualità tutto quanto vi è di apprezzabile, ma da un punto di vista che si sforzi di essere indipendente dal credere o meno nelle sue dottrine? Mi sembra che ciò contribuirebbe a diffondere presso tutti dei tesori che oggi invece rimangono riservati solo a quanti aderiscono intimamente alle singole spiritualità.
È ovvio che il punto di vista dell'aderente sarà comunque diverso dal quello dello spassionato: è normale che un marxista convinto possa evidenziare del marxismo degli aspetti a cui un non marxista non attribuirà grande importanza o che addirittura farà fatica a comprendere. In questo senso la prospettiva neutrale che sto proponendo non intende affatto proporsi come sostitutiva delle prospettive degli aderenti, ma soltanto come un lavoro volto a diffondere quanto può essere apprezzato anche da chi non è aderente; in altre parole, eliminare il preconcetto che, per esempio, la Bibbia possa essere compresa solo dai Cristiani o solo dagli Ebrei: senza dubbio Cristiani ed Ebrei praticano sulla Bibbia dei punti di vista che consentono loro di apprezzarne finezze e grandezze che difficilmente un non credente riuscirà ad apprezzare; ma ciò non significa che nella Bibbia non esista nulla che un non credente possa apprezzare ed è proprio questo che la mia ipotesi cercherebbe di coltivare in dettaglio.
Che ne pensate?

In Italia esiste un concordato che demanda l'insegnamento della religione alla Chiesa Cattolica per tutti gli ordini e gradi.


paul11

Citazione di: Angelo Cannata il 18 Maggio 2016, 12:22:44 PMMi sembra che, su quanto riguarda tutto ciò che chiamiamo "spiritualità", esista una confusione tra ciò che da una parte è adesione, condivisione e ciò che dall'altra è apprezzamento, stima. Faccio un esempio per chiarire meglio il concetto: apprezzare e stimare che nell'Egitto dei faraoni si siano create tradizioni spirituali di grande valore non significa necessariamente acconsentire all'idea che il faraone fosse davvero un dio. Oppure: stimare l'importanza di Marx non significa necessariamente essere d'accordo con le sue teorie. Il risultato di quando invece si fa confusione è che, solitamente, realtà aventi a che fare con la spiritualità, come per esempio la Bibbia, oppure lo yoga, vengono conosciute e studiate soltanto da quanti hanno deciso di aderire a certe dottrine o a certi modi di pensare. Con questa diffusa mentalità, tante altre persone, che non si sentono di aderire a certi tipi di insegnamenti, si autoprivano, automaticamente, di tutti i contenuti validi, preziosi, importanti, di cui è possibile usufruire in qualsiasi spiritualità, al di là della scelta di aderirvi o meno. Un esempio che per certi versi va contro questo tipo di mentalità, ma per altri vi si adegua, è la scuola: la scuola ti obbliga a studiare, per esempio, Dante Alighieri, non importa che tu sia d'accordo con lui o no: Dante fu un grande e quindi è giusto che tutti lo studino, indipendentemente dall'aderire o meno alle sue idee. Perché non fare qualcosa di simile con la spiritualità, o meglio, le spiritualità? Perché non partire, per esempio, dall'idea che il Buddhismo è comunque portatore di enormi valori spirituali e quindi è giusto e necessario conoscerlo, indipendentemente dall'aderire o meno alle sue dottrine? Il nocciolo del problema mi sembra consistere nel fatto che oggi le singole spiritualità vengono coltivate e approfondite quasi soltanto dagli aderenti; è praticamente inesistente una mentalità di studio delle spiritualità da un punto di vista non confessionale, non di fede, ma semplicemente scientifico, umanistico, spassionato, volto ad apprezzare quanto è apprezzabile da tutti, indipendentemente dalle scelte di pensiero personale. Perché allora non cominciare a coltivare questo tipo di prospettiva sulle spiritualità, una prospettiva volta ad evidenziare in ogni spiritualità tutto quanto vi è di apprezzabile, ma da un punto di vista che si sforzi di essere indipendente dal credere o meno nelle sue dottrine? Mi sembra che ciò contribuirebbe a diffondere presso tutti dei tesori che oggi invece rimangono riservati solo a quanti aderiscono intimamente alle singole spiritualità. È ovvio che il punto di vista dell'aderente sarà comunque diverso dal quello dello spassionato: è normale che un marxista convinto possa evidenziare del marxismo degli aspetti a cui un non marxista non attribuirà grande importanza o che addirittura farà fatica a comprendere. In questo senso la prospettiva neutrale che sto proponendo non intende affatto proporsi come sostitutiva delle prospettive degli aderenti, ma soltanto come un lavoro volto a diffondere quanto può essere apprezzato anche da chi non è aderente; in altre parole, eliminare il preconcetto che, per esempio, la Bibbia possa essere compresa solo dai Cristiani o solo dagli Ebrei: senza dubbio Cristiani ed Ebrei praticano sulla Bibbia dei punti di vista che consentono loro di apprezzarne finezze e grandezze che difficilmente un non credente riuscirà ad apprezzare; ma ciò non significa che nella Bibbia non esista nulla che un non credente possa apprezzare ed è proprio questo che la mia ipotesi cercherebbe di coltivare in dettaglio. Che ne pensate?
Hai messo il dito nella piaga.
non solo sottoscrivo ciò che ha iscritto ,ma indicherei ciò che implicitamente è nelle tue frasi, che è pregiudizio non farlo, ma peggio ancora si precostituiscono certezze senza aver letto nulla , o ancora peggio "per sentito dire".
la spiritualità non è vissuta come sapienza ,ma o come aderenza oppure da boicottare. E' viscerale ormai e ciò boicotta il momento culturale.
Le scelte quindi vengono eseguite passionalmente ,direi "di pancia".

Un esempio, se davvero il cristianesimo ,ma direi tutte le religioni e spiritualità sono entrate nelle tradizioni culturali bisognerebbe che almeno si insinuasse  il dubbio di cercare di capire il come e perchè.

L'altro problema è che si confonde istituzione di una tradizione con parola originaria., così come   esegetica ed ermeneutica che  si storicizza  e che quindi muta nei tempi, appunto dall'originarietà.

giona2068

Che dire, se non si vuole conoscere la propria  verità spirituale, cioè chi siamo, il nostro cuore ecc.., altro non resta che buttarsi sulla cultura teologica che nulla o quasi cambia le nostre vite sperando di diventare Caifa, Saul e/o come altri scribi e farisei il più presto possibile.

Mariano

Citazione di: Angelo Cannata il 18 Maggio 2016, 12:22:44 PMMi sembra che, su quanto riguarda tutto ciò che chiamiamo "spiritualità", esista una confusione tra ciò che da una parte è adesione, condivisione e ciò che dall'altra è apprezzamento, stima. Faccio un esempio per chiarire meglio il concetto: apprezzare e stimare che nell'Egitto dei faraoni si siano create tradizioni spirituali di grande valore non significa necessariamente acconsentire all'idea che il faraone fosse davvero un dio. Oppure: stimare l'importanza di Marx non significa necessariamente essere d'accordo con le sue teorie.
Il risultato di quando invece si fa confusione è che, solitamente, realtà aventi a che fare con la spiritualità, come per esempio la Bibbia, oppure lo yoga, vengono conosciute e studiate soltanto da quanti hanno deciso di aderire a certe dottrine o a certi modi di pensare. Con questa diffusa mentalità, tante altre persone, che non si sentono di aderire a certi tipi di insegnamenti, si autoprivano, automaticamente, di tutti i contenuti validi, preziosi, importanti, di cui è possibile usufruire in qualsiasi spiritualità, al di là della scelta di aderirvi o meno.
Un esempio che per certi versi va contro questo tipo di mentalità, ma per altri vi si adegua, è la scuola: la scuola ti obbliga a studiare, per esempio, Dante Alighieri, non importa che tu sia d'accordo con lui o no: Dante fu un grande e quindi è giusto che tutti lo studino, indipendentemente dall'aderire o meno alle sue idee.
Perché non fare qualcosa di simile con la spiritualità, o meglio, le spiritualità? Perché non partire, per esempio, dall'idea che il Buddhismo è comunque portatore di enormi valori spirituali e quindi è giusto e necessario conoscerlo, indipendentemente dall'aderire o meno alle sue dottrine?
Il nocciolo del problema mi sembra consistere nel fatto che oggi le singole spiritualità vengono coltivate e approfondite quasi soltanto dagli aderenti; è praticamente inesistente una mentalità di studio delle spiritualità da un punto di vista non confessionale, non di fede, ma semplicemente scientifico, umanistico, spassionato, volto ad apprezzare quanto è apprezzabile da tutti, indipendentemente dalle scelte di pensiero personale.
Perché allora non cominciare a coltivare questo tipo di prospettiva sulle spiritualità, una prospettiva volta ad evidenziare in ogni spiritualità tutto quanto vi è di apprezzabile, ma da un punto di vista che si sforzi di essere indipendente dal credere o meno nelle sue dottrine? Mi sembra che ciò contribuirebbe a diffondere presso tutti dei tesori che oggi invece rimangono riservati solo a quanti aderiscono intimamente alle singole spiritualità.
È ovvio che il punto di vista dell'aderente sarà comunque diverso dal quello dello spassionato: è normale che un marxista convinto possa evidenziare del marxismo degli aspetti a cui un non marxista non attribuirà grande importanza o che addirittura farà fatica a comprendere. In questo senso la prospettiva neutrale che sto proponendo non intende affatto proporsi come sostitutiva delle prospettive degli aderenti, ma soltanto come un lavoro volto a diffondere quanto può essere apprezzato anche da chi non è aderente; in altre parole, eliminare il preconcetto che, per esempio, la Bibbia possa essere compresa solo dai Cristiani o solo dagli Ebrei: senza dubbio Cristiani ed Ebrei praticano sulla Bibbia dei punti di vista che consentono loro di apprezzarne finezze e grandezze che difficilmente un non credente riuscirà ad apprezzare; ma ciò non significa che nella Bibbia non esista nulla che un non credente possa apprezzare ed è proprio questo che la mia ipotesi cercherebbe di coltivare in dettaglio.
Che ne pensate?
Condivido totalmente con quanto hai esposto e mi permetto di aggiungere una mia opinione.
Spiritualità e religione sono due concetti che non sempre coesistono: la religione dovrebbe aiutarci a trovare la spiritualità e tutte le religioni possono concorre in questa ricerca.

Angelo Cannata

Grazie del benvenuto.
Mi sembra che l'andamento della discussione richiederebbe una qualche definizione, almeno provvisoria, del termine "spiritualità", altrimenti non solo non sarà chiaro di cosa stiamo parlando, ma potrebbero verificarsi disaccordi inutili o condivisioni non reali. Nel mio messaggio ho detto in proposito solo un generico "tutto ciò che chiamiamo spiritualità".
Una definizione già condivisa mi sembra che non esista, proprio perché chi vi aderisce visceralmente oppure la boicotta avanza implicitamente la pretesa di possederne la definizione più vera o migliore. Il termine in sé è portatore di disaccordi, perché che cosa sia "spirito" non è certo un concetto chiaro e condiviso e in se stesso sembra contenere implicitamente l'idea di un altro mondo invisibile, il mondo appunto dello spirito. Se però anche gli atei rivendicano una loro spiritualità, credo che ci siano buone speranze di liberare la parola "spirito" da un necessario rinvio a qualche mondo metafisico. Ciò non significa escluderlo, ma soltanto non renderlo obbligatorio.
Cosa intendere allora con "spiritualità"? Guidato dal tentativo di individuare quanto possa essere valido per chiunque, compresi i materialisti, io abbozzerei una definizione provvisoria dicendo che spiritualità è semplicemente l'esperienza di provare qualcosa. Al momento non aggiungo altro per non essere troppo prolisso. Questa definizione non si propone in alternativa o in sostituzione di ciò che altri intendono per spiritualità, ma soltanto come tentativo di evidenziarne un "massimo comune denominatore" che possa valere per chiunque, compresi atei e materialisti. Questo però credo comporti già uno sforzo di apertura mentale, cioè rinunciare a pensare che "la spiritualità vera è quella intesa come dico io". Sia credenti che atei sono in grado di avanzare questa pretesa, ma credo che ciò equivarrebbe semplicemente ad affermare la propria intenzione di non avere nessuna apertura al dialogo. Credo che l'atteggiamento migliore sarebbe invece un lavoro in costante tentativo di conciliare la propria definizione personale con la ricerca del confronto con chi la pensa diversamente, consapevoli che in questo mondo nessuno, nemmeno il vocabolario, ha il monopolio del significato delle parole.

InVerno

Scusa Angelo ma prima ancora di definire la spiritualità a me manca un altra cosa, il soggetto. Chi sono questi che disattendono il tuo, stimabilissimo, punto di vista idealistico? Quelli che tu chiami "aderenti" giusto? Gli zeloti.. Beh io da un certo punto di vista li capisco, leggono, e ripetono, cosa altro dovrebbero fare? La maggior parte delle ideologie è gelosa dei propri adepti, li protegge dalle contaminazioni, li confina, li divide, li impaurisce.. Sono zeloti proprio perchè sprovvisti di pensiero critico, è una causa non una conseguenza..Questa sorta di mondialismo spirituale che tu proponi (e al quale tralaltro fino ad un certo punto aderisco) ha unico nemico, le ideologie e dottrine stesse, che sono estremamente gelose dei loro adepti e non hanno alcun interesse nello studio del diverso, sono l'ovile di milioni di pecore e questo vogliono rimanere perchè accettare la tua visione significherebbe per forza di dire ammettere di aver sbagliato, su tantissimi punti, e questo non è previsto in un ideologia. Lo dico semplicemente perchè seppur condividendo il tuo post, sembra che l'accento sia impostato su una sorta di "errore d'approccio" , mentre io vorrei sostenere che il partitismo che vedi è tutt'altro che il frutto di un errore, ma della più ferrea ed elaborata volontà di chi tu vorresti unire.

giona2068

Citazione di: InVerno il 19 Maggio 2016, 17:49:24 PM
Scusa Angelo ma prima ancora di definire la spiritualità a me manca un altra cosa, il soggetto. Chi sono questi che disattendono il tuo, stimabilissimo, punto di vista idealistico? Quelli che tu chiami "aderenti" giusto? Gli zeloti.. Beh io da un certo punto di vista li capisco, leggono, e ripetono, cosa altro dovrebbero fare? La maggior parte delle ideologie è gelosa dei propri adepti, li protegge dalle contaminazioni, li confina, li divide, li impaurisce.. Sono zeloti proprio perchè sprovvisti di pensiero critico, è una causa non una conseguenza..Questa sorta di mondialismo spirituale che tu proponi (e al quale tralaltro fino ad un certo punto aderisco) ha unico nemico, le ideologie e dottrine stesse, che sono estremamente gelose dei loro adepti e non hanno alcun interesse nello studio del diverso, sono l'ovile di milioni di pecore e questo vogliono rimanere perchè accettare la tua visione significherebbe per forza di dire ammettere di aver sbagliato, su tantissimi punti, e questo non è previsto in un ideologia. Lo dico semplicemente perchè seppur condividendo il tuo post, sembra che l'accento sia impostato su una sorta di "errore d'approccio" , mentre io vorrei sostenere che il partitismo che vedi è tutt'altro che il frutto di un errore, ma della più ferrea ed elaborata volontà di chi tu vorresti unire.

La logica sottostante a questo ragionamento è condivisibile, ma non occorre unire quelli che non vogliono essere uniti, bensì quelli che lo vogliono.
Esempio: Tu,che dici di sentirti parte di questo mondialismo spirituale, sei disposto a credere per poi affinare la tua fede prendendo il meglio da ogni religione o nei vuoi parlarne tanto per fare bla bla bla ba?

Angelo Cannata

InVerno, apprezzo il tuo sforzo di individuare le cause dovute a volontà, piuttosto che ad errori o casualità. Credo che però questo tipo di approccio non favorisca la soluzione dei problemi, mi sembra nient'altro che un colpevolizzare, che distoglie da una ricerca ulteriore delle cause.
In altre parole, mi sembra che il tuo approccio sia non storico, non scientifico. Per esempio, se vogliamo capire come mai Garibaldi fece certe cose, non credo che sia un buon servizio alla storia dire che le fece perché era molto bravo oppure molto cattivo; mi sembra più produttivo cercare di individuare tutti gli elementi di fatto che contribuirono a far sì che Garibaldi facesse le cose che fece. Ciò non significa che storicamente la cattiva o la buona volontà non esistano, significa solo che è un approccio non produttivo, un approccio che chiude la ricerca piuttosto che stimolarla.
Condivido l'idea che le ideologie, le religioni e le spiritualità contengano delle spinte partitistiche, campanilistiche, spinte alla chiusura, magari dettate dal fatto che la chiusura favorisce l'esercizio di un potere sul gregge. Questo però m'induce a riflettere ulteriormente: se tra i promotori di una spiritualità s'innescano meccanismi di chiusura e interessi di potere, credo che ne consegua che quella spiritualità sia carente proprio di spiritualità. È una spiritualità illusoria.
Ciò comporta delle conseguenze riflessive importanti. Per esempio: dobbiamo concludere che, se nella storia della Chiesa, come tutti sappiamo, si sono esercitati meccanismi di potere e anche di oppressione, vuol dire che la spiritualità cristiana è carente di spiritualità? Per andare ancora più alla radice della questione: può essere corretto attribuire i peccati degli apostoli ad una carenza di spiritualità in Gesù e nel suo insegnamento? Cioè, può essere sensato in questo caso applicare l'idea che il pesce puzza dalla testa, e quindi, se ci sono difetti nel cristianesimo, li si debba cercare in Gesù stesso o in Dio? Dipende da come sarà questa ricerca: se si risolverà in una colpevolizzazione di Gesù o di Dio, saremo punto e a capo, visto che prima ho detto che colpevolizzare è improduttivo. Ma nulla vieta di effettuare una ricerca di meccanismi strutturali che già nella spiritualità stessa di Gesù producano effetti negativi. Tanto più che quest'autocritica la fece già Gesù stesso, per esempio quando prese atto del fatto che il suo moltiplicare pani, almeno in certe persone poteva servire a nient'altro che a suscitare il vizio di mangiare gratis (Giovanni 6,26: "...voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati"). Ovviamente i credenti risponderanno che questi non sono difetti della dottrina di Gesù, ma del peccato che è negli uomini. Questa però è una risposta teologica, di fede, non è una risposta che cerchi di essere storica. Io invece vorrei individuare una spiritualità che si muova con mentalità storica, cioè aiuti a non accusare nessuno e piuttosto tenti di risolvere i problemi giustificando, cioè individuando le cause materiali che hanno contribuito a certi comportamenti umani; una spiritualità che possa dirsi a pieno titolo addirittura "scientifica", così come la storia si sforza di muoversi con mentalità scientifica, almeno per quanto umanamente ci riesce di fare.

InVerno

Lungi da me porre la questione da un punto di vista manicheo, e altrettanto colpevolizzare. Però rimane che le ideologie siano dei sistemi complessi, che si poggiano su diversi principi e agiscono sulle persone come dei meccanismi, come degli orologi. Orologi che sono stati raffinati nel corso del tempo per funzionare con quell'esatto numero di rotelle e molle, toglierne una (quella che potremmo chiamare "dell'adesione") non garantisce per nulla il corretto funzionamento dell'orologio, le altre parti sono a mio avviso intrinsecamente collegate ad essa e nella maggior parte dei casi l'orologio o smetterà di funzionare, o funzionerà in maniera sufficientemente diversa da rendere ingiusta la pretesa di aver letto l'ora esatta. O almeno per me è sempre stato cosi, non avendo mai aderito a niente volendo conservare il mio spirito fondamentalmente anarchico, non ho mai preteso di aver avuto reale esperienza di quelle realtà, ma di esserne solo un osservatore esterno di esse. Penso che la necessità tribale di "fare gruppo" di costruire un identità settaria e di sentirsi parte di una "comunità" che aderisce agli stessi principi, non sia sacrificabile senza falsificare profondamente i percorsi spirituali che le linee guida dei testi sacri propongono nella maggior parte delle dottrine (il buddismo forse è un caso a parte). Persino l'esistenza di antagonisti (vedasi "infedeli") per come la vedo io, non è sacrificabile senza avere come risultato un esperienza spirituale estremamente diversa .Ne rimasi piuttosto deluso quando lo avvertii chiaramente, quest'idea di avere un secchiello con il quale attingere il meglio da tanti diversi pozzi non è facile da percorrere come attraversare i banchi di un supermercato, ma è certamente un nobile proposito. Buona ricerca e discussione quindi, auguri!

Angelo Cannata

Sono pienamente d'accordo, d'altra parte l'avevo già espresso nelle ultime righe del mio primo messaggio:

Citazione... senza dubbio Cristiani ed Ebrei praticano sulla Bibbia dei punti di vista che consentono loro di apprezzarne finezze e grandezze che difficilmente un non credente riuscirà ad apprezzare

Qui aggiungerei che ritengo vero anche il contrario: ci sono aspetti di una qualsiasi spiritualità che possono essere colti adeguatamente solo da chi ne è all'esterno.

La conseguenza ovvia è che, riguardo alla spiritualità, ma anche riguardo a tutto, non esistono punti di vista privilegiati in grado di cogliere il tutto o il meglio (meglio per chi?). Questo però non dovrebbe servire alla reciproca chiusura, o alla rinuncia a conoscere, ma piuttosto, credo che sarebbe fruttuoso mantenere la consapevolezza che, e mi autocito di nuovo,

Citazione... ciò non significa che nella Bibbia non esista nulla che un non credente possa apprezzare ed è proprio questo che la mia ipotesi cercherebbe di coltivare in dettaglio

Duc in altum!

**  scritto da Angelo Cannata:
CitazioneIo invece vorrei individuare una spiritualità che si muova con mentalità storica, cioè aiuti a non accusare nessuno e piuttosto tenti di risolvere i problemi giustificando, cioè individuando le cause materiali che hanno contribuito a certi comportamenti umani; una spiritualità che possa dirsi a pieno titolo addirittura "scientifica", così come la storia si sforza di muoversi con mentalità scientifica, almeno per quanto umanamente ci riesce di fare.
Le cause materiali del comportamento umano sono la sintesi della fede, credi e poi agisci.
La spiritualità è personale, non può essere per tutti la stessa. Stesso per tutti è il suo principio, il suo fine, e la sua sorgente.
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

Angelo Cannata

Citazione di: Duc in altum! il 20 Maggio 2016, 20:44:30 PMLe cause materiali del comportamento umano sono la sintesi della fede, credi e poi agisci.

Se implichiamo la fede come condizione necessaria, non siamo più nel discorso che sto facendo io; ne possiamo parlare, ma sarebbe tutto un altro discorso.
Io sto cercando di parlare di una spiritualità che sia valida anche per chi non ha fede, anche per gli atei.
Capisco che, da un punto di vista interno alla propria fede, la fede è indispensabile e Dio esiste per tutti; ma non c'è solo il punto di vista interno alla propria fede: c'è anche quello degli altri. Ho visto che anche giona2068 parla in questo modo, cioè usa un linguaggio che è quello interno alla sua fede. Questo modo di esprimersi non mi sembra che favorisca il dialogo: un credente che nel dialogo con chi la pensa diversamente chiama Gesù "il Signore", equivale a un ateo che chiami Dio "il Dio che non esiste": così non si va da nessuna parte, non si dialoga. Credo che per rendere possibile il dialogo si debba cercare di usare un linguaggio che faccia da ponte tra modi di pensare diversi, e quindi cerchi di evitare tutto quanto è esclusivo della propria prospettiva interna. Ciò non significa affatto vietare ad un credente di chiamare Gesù "il Signore"; significa solo mostrargli che con questo linguaggio non è possibile fare storia, scienza, discipline che si sforzino di valere per tutti.

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