Senza Dio la storia umana è priva di senso

Aperto da Alexander, 22 Ottobre 2021, 10:14:37 AM

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Alexander

Buondì a tutti


Riprendo una riflessione apparsa in alcuni post che sostiene: se ci fosse un unico significato, certo ed evidente, della storia umana questa finirebbe per perdere il suo appeal. Tanti significati/sensi soggettivi invece l'arricchiscono, la rendono imprevedibile. Ognuno di noi può cercare il SUO senso all'interno di questa vanità oggettiva di significato. Potremmo quasi dire che i lavoratori dell'ipotetica vigna troverebbero maggior piacere sapendo che non lavorano in vista della vendemmia, ma per il proprio piacere personale , con nessun altro obiettivo se non quello di "realizzarsi" in quello che stanno facendo. All'apparenza sembrerebbe quasi un vantaggio. Consideriamo però la visione opposta:se i lavoratori della vigna del padrone lavorano in vista della vendemmia, la loro fatica non è vana, in quanto finalizzata al raggiungimento di un risultato.  Naturalmente la vendemmia non potrà essere un evento freddo, anonimo, puramente "tecnico", ma invece dovrà essere una FESTA. In ogni caso qualcosa di "buono". In Genesi appare l'idea del sabato, cioè del momento in cui ci si ferma  e si vede che le cose fatte sono buone, e si GIOISCE di questo . Così il lavoratore che partecipa alla festa della vendemmia realizza che la sua fatica è stata buona, benfatta (BENE fatta-costituita di bene).Il faticare dell'individuo NELLA storia, nel suo svolgersi, non sarà più in balìa di un umore soggettivo, di un'incertezza di senso, di un sentirsi abbandonati in una vigna priva di padrone, costantemente in lotta con infestanti e uccelli ladri, senza che mai possa vedersi una fine a questa lotta, senza l'evento finale, l'epilogo dela storia:la vendemmia. Se però c'è un padrone/Autore che dà un significato a questa fatica, seppure strano, dal comportamento apparentemente incomprensibile, che fa arrabbiare i lavoratori, che si sentono ingiustamente presi in giro, la fatica stessa diviene fonte di gioia. La fatica acquista un senso. Il significato di una cosa non può stare nella cosa stessa. Il significato della fatica di vivere non può dimorare nella vita stessa, che è solo condizione. La vigna da sola non può fornire un senso , in mancanza della vendemmia finale. La storia umana, in mancanza di una "vendemmia" come gioioso epilogo, mi appare quindi proprio come quella vigna sterile, che non produrrà mai, in definitiva, un SABATO.

daniele22

Citazione di: Alexander il 26 Novembre 2021, 09:24:06 AM
Buondì a tutti


Riprendo una riflessione apparsa in alcuni post che sostiene: se ci fosse un unico significato, certo ed evidente, della storia umana questa finirebbe per perdere il suo appeal. Tanti significati/sensi soggettivi invece l'arricchiscono, la rendono imprevedibile. Ognuno di noi può cercare il SUO senso all'interno di questa vanità oggettiva di significato. Potremmo quasi dire che i lavoratori dell'ipotetica vigna troverebbero maggior piacere sapendo che non lavorano in vista della vendemmia, ma per il proprio piacere personale , con nessun altro obiettivo se non quello di "realizzarsi" in quello che stanno facendo. All'apparenza sembrerebbe quasi un vantaggio. Consideriamo però la visione opposta:se i lavoratori della vigna del padrone lavorano in vista della vendemmia, la loro fatica non è vana, in quanto finalizzata al raggiungimento di un risultato.  Naturalmente la vendemmia non potrà essere un evento freddo, anonimo, puramente "tecnico", ma invece dovrà essere una FESTA. In ogni caso qualcosa di "buono". In Genesi appare l'idea del sabato, cioè del momento in cui ci si ferma  e si vede che le cose fatte sono buone, e si GIOISCE di questo . Così il lavoratore che partecipa alla festa della vendemmia realizza che la sua fatica è stata buona, benfatta (BENE fatta-costituita di bene).Il faticare dell'individuo NELLA storia, nel suo svolgersi, non sarà più in balìa di un umore soggettivo, di un'incertezza di senso, di un sentirsi abbandonati in una vigna priva di padrone, costantemente in lotta con infestanti e uccelli ladri, senza che mai possa vedersi una fine a questa lotta, senza l'evento finale, l'epilogo dela storia:la vendemmia. Se però c'è un padrone/Autore che dà un significato a questa fatica, seppure strano, dal comportamento apparentemente incomprensibile, che fa arrabbiare i lavoratori, che si sentono ingiustamente presi in giro, la fatica stessa diviene fonte di gioia. La fatica acquista un senso. Il significato di una cosa non può stare nella cosa stessa. Il significato della fatica di vivere non può dimorare nella vita stessa, che è solo condizione. La vigna da sola non può fornire un senso , in mancanza della vendemmia finale. La storia umana, in mancanza di una "vendemmia" come gioioso epilogo, mi appare quindi proprio come quella vigna sterile, che non produrrà mai, in definitiva, un SABATO.


Buondì Alexander. Essendo uno che non si pone più di tanto il problema dell'esistenza di Dio, facendo riferimento ad una "rivelazione", penso che se Dio dovesse manifestarsi, cercando anche di ridurre gli accesi antagonismi tra atei e credenti, lo farebbe tramite una persona che fosse in grado di lanciare un messaggio ecumenico. E' la persona, o Dio che agisce tramite la persona? Boh! Nel nostro passato occidentale, conosco un solo messaggio ecumenico ... tolomeo copernico . Ecumenico occidentale però, giacché non tutti i popoli della terra la pensavano allo stesso modo. Vi erano pure anche altre astro-logie.
Tu vorresti giustamente un Autore ... Trova quella persona e avrai trovato Dio, sia per il credente che per l'ateo, senza quella persona Dio resta oscuro, sempre sia per il credente che per l'ateo. Tieni pur conto che c'è sempre un ribelle che vende cara la pelle


iano

#242
@ Ciao Alexander.
Bel post il tuo.
Ma tu parli di vigne e vignaioli come se non fossero prodotti di un percorso che non abbia una meta definita.
Usi la vigna come metafora di qualcosa di altro che però non c'è.
C'è solo la vigna adesso e domani al suo posto potrebbe esserci altro, e quindi nessuna di queste cose può prendersi a metafora di mete definitive, a meno che non si creda che esse non siano il risultato di un percorso , ma siano state create per restare sostanzialmente tali.
Se è vero che la vigna, sempre la stessa vigna, sia stata creata per dare l'uva, sempre la stessa uva, allora che la dia.
Ma noi cosa c'entriamo in questo?
Siamo quelli che mangiamo l'uva?
Bene, allora mangiamola.
Ma cosa c'entra allora il dover lavorare la vigna?
In sostanza tu credi che non abbia senso il divenire se non va' a parare da nessuna parte di preciso.
Ma se c'è un posto preciso dove stare che senso ha andarci. È sufficiente starci.
In effetti quello che ci dice la Bibbia è che noi ci stavamo, ma c'è ne siamo allontanati e adesso il senso del nostro percorso è quello di un ritorno. Non vedo che senso ci potrebbe essere in ciò, in questo Dio.
Se questo ritorno si dovesse compiere il premio sarà tornare ad essere esattamente quel che eravamo.
Lo stesso risultato avremmo ottenuto se non ci fossimo mai allontanati.
La metà che tu, ma sotto sotto tutti agogniamo , è restare noi stessi in eterno.
Una meta che si raggiunge stando fermi.
Quindi non è tanto il fatto che una vita con tanti sensi  sia noiosa .
È il fatto, che diversamente non sarebbe vita.
Una vita che rimane identica a se stessa in eterno, cioè Dio, non è una vita.
Dio può fare quel che vuole, ma nulla di quello che fa' lo muta, quindi che senso ha il suo fare.
È un fare che va' a parare in qualcosa di preciso che è tornare al punto di partenza, come se non ci si fosse mai mossi. Che senso dovremmo trarre da ciò?
Un cambiare per non cambiare nulla infatti che senso ha?
Il senso che si trova alla fine del percorso è lo stesso che stava al suo inizio. Dio.
E l'unica cosa priva di senso è ciò che sta in mezzo, il percorso.
Infatti tornare al punto di partenza equivale a stare. A nessun percorso.

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#243
Ma il dilemma del divenire che tanto ci tortura, dove il "ci" sta per un soggetto stabile, non volatile, è stato risolto dai fisici che descrivono il divenire mediante leggi di conservazione.
Il divenire si ha per il mutare di un tipo di energia in un altro, conservandosi l'energia totale.
Se l'energia iniziale e' uno, alla fine della trasformazione troviamo sempre uno.
Il senso non è da cercare nell'uno immutabile quindi, ma nella trasformazione per la quale la vigna non è mai uguale a se stessa, pur essendo quota di qualcosa che non muta.
Lo stesso dicasi per i vignaioli che sono quel "ci", e questo bisogna dire è davvero un mistero.
Il mistero è che tutto ciò ammetta una storia, come se in questo mutamento vi fosse un punto fisso, immutabile,esterno alla storia, che possa quindi raccontarla.
Il paradosso è che la storia non può fare parte della storia. Come può il divenire raccontare il divenire?
Deve esserci sempre un ente esterno fisso che la osservi e che la giustifichi.
Questo ipotetico Dio non da' un senso alla storia, ma la rende possibile.
Perché ci sia una storia deve esserci qualcuno che la racconti.
Dio ci racconta la storia, ma non è lui il senso della storia.
Ci da' i segni, ma non potrebbe farlo se fosse un segno.


Il mondo è uno e contiene tutte le sue possibili rappresentazioni , nessuna delle quali quindi gli corrisponde.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#244
Solo così si può svelare il mistero.
Ogni contraddizione, ogni paradosso, ogni ricerca impossibile, nasce dal credere che vi sia "una storia del mondo" che ne contenga il senso essendo vero il contrario.
L'errore, l'illusione, consiste nel credere che per quanto la storia non sia del tutto oggettiva, là si possa sempre perfezionare, e rimane comunque "la storia".
Ma la vera storia può raccontarla solo chi ne è fuori, un ipotetico Dio.
I fisici stessi hanno compreso che i limiti oggettivi delle teorie fisiche sono i fisici stessi, il non essere essi fuori della storia.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
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Ipazia

@Alexander

Ciascuno è la sua vigna che è la sua vita. Alla fine il sabato arriva sempre e sarà gioioso o disperato secondo quello che ciascuno avrà vendemmiato. "... e un ridere rauco, e ricordi tanti, e nemmeno un rimpianto."
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Alexander

Per Iano e tutti


Ma Dio è anche il dio del divenire. Il divenire non si oppone a Dio, essendo creato in continuazione. Non penso nemmeno alla "vendemmia" come una specie di ritorno all'Eden, essendo un compimento di tutte le cose. La vigna è ovviamente una metafora dell'esistenza NELLA storia del credente, che presta la sua opera per la costruzione del Regno. Dio non crea per necessità o desiderio, cosa che implicherebbe una mancanza in lui, ma crea perché creare è essenzialmente la sua natura. Non c'è uno scopo nel creare, che implicherebbe sempre un desiderio di evitare qualche cosa e di ottenerne un'altra, cioè una limitazione e una imperfezione e neppure, come sostengono alcune scuole teistiche, al "gioco divino" che significherebbe una specie di noia o insoddisfazione. Nemmeno si può affermare che crea per mostrare la sua onnipotenza: questa ostentazione cosa potrebbe aggiungere alla sua gloria? Invece l'"impulso" alla creazione costituisce la sua propria essenziale natura. In "Apocalisse" c'è questa intuizione in Giovanni che gli fa scrivere: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose". Quindi è al contrario di quella fissità che paventi. E' piuttosto un eterno creare "cose nuove". E' il dio della novità, si potrebbe dire. Se tutte le cose sono nuove in Dio, è nuovo anche l'uomo, chiamato cioè continuamente a rinnovarsi. Nel suo rinnovarsi in Dio l'uomo dovrebbe rinnovare anche la storia. Naturalmente rinnovarsi in Dio, significa rinnovarsi nell'amore, perché creare è anche un atto d'amore.

iano

#247
@Ciao Alexander.
Per raccontare una storia ci vuole un autore esterno ad essa, che da essa non venga intaccato, e Dio è un perfetto esempio di ciò, nonché unico esempio. È, al minimo, questa esemplificazione.
È ciò che ,rimanendo fisso, racconta un divenire. Non esistono altri esempi di ciò al di fuori di lui, e se lui non dovesse esistere resterebbe l'esemplificazione di ciò che è impossibile, stare fuori dalla storia che si racconta.
Se Dio, in quanto tale, da' un senso alla storia, allora il senso è fuori della storia, e non è quindi da cercare dentro alla storia.
Per come la vedo io Dio è anche l'unico esempio credibile, se vi si crede, di ciò che è , cioè dell'essere in quanto tale, di cui ogni altro essere è un surrogato.
Il paradosso delle storie è che raccontano un divenire a partire da soggetti che possiedono però una fissità.
Le teorie fisiche sono possibili racconti solo se includono al loro interno delle costanti oltre alle variabili.
Se queste costanti nella realtà non esistessero, al fine di poter raccontare una storia, bisognerebbe inventarle, e io non escludo che le cose vadano così come risultato dell'impossibilità del narratore di stare fuori dalla storia.
Ma ci sono due modi di inventarsi le cose, una consapevole e l'altra no.
Il risultato di una invenzione inconsapevole è l'essere in quanto tale.
Laddove vi è l'essere vi è questa invenzione, e di esso altro non si può dire che è, se non fosse che non lo diciamo per suscitare risa, ma perché altro non possiamo davvero dire, perché inconsapevoli del modo in cui si origini.
Se l'essere corrispondesse davvero alla realtà dovremmo ammettere che essa è un paradossale miscuglio di ciò che muta e di ciò che non muta e ogni storia sarebbe la storia del mutamento di ciò che non può mutare.
Dunque tutto si rinnova in Dio, ma per restare sempre uguale.
Se qui parliamo della storia dell'uomo il soggetto deve restare uguale a se stesso nel suo mutamento, sennò di chi staremmo raccontando la storia?
Non possiamo cambiare in continuazione il soggetto della storia in ragione del suo mutamento, perché sennò' di chi staremmo raccontando davvero la storia?
Dio è un perfetto esempio di ciò che agendo, avendo quindi una possibile storia, resta uguale, e perciò è possibile raccontare la sua storia.
Siccome però siamo noi i veri autori della storia, Dio ci serve per spostare altrove l'imbarazzante paradosso che noi siamo, in quanto soggetti che mutano senza mutare nel corso della storia.
Siamo in quanto siamo i necessari soggetti immutabili di una storia che in quanto tale descrive un divenire.


Per quanto riguarda l'amore a me pare sia ciò che ricuce quel che abbiamo arbitrariamente diviso per inventarci i soggetti di una storia, i cosiddetti individui.


È come se non potessimo relazionarci con la realtà se non inventandoci qualcosa di arbitrario , il quale però raggiunge lo scopro solo quando entra in funzione una conseguente contropartita, che annulli i potenziali effetti a senso unico della nostra arbitrarietà  col suo contrario.
Ciò significa che ai fini di rapportarci con la realtà, esistono gli individui, ma solo a condizione che vi sia un amore che li "ricucia insieme".
Questo si esemplifica dicendo che Dio è amore, cioè è, ma non in modo incondizionato, ma a condizione che sia amore.
Infatti a un Dio che non fosse amore che altro senso potresti dare?
Non esiste un essere slegato dalla sua funzione.
Quindi non può esservi un senso nella storia se astraiamo il narratore, che poi mi pare infine sia quel che tu stesso affermi.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
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Ipazia

L'ultimo post di Alexander mi riporta ad una osservazione di Phil sul fatto che il segno si as-segna. Per me che vado in cerca dell'oggettività del segno e del suo successivo essere posto, il fatto che sia assegnato è motivo di riflessione. Nel post di Alexander io vedo una assegnazione forte di senso al segno che è condivisa e posta da tutta la tradizione teista fin da quando poneva gli dei sull'Olimpo o in un vulcano. Phil dice che tale assegnazione può essere confutata ma non falsificata. Io penso che quando si fa un'affermazione di tipo ontologico la falsificazione sia sempre possibile e i temerari che si avventurarono sull'Olimpo e non li trovarono non si limitarono a confutare l'esistenza degli dei. Da allora il teismo si è fatto più scaltro e per via metafisica ha assegnato alla divinità luoghi iperuranici difficilmente falsificabili con l'esperimento empirico, ma la metafisica ci ha offerto pure livelli di confutazione assai prossimi alla falsificazione. Il rasoio di Ockham ad esempio, e al seguito lo sviluppo del razionalismo filosofico e naturalistico.

Sul post di Alexander, perchè la vigna e non la latomia o la miniera ? Un bias rosato mica poco. Perchè un contro-eden omnium contra omnes, quale la natura con adamantina evidenza cartesiana consegna alla nostra esperienza empirica ? Hai voglia a dire che la creazione è un atto d'amore. Anche la creazione della bomba atomica ?

Penso che anche nell'assegnazione di un senso al segno un armamentario di base razionale sia opportuno, e su questo ha ragione  viator. Il dogma relativista "ogne scarrafone è bell' a mamma soja" è stato confutato, al limite della falsificazione, non appena gli umani hanno potuto decidere chi procreare e chi no.

Su tempo e divenire, posto il pensiero di un filosofo professionale, Diego Fusaro, che di seguito ha approfondito l'argomento nell'opera ultima "Essere senza tempo".

Il tempo di cui parla Fusaro è tempo antropologico da non confondersi col tempo fisico e decisamente più interessante dal punto di vista filosofico. L'unità di misura del tempo antropologico è la vita umana, che lo distingue dal suo multiplo, il tempo storico. Anche in fisica il tempo assoluto galileiano non è il tempo relativistico einsteiniano, per giungere a "il tempo non esiste" di correnti della fisica teorica più attuale.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#249
@Ipazia.
Direi che può essere falsificato solo ciò che può essere arbitrariamente posto, quindi ciò che già nasce come fittizio, ma non sempre la falsificazione è immediata come la cancellazione di un segno , perché non sempre si ha la consapevolezza dell'assegnazione fatta.
Una assegnazione fatta in modo inconsapevole non può essere consapevolmente cancellata se non si riesce a risalire alla sua origine, perché le assegnazioni le ereditiamo culturalmente e/o geneticamente e quindi le possediamo anche senza possedere la consapevolezza della loro nascita. La scienza ammette falsificazione delle sue teorie nella misura in cui siamo noi a costruirle, e non oltre per cui le sue basi nascoste rimangono metafisiche.
Essa infatti assume arbitrariamente che la verità stia nei fatti, e ciò è condivisibile, ma non falsificabile.
Per una teoria che muore un altra nasce, e ciò si esemplifica con infelice espressione, dicendo che una teoria è vera fino a prova contraria., ma la prova contraria è sempre un altra teoria, e ciò garantisce che nel suo complesso la scienza non può essere falsificata, cancellata come un semplice segno.
Se così non fosse come si potrebbe giustificare la sua presunta tensione alla verità?
Il suo confondersi a volte con la religione?
Ma allora in cosa si distinguono?
Direi in un diverso modo di interpretare i fatti.
Per una è sufficiente l'interpretazione che dei fatti da' un profeta ispirato.
L'altra invece ci impegna tutti a produrre segni.
Ma, a parte questo, nessuna dice la verità, perché la verità è per definizione sottesa ciò che si cerca, dunque ciò che non sappiamo.
Può esistere una verità da raggiungere solo se il percorso della conoscenza è già segnato, se c'è un senso da seguire.
Ma l'unica realtà è quella del percorso il quale solo e' possibile se a partire da un segno già esistente  e  infalsificabile,
ma solo perché ignoto.
Se la filosofia ha un compito è quello di esplicitare questi sensi nascosti, per falsificarli , con la consapevolezza che ciò è possibile fare solo sostituendo un senso nascosto con un altro.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
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Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Phil

Citazione di: Ipazia il 28 Novembre 2021, 16:48:46 PM
Nel post di Alexander io vedo una assegnazione forte di senso al segno che è condivisa e posta da tutta la tradizione teista fin da quando poneva gli dei sull'Olimpo o in un vulcano. Phil dice che tale assegnazione può essere confutata ma non falsificata. Io penso che quando si fa un'affermazione di tipo ontologico la falsificazione sia sempre possibile e i temerari che si avventurarono sull'Olimpo e non li trovarono non si limitarono a confutare l'esistenza degli dei. Da allora il teismo si è fatto più scaltro e per via metafisica ha assegnato alla divinità luoghi iperuranici difficilmente falsificabili con l'esperimento empirico, ma la metafisica ci ha offerto pure livelli di confutazione assai prossimi alla falsificazione. Il rasoio di Ockham ad esempio, e al seguito lo sviluppo del razionalismo filosofico e naturalistico.
Un'affermazione ontica (empirica) può essere sempre, almeno in teoria, falsificata; una ontologica non sempre (v. "prova" ontologica di Dio, di fatto infalsificabile, se se ne accettano gli assiomi); una "semantica" mai, non essendo l'assegnazione di "senso" un'operazione fondata sull'oggetto, ma sull'"attribuzione mentale" dell'assegnante (sempre se teniamo a fuoco la differenza fra fondarsi su qualcosa ed "elaborare" qualcosa, v. sopra).
Non a caso, andare a sbirciare sull'Olimpo e non trovare dèi (seppur «l'assenza di prove non è prova dell'assenza», come sa bene chi trova qualcosa solo cercandolo una seconda volta nel medesimo posto), falsifica l'esistenza locale di quegli dèi (come hai osservato, basta "traslocarli" dove non si può controllare, magari giustificandosi che la prima residenza fosse solo una metafora), tuttavia non falsifica il loro "senso". Ugualmente, il rasoio di Ockham e il razionalismo non falsificano, e nemmeno confutano, nulla di "semantico" (ovvero di esistenzial-spirituale): il primo, proprio riconoscendo l'infalsificabilità di alcuni concetti, li etichetta come "non necessari" (è dunque semmai un'epoché, non una falsificazione d'esistenza); il secondo, per definizione, non si occupa di ciò che è "semantico" e infalsificabile (e non occuparsene non significa confutarlo né falsificarlo; ritorniamo dunque alla differenza fondamentale fra ermeneutica ed epistemologia, scienza ed esistenzialismo, etc. al di là delle possibili confusioni che può fare chi le interpreta, restano "essenzialmente" distinte).

Ipazia

#251
Citazione di: iano il 28 Novembre 2021, 19:16:01 PM@Ipazia.
Direi che può essere falsificato solo ciò che può essere arbitrariamente posto, quindi ciò che già nasce come fittizio, ma non sempre la falsificazione è immediata come la cancellazione di un segno , perché non sempre si ha la consapevolezza dell'assegnazione fatta.
Una assegnazione fatta in modo inconsapevole non può essere consapevolmente cancellata se non si riesce a risalire alla sua origine, perché le assegnazioni le ereditiamo culturalmente e/o geneticamente e quindi le possediamo anche senza possedere la consapevolezza della loro nascita.
Potrei appoggiarlo. E renderebbe più sfumata la differenza tra falsificazione e confutazione, epistemologia ed ermeneutica.
CitazioneLa scienza ammette falsificazione delle sue teorie nella misura in cui siamo noi a costruirle, e non oltre per cui le sue basi nascoste rimangono metafisiche.
Essa infatti assume arbitrariamente che la verità stia nei fatti, e ciò è condivisibile, ma non falsificabile.
Per una teoria che muore un altra nasce, e ciò si esemplifica con infelice espressione, dicendo che una teoria è vera fino a prova contraria., ma la prova contraria è sempre un altra teoria, e ciò garantisce che nel suo complesso la scienza non può essere falsificata, cancellata come un semplice segno.
Se la fede nel fatto è l'irrinunciabile fondamento metafisico della scienza, va pure riconosciuto il fatto che senza fatti non si batte un chiodo in natura. Posso pure accettare che tutto abbia un fondamento metafisico, compresa la scienza, che gli antichi sagacemente chiamarono "filosofia naturale". Ma con ciò abbiamo solo spostato il problema: se la specificità antropologica è essere animale metafisico, rimane aperta la questione di quale sia la metafisica migliore in termini di senso (significato+direzione) che giustifica pure la tensione:
CitazioneSe così non fosse come si potrebbe giustificare la sua presunta tensione alla verità?
CitazioneIl suo confondersi a volte con la religione?
Ma allora in cosa si distinguono?
Direi in un diverso modo di interpretare i fatti.
Per una è sufficiente l'interpretazione che dei fatti da' un profeta ispirato.
L'altra invece ci impegna tutti a produrre segni.
La contiguità tra le due la vedrei più in termini di potere che di verità. La religione cercando la verità diventa atea e perde il potere. La scienza, sostituendola al potere, perde la sua tensione ideale verso la verità. Oggi abbiamo esempi eclatanti, a base di inquisitori ed eretici, più nella scienza che nelle religioni quiescenti. Quelle ancora in sella sono, al contrario, virulente come la scienza feticizzata. Insomma, potere, non verità. Infatti:
CitazioneMa, a parte questo, nessuna dice la verità, perché la verità è per definizione sottesa ciò che si cerca, dunque ciò che non sappiamo.
Può esistere una verità da raggiungere solo se il percorso della conoscenza è già segnato, se c'è un senso da seguire.
Ma l'unica realtà è quella del percorso il quale solo e' possibile se a partire da un segno già esistente  e  infalsificabile,
ma solo perché ignoto.
Solo gli eretici, perennemente in lotta con poteri e immaginari prestabiliti, ci salveranno ...
CitazioneSe la filosofia ha un compito è quello di esplicitare questi sensi nascosti, per falsificarli , con la consapevolezza che ciò è possibile fare solo sostituendo un senso nascosto con un altro.
...non facendo sconti ai sensi nascosti e avendo pure la brechtiana consapevolezza che se tu sei una guida, lo devi al fatto che hai dubitato delle guide che comandavano il pensiero prima di te.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#252
@ Ciao Ipazia.
Solo un appunto su potere e scienza.
Io credo che la scienza sia l'agire dell'umanità, e quando questo ha luogo, nel bene e nel male, mostra perciò  un potere non paragonabile a quello relativo all'agire del singolo individuo.
L'agire dell'umanità ha luogo quando gli individui condividono "una verità ", ma in effetti non occorre alcuna verità, perché è sufficiente che concordino su un senso comune da dare all'azione.
Certamente nell'azione voi chimici condividete un senso comune su cui tutti concordate, tuttavia una pur unanime concordia rimane sempre soggetta al dubbio, e il dubbio è nemico dell'azione.
Quindi , sebbene l'esercizio del dubbio sia cosa buona e giusta, vi è un tempo per il dubbio e uno per l'azione.
Questo secondo tempo chiamiamolo pure "tempo di scoperta della presunta verità " che potrà essere confutata, ma in un altro tempo distinto.
In effetti però, fuori da questa esigenza psico-pratica non vi è alcuna verità .
Se dobbiamo basarci sui fatti, questi ci dicono che non vi sono verità che nel tempo non siano state  confutate, salvo quelle inconfutabili perché le possediamo senza averne consapevolezza, e il fatto che questa sequenza di confutazione tendano per approssimazione alla verità è una illazione non basata sui fatti.
È una illazione che ha i suoi pro e i suoi contro, ma si può affermare quanto negare a piacere.

Ognuno di noi possiede le evidenze di cui sopra dicevo, il che comporta una condivisione di fatto, priva di alcun accordo necessario  ed esente da ogni dubbio possibile nemico dell'azione.. Qui la verità, semmai gli si possano attribuire diverse sfumature, si presenta nella sua forma più pura, quella dell'evidenza, ciò che a causa della sua ovvietà non richiede che si dica nulla, ma la verità è che , se una verità esiste, è che nulla possiamo dire come ci ha suggerito S.Agostino, ed è cosa ben diversa.


Nella mia campagna contro la verità sono ben consapevole di smontare comunque una macchina di ricerca naturale ben oliata. Ma a me in effetti interessa solo oliare il meccanismo delle confutazioni che si susseguono in serie, necessariamente, ma con farraginosità ed esagerate inerzie.
Chissà' poi se faccio bene, ma a tal proposito mi sembra significativo il comportamento di Gauss, il quale avendo messo nero su bianco le geometrie non euclidee, decise di non pubblicarle , per non darle in pasto ai beoti subendone l'ostracismo.
I beoti siamo tutti noi, ovviamente , e a me scoccia un po' questa consapevolezza.
Siamo noi che ci beviamo le verità, e che poi le cambiamo pure, ma non senza prima averne fatto una questione di stato o di religione.

È questi stati e queste religioni racchiudono un po' il senso che in questa discussione andiamo cercando , e vi è in effetti più di un senso, perché fra individuo e umanità non vi è in mezzo il vuoto.
Possiamo distinguere però diverse umanità, diverse per cultura e credo, seppur in modo arbitrario , e questa arbitrarietà io credo andrebbe proiettata perfino sul l'apparentemente intoccabile e indivisibile individuo, quale noi ci percepiamo in modo inconfutabile, ma solo perché non possiamo "confutarci".
Noi siamo una di quelle cose che noi condividiamo, senza sapere perché.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#253
Anche se non lo conosciamo, noi siamo noi in base a un preciso senso.
Nel momento in cui trovassimo quel senso non saremmo più noi, perché una volta noto il senso esso diverrebbe soggetto al dubbio e conseguente confutazione.
Ma che il senso secondo il quale percepiamo la nostra individualità inizi a mostrare le sue crepe lo si evince dalle diverse problematicità che mi sembrano ormai argomento di cronaca .
Fra questi argomenti quello a me più caro è il rifiuto della tecnologia come cosa altra da noi, perché non riusciamo a percepirla come nostra parte .
La additiamo come causa di alienazione, e sicuramente non si può che sentirsi alienati quando rifiutiamo di percepire una parte di noi, o se si preferisce, manchiamo di ridefinire la nostra individualità.
Non è facile ridefinire ciò che ci è ignoto, ma prima o poi ciò che è ignoto inizia a mostrarsi .


A tal proposito mi chiedo, restando alla cronaca ,se gran parte del lavoro per produrre i vaccini è fatto dalla intelligenza artificiale, e se noi rifiutiamo l'intelligenza artificiale come disumana, allora perciò rifiutiamo il vaccino?
Sarà un caso, ma prima di ciò i vaccini non venivano rifiutati.
Però ammetto, è solo un vago indizio, che vale solo come possibile esempio.
Ma il fatto è che in questo strano e imprevisto  caso del vaccino  nessuno riesce a trovarci un senso, come se lo avessimo smarrito , come se si stesse avverando  l'apocalittico regno della confutazione.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

daniele22

Citazione di: iano il 30 Novembre 2021, 01:38:04 AM
Anche se non lo conosciamo, noi siamo noi in base a un preciso senso.
Nel momento in cui trovassimo quel senso non saremmo più noi, perché una volta noto il senso esso diverrebbe soggetto al dubbio e conseguente confutazione.
Ma che il senso secondo il quale percepiamo la nostra individualità inizi a mostrare le sue crepe lo si evince dalle diverse problematicità che mi sembrano ormai argomento di cronaca .
Fra questi argomenti quello a me più caro è il rifiuto della tecnologia come cosa altra da noi, perché non riusciamo a percepirla come nostra parte .
La additiamo come causa di alienazione, e sicuramente non si può che sentirsi alienati quando rifiutiamo di percepire una parte di noi, o se si preferisce, manchiamo di ridefinire la nostra individualità.
Non è facile ridefinire ciò che ci è ignoto, ma prima o poi ciò che è ignoto inizia a mostrarsi .


A tal proposito mi chiedo, restando alla cronaca ,se gran parte del lavoro per produrre i vaccini è fatto dalla intelligenza artificiale, e se noi rifiutiamo l'intelligenza artificiale come disumana, allora perciò rifiutiamo il vaccino?
Sarà un caso, ma prima di ciò i vaccini non venivano rifiutati.
Però ammetto, è solo un vago indizio, che vale solo come possibile esempio.
Ma il fatto è che in questo strano e imprevisto  caso del vaccino  nessuno riesce a trovarci un senso, come se lo avessimo smarrito , come se si stesse avverando  l'apocalittico regno della confutazione.



Bravo iano, contrariamente ad altri tuoi post che non riesco del tutto a seguire, questo mi sembra molto chiaro.
Nella prima parte del tuo intervento immagino che tu voglia dire che una volta conquistata una certezza (verità per te) questa divenga una nuova base sulla quale tu puoi muoverti e che comunque produrrà nuova incertezza (c'è ancora bisogno di una verità da raggiungere) . Trasponendo ad una collettività il discorso, noto come sia in uso dire che l'unione fa la forza, ma ciò che fa emergere un'Unione (in linea teorica – ovvero fintanto che le malefedi non intervergano anch'esse a comporla) dovrebbe essere una comune verità. Essendo poi che l'Unione si manifesta con una prassi, nel momento in cui detta Unione trovi una critica nella prassi, se la critica è ben posta potrebbe indebolirla (ovvero indebolire la verità che la tiene in piedi) quanto più tale critica fosse via via più condivisa. La domanda a questo punto diventa: Cos è che si critica? Ciò che sta all'interno dell'unione (discorsi sulle prassi da mettere in atto), oppure il fondamento dell'unione?
Io penso che allo stato attuale sia in corso d'opera una critica inconsapevole al fondamento dell'Unione.


Dopodiché parli di crepe nel nostro senso di percepire e porti ad esempio il rifiuto della tecnologia come cosa che percepiamo "altra" da noi. Ingrandisco l'osservazione facendo notare che percepiamo tutto come "altro" da noi, anche la nostra terra. Termini poi il periodo dicendo che prima o poi ciò che è ignoto comincia a mostrarsi.
Giusto.


Poi concludi con una domanda. In risposta, sarebbe ragionevole pensare che tutti acclamino al vaccino, se le cose in seno all'Unione fossero percepite in modo omogeneo. Per quel che mi riguarda non so dare giudizi sull'intelligenza artificiale (non la conosco). Forse non mi è chiaro quel che vuoi dire poi sul senso del vaccino, ma provo a dare la mia versione. Per come la vedo io la causa del senso smarrito di cui parli sta proprio nella parentesi che ho aperto dopo aver parlato di ciò che fa emergere un'Unione. Infatti dicevo : in linea teorica, ovvero fintanto che non intervenga pure la malafede tra coloro che vanno a comporla. Mi sembra fosse sant'Agostino che diceva che uno mente quando pensa una cosa e fa qualcosa di diverso, quindi la malafede può cambiare veste a seconda che si tratti di contraddizioni più o meno inconsapevoli, oppure nel caso di mettere in atto una truffa. Quanto infine può pesare la presenza della falsità degli individui nel disorientare il nostro senso smarrito? Quanto pesa questa maschera che ci portiamo sempre appresso nell'ostacolare la visione chiara di un nuovo orizzonte collettivo? Ciao

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