Sono un essere inadeguato

Aperto da Sariputra, 02 Maggio 2016, 16:49:42 PM

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Sariputra

MARTEDI'

Mattino

Solo sulle alte cime si può ascoltare la vera voce del vento. Quando tutti i rumori si attenuano, quasi a scomparire ( e in particolare la voce dell'uomo si perde in lontananza...), il vento ti colpisce con la sua musica che nessun strumento può riprodurre. Voce che ha la capacità di placare la corsa frenetica della mente, il suo continuo ricordare e creare aspettative per il domani. Stare in questa dimensione, nel tempo presente, al di là del passato e del futuro, non viene naturale. Naturale è il chiacchericcio interiore continuo, il perdersi in mille bolle, fatte di abitudine radicate in noi, create dal nostro vissuto. Ma se ci siamo solo noi, nudi e indifesi, cosa può dirci questa voce che sale dalle valli, senza una meta? La voce del vento è anche la stessa voce con cui ci parla l'impermanenza?

-Posso buttare le ossa delle pesche nell'erba?-
-Le ossa delle pesche?-
-Sì, quello interno, non mi ricordo più come si chiama...-
-Il nòcciolo...-
-Ecco...il nòcciolo della questione è che qui non ci sono cestini per i rifiuti...-
-Gettali...non inquinano.-
-Li lancio nell'orrido. Pensi che nasceranno dei peschi laggiù?-
-Siamo troppo alti per i peschi. Si consumeranno col tempo.-
-Anche noi siamo troppo alti, vero?-
-Sì...tocca scendere se vogliamo dar frutto. Ogni cosa ha bisogno della sua giusta altezza...-
 
Pomeriggio

Continuare a parlare di caducità, in un mondo che vuole bandirla, che non ne vuol sentir parlare, che si aggrappa con tutte le forze all'idea della continuazione, del durare, dei selfie ricordo, che senso ha?
Però, nella mia caducità, nella mia possibilità di cambiare, vedo la possibilità che concedo anche agli altri di cambiare a loro volta...creo una relazione più autentica e vera, un amore che si dispiega nell'accoglierci proprio là dove finiamo, dove il dolore che porta il cambiamento è più profondo e intenso...
Amare le persone che mi circondano è, innanzi tutto, amare la loro caducità, che si manifesta a me in una struggente fragilità. 
Senza questa fragilità come avrei potuto amare veramente? Quanto il mistero dell'amore è legato a questo eterno morire di tutte le cose che mi circondano?

Tranquilla discesa dalla cima del Tognola, con il sole che ci bacia timidamente, mentre nuvole pacifiche si rincorrono.
Che silenzio riposa tra queste abetaie infinite! C'è quasi del sacrilegio nel nostro chiaccherare leggero, frizzante come l'aria tersa.
Mi abbracci nei tuoi ricordi...che sono anche i miei.

Sera

Trovare un linguaggio spirituale nuovo, in grado di ridare luce ad un'umanità annichilita, ormai dipendente dal soma del consumismo...che sfida immane ( e forse inutile, troppo tardivo...?)
Uscire dalla trappola mortale dell'antropocentrismo che, come cavalletta, tutto divora e tutto trasforma in sterilità.
Superare la "morte di Dio", superare il passato, non restare ancorati a queste sabbie nere nichiliste dove sprofondiamo.
Cercare un nuovo "Dio" sui monti, non per farci, ancora una volta, servi ma per avere, di nuovo, un Amico.
Importanza inaudita di ancorare questa rinnovata amicizia ad una concezione nuova del divenire, ad una sacralità dello stesso.
Superare l'inimicizia tra l'umanità e il passare del tempo e delle cose...
Importanza del Dharma buddhista ( sfrondato da ogni sovrastruttura culturale e secolare ) per aprire a questa nuova percezione del mutare, a questa Bellezza nascosta.
Importanza dell'accettazione del dolore.

Il sole ora dipinge di rosa le rocce. Sono niente...eppure questa Bellezza vuole essere mia compagna...Perché?
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Sariputra

SIRIMA

-Raccontaci una delle tue storie Sari...daiii...che ci annoiamo  a guardare le capre che brucano l'erba. Una storiella divertente, magari un pò piccante, come quelle che racconti ogni tanto...
-Non sono dell'umore adatto. Penso che continuerò ad osservare le capre...-
-Ma ti tira su...smetti di rimuginare come fai di solito...e poi si chiama socializzare. Le relazioni sono importanti!-
-Questa devo averla già sentita...Sono spento. Una nebbia d'umidità afosa si è posata sui miei pensieri. -
-Dobbiamo passare al ricatto, come al solito?...Di cosa potremmo minacciarlo?...Uhm!-
-Va bè...ho capito come va a finire. Allora ascoltate e non fiatate...-
-Siamo tutt'orecchi...aahh...questo prosecco sta andando aceto...quando iniziamo a vendemmiare?
-Tra una decina di giorni, se non grandina prima.-
-Allora?...racconta...

-C'era una volta un giovane monaco di nome Sariputra. Era un tipo pieno di volontà di seguire il Dharma del Buddha, di sincera e buona volontà...-
-Avevamo detto qualcosa di piccante e te ne esci con una storiella edificante?...-
-Non fiatate. Allora...A quei tempi viveva una famosa cortigiana di nome Sirima. Era una fanciulla di grande bellezza, la cui fama si era diffusa per tutta la regione e gli uomini pagavano anche mille monete  per una notte in sua compagnia. Quindi molto più bella di voi che sorridete...
-Grazie. Gentile come al solito...-
-Questa Sirima era anche devota all'ordine dei mendicanti e ogni giorno inviava al boschetto di bambù dove risiedeva Sariputra un invito a ritirare un pasto per uno dei membri del Sangha.
 Quel giorno toccò al giovane di recarsi alla casa della cortigiana. Sirima però , proprio quel mattino, cadde ammalata e dovette farsi aiutare dalle sue ancelle, tutte fanciulle di notevole splendore e  bellezza, per servire Sariputra. Nonostante la malattia, e anzi forse a ragione di questa, la giovane sembrava emanare una bellezza ancor più radiosa. Appena la vide il giovane monaco se ne innamorò  perdutamente...-
-Come ti capita di solito con le giovani fanciulle...eh!eh!-
-Shhh!...Non stiamo parlando di me.-
-Ah no?...eh!eh!-
-Anche se malata la sua bellezza infiammò di desiderio il giovane Sari...putra. Tornato al boschetto di bambù non riusciva a pensare a nulla fuorché a Sirima, rifiutando persino di mangiare e di alzarsi per  quattro giorni di seguito. Però, la sera stessa in cui si ammalò, Sirima morì.-
-Che sfiga...poveraccio...eh!eh!eh!-
-Il re mandò un messaggero dal Buddha per comunicarglielo, perché lei era una sua seguace, anche se non molto ortodossa.-
-Direi! Che tipo di contemplazione praticava? Eh!eh!eh!...-
-Il Buddha chiese al re di far lasciare il suo corpo per qualche giorno nel "campo delle ossa".-
-Che è?-
-I campi delle ossa venivano utilizzati da vari vagabondi spirituali e da monaci i quali si rendevano conto che gli oggetti che vi si potevano vedere stimolavano la rinuncia. Anche i monaci buddhisti visitavano questi luoghi e contemplavano i vari stadi di decomposizione del corpo. Una descrizione dettagliata di quello che si doveva fare in questi campi si trova nel Visuddhimagga.
-Vai avanti con la narrazione. I dettagli a dopo...-
-Il Buddha e la comunità monastica , compreso il giovane Sariputra, vi si recarono dopo quattro giorni dalla morte della fanciulla...-
-Credo di sapere dove andrai a parare...-
-Anch'io...tipico del personaggio direi.-
-Il re ordinò che tutti i cittadini dovevano partecipare, ad eccezione dei guardiani. Tutti andarono al campo delle ossa, ognuno al proprio posto e nel proprio gruppo, intorno al corpo gonfio di Sirima.  Sariputra, che non sapeva della morte, seguì il Buddha pieno di gioia di rivedere Sirima. Quando tutti furono riuniti il re annunciò che il corpo di Sirima sarebbe stato messo in vendita. Se, quando era viva,  gli uomini avevano pagato mille monete a notte per la sua compagnia, adesso che era morta il prezzo venne fissato in cinquecento monete. Ed anche se il re dimezzava il prezzo ogni volta, nessuno lo  prese fin quando il cadavere fu offerto liberamente. Nessuno lo prese...-
-E te credo!...-
-Allora il Buddha pronunciò questi versi:

 Osservate questo bel corpo,
una massa di piaghe, una congerie,
molto ben considerato ma miserabile,
dove nulla è stabile, nulla persiste...
 
 e quel giovane monaco, in quel momento e a quella vista, si trovò sciolto dal suo desiderio e divenne un "vincitore della corrente".-
-Allora , di sicuro, non eri tu...-
-Il Buddha però poi sottolineò non tanto l'osservazione del deperimento dei corpi altrui, ma anche la riflessione che lo stesso sarà per il nostro.-
-Ecco, è proprio quel tipo di riflessioni che cerco sempre di evitare. Perché rattristarci con queste anticipazioni? Pensiamo invece a quanto era bella da viva...-
-E' un tipo di meditazione che serve per liberare il cuore dalla brama, specie se si ha un tipo di mente visiva.-
-Io amo la mia brama. Mi sentirei già morto e decomposto senza la mia brama. Adesso bramo un pò di quel prosecco. Ci vuole una bevutina dopo questa storia piccante...-
-Ma non sta già diventando aceto?-
-Infatti...che schifo! Non dura niente a 'sto mondo.-
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Sariputra

#62
Cena da amici. Una serata tranquilla, cordiale. Qualche risata insieme, un discorrere del più e del meno...Queste sono le situazioni in cui devo tenere a freno la mia inadeguatezza. Me lo riprometto sempre, ogni volta prima di partire: "Devo adeguarmi alla situazione, alle persone". Me lo ricordano: "Sari, non esagerare con i discorsi...lascia parlare anche gli altri". Il bello è che a me sembra sempre di passare tutto il tempo ad ascoltare e invece...mi dicono di lasciar spazio! Forse è per il fatto che sono così solitario che, una volta trovato qualcuno disposto a dedicarmi un pò d'attenzione...esagero. Mi ricordano spesso che non sta bene parlare di certi argomenti durante una cena. Durante la cena si cazzeggia, dicono...ma che ci posso fare se finisco sempre per parlare di cose "serie", noiose, veramente pallose?
Mi sembra anzi che questo attragga l'attenzione, la curiosità dei commensali...almeno mi illudo che sia così. Al ritorno mi si fa presente che invece stavano tutti lottando per non addormentarsi! Dio...che inadeguatezza! Però...l'altra sera è stato diverso. Una ragazza , invero assai carina anche se un pò in carne...questi sono dettagli che non vi interessano, lo so...ma scusatemi, è più forte di me... seduta casualmente alla mia destra ( giuro che non lo faccio apposta...mi ci ritrovo in certe situazioni), alla mia domanda su come ama passare il tempo libero, mi ha risposto:" Mi piace molto scrivere. Ho scritto anche dei brevi racconti e una specie di romanzo". Ohoh!...Dai che stasera trovo qualcosa di interessante di cui discutere, mi son detto. Quando gli ho fatto presente che pure a me piace scrivere, seppur in malo modo, in maniera inadeguata dovrei aggiungere...beh! E' corsa in camera sua ed è tornata immediatamente con un pacco di fogli. Vista la differenza d'età ( potrei ben esser stato suo padre, anche se...come mi vergogno a dirlo...faccio fatica a sentirmi padre quando sono vicino ad una femmina...ho detto femmina...perché ho detto femmina?...) la ragazza non aveva il coraggio di chiedermi se mi avrebbe fatto piacere leggerli. Ma io intuisco...intuisco sempre quel che vogliono le donne e glieli ho presi , con delicatezza, dalle mani assicurandole che, la sera stessa, li avrei letti. Questo sembrava renderla veramente felice. Il suo sorriso è stata la cosa più bella e commovente dell'intera serata. Valeva la pena sottostare a questo rito della cena solo per vedere quel magnifico sorriso, mi son detto. Ecco! Queste sono quelle piccole cose, quelle banalità quasi, che ti riempiono la giornata, che ti scaldano il cuore. Allora le ho chiesto di che genere di racconti si trattava: "Sono racconti di esperienze varie, anche d'amore. Alcuni sono un pò fantasy".  Sul primo foglio spiccava il titolo"Il faro". Hai letto "La luce sugli oceani?" le ho chiesto..."Parla proprio della vita su un'isola sperduta nell'oceano e di un guardiano di faro"...Allora è scattata a prendere penna e foglietto e si è scritta il titolo. "Grazie! Non l'ho letto, ma è quel genere di romanzi che mi piace. Ho scritto anch'io una storia che parla di un faro..."
Quella sera stessa, invece di scrivere e recitar la parte dell'esperto sul mio solito forum di filosofia, mi sono dedicato alla lettura di quei brevi racconti. C'era curiosità, ma anche il ricordo di quel sorriso ...
Un brevissmo racconto portava il titolo "La solitudine". Ora, ovviamente, non vi riporto per filo e per segno quello che c'era scritto ma ho capito, e ricordato, di come questo sentimento aleggi nella gioventù e si inchiodi nella carne più che nell'età adulta in cui, sempre più spesso, la solitudine viene cercata più che subita ( e questo perché, alla fine, anche le relazioni stancano...). Ma un giovane soffre veramente e spera, sogna...sembra quasi in attesa. Pur con tutti i mezzi, i social, la possibilità di viaggiare, il senso di solitudine incombe sui giovani come una nuvola carica di pioggia che rende grigie le giornate di quello che dovrebbe essere, ma non lo è, il periodo più spensierato della vita. E così la sofferenza imprime il suo marchio, passando attraverso le attese e le speranze di gioia tradite dalla vita.
"Scrivere fa bene" mi son detto. In fondo quella ragazza non aveva perso la sua capacità di sorridere. La sua bellezza era intatta, nonostante le ferite profonde che via via scoprivo immergendomi nella lettura...
Verso l'alba un violento temporale mi ha svegliato. I fogli erano sparsi sul tavolo. Le caprette si agitavano nella stalla. Il vento, passando nelle aperture del granaio di Villa Sariputra, prendeva voce, lamentandosi. Son corso a chiudere le imposte. Mi son fermato ad osservare mia figlia che dormiva profondamente, incurante del fracasso, dei tuoni e dello scricchiolare delle porte. Anche lei aveva un leggero sorriso sul volto. Chissà che starà sognando, mi son chiesto...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

acquario69

#63
Citazione di: Sariputra il 25 Agosto 2017, 11:34:51 AM
 ...ho detto femmina...perché ho detto femmina?...)

Sara stato per via delle potenti forze magnetiche lunari che in riflesso a quello solare ne determinano quello terreste  ;D

Citazione...intuisco sempre quel che vogliono le donne

magari succede che (al contrario) le prime a non saperlo sono proprio loro e dovrebbe essere anche per questo che..come dice Oscar Wilde;
"Le donne non hanno mai niente da dire, ma lo dicono cosi bene.."  ???

Citazione Sul primo foglio spiccava il titolo"Il faro".

allora questa qui sotto e' una canzone che secondo me dovrebbe calzare alla perfezione  ;)
https://www.youtube.com/watch?v=s5qVMqRSX64

acquario69

Caro Sariputra non scrivo qui di nuovo per violare il tuo "spazio sacro" (che del resto credo di poter arrivare a comprendere poiché  vi e' ad oggi la necessita di ritagliarsi un pur piccola nicchia che in qualche modo ci preservi il più possibile integri dalle orde di questi ultimi tempi..)
Ma proprio oggi (coincidenza?) credo di aver provato qualcosa che forse si associa in qualche maniera alla tua descrizione precedente..." perché ho detto femmina ? " (e del resto presumo che dall'altra parte vi sarà al contrario un attributo al maschile) 
comunque sia sara' che anche a me certe cose non mi passano inosservate  :) ..sara appunto quell'enigmatico "magnetismo" che ti dicevo e che in quel preciso momento pare come riuscisse a colpirti dentro cosi da strappare quel velo che pare come nascondere in quell'istante tutti i segreti del mondo (e sottolineo "mondo")

Non so se ti ricordi ma già un altra volta sempre facendo irruzione nel tuo "spazio" ti avrei raccontato di quegli occhi blu..."colore del mare e del cielo messi insieme"
Stavolta lo sguardo e' capitato si incrociasse con degli occhi che mi avrebbero trasportato negli affascinanti deserti arabi,dove il riverbero del sole cade a picco in tutto il suo fulgore all'ennesima potenza... ;D  :)
...e questo come lo sanno intuire bene le donne! (e in quello sguardo sopra descritto sicuro che ci siamo come letti nel pensiero)

puo forse (mi chiedo) esserci un richiamo di tipo archetipo/ancestrale in tutto questo?   ???
diciamo che quest'ultima frase può essere allora intesa in due opposte versioni...
..ma beninteso,senza fare assolutamente della facile ironia,mi viene perciò da pensare a come gli estremi arrivino a toccarsi per poi ricongiungersi...ed arrivare perciò a capire che non vi sarebbe appunto nessuna opposizione.

Sariputra

#65
RICORDI

"Cerca solo quello che non vedi, ché il visibile l'hai già trovato" mi diceva un giorno...quanto tempo era passato?...l'amico Li Tai Pe. Eravamo allora nel suo atelier in Montparnasse con Gauguin e Van Gogh che dipingevano paesaggi bretoni sbirciando Parigi dalla finestra. A quel tempo Li  faceva il pittore di professione e i suoi dipinti li trovavi sempre appiccicati sui muri sporchi di qualche bettola parigina.
Aveva stretto amicizia con Paul e con Pierre Bonnard. Vincent invece se lo teneva in casa solo per far piacere a Paul e mi rammento benissimo le liti che scoppiavano tra i due sulla funzione del colore nell'opera d'arte. Con noi viveva anche Maurice, la bella inserviente del 'Parisien', che talvolta posava come modella. Li non poteva amare Maurice e cercava compagnia tra i marinai che facevano spola tra Bordeaux e il Morocco. A volta rimaneva lontano per giorni interi.
Tentai anch'io di cimentarmi con i colori e i risultati furono incoraggianti. Paul voleva che esponessi al 'Salon des Indipendants' di quell'anno, ma non mi sentivo ancora pronto. Dopo un anno decisi di smettere.
Era stato un anno molto duro: non eravamp riusciti a vendere che pochi quadri e la miseria ci stringeva le budella in quell'inverno del 1875. Soltanto Maurice portava un pò di soldi.
Con quelli vivevamo alla meno peggio.
Paul decise di andarsene appena i bucaneve fecero capolino sulle rive della Senna. Prese un paltò, un paio di mutande e un asciugamano.
Non lo rivedemmo mai più.
Soltanto qualche anno dopo venni a sapere che si era trasferito a Tahiti. Aveva sempre amato il sole e le donne.
Aveva sempre amato la natura.
Per il dolore Vincent si tagliò un orecchio e le sue scappatelle al manicomio cominciarono a farsi più serrate.
Me ne andai anch'io, una mattina di febbraio, quando la nebbia ingrigiva la Senna, su un barcone macilento della 'Società per i trasporti fluviali'.
Li e Maurice vennero a salutarmi.
Li vidi scomparire nella nebbia, con le pesanti sciarpe rattoppate che frustavano l'aria gelida del primo mattino. Mi avevano detto solo:'Addio'...
Quella fu l'ultima volta che vidi Li Tai Pe ...e ancora lo sto cercando.

1980




Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
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Sariputra

#66
-Non mi serve una scopa, Giuseppe. Te ne ho già prese due poco tempo fa, non ricordi?-
- Ma non erano di saggina come questa. Prendila! Quella che hai sotto il portico è consumata ormai...-
-E quanto vuoi?-
-Dieci schei, solo dieci...-
-Ma in bottega costa molto meno! Dai...-
-L'ho pagata sette, giuro. E' una buona scopa, prendila ...Ti faccio bene...otto !-
-Te ne dò sei e tu mi racconti la storiella...-
-Oggi mi sento generoso. Va bene! Sette e la storiella...-
-Andata! Vieni dentro e racconta vicino al caminetto. Appena il sole tramonta, le giornate si fanno subite fredde...-
-Ciao Giuseppe!-
-Ciao V. Sempre più alta e sempre più bella, vedo...-
-Vuoi un pò di caffè caldo? L'ho appena fatto. Papi lo bevi anche tu?-
-Giuseppe, appena si è un pò scaldato, ci racconta la storiella...-
-Ancora?...-
-Deve guadagnarsi gli schei...-
-Ascoltate allora...-

C'era solo "Quello"...
Quello, osservando se stesso, generò  Grande Ignoto e lo pensò come Divenire.
Quello viveva osservando Divenire, ma non era Divenire.
Quello amò Divenire, lo volle proteggere da se stesso e si oscurò, generando Ignoranza.
Ignoranza generò Paura.
Quello viveva osservando Paura, ma non era Paura.
Paura generò Amore, Odio e Bisogno.
I Tre generarono Grande Sete, che Ignoranza chiamò Vita.
Quello osservava Vita, ma non era Vita.
Quello viveva in Vita, ma Vita non lo riconosceva a causa di Ignoranza
che la proteggeva.
Grande Sete generò Infiniti Mondi .
Infiniti Mondi generarono Infinite Creature.
Quello amò Infiniti Mondi e Infinite Creature, ma non era Infiniti Mondi e Infinite Creature.
Amandoli li protesse da se stesso usando Ignoranza.
A causa di Ignoranza le creature si dissero Separate e generarono Grande Inimicizia.
Dalla Separazione sorse "Io sono".
"Io sono" ignorava che era generato da Amore, Odio e Bisogno e che conosceva Paura.
Quello osservava "Io sono", ma non era "Io sono".
"Io sono" disse a se stesso: "Io sono Quello".
Appena lo disse generò Caduta e Illusione.
Caduta e Illusione si cibarono di Amore e di Odio.
Illusione preferì il sapore di Odio a quello di Amore.
Chiamò quindi Odio anche Amore e generò così Brama.
Brama si fece sempre più forte nutrita da Illusione.
Brama disse a se stessa: "Che 'Io sono' non possa finire mai".
Questa Brama di non finire generò Rinascita.
Quello osservava Rinascita, ma non era Rinascita.
Rinascita generò Dolore.
Dolore disse a se stesso: "Che 'Io sono' non possa soffrire più".
Da questo desiderio di Dolore sorsero Dio e Ragione.
Quello osservava Dio e Ragione, ma non era Dio e Ragione.
Quello allora osservò Dolore.
Questa visione generò Saggezza.
Saggezza generò Compassione.
Compassione generò Sacrificio per 'Non io'.
Sacrificio generò Distacco.
Distacco generò Liberazione.
In Liberazione cessò Paura,
Cessando Paura cessò Ignoranza.
Quello allora osservò il Cessare di Ignoranza e riposò nella Cessazione.

-Che filastrocca! Ma come fai a ricordartela tutta?-
-Perché ognuno è il nome di una scopa!-
-Sei sempre il solito Giuseppe-
-Adesso vado. Grazie per il caffè!-
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Sariputra

Una brezza gelida scende dal monte. Le collanine appese all'entrata tintinnano dolcemente. Dal portico si può ammirare il cielo.
-Un altro anno che sta finendo...Il cesto si sta riempiendo...-
-Perché guardi il cielo?-
-E' immenso...-
-Più del tuo sguardo?-
-Immenso...più di ogni sguardo.-
-Cosa vuoi dire con questo? Intendi che nessun nostro sguardo può contenere questo cielo macchiato di luci?--
-Anche il nostro sguardo è un cielo...-
-Cosa intendi?-
-Significa che i cieli sono sguardi e gli sguardi cieli. L'uno può penetrare nell'altro, ma nessun sguardo può contenere l'altro...-
-Ma, Venerabile...non avevi detto che questo cielo lontano è più immenso del nostro sguardo?...-
-Appunto, Sari...Si gela qui fuori. Ti rimane ancora un pò di quella sambuca...?-

In ricordo di Ferruccio Masini che, consapevole dell'ormai imminente fine, stupisce con "Pensare il Buddha"...

https://www.youtube.com/watch?v=nIerHidEU4Q
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
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Sariputra

#68
PICCOLI IPPOPOTAMI

-Continua a piovere e non posso potare le ultime viti. Che disdetta!-
-Va là che di domenica il tuo piacere più grande è raccontar balle...-
-Sogni, non balle...C'è una leggera differenza...-
-E qual'è l'ultimo ? se ti va di raccontarlo...ma poi...che te lo chiedo a fare...si sa che non aspetti altro.-
-Ho fatto un sogno stranissimo, alcune notti fa, ma me lo ricordo perfettamente.  Ero sul muro della roggia e mi sembrava di star tagliando il nocciolo che è cresciuto spontaneo, quando...beh! Sai che il muro della roggia ha un'apertura dove un tempo le donne lavavano a mano la biancheria...-
-Sì, certo, dove mi metto di solito a pescare...-
-Sì, non raccontarlo in giro, che è zona di divieto...-
-Apposta vengo a pescare. Dove c'è il divieto si sa che la popolazione cresce indisturbata e si moltiplica...-
-Allora...da quell'apertura , improvvisamente, cominciano ad uscire dall'acqua corrente della roggia tanti piccoli ippopotami.  Salgono piano , uno dietro l'altro, a volte accavvallandosi tra loro, pestandosi, sbuffando. Una scena incredibile, ed io...-
-E tu?...-
-Ero felice. Tutto qua. Ero semplicemente felice.-
-E com'è finito?-
-Niente. Son usciti tutti, una marea di piccolissimi ippopotami, e si sono sparpagliati in giro per il giardino, menando il culotto cicciotello. Uno spasso...-
-Bah...che significato può avere secondo te?-
-Eh...ho i miei informatori al riguardo. Tu sai chi...Allora...sognare piccoli ippopotami può significare che si accetta e si desidera la dimensione genitoriale, di padre. Si sente la necessità di prendersi cura dei piccoli, di vedere il mondo in una luce diversa, adatta ai più piccoli e indifesi...
-Bello, mi sembra...Fai altri figli allora...-
-No, non capisci...il primo atto è invece liberarsi da tutto ciò che è costruito contro...-
-Ossia?-
-Buttare nel cesso l'Infinito di Leopardi, per esempio. Pulircisi con dovizio il didietro...-
-Bene!Approvo. L'ho sempre detestato. Basta con sta disperazione da quattro soldi. Viva gli ippopotami!...-
-I bambini non vogliono disperazione , scetticismo e cinismo. Vogliono giocare con gli ippopotami...-
-Esatto. E poi , diciamocelo, se invece di menarsela con le morte stagioni, avesse giocato un pò di più all'aperto, con gli altri bambini, senza rovinarsi la salute, l'avrebbe scritta quella porcheria? Dai...-
-Più che una porcheria è...è...una cosa malsana...malata.-
-Giusto! Ineccepibile. E poi...vediamo...cos'altro butteresti ?-
-Tutti i libri di filosofia.-
-Ahhhh! Che spassoooo...sììììììì. Qui ti volevo...Tutti come tutti tutti? Anche quelli che sappiamo? Quelli che tieni sotto chiave?-
-Sì, anche quelli. Mi farà un pò male, ma è necessario. Per i piccoli...-
-Se è per i piccoli, posso aiutarti.  Ho grande esperienza di falò...
-Già, però stai attento, che l'anno scorso a momenti mi bruciavi il capanno degli attrezzi...-
-C'era del vento...vento primaverile. Aizza bene...-
-Poi dobbiamo eliminare tutte quelle opere d'arte tristi, contrite, funeree, piene di color grigio e di nero. Di artisti depressi, sfiduciati, suicidandi. Quelle che guardandole capisci subito che son fatte con il fegato e non con il cuore. Basta con 'sto mortorio, l'arrivo degli ippopotami è chiaramente simbolico. Non lascia spazio a dubbi. E' arrivato di nuovo il tempo della speranza. Il tempo delle ombre deve chiudersi...-
-Distruggiamo tutto il nero e il grigio. Anche la gente nera e grigia...che ne dici?-
-Quelli spariranno da soli con un grande ululato. Torneranno al mondo delle ombre che li ha partoriti. Saranno sommersi dalle risate e dai colori dei bambini che corrono in groppa ai piccoli ippopotami...-
-L'ippopotamo che gridava amore al cuore del mondo...ti ricorda qualcosa?-
-La bestia che gridava amore al cuore del mondo di Harlan Ellison...-
-Sììì, mon amì...sìì..la bestia che gridava amore...l'ho subito vista appena mi hai raccontato il sogno.-
-Cosa aggiungi nella tua furia iconoclasta, di distruzione delle ombre? -
-Tutti i trattati scientifici. Al cesso pure loro, insieme a quelli religiosi. Non facciamo preferenze. E' sempre la solita solfa. Tutti che vogliono redimere. Colpa, redenzione, salvezza o ignoranza, conoscenza, progresso è sempre lo stesso processo in atto, han solo cambiato nome per confonderci.-
-Perfettamente d'accordo. Sembrano farsi la guerra e invece son solo l'uno il figlio dell'altro. Prima si correva al confessionale, adesso ci si rovina dallo psicologo e dal farmacista...-
-I bambini devono giocare lontano dagli ospedali. Se sei felice...non t'ammali!-
-Guarda me. Butto tutto in vacca e, in cinquant'anni, neanche una malattia seria...-
-Accettare di morire-
-Se sei felice non hai tempo per aver paura della morte. Se sei un'ombra temi la morte. se sei colore non puoi che rinascere colore...-
-O piccolo ippopotamo...-
-Già...o come piccolo ippopotamo.-
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Domingo94

A furia di pensarci troppo impazzisci, io seguo il mio cuore e mi affido a Dio

Sariputra

Citazione di: Domingo94 il 12 Marzo 2018, 02:41:07 AMA furia di pensarci troppo impazzisci, io seguo il mio cuore e mi affido a Dio

E fai bene...le ragioni del cuore spesso sono più fondate di quelle della mente.  ;)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Domingo94


Sariputra

PICCOLI IPPOPOTAMI 2
-Adesso...dopo la "distruzione"...me ne spieghi il motivo?-
-La "distruzione" ,  esemplificata pure in un linguaggio diciamo...poco rispettoso, quasi da 'caduta di stile', è in realtà un processo spirituale necessario.
Lo diventa a maggior ragione in questi tempi che siamo chiamati a vivere, ma lo è sempre stato...
L'obiettivo è quella libertà dal 'conosciuto' che ci ingabbia e costruisce, quasi sempre a nostra insaputa, la forma stessa della nostra mente. Realizzare quell'attitudine che lo zen chiama "mente di principiante" e che giunge ad invitare di "uccidere" anche il Buddha stesso se, per caso, ti trovi ad incontrarlo per la via.
In realtà non voglio togliere, né lo potrei, alcun valore a Leopardi, o a i trattati scientifici , o a quelli religiosi. Voglio togliere semplicemente la presa che esercitano su di me...
Rendersi conto che sono soprattutto quelli che amiamo di più che hanno la presa più forte e condizionante. 
Poi in seconda battuta, ma non meno importante per me, liberarsi dal concetto di autorità.
Questo è talmente radicato in noi...che letteralmente non ci accorgiamo di come agiamo conformandoci ad esso. Pensare che, perché un filosofo ha detto così, uno scienziato colà, un poeta quest'altro, ecc. noi dobbiamo smettere di investigare, è assolutamente stupido.
Non possiamo semplicemente delegare all'autorità di "chi sa" la nostra vita. Dobbiamo essere noi che scopriamo quello che dobbiamo sapere per la nostra vita. Scopriamo e valutiamo quel che serve a noi...
Naturalmente non ci si libera solo prendendo un condizionamento e...poggiandolo da un'altra parte. Dobbiamo tagliere la radice del nostro "appiglio" interiore. Tagliere la radice comporta vedere l'inconsistenza del nostro valutarci e giudicarci in base a parametri stabiliti da altri. Questo ovviamente comporta il non paragonarsi mai a nessuno. Non c'è alcuna necessità, in realtà, di paragonarci agli altri. Questo continuo paragonarci è una delle cause più profonde dell'insorgere della nostra sofferenza e insoddisfazione...
Posso vivere la mia vita senza paragonarmi agli altri? Sembra una stupidaggine, ma quando proviamo a farlo, ci accorgiamo di quanto profonda è questa abitudine mentale, questo condizionamento. se siamo sufficientemente onesti con noi stessi lo vediamo, ne prendiamo atto e...tentiamo di metterlo da parte. Già questo libera uno spazio immenso . La nostra energia mentale non viene più sacrificata per rimuginare di continuo quanto siamo diversi , superiori o inferiori agli altri, e possiamo adesso utilizzarla per osservare, dentro e fuori di noi...
E' quasi come avere un frigorifero così pieno che ci è impossibile pulirlo. Il paragone è interessante perché anche il frigo contiene molte cose utili e importanti per noi, per alimentarci e placare la fame. Per pulirlo e farlo splendere dalle incrostazioni che si sono accumulate, dobbiamo però prendere le cose che vi sono riposte e, un pò alla volta, metterle da una parte.
Abbiamo così la possibilità di fare un'ottima pulizia...
Naturalmente non buttiamo via niente, quelle cose ci servono, sono utili. Possiamo poi rimetterle nel frigo, perché adesso non ci sono più quelle incrostazioni sudice che quasi le incollavano . Rimettendole ci accorgiamo pure di quante sono diventate inutili, oppure scadute o deteriorate e allora...possiamo gettarle, non hanno più 'presa' su di noi...
E' incredibile scoprire di quante cose possiamo fare a meno perché si sono deteriorate...
Quando abbiamo gettato tutto il vecchio, ci ritroviamo un frigo con molto più spazio. E' anche molto più bello da vedere, molto più presentabile. Se arriva poi un amico , con una buona bottiglia di vino o una torta...ecco che puoi dirgli:"Mettila pure nel frigo, che la serviamo bella fresca alla fine della cena"...
Abbiamo molto più spazio da condividere, ora che abbiamo fatto pulizia.
Liberarci dall'idea condizionante che, il nostro giudizio sulla vita, ci deve venire da qualcun altro è una forma di catarsi spirituale incredibile. La vastità della libertà che se ne prova è solamente sperimentabile direttamente. Posso sentirmi realmente 'guarito' da molta insoddisfazione e sofferenza e non provare più  alcun bisogno di difendere il mio condizionamento dai condizionamenti altrui. 
Rimane sempre un esercizio continuo di pulizia interiore perché, proprio come il frigo, la mente tenderà nuovamente ad accumulare idee, pareri, opinioni, affascinata da "chi sa", che poi inizieranno a deteriorarsi e a marcire...
Per questo mi piace l'immagine della freschezza dei bimbi che corrono in groppa a piccoli ippopotami. C'è libertà priva di condizionamento....sembra quasi un movimento di acqua che scorre. E infatti i piccoli ippopotami sono usciti sbuffando dall'acqua corrente...-
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

Citazione di: Sariputra il 14 Marzo 2018, 11:50:27 AMPICCOLI IPPOPOTAMI 2 -Adesso...dopo la "distruzione"...me ne spieghi il motivo?- -La "distruzione" , esemplificata pure in un linguaggio diciamo...poco rispettoso, quasi da 'caduta di stile', è in realtà un processo spirituale necessario. Lo diventa a maggior ragione in questi tempi che siamo chiamati a vivere, ma lo è sempre stato... L'obiettivo è quella libertà dal 'conosciuto' che ci ingabbia e costruisce, quasi sempre a nostra insaputa, la forma stessa della nostra mente. Realizzare quell'attitudine che lo zen chiama "mente di principiante" e che giunge ad invitare di "uccidere" anche il Buddha stesso se, per caso, ti trovi ad incontrarlo per la via. In realtà non voglio togliere, né lo potrei, alcun valore a Leopardi, o a i trattati scientifici , o a quelli religiosi. Voglio togliere semplicemente la presa che esercitano su di me... Rendersi conto che sono soprattutto quelli che amiamo di più che hanno la presa più forte e condizionante. Poi in seconda battuta, ma non meno importante per me, liberarsi dal concetto di autorità. Questo è talmente radicato in noi...che letteralmente non ci accorgiamo di come agiamo conformandoci ad esso. Pensare che, perché un filosofo ha detto così, uno scienziato colà, un poeta quest'altro, ecc. noi dobbiamo smettere di investigare, è assolutamente stupido. Non possiamo semplicemente delegare all'autorità di "chi sa" la nostra vita. Dobbiamo essere noi che scopriamo quello che dobbiamo sapere per la nostra vita. Scopriamo e valutiamo quel che serve a noi... Naturalmente non ci si libera solo prendendo un condizionamento e...poggiandolo da un'altra parte. Dobbiamo tagliere la radice del nostro "appiglio" interiore. Tagliere la radice comporta vedere l'inconsistenza del nostro valutarci e giudicarci in base a parametri stabiliti da altri. Questo ovviamente comporta il non paragonarsi mai a nessuno. Non c'è alcuna necessità, in realtà, di paragonarci agli altri. Questo continuo paragonarci è una delle cause più profonde dell'insorgere della nostra sofferenza e insoddisfazione... Posso vivere la mia vita senza paragonarmi agli altri? Sembra una stupidaggine, ma quando proviamo a farlo, ci accorgiamo di quanto profonda è questa abitudine mentale, questo condizionamento. se siamo sufficientemente onesti con noi stessi lo vediamo, ne prendiamo atto e...tentiamo di metterlo da parte. Già questo libera uno spazio immenso . La nostra energia mentale non viene più sacrificata per rimuginare di continuo quanto siamo diversi , superiori o inferiori agli altri, e possiamo adesso utilizzarla per osservare, dentro e fuori di noi... E' quasi come avere un frigorifero così pieno che ci è impossibile pulirlo. Il paragone è interessante perché anche il frigo contiene molte cose utili e importanti per noi, per alimentarci e placare la fame. Per pulirlo e farlo splendere dalle incrostazioni che si sono accumulate, dobbiamo però prendere le cose che vi sono riposte e, un pò alla volta, metterle da una parte. Abbiamo così la possibilità di fare un'ottima pulizia... Naturalmente non buttiamo via niente, quelle cose ci servono, sono utili. Possiamo poi rimetterle nel frigo, perché adesso non ci sono più quelle incrostazioni sudice che quasi le incollavano . Rimettendole ci accorgiamo pure di quante sono diventate inutili, oppure scadute o deteriorate e allora...possiamo gettarle, non hanno più 'presa' su di noi... E' incredibile scoprire di quante cose possiamo fare a meno perché si sono deteriorate... Quando abbiamo gettato tutto il vecchio, ci ritroviamo un frigo con molto più spazio. E' anche molto più bello da vedere, molto più presentabile. Se arriva poi un amico , con una buona bottiglia di vino o una torta...ecco che puoi dirgli:"Mettila pure nel frigo, che la serviamo bella fresca alla fine della cena"... Abbiamo molto più spazio da condividere, ora che abbiamo fatto pulizia. Liberarci dall'idea condizionante che, il nostro giudizio sulla vita, ci deve venire da qualcun altro è una forma di catarsi spirituale incredibile. La vastità della libertà che se ne prova è solamente sperimentabile direttamente. Posso sentirmi realmente 'guarito' da molta insoddisfazione e sofferenza e non provare più alcun bisogno di difendere il mio condizionamento dai condizionamenti altrui. Rimane sempre un esercizio continuo di pulizia interiore perché, proprio come il frigo, la mente tenderà nuovamente ad accumulare idee, pareri, opinioni, affascinata da "chi sa", che poi inizieranno a deteriorarsi e a marcire... Per questo mi piace l'immagine della freschezza dei bimbi che corrono in groppa a piccoli ippopotami. C'è libertà priva di condizionamento....sembra quasi un movimento di acqua che scorre. E infatti i piccoli ippopotami sono usciti sbuffando dall'acqua corrente...-

Ottime riflessioni, Sari, condivido in toto  ;)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

Discorso

Illustre Professor Heidegger,
Illustre Signora Heidegger,
Gentilissimo Sindaco Schühle,
Signore e signori,

   È un grande onore, non solo per me ma per la filosofia giapponese, poter tenere un discorso per l'ottantesimo compleanno del nostro grande pensatore. Perciò ringrazio di cuore le persone che hanno organizzato questa cerimonia.
   Il motivo per cui l'onorato compito è stato affidato a me, un ignoto giapponese, consiste probabilmente nel fatto che io, un allievo giapponese di Heidegger, se così posso dire, vengo da lontano. Dietro questo venire da lontano, però, corre una via piuttosto lunga, lungo la quale molti giapponesi hanno tentato, e oggi tentano sempre di più, di giungere in prossimità del luogo nel quale soggiorna [sich aufhält] il pensiero del nostro maestro. Mi si lasci allora ricordare brevemente alcuni importanti predecessori su questa via.
   Era il 1921 l'anno in cui per la prima volta un giapponese studiò presso il nostro pensatore durante la docenza a Friburgo. Il suo nome è Tokuryū Yamanouchi, più tardi fondatore dell'Istituto di Filosofia greca presso l'Università di Kyōto. Un anno dopo, nel 1922, arrivò a Friburgo il mio maestro Hajime Tanabe. Egli fu, per quanto io sappia, il primo a scoprire l'importanza del pensiero heideggeriano; non solo in Giappone, ma forse nel mondo intero. Nel suo saggio del 1924, Neue Wendung der Phänomenologie - Heideggers Phänomenologie des Lebens1, si può già ravvisare una prima versione di Sein und Zeit. Tanabe ha proseguito il suo dialogo con il pensiero di Heidegger fino alla morte, avvenuta nel 1962, ed è rimasto il pensatore più significativo del Giappone. Nei suoi ultimi anni, mi disse una volta: «Heidegger, a mio parere, è l'unico pensatore dopo Hegel». Poi, a Marburgo arrivò da Heidegger il barone Shūzō Kuki. A lui noi giapponesi dobbiamo la prima affidabile delucidazione di Sein und Zeit. Purtroppo, morì troppo presto, nel 1941. Nell'inquieto periodo degli anni trenta, il mio maestro e predecessore alla cattedra dell'Università di Kyōto, Keiji Nishitani, frequentò a Friburgo le lezioni di Heidegger su Nietzsche. Grazie alla profonda interpretazione di Nishitani diventò per noi accessibile il tardo pensiero di Heidegger, ad esempio quello espresso nel saggio su Der Ursprung des Kunstwerkes. Egli appartiene oggi, a mio parere, alla cerchia di coloro che nel modo più profondo comprendono il pensiero di Heidegger. Già da mezzo secolo, vi è così anche da noi in Giappone, in particolare all'Università di Kyōto, una continua assimilazione e trasmissione del pensiero heideggeriano. E così, anche a nome del mio maestro e predecessore ora ricordato, esprimo qui la nostra venerazione e la nostra riconoscenza al professor Heidegger.
   La lunga via prima accennata indica che il pensiero di Heidegger mantiene secondo noi un rapporto particolarmente importante con la filosofia giapponese. Di qui il titolo di questo discorso di festeggiamento, che da parte nostra vorrebbe essere un discorso di ringraziamento.
   Per tentare di descrivere questo rapporto, dobbiamo partire innanzitutto da una definizione e da una difficoltà costitutiva [Wesensnot] della filosofia giapponese. Se si considera la filosofia giapponese nel senso della filosofia in Giappone, allora anche là vi sono quasi tutti gli indirizzi della filosofia contemporanea. Essendo stati importati quasi tutti dall'Europa e dall'America, essi non costituiscono per noi un pensiero autoctono. Ma se intendiamo per "filosofia giapponese" quello sforzo di pensiero che non trae origine dal luogo [Ort] della filosofia occidental-europea, bensì sgorga dal fondo sorgivo della nostra propria tradizione spirituale, allora tale filosofia è qualcosa di molto raro. Vorrei qui di seguito intendere la "filosofia giapponese" in quest'ultimo senso; e questa filosofia vive un'essenziale difficoltà [wesentlichen Not].
   Noi giapponesi, fin dall'antichità, siamo in un certo senso degli uomini naturali. Vale a dire che non vogliamo in alcun modo signoreggiare sulla natura, mentre invece vorremmo vivere e morire quanto più è possibile in un modo conforme alla natura. Un comune giapponese disse ai suoi dal letto di morte: "Sto per morire. Come le foglie cadono in autunno." E un maestro zen, per così dire il progenitore della mia personale pratica zen, prossimo a morire rifiutò un'iniezione e disse: "Perché prolungare la vita con una tale forzatura?" Invece di prendere il farmaco, bevve un sorso del suo vino di riso preferito e morì in pace [gelassen]. Se ben cosiderato, qui si avverte un contrasto stridente tra la tradizione spirituale antico-giapponese e una vita determinata dalla tradizione spirituale europea e dalla scienza e tecnica europee. In breve, vivere e morire secondo natura: questo era, per così dire, un ideale per l'antica saggezza giapponese.
   Questo naturalmente non significa che noi giapponesi non abbiamo volontà, ma che al fondo della volontà regna la natura. La volontà è nata in prima ed ultima istanza dalla natura e sparirà nella natura, la quale però si sottrae ad ogni oggettivazione scientifica, pur rimanendo dappertutto presente. Natura in giapponese si dice shizen o jinen, "esser così come è da sé"; in breve, "esser sé" e "esser vero". Perciò "natura" nel giapponese antico era sinonimo di libertà e verità. Questa concezione della natura è stata approfondita attraverso la "visione della transitorietà e della vacuità" di tutte le cose, propria del buddhismo.
   Per mettere in luce la costitutiva difficoltà [Wesensnot] della filosofia giapponese nel senso già detto, volgiamo ora brevemente lo sguardo verso l'altro aspetto della questione. A partire dall'europeizzazione del Giappone, iniziata circa cento anni fa, abbiamo introdotto con tutte le forze la cultura e la civiltà europee in quasi tutte le sfere della nostra vita. L'europeizzazione è stata per noi una necessità storica, onde poter conservare la nostra indipendenza nel mondo attuale, vale a dire nell'ambito di potenza [Machtbereich] determinato dalla volontà. Ma, nel contempo, in essa vi è il pericolo di smarrire la nostra peculiare essenza, prima accennata. Per scongiurarlo, l'europeizzazione del Giappone è avvenuta grosso modo senza un'intrinseca connessione con la nostra tradizione spirituale. Da allora abbiamo dovuto subire nel più profondo del nostro esserci una grave scissione, quella tra il nostro modo di vivere e pensare, conforme alla natura, e la maniera occidentale di vivere e pensare, determinata dalla volontà, che siamo stati costretti ad accettare. Questa scissione rimane per lo più eufemisticamente velata e tuttavia visibile in una formula nata allora, "spirito giapponese e tecnica europea". Per tale "abilità" si intendono innanzitutto la scienza e la tecnica moderne. La scissione persiste ancora oggi nella nostra vita quotidiana. Noi "giapponesi europeizzati" dobbiamo condurre più o meno una doppia vita.
   Riportare in qualche modo ad un'unità originaria questa scissione dovrebbe  essere, a mio parere, il vero compito di una filosofia giapponese. Tuttavia, a prescindere da pochi tentativi, non le è ancora riuscito. Grosso modo, la filosofia giapponese è anch'essa rimasta nella stessa non mediata scissione, "spirito giapponese e tecnica europea", e lo è in una misura ancora maggiore. I vari indirizzi della filosofia europea, che dalla seconda metà del secolo scorso abbiamo tentato di trapiantare nel nostro Paese, non hanno potuto mettere radici nel nostro terreno; mentre, invece, sono stati quasi tutti semplicemente imitati come una moda o, al massimo, impiegati in un ambito limitato, come scienza e tecnica, al servizio della nostra vita sociale. Così, già il nome "filosofia giapponese" è un segno della sua originaria difficoltà costitutiva [Wesensnot]. Questa difficoltà proviene, da una parte, dal fatto che noi abbiamo accolto la filosofia europea senza un sostanziale confronto critico con il fondo sorgivo della nostra tradizione spirituale; dall'altra, dal fatto che i maggiori indirizzi filosofici non ci hanno permesso di toccare e di scuotere proprio quel fondo sorgivo della nostra vita spirituale.
   Ma con il pensiero di Heidegger si tratta di tutt'altro. Ciò che grazie al suo pensiero diventa degno di domanda [fragwürdig] è quel che noi già siamo e quel che di noi viene già in qualche modo compreso in una maniera non oggettiva; e che perciò nella scienza e nella filosofia rimane costantemente omesso, saltato [übersprungen]. A me sembra che la cosa in questione nel pensiero [die Sache des Denkens] di Heidegger conservi sempre questo carattere. Perciò, la cosa in questione nel suo pensiero si sottrae nella sua verità, non appena la si voglia semplicemente rappresentare, cogliere e sapere. E perciò il suo pensiero, per principio, rimane inimitabile. La cosa in questione più importante nel suo pensiero, accennata forse con la parola greco-antica alētheia (non-latenza), potrebbe essere esperita, in uno sguardo retrospettivo alla filosofia occidentale, e cioè alla metafisica, come un fondo nascosto della metafisica stessa. Così, la cosa stessa in questione, propria del nostro pensatore, ha dovuto richiedere un mutamento del pensiero – ossia il mutamento del pensiero filosofico in "un altro pensiero". Solo grazie a questo altro pensiero, ossia al "passo indietro [Schritt zurück] dalla filosofia", è stato "propriamente" scorto il "proprio" del pensiero filosofico, ossia dell'essenza [Wesen] del mondo occidentale e della sua umanità. Questo è un evento [Ereignis] inaudito. In questo senso, noi giapponesi vediamo nel pensiero di Heidegger uno scorger-si del "proprio" dell'umanità occidentale e del suo mondo.
   In considerazione di questo pensiero, anche noi giapponesi dovemmo necessariamente essere di nuovo gettati [zurückgeworfen] sul terreno dimenticato della nostra tradizione spirituale. Se posso qui riportare qualcosa di personale, subito dopo il primo incontro con Sein und Zeit, ancora nel periodo liceale, io sentii che almeno per noi giapponesi l'unico possibile accesso ad una reale comprensione di quest'opera di pensiero fosse nascosto nella nostra tradizione del buddhismo zen. Poiché il buddhismo zen non è altro che un intuire [Durchblicken] quel che noi stessi siamo. In vista di tale intuire, dobbiamo rinunciare al rappresentare, produrre, riprodurre, disporre, operare, fare e volere, in breve all'intera coscienza e alla sua attività, e ritornare su tale via al suo fondo sorgivo. Così dice anche uno dei più grandi maestri zen: «Devi innanzitutto imparare (...) il passo indietro [Schritt zurück]» (Dōgen, Fukan zazenji).
   E tuttavia, cos'ha a che fare il pensiero di Heidegger con il buddhismo zen? Forse nulla, da parte di questo pensiero che è un pensiero del tutto indipendente. Ma, da parte nostra, abbiamo moltissimo a che fare con questo pensiero. Qui dobbiamo limitarci a menzionare solo qualcosa del notevole rapporto tra il pensiero di Heidegger e il nostro buddhismo zen: a proposito dell'«albero in fiore», di cui una volta ha parlato Heidegger2.
   Lì, l'albero è in fiore. Heidegger così parla di questa semplice cosa: «Stiamo davanti ad un albero in fiore - e l'albero sta davanti a noi». Chiunque può dirlo. Poi, Heidegger descrive così questa situazione: «Ci poniamo di fronte ad un albero, davanti ad esso, e l'albero ci si presenta [davanti a noi]». Già appare la singolarità del suo pensiero: abitualmente, in tedesco si dice "noi ci (= a noi, dativo) rappresentiamo [stellen uns ... vor] un albero"; Heidegger dice invece «(Noi) ci (= noi, accusativo) poniamo di fronte [stellen uns ... gegenüber] ad un albero, davanti ad esso». Cosa accade in questa descrizione? Forse nient'altro che lo sparire del "noi" come soggetto che rappresenta e, nel contempo, dell'"albero" come oggetto rappresentato.
   Da Descartes in poi, pensare significa sempre: io penso, ossia io rappresento a me. Che io penso, Descartes lo intende a partire da ciò: io penso. Cogito significa "cogito me cogitare". Da ciò deriva la filosofia dell'Idealismo trascendentale e il principio schopenhaueriano, "il mondo è la mia rappresentazione". Al contrario, Heidegger descrive la situazione nel modo esposto prima. La situazione, in cui noi stiamo davanti ad un albero in fiore e l'albero sta davanti a noi, il nostro pensatore non la pensa o vede più a partire dall'"io penso", bensì dal "ci" [»Da«], dove sta l'albero, che è il suolo «dove viviamo e moriamo». Nella sua descrizione, noi siamo «saltati lontano dal consueto campo [Bereich] delle scienze e anche (...) della filosofia». Di fronte alla semplice cosa che lì l'albero è in fiore, noi, come soggetto che rappresenta, e l'albero, come oggetto rappresentato, non possiamo che sparire in un altro "rappresentare". Altrimenti nemmeno potremmo realmente guardare l'albero lì in fiore. Il buddhismo zen caratterizza questa situazione, ad esempio, in questo modo: «L'asino guarda nel pozzo e il pozzo nell'asino. L'uccello guarda il fiore e il fiore guarda l'uccello».
   Questo altro "rap-presentare" [»Vor-stellen«], in cui l'albero si presenta [sich vorstellt] e l'uomo si pone [sich stellt] di fronte all'albero, potremmo forse indicarlo come un rappresentare abbandonato [gelassenes]; al contrario, l'"io mi [= a me, dativo] rappresento" può essere definito per così dire un rappresentare volitivo [willentliches]. Noi dobbiamo saltare [springen] da questo a quello. Heidegger parla così di questo salto [Sprung]: dobbiamo dapprima «saltare sul suolo dove viviamo e moriamo», cioè «dove propriamente stiamo». Solo attraverso questo singolare salto, viene aperto un campo [Bereich], nel quale «l'albero e noi siamo». In questo campo, denominato «contrata» [Gegnet], l'albero ci si presenta davanti, come quello che è, e noi ci poniamo, così come siamo, di fronte all'albero in fiore. E tuttavia, questo campo è quello nel quale fin dall'inizio noi abitiamo e l'albero sta.
   Vorrei ora riportare dal buddhismo zen un esempio abbastanza adeguato. È un famosissimo kōan, un problema zen. Una volta, un monaco chiese al maestro Chao-Chou: «Perché il primo patriarca Bodhidharma è venuto in Cina?». E Chao-Chou rispose: «Cipresso nel giardino». Il monaco chiese di nuovo: «Maestro, ti prego, non ricorrere ad un oggetto!» Chao-Chou disse: «Non ricorro ad un oggetto.» Allora il monaco chiese ancora: «Perché il primo patriarca Bodhidharma è venuto in Cina?». Chao-Chou rispose: «Cipresso nel giardino».
   Si comprende da sé che il primo patriarca dall'India sia venuto in Cina per trasmettere la verità buddhista. Perciò la domanda del monaco vuol dire: «Qual è la prima e ultima verità buddhista?». La risposta di Chao-Chou suona semplicemente: «Cipresso nel giardino». Questa risposta illumina come un lampo, che con un solo colpo stende al suolo la domanda insieme al monaco che la pone e, nel contempo, fa balenare nuda e cruda la verità richiesta. Con una tale risposta, il monaco dovrebbe improvvisamente saltare [springen] sul suolo sul quale egli e il cipresso già sono. Ma il lampo non colpisce il monaco. Egli non bada alla risposta stessa di Chao-Chou, bensì al suo riferimento, il cipresso nel giardino come oggetto rappresentato. Per cui deve pregare: «Non indicare (la verità), ricorrendo ad un oggetto». Poiché fin dall'inizio il maestro Chao-Chou non l'ha indicata ricorrendo ad un oggetto, la sua risposta alla domanda riproposta suona esattamente come prima. Ma il monaco non arriva al salto, cioè al risveglio. Rimane ancora legato al rappresentare, al vedere e al pensare oggettivanti.
   Aggiungerei che Chao-Chou avrebbe potuto anche non dare la risposta «Cipresso nel giardino». Laddove l'albero è, così come è, e noi siamo, così come siamo, là è [west] la verità buddhista, che proprio per questo non ha più bisogno di essere indicata espressamente come verità buddhista. Il primo patriarca avrebbe potuto non arrivare in Cina da un mare pieno di pericoli; tuttavia, dovette venire; tuttavia, Chao-Chou dovette espressamente dire: «Cipresso nel giardino»; tuttavia, Heidegger deve pensare, domandare ed espressamente dire, ad esempio: «Dobbiamo dapprima saltare sul suolo dove viviamo e moriamo». Perché è necessario questo "tuttavia"? Poiché dobbiamo dapprima saltare sul suolo dove viviamo e moriamo; poiché, nell'oblio del suolo che calpestiamo, noi erriamo in ogni momento di qua e di là. Perfino la risposta di Chao-Chou, «cipresso nel giardino», può farci errare. Noi dobbiamo rendere superflua tale risposta.
   In breve, tra l'heideggeriano "singolare salto" e il nostro "non abbiamo bisogno e tuttavia..." vi è a mio avviso un rapporto profondamente nascosto. Heidegger chiede: «Che cosa succede quando l'albero si presenta a noi e noi ci poniamo di fronte all'albero?» Con lui si potrebbe forse rispondere: «La contrada [Gegend] (o piuttosto la contrata) raccoglie, sebbene nulla avvenga, ogni cosa nel suo rapporto ad ogni altra, facendola permanere nell'acquietarsi in se stessa».3 Questa contrata è, nella nostra prospettiva, il "campo del Buddha" [»Bereich des Buddha«], cioè il campo della verità. Se il maestro zen giapponese Dōgen avesse ascoltato la domanda di Heidegger, avrebbe forse risposto così: «Nell'attimo in cui un vecchio susino fiorisce, nel suo fiorire avviene [ereignet sich] il mondo» (Shōbōgenzō, cap. Baika).
   Alla fine dell'esempio dell'albero in fiore, Heidegger ha ammonito e richiesto: «Finalmente si tratta, prima di ogni altra cosa, di non lasciar cadere l'albero in fiore, ma di lasciarlo stare là dov'è»4. In un altro contesto, ma in fondo nello stesso senso, anche nello zen siamo ammoniti dal kōan del cipresso nel giardino: «Non abbattere, non spezzare quell'albero lussureggiante; nella sua fresca ombra riposano gli uomini».
   Potremmo ora, ricordando ciò che è stato detto, riassumere forse nel modo seguente: il pensiero di Heidegger e il buddhismo zen concordano almeno nello stendere al suolo il pensiero rappresentativo. Il campo della verità, che ne è aperto, indica in entrambi un'affinità non ancora sufficientemente chiarita, ma molto intima. Tuttavia, mentre il buddhismo zen non arriva ancora a chiarire, pensando, il campo della verità (ovvero della non-verità) nei suoi tratti essenziali, il pensiero di Heidegger tenta incessantemente di mettere in luce i tratti essenziali della alētheia (non-latenza). Questa differenza ci fa scorgere una lacuna nel buddhismo zen, almeno nella sua forma tradizionale. Ciò che manca al buddhismo zen tradizionale è un epocale pensiero e messa in questione del mondo. Su questa questione del mondo noi dobbiamo risolutamente imparare ed apprendere dal pensiero di Heidegger; in particolare dalla sua inaudita nozione di "installazione" [»Gestell«] come essenza della tecnica. Altrimenti, lo stesso buddhismo zen potrebbe diventare un albero secco. Altrimenti, nessuna via potrebbe essere percorsa dallo zen verso una possibile filosofia giapponese.

     Stasera c'è una festa. Il nostro anziano grande pensatore è tornato al paese. Per festeggiare il suo ritorno al paese [Heimkunft], vorrei chiudere questo discorso di festeggiamento e ringraziamento con una nostra antica poesia:
«Torniamo al paese! Verso Sud, Nord, Est ed Ovest. Nel fondo della notte, guardiamo insieme la neve sulla rupe dai mille strati».

-CONTINUA-
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

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