Spiritualità e cosmo

Aperto da InVerno, 15 Luglio 2017, 20:59:28 PM

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InVerno

L'argomento è cosi vasto che trovo davvero complesso distillare un incipit che faccia da direttrice al topic, mi accontento di chiedere il vostro parere a riguardo riconoscendo di trattare una relazione che mi ha sempre assai affascinato ma non ho mai realmente approfondito in maniera puntigliosa, o anche solo "scolastica". Sono meravigliato dall'innumerevole quantità di nessi tra la spiritualità antica (e moderna, anche nel sincretismo posticcio del new age) e la conoscenza umana della realtà cosmica, e sono benvenute considerazioni di carattere personale o storico\filosofico\spirituale, sono sicuro che un dialogo potrà nascere, o possa rimanere anche solo un collage di impressioni. Se proprio in virtù di provocatore del topic è necessario un mio incipit, mi fermerò a Platone "l'uomo è una pianta celeste, il che significa che è come un albero rovesciato, le cui radici tendono verso il cielo e i rami in basso verso la terra". Mi piacerebbe anche aver l'ardire di tradurre una poesia di Aleksandr Blok ma penso di non averne il coraggio. Per ora, godendo di un cielo con un basso inquinamento luminoso, mi limiterò come sempre ad osservare il cielo stellato e a chiedermi se esiste un panorama migliore per porre a me stesso le domande più importanti della mia vita, credendo fermamente che la risposta sia: no.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Angelo Cannata

Ieri sera guardavo le stelle; è sempre un'esperienza profonda, non c'è che dire. Ma pensavo anche che, se in quel momento io mi fossi trovato a morire, sopraffatto da una qualsiasi ingiusta sofferenza, a quelle stelle non ne sarebbe fregato nulla.

acquario69

Citazione di: InVerno il 15 Luglio 2017, 20:59:28 PM
L'argomento è cosi vasto che trovo davvero complesso distillare un incipit che faccia da direttrice al topic, mi accontento di chiedere il vostro parere a riguardo riconoscendo di trattare una relazione che mi ha sempre assai affascinato ma non ho mai realmente approfondito in maniera puntigliosa, o anche solo "scolastica". Sono meravigliato dall'innumerevole quantità di nessi tra la spiritualità antica (e moderna, anche nel sincretismo posticcio del new age) e la conoscenza umana della realtà cosmica, e sono benvenute considerazioni di carattere personale o storico\filosofico\spirituale, sono sicuro che un dialogo potrà nascere, o possa rimanere anche solo un collage di impressioni. Se proprio in virtù di provocatore del topic è necessario un mio incipit, mi fermerò a Platone "l'uomo è una pianta celeste, il che significa che è come un albero rovesciato, le cui radici tendono verso il cielo e i rami in basso verso la terra". Mi piacerebbe anche aver l'ardire di tradurre una poesia di Aleksandr Blok ma penso di non averne il coraggio. Per ora, godendo di un cielo con un basso inquinamento luminoso, mi limiterò come sempre ad osservare il cielo stellato e a chiedermi se esiste un panorama migliore per porre a me stesso le domande più importanti della mia vita, credendo fermamente che la risposta sia: no.

In breve...

Siamo abituati a pensare di essere entita separate, il nostro IO da una parte e tutto il resto da un altra, (concezione questa - alienante - e relativamente recente e "moderna" e che ha comportato tutti i disastri possibili, vedi ad esempio il rapporto uomo-natura eccetera) 

Tutte le cose sono nell'universo e l'universo e' in tutte le cose..

oppure;

"Mentre tutto è nel Tutto, è ugualmente vero che il Tutto è in tutto" 
(Kybalion - I sette principi ermetici)

InVerno

Citazione di: Angelo Cannata il 15 Luglio 2017, 23:20:48 PM
Ieri sera guardavo le stelle; è sempre un'esperienza profonda, non c'è che dire. Ma pensavo anche che, se in quel momento io mi fossi trovato a morire, sopraffatto da una qualsiasi ingiusta sofferenza, a quelle stelle non ne sarebbe fregato nulla.
Ho come l'impressione, e per me personalmente è vero, che mentre le religioni sono sempre andate in senso consolatorio verso i drammi della nostra vita,  è un esperienza ben più spiritualmente appagante l'assenza totale di quella consolazione - prettamente umana - che la solitudine cosmologica può trasmettere. L'idea di vivere su un piccolo "pallido punto blu" (Sagan) è uno di  quei fatti che ci costringe a cambiare radicalmente la prospettiva rispetto ai nostri drammi umani, a prenderli per quello che sono: insignificanti nell'ordine delle cose, e significanti solo per noi, che abbiamo l'onore e l'onere di prenderci troppo sul serio. Essere soli nei nostri drammi umani ci responsabilizza e insegna non attendere un aiuto esterno, ma a lavorare alacremente per risolvere le nostre - piccole - questioni. Alle stelle sicuramente non "fregherà" nulla della tua morte, così come della tua vita, eppure il materiale biologico che ti compone è quasi interamente stato creato all'interno dei loro reattori nucleari, e perciò sei nato, senza di loro non saresti. Lo spazio è cosi vasto che si può lanciare un sasso in esso, e scegliendo la giusta traiettoria, far si che esso non incontri nessun altro corpo celeste fino ad arrivare ai conosciuti confini dell'universo. Solo fortuitamente o volontariamente, le nostre azioni incotrano una conseguenza, la maggior parte delle volte, probabilisticamente, sono sassi lanciati nel nulla, e nel giro di due massimo quattro generazioni, nessuno uomo si ricorderà neppur che tu sia esistito, seppur siamo cosi dediti a ricordarci gli uni degli altri. Ci interroghiamo costantemente se l'uomo sia "capax dei", ma è l'uomo "capax universi"? E' la nostra "intuizione", ancora legata alle meccaniche della savana, capace di anche solo presagire, queste lunghe distanze, questi immensi spazi vuoti, questo silenzio assordante, come lo sfondo ultraterreno delle nostre emozioni? Hai detto in un altro topic che siamo una "parte riflessiva dell'universo" e penso che anche questo ponga parecchi quesiti a riguardo, quali siano i limiti della nostra capacità di rifletterlo in noi, perchè solo "guardare le stelle" qualsiasi sia l'occhio di vetro o meno, non è sufficiente, vogliamo andare oltre, come se davvero le nostre radici fossero in cielo.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

maral

#4
Forse l'uomo è l'unico essere che guarda e vede il cielo, l'immenso cielo notturno soprattutto, punteggiato di una miriade infinita di luci e in quello spettacolo immenso sente la presenza di un ordine che lo sovrasta, di un invisibile che si fa presente, il Dio, Uranòs, dice Platone, il Cielo stesso. Qui hanno origine le Leggi che normano la comunità umana che si riunisce, da qui trae origine l'uomo stesso come essere che conosce. Il Cielo è il riflesso del sovrumano nell'umano e viceversa, poiché così in alto come in basso, così fuori come dentro, così nel grande come nel piccolo. Poter sentire questo è comprendere il senso più profondo della conoscenza stessa. Quel senso profondo che permise a Odino di conoscere il segreto delle rune che incidevano sulla terra i segni del cielo, dopo che sacrificò se stesso, appeso per nove giorni per i piedi al ramo del grande Albero Cosmico, come un embrione racchiuso nel ventre materno quando si appresta a nascere.
Ogni essere ripete in se stesso, nella finitudine che lo fa apparire, l'eterno cielo infinito, la comunità universale di tutti gli essenti, l'unità dai molti diversi e i molti diversi da ogni unità, il principio del numero.
E se è così, nel Cielo infinito nulla di tutto ciò che perdiamo va mai perduto.

paul11

C'è analogia fra la scienza antica, fisica delle particelle e cosmologie con le cosmogonie.
Tutte tendono ad un principio costitutivo, l'archè greco, ad un Uno e molteplice.
C'è un ordine che oltre che essere naturale è intelleggible e quindi razionalizzabile.
Se c'è un ordine, esistono nelle premesse delle regole e dei principi.
Le scienze antiche i principi e le regole le tradussero in dei, ognuno portatore di un ruolo, le scienze moderne le traducono
 nella fisica delle particelle e nelle forze che plasmano energia e materia, spazio e  tempo

maral

Eppure mi pare di poter dire che nel momento in cui anche la moderna cosmologia si rivolge al cielo partecipa della stessa originaria spiritualità che si manifestava scopertamente nei miti e che, nel fare scienza, per lo più si crede di avere rimosso come vana illusione del soggettivo.

Apeiron

Citazione di: Angelo Cannata il 15 Luglio 2017, 23:20:48 PMIeri sera guardavo le stelle; è sempre un'esperienza profonda, non c'è che dire. Ma pensavo anche che, se in quel momento io mi fossi trovato a morire, sopraffatto da una qualsiasi ingiusta sofferenza, a quelle stelle non ne sarebbe fregato nulla.

Concordo: ammirare l'enorme indifferenza della Natura è interessante. Ti senti piccolo, misero, una piccola luce in mezzo al buio dell'inconscio. Una piroetta nel vuoto, una candela tremolante nel buio... c'è qualcosa di molto tragico, di molto sublime (il sublime è anche una sensazione spiacevole, è l'attrazione-repulsione che abbiamo dinanzi a qualcosa di enorme, di potente ecc) e di molto "ingiusto" in tutto questo. Presto quella piccola candela tremolante svanirà mentre il cosmo continuerà nella sua inconscia attività, sempre più freddo. Con questo gigante inconscio non possiamo relazionarci: questa è stata la grande scoperta della scienza. Inoltre questo gigante vivrà anche quando di tutte luci tremolanti non rimarrà nulla. Sub specie aeternitatis tutto ciò è molto deprimente ma è la tremenda conseguenza della legge dell'esistenza dipendente. Da qui nasce il "misticismo": la speranza di qualcosa di incondizionato, libero dal decadimento, dalla disintegrazione ecc
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

giona2068

Citazione di: InVerno il 15 Luglio 2017, 20:59:28 PM
L'argomento è cosi vasto che trovo davvero complesso distillare un incipit che faccia da direttrice al topic, mi accontento di chiedere il vostro parere a riguardo riconoscendo di trattare una relazione che mi ha sempre assai affascinato ma non ho mai realmente approfondito in maniera puntigliosa, o anche solo "scolastica". Sono meravigliato dall'innumerevole quantità di nessi tra la spiritualità antica (e moderna, anche nel sincretismo posticcio del new age) e la conoscenza umana della realtà cosmica, e sono benvenute considerazioni di carattere personale o storico\filosofico\spirituale, sono sicuro che un dialogo potrà nascere, o possa rimanere anche solo un collage di impressioni. Se proprio in virtù di provocatore del topic è necessario un mio incipit, mi fermerò a Platone "l'uomo è una pianta celeste, il che significa che è come un albero rovesciato, le cui radici tendono verso il cielo e i rami in basso verso la terra". Mi piacerebbe anche aver l'ardire di tradurre una poesia di Aleksandr Blok ma penso di non averne il coraggio. Per ora, godendo di un cielo con un basso inquinamento luminoso, mi limiterò come sempre ad osservare il cielo stellato e a chiedermi se esiste un panorama migliore per porre a me stesso le domande più importanti della mia vita, credendo fermamente che la risposta sia: no.
In linea di massima condivido tutte le riflessioni contenute nei post di questo topic, ma quello che non riesco a comprendere è perché ci si ostina a voler conoscere il  cosmo e il Signore Dio e si rifiuta di conoscere noi stessi. E' impossibile conoscere il Signore Dio e il cosmo se non abbiamo scoperto chi siamo. E' questo l'errore umano, ma dietro questo errore chi c'è? C' è chi non vuole che siamo salvi.  Purtroppo sono reduce da un giro in centro Italia è non vi dico cosa è successo quando ho cominciato a dire che dobbiamo scoprire la nostra verità sia come figli del Signore Dio che come peccatori.  Questo è il centro di tutto, il resto è ciarpame.

InVerno

Citazione di: giona2068 il 16 Luglio 2017, 20:22:45 PM
Citazione di: InVerno il 15 Luglio 2017, 20:59:28 PM
L'argomento è cosi vasto che trovo davvero complesso distillare un incipit che faccia da direttrice al topic, mi accontento di chiedere il vostro parere a riguardo riconoscendo di trattare una relazione che mi ha sempre assai affascinato ma non ho mai realmente approfondito in maniera puntigliosa, o anche solo "scolastica". Sono meravigliato dall'innumerevole quantità di nessi tra la spiritualità antica (e moderna, anche nel sincretismo posticcio del new age) e la conoscenza umana della realtà cosmica, e sono benvenute considerazioni di carattere personale o storico\filosofico\spirituale, sono sicuro che un dialogo potrà nascere, o possa rimanere anche solo un collage di impressioni. Se proprio in virtù di provocatore del topic è necessario un mio incipit, mi fermerò a Platone "l'uomo è una pianta celeste, il che significa che è come un albero rovesciato, le cui radici tendono verso il cielo e i rami in basso verso la terra". Mi piacerebbe anche aver l'ardire di tradurre una poesia di Aleksandr Blok ma penso di non averne il coraggio. Per ora, godendo di un cielo con un basso inquinamento luminoso, mi limiterò come sempre ad osservare il cielo stellato e a chiedermi se esiste un panorama migliore per porre a me stesso le domande più importanti della mia vita, credendo fermamente che la risposta sia: no.
In linea di massima condivido tutte le riflessioni contenute nei post di questo topic, ma quello che non riesco a comprendere è perché ci si ostina a voler conoscere il  cosmo e il Signore Dio e si rifiuta di conoscere noi stessi. E' impossibile conoscere il Signore Dio e il cosmo se non abbiamo scoperto chi siamo. E' questo l'errore umano, ma dietro questo errore chi c'è? C' è chi non vuole che siamo salvi.  Purtroppo sono reduce da un giro in centro Italia è non vi dico cosa è successo quando ho cominciato a dire che dobbiamo scoprire la nostra verità sia come figli del Signore Dio che come peccatori.  Questo è il centro di tutto, il resto è ciarpame.
Per conoscere noi stessi abbiamo bisogno di specchi, altrimenti ci sarebbe ignota anche la forma del nostro volto (se non per fugaci rappresentazioni a pelo d'acqua)Io mi sono limitato a dire che non ne ho mai trovato uno specchio altrettanto riflettente quanto la volta celeste, e che perciò essa è stata una incommensurabile maestra spirituale. Ogni volta che imparo nuove cose su di essa, effettivamente "ricolloco" me stesso all'interno di uno scenario vastissimo ma che mi identifica in maniera estremamente più radicale di qualsiasi nozione terrestre. Come può non cambiare l'idea di me stesso, sapendo che "li fuori" vige uno scenario cosi desolato che la scoperta di un solo microbo su marte potrebbe cambiare di fatto l'intera nostra genesi? Quale miglior modo di apprezzare il miracolo della vita, se non immaginare i miliardi di milioni di anni luce coperti dal nulla cosmico, dove neanche il rumore si sente e il fuoco si accende? Queste nozioni non sono fini a se stesse, ma ricostruiscono un nostro rapporto con le "unità di misura", con ciò che diamo per certo, con il mistero, con se si vuole, anche la fede.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

giona2068

Citazione di: InVerno il 16 Luglio 2017, 21:13:13 PM
Citazione di: giona2068 il 16 Luglio 2017, 20:22:45 PM
Citazione di: InVerno il 15 Luglio 2017, 20:59:28 PM
L'argomento è cosi vasto che trovo davvero complesso distillare un incipit che faccia da direttrice al topic, mi accontento di chiedere il vostro parere a riguardo riconoscendo di trattare una relazione che mi ha sempre assai affascinato ma non ho mai realmente approfondito in maniera puntigliosa, o anche solo "scolastica". Sono meravigliato dall'innumerevole quantità di nessi tra la spiritualità antica (e moderna, anche nel sincretismo posticcio del new age) e la conoscenza umana della realtà cosmica, e sono benvenute considerazioni di carattere personale o storico\filosofico\spirituale, sono sicuro che un dialogo potrà nascere, o possa rimanere anche solo un collage di impressioni. Se proprio in virtù di provocatore del topic è necessario un mio incipit, mi fermerò a Platone "l'uomo è una pianta celeste, il che significa che è come un albero rovesciato, le cui radici tendono verso il cielo e i rami in basso verso la terra". Mi piacerebbe anche aver l'ardire di tradurre una poesia di Aleksandr Blok ma penso di non averne il coraggio. Per ora, godendo di un cielo con un basso inquinamento luminoso, mi limiterò come sempre ad osservare il cielo stellato e a chiedermi se esiste un panorama migliore per porre a me stesso le domande più importanti della mia vita, credendo fermamente che la risposta sia: no.
In linea di massima condivido tutte le riflessioni contenute nei post di questo topic, ma quello che non riesco a comprendere è perché ci si ostina a voler conoscere il  cosmo e il Signore Dio e si rifiuta di conoscere noi stessi. E' impossibile conoscere il Signore Dio e il cosmo se non abbiamo scoperto chi siamo. E' questo l'errore umano, ma dietro questo errore chi c'è? C' è chi non vuole che siamo salvi.  Purtroppo sono reduce da un giro in centro Italia è non vi dico cosa è successo quando ho cominciato a dire che dobbiamo scoprire la nostra verità sia come figli del Signore Dio che come peccatori.  Questo è il centro di tutto, il resto è ciarpame.
Per conoscere noi stessi abbiamo bisogno di specchi, altrimenti ci sarebbe ignota anche la forma del nostro volto (se non per fugaci rappresentazioni a pelo d'acqua)Io mi sono limitato a dire che non ne ho mai trovato uno specchio altrettanto riflettente quanto la volta celeste, e che perciò essa è stata una incommensurabile maestra spirituale. Ogni volta che imparo nuove cose su di essa, effettivamente "ricolloco" me stesso all'interno di uno scenario vastissimo ma che mi identifica in maniera estremamente più radicale di qualsiasi nozione terrestre. Come può non cambiare l'idea di me stesso, sapendo che "li fuori" vige uno scenario cosi desolato che la scoperta di un solo microbo su marte potrebbe cambiare di fatto l'intera nostra genesi? Quale miglior modo di apprezzare il miracolo della vita, se non immaginare i miliardi di milioni di anni luce coperti dal nulla cosmico, dove neanche il rumore si sente e il fuoco si accende? Queste nozioni non sono fini a se stesse, ma ricostruiscono un nostro rapporto con le "unità di misura", con ciò che diamo per certo, con il mistero, con se si vuole, anche la fede.
Sì, sì  è sempre così quando si parla di conoscere noi stessi. Ognuno trova una ragione per sfuggire a questo imperativo, ma conviene? Conoscere noi stessi vuol dire scoprire i nostri sbagli /peccati i quali sono il frutto di ciò che  adoriamo al posto del signore Dio. In ogni caso satana è attentissimo, non va mai in ferie e neanche in pensione fino quando non viene bruciato assieme a i suoi seguaci. Lui è l'ispiratore del rifiuto degli uomini che non vogliono scoprire chi sono e raggiunge il suo scopo soffiando orgoglio e superbia nelle persone le quali spesso si perdono nei meandri della teologia, della scienza e quant'altro non porta alla propria verità.

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