Senza Dio la storia umana è priva di senso

Aperto da Alexander, 22 Ottobre 2021, 10:14:37 AM

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Kobayashi

La religione cristiana non ha il compito di risolvere il problema del male, quindi i suoi autentici vignaioli non hanno mai fallito.
Semmai è la fede opposta, la religione secolare dell'ateismo, ad arrogarsi la capacità di spiegare definitivamente l'uomo e il suo destino doloroso, cosa che ha cercato di fare prima con le illusioni di illuminismo e marxismo, poi, cedendo all'evidenza del presente, con l'accettazione del nichilismo, e quindi nell'ammissione di un'antropologia basata sulla volontà di potenza e sulla trasformazione tecnica (al servizio del delirio di onnipotenza).

La religione cristiana si basa sull'idea della Caduta e della realtà del peccato nella storia.
Il credente, per potersi orientare nel proprio tempo, deve resistere alle forme contemporanee dell'eresia di Pelagio: non tanto nel senso di dare importanza alla grazia, ma nel senso di escludere autonomia alla condotta umana. Autonomia che implicherebbe un giudizio indipendente sulle trasformazioni della civiltà rispetto alla ricerca di Dio, un giudizio quindi autonomo, concentrato solo sull'effetto, prevedibilmente all'inizio esaltato dalla retorica del progresso poi, preso atto dell'inumanità della maggior parte delle suddette trasformazioni, soprattutto spaventato e, colmo dei colmi, dopo il secolare sbeffeggiamento delle tradizioni religiose, alla disperata ricerca di una spiritualità che possa salvare...

iano

#196
Citazione di: Ipazia il 20 Novembre 2021, 07:37:39 AM
Citazione di: iano il 20 Novembre 2021, 04:41:29 AM
Senso è il nome che diamo a una previsione da cui si astragga la scadenza, rendendola vana.
Direi di no rispetto alla vanità - della previsione e/o della scadenza - perché il senso è un prodotto, non un risultato. Un prodotto che si autolegittima e realizza nel momento in cui produce.
CitazioneLa realtà però ha sempre una scadenza, ed è un'altra storia.
Come insegna Epicuro, quando c'è la scadenza noi non ci siamo e finché ci siamo non c'è la scadenza.
Giusta la prima precisazione.
Attraverso la produzione di senso da ricercare nella storia il passato non cessa mai di essere causa ben al di la' del ristretto paradigma deterministico.
La storia stessa è un prodotto degli individui dalla quale gli individui a posteriori si possono astrarre, estraendone un senso che si fa' causa.
Si prova ad estrarre un senso dalla vita, astraendo la breve storia individuale, come dai fatti materiali si prova ad estrarre leggi astraendo il caso.
Se la ricerca di senso fa' tacito riferimento, come credo, alla storia e al destino del singolo individuo, allora non se ne può trarre che un senso di vanità . Il destino del singolo individuo è la morte, così come ci si aspetta che si arresti ogni dado lanciato.
Il senso riferito al singolo ,traendolo da una storia che si accartoccia su se stessa, non può che risultare dunque vano.
L'effetto delle azioni libere individuali , nella misura in cui possono assimilarsi al caso, rendono il senso vitale contiguo alla legge naturale, come ciò che si può astrarre dai contingenti fatti.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#197
Gli oggetti della storia della vita  si evolvono in base a un senso, come quelli materiali in base a una legge.
Senso e legge sono astrazioni di astrazioni.
Astrazioni di secondo grado che risentono della consistenza della astrazione primaria da cui derivano.
Maggior consistenza, o minor vanità, sembrano possedere i fatti naturali, perché più consistente sembra essere l'astrazione primaria da cui derivano.
Paradossalmente la ricerca spirituale di un senso assoluto tenderebbe a ricondurre la storia della vita a quella materiale, con le sue certezze, come se ciò fosse bene, e laddove l'operazione fallisce si intravede il male.
Le pretese certezze a cui si giunge ereditano però sempre l'arbitrarietà della primaria astrazione da cui derivano.
Dalla pretesa che le prime siano assolute deriva il senso di vanità, quando le seconde vengono messe alla prova dei fatti.
A me sembra più ragionevole, piuttosto che dare al senso la consistenza di una legge, dare alla legge la consistenza dl un senso.
La ricerca di un senso assoluto nella vita poggia sul fatto che si crede se ne abbia un esempio nel campo materiale.
Si cerca un assoluto in un campo perché si crede che esempi di assoluti vi siano in altri campi, e perciò sembra sensato farlo, secondo la perfetta logica degli opposti, per cui non vi sarebbe spiritualità senza materia.
Ma, se essi nascono insieme, se si originano dalla stessa astrazione, allora condividono la stessa consistenza.
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iano

#198
La maggior consistenza che si attribuisce ai fatti naturali, intesi come puramente materiali, sembra risiedere  nella rilevata uguaglianza dei soggetti coinvolti,  che si presentano identici, se non per differenze spazio temporali che li rendono soggetti di una storia.
Ma poi si vede che più se ne scoprono di questi soggetti e più il loro essere individuale non sembra giungere a fine.
Non si finisce di scoprire particelle materiali sempre diverse, se le si cerca.
Se invece non le si cerca cio' che appare e' uniforme, e a ciò che è uniforme, ripresentandosi uguale, si attribuisce un senso, impossibile da attribuire a ciò che mai si ripete uguale, e quando ciò non sembra accadere ci sembra esser male , esser vano.
La ricchezza, la diversità, non sono facili da amministrare, e quando se ne perde il controllo ogni azione diventa vana e subentra il caos, e ciò è male, così che a volte ci sembra illuderci di riprendere il controllo, ritrovare un senso, negando la diversità.
Cosa appare più vano ad  un essere cosciente se non la dispersione di senso che leghi in una relazione di causa ed effetto i fatti tutti, al di la' del contingente presente e del particolare  luogo?
Il senso lo si può perdere per lo stesso motivo per cui lo si può trovare.
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Phil

Citazione di: Alexander il 19 Novembre 2021, 21:06:19 PM
In questa disumanità la pietas piange ormai. Dio dov'è? Si chiede il credente. Continua a chiederselo da molto tempo. Ogni volta che vede ingiustizia, morte, sopraffazione e dominio uno sull'altro. Per il credente il sentimento della vanità della storia può essere ancora più penoso che per il non credente che in fondo, seppur sperando in un miglioramento, alla fine non si aspetta granché dalla vicenda umana. Moltissimi anzi si aspettano che il caos alla fine c'inghiotta tutti e si vestono di una maschera cinica, senza più una speranza.
Dio, se c'è, è nel suo unico posto possibile (senza volerne limitare l'eventuale onnipotenza), ovvero fuori dalla storia; anche quando si manifesta storicamente o, nel cristianesimo, "carnalmente", si tratta di un suo ingresso nella storia che non condensa esaustivamente la sua trascendenza, per questo si parla di trinità o di altre intermediazioni che rendono possibile un punto di contatto fra dio e storia, ma mai una sua completa partecipazione (guardare al "male" e chiedersi dov'è dio è il primo passo per dare un senso all'esistenza di un "dio liberale", che a sua volta dà un senso alla storia umana, in quanto rincuorante giudice che punirà il male, ma in un "posto" oltre la storia e oltre l'umana conoscenza). A prescindere dal fatto se il suo gesto creativo abbia dato inizio o meno alla storia, in quanto dio, non può che essere sovrastorico, o meglio, astorico, un'alterità rispetto alla storia, pur non essendone totalmente estraneo (v. religioni rivelate), proprio come il senso è un'alterità rispetto a ciò di cui è senso, pur non essendone totalmente avulso (v. dinamiche semantiche, più o meno metaforicamente intese).

Di sensi (della storia, della vita, etc.) ce ne sono (e ce ne potranno essere) sempre in abbondanza proprio perché la dinamica dell'assegnazione del senso presuppone che di fondamenti autentici ("oggettivi" si diceva) del senso non ce ne siano; in virtù dell'assenza, o meglio, del vuoto fondamentale di partenza è possibile riempiere di senso la vita individuale o quella di tutto il genere umano, senza alcun timore di smentita e confutazione (come dicevo alcuni post addietro). La riflessione potrebbe fare fenomenologicamente un passo indietro, per quanto perturbante, per indagare la presunta necessità del dare un senso, prima di chiedersi quale è il senso più condivisibile, più funzionale, etc. Tale necessità, come (di)mostrato anche da questa discussione, vede spesso credenti e non-credenti nella stessa barca, intenti a dover dare un senso (ciascuno nelle sue "possibilità prospettiche") alla storia, alla vita, etc. poiché entrambe le fazioni condividono la medesima eredità e, talvolta, la medesima velleità metafisico-semantica; a prescindere che pongano alla base della comune "necessità semantica" una divinità o la natura o la giustizia o una fallacia o altro. La matrice della narrazione che ha per oggetto il senso della vita, della storia, etc. ha precise origini genealogiche (teo-logiche), indagando criticamente le quali si ha ulteriore conferma di quanto si tratti di una retorica senza dubbio utile individualmente e socialmente consolidante, sebbene, appunto, dal fondamento vuoto (e sappiamo che sul vuoto e sull'assenza si possono costruire "castelli aerosi" che sfidano i secoli e muovono le moltitudini). In pratica è come avere un secchio vuoto, riempirlo di sabbia e poi affermare che il "giusto riempimento" di quel secchio è la sabbia, che "quel secchio è fatto per essere riempito di sabbia", come se non lo si potesse riempire anche di sassi, acqua o altro. Ci è stato insegnato che sarebbe un peccato se il secchio restasse vuoto, quindi deve essere pireno; eppure, curiosamente, in oriente alcuni hanno osservato il contrario, ovvero che il "senso" del secchio è nel suo esser essenzialmente vuoto (che è come dire, quasi con un koan, che il senso della vita è la sua assenza di senso). Sicuramente è sintomatica la tendenza, comune a credenti e non, a considerare una consapevolezza negativa, che svuota e disincanta, come qualcosa da sovvertire in pienezza (v. il dover combattere lo spauracchio del nichilismo), seppur tale pienezza risulti consapevolmente e deliberatamente posticcia e spuria.

Se abbiamo rilevato che la dinamica del senso si mostra decostruttrice di un senso della storia, più che sua costruttrice, davvero ascoltando le antiche sirene interiori consideriamo la ripresa di una ricerca del senso come un "superamento" della suddetta consapevolezza "oggettiva"? L'horror vacui interiore e il sognante aut-aut fra Senso metafisico e caos, ci spingono a riempire ciò che si è scoperto essere vuoto, ma con quale credibilità (ci) riproponiamo d'aver fiducia (se non fede) in un "pieno" che sappiamo essere un ologramma? La vanità, in entrambi i sensi, di questo gesto è a suo modo una dissonanza cognitiva, quasi una schizofrenia fra ciò che si sa e ciò che si vuole (solo avendo desiderato un senso per la storia, la realizzazione della sua assenza "oggettiva" può produrre vanità). Detto altrimenti: la vanità è tale solo se si parte dall'aspettativa di senso (la cui delusione ha poi per elegia il senso di vanità di cui al primo post), mentre se si guarda al senso come a qualcosa di non pertinente alla vita (v. esempio di moto pianeti o codice della strada anaerobio), non ne può derivare né senso di vanità né, tantomeno, il "dovere" di assegnarne uno a posteriori per poi eleggerlo a guida del proprio agire (che è un po' come scegliere di legare alla propria schiena il famoso bastone con appesa la carota e, al contempo, lamentarsi di quanto essa sia sfuggente pur vantandosi di averla individuata come "doveroso" punto di riferimento). Certo, se così non fosse, se non fossimo affamati di senso, non saremmo "animali semantici", non ci sarebbero (state) "grandi narrazioni", non saremmo eredi di una storia culturale basata su valori e assoluti, etc. eppure, a scanso di ogni "innatismo", scommetterei che da qualche parte, nel mondo, c'è ancora una popolazione in cui l'espressione «senso della storia» è un non-senso, o magari non ha nemmeno nelle sua lingua le parole per formulare tale espressione; questa popolazione, che magari venera un vulcano e ha paura del buio, vede la "realtà del senso" e il "senso della realtà" meno oggettivamente di quanto riusciamo a fare noi, con tutte le nostre sontuose impalcature teoretiche affianco ai nostri acceleratori di particelle, oppure un certo "privitivismo filosofico" è anche salvaguardia dall'impaludarsi in alcuni falsi problemi?

iano

#200
@Phill.
Dici bene.
Il senso di vanità deriva da una aspettativa delusa, la presenza della quale, aggiungo io, è connaturata ad un essere cosciente.
Attraverso l'estrazione di un senso dalla storia noi interagiamo indirettamente con la realtà, la quale non sembra avere un limite di complessità, se non quello che noi riusciamo a porvi, pena la mancata interazione.
La ricerca di un senso sembra somigliare, nella sua arbitrarietà, alla ricerca di limiti fittizi che rendano la realtà gestibile.
Rileviamo il male laddove non riusciamo a imporre questi limiti arbitrari , riscontrando una situazione caotica, cioè una complessità che appare irriducibile e quindi  incontrollabile, priva di senso nella misura in cui non siamo riusciti a darglielo, laddove riuscirci è di importanza vitale.  il senso è connaturato alla vita se si ammette che non esistono esseri se non coscienti, seppur in diverso grado. Senza non vi è interazione con la realtà, quindi non vi è vita .
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

#201
Anche il privitivista filosofico dà un senso/significato al mondo che lo circonda essendo pure lui un animale semantico che dalle tracce/segno sul terreno deriva il significato di una preda o predatore nelle vicinanze.

L'assenza di senso è assenza di vita, l'eccesso è un falso problema. La verità sta nel mezzo, in tutti i sensi.

"Una spiritualità che possa salvare" non può che trarre origine dalla terra e dalla "fallacia" naturalistica. Non certo dalla superbia idolatrante una divinità ad immagine e somiglianza di un mammifero terrestre.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#202
Citazione di: Ipazia il 20 Novembre 2021, 14:13:15 PM
Anche il privitivista filosofico dà un senso/significato al mondo che lo circonda essendo pure lui un animale semantico che dalle tracce/segno sul terreno deriva il significato di una preda o predatore nelle vicinanze.

L'assenza di senso è assenza di vita, l'eccesso è un falso problema. La verità sta nel mezzo, in tutti i sensi.
Alla fine questa lunga discussione , a differenza di tante altre andate apparentemente a vuoto, sembra aver trovato un senso.😅
Possiamo intendere Dio al limite come ciò che , siccome possiamo considerare, ci sembra avere un senso. Esso appare come la mancanza di un limite, che però è l'esagerazione del concetto di un limite, che siccome si può porre, allora indefinitamente si può spostare, in una progressione di senso che vale una evoluzione vitale.
Credo che l'assimilazione del senso alla vita sia una perfetta conclusione.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
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Phil

@Ipazia

Il presunto "primitivista filosofico" dà un senso/significato a ciò per cui è pertinente (una traccia animale o altro) non ad una condizione che può averne infiniti ed infalsificabili (la vita) o ad un concetto (la storia); è la differenza cruciale fra un vero problema (cacciare, difendersi, etc.) ed un falso problema (che senso ha la vita, la storia, etc.?). Venerare il vulcano implica un Senso solo agli occhi dell'antropologo che usa a priori il senso come categoria, agli occhi dell'indigeno magari è solo una questione di presenza di una divinità ostile (che noi definiremmo ingenua).
Il dogma che l'assenza di senso sia assenza di vita, che sia "necessaria" una spiritualità, che ci sia possibilità di salvezza (redenzione, etc.) e che persino una fallacia sia un buon fondamento, sono altri sintomi della fede nel suddetto aut-aut fra Senso e caos, ataviche declinazioni dell'avversione per la "consapevolezza negativa" (v. la fame di pienezza per cui il secchio deve essere pieno e se non lo è un peccato; spesso si resta comunque figli della propria cultura locale, anche quando si rinnegano alcuni tratti dell'imprinting...).

InVerno

Citazione di: Kobayashi il 20 Novembre 2021, 09:43:19 AM
La religione cristiana non ha il compito di risolvere il problema del male, quindi i suoi autentici vignaioli non hanno mai fallito.
Semmai è la fede opposta, la religione secolare dell'ateismo, ad arrogarsi la capacità di spiegare definitivamente l'uomo e il suo destino doloroso, cosa che ha cercato di fare prima con le illusioni di illuminismo e marxismo, poi, cedendo all'evidenza del presente, con l'accettazione del nichilismo, e quindi nell'ammissione di un'antropologia basata sulla volontà di potenza e sulla trasformazione tecnica (al servizio del delirio di onnipotenza).

La religione cristiana si basa sull'idea della Caduta e della realtà del peccato nella storia.
Il credente, per potersi orientare nel proprio tempo, deve resistere alle forme contemporanee dell'eresia di Pelagio: non tanto nel senso di dare importanza alla grazia, ma nel senso di escludere autonomia alla condotta umana. Autonomia che implicherebbe un giudizio indipendente sulle trasformazioni della civiltà rispetto alla ricerca di Dio, un giudizio quindi autonomo, concentrato solo sull'effetto, prevedibilmente all'inizio esaltato dalla retorica del progresso poi, preso atto dell'inumanità della maggior parte delle suddette trasformazioni, soprattutto spaventato e, colmo dei colmi, dopo il secolare sbeffeggiamento delle tradizioni religiose, alla disperata ricerca di una spiritualità che possa salvare...
Una delle cose che mi lascia sempre basito e perplesso, è il fatto che coloro i quali che tendono ad avvocare l'idea del valore salvifico della religione, sfruttano sovente la lettura storica positivista, che in teoria dovrebbe andargli indigesta, e contrappongono il medioevo "ora et labora" alla "modernità materialistica" etc.. sono avvenuti più progressi tecnologici in cinquant'anni di medioevo "ora et labora" di quanti ne siano avvenuti in cinquecento di impero romano, ma l'idea che questi poveracci dell'età oscura fossero così assorti in preghiera e consolati dal senso della storia da non curarsi delle vicende "materiali" è dura a morire, peccato sia un invenzione di quelli che la religione l'avrebbero cancellata con la gomma se avessero potuto. Serve parecchio "senso dell'autonomia" e "materialismo" per massacrarsi incessantemente per anni e anni e anni per qualche spicciolo o qualche acro di terra, come facevano gli uomini quando erano tutti, almeno sulla carta, cristiani, e osservati costantamente dal dittatore celeste, limitati nella loro hybris, tanto da sterminare continenti, devastare terre, stuprare in corsa e giocare in borsa..Sono certo che per loro, il male non fosse un problema, così come per una persona deformata non è un problema l'assenza di specchi.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

bobmax

#205
Citazione di: Freedom il 19 Novembre 2021, 17:56:39 PM
Io però mica l'ho ancora capito il senso della storia umana senza un Dio al quale chiederlo.

Non ho nemmeno capito come non si possa riconoscere che nell'uomo, in tutti gli uomini c'è una percentuale (variabile a seconda dei soggetti) di bene e male. Spesso, per vederli con chiarezza, è necessario si creino determinate condizioni però, credo che ognuno di noi, nel corso della propria vita, abbia visto all'opera questi principi nel proprio animo. O no?
Non solo questi princìpi si vedono all'opera nel nostro animo, si può pure constatare come il bene e il male non siano neppure contrapposti.
Non vi è un bene e un male dentro di me che si contrappongono. Perché a ben guardare uno non è l'opposto dell'altro. In quanto sono incommensurabili l'un l'altro.
Sono su piani differenti.

Di modo che, nonostante sia data per scontata, non vi è in realtà nessuna lotta tra il bene e il male.

Perché non vi è un bene che cerca di imporsi sul male.
Sono solo io, che non sono il bene, a ritrovarmi ad avere a che fare con il male.

E il male esiste, proprio in quanto mi interroga: "E adesso?"

Mentre il bene... è semplicemente un puro nulla.

Il male è ciò che non dovrebbe essere in me, ma c'è.
Viceversa il bene è semplicemente l'assenza del male, e si manifesta come un nulla.

Un nulla che mi fa essere.
Invece, il male, non mi fa essere.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Alexander

#206
Buona domenica a tutti


Sembrerebbe così che, alla fine della discussione, siamo tornati al punto iniziale, e cioè che è proprio così la storia umana: priva di significato.  Abbiamo diversi sensi da dare soggettivamente alla vita o ad un particolare evento della vicenda umana, ma non un senso "oggettivo". Si vorrebbe anche che l'uomo alla fine "sopprimesse" in sé questo sentimento, che direi quasi estetico nella sua purezza, di volerne trovare una chiave di lettura. Accettare che il secchio è vuoto e trovare pace in questa vacuità di senso. Ci sarebbe da chiedersi se la ricerca di un senso della storia, sia un deposito culturale o una necessità naturale dell'uomo. Io propendo per la seconda ipotesi. Tra l'altro se cerchiamo di non trovare un senso esplicito al corso degli eventi, gli eventi stessi ci impongono un senso implicito, come stiamo vedendo in questi due ultimi anni. Mai come ora si è parlato, per esempio, di "senso civico" da rispettare, di responsabilità sociale. E così stiamo già iniziando a riempire il famoso secchio vuoto di contenuti imposti culturalmente. Ma possiamo trovare un'infinità di sensi che si tenta di imporci, con lo sfondo del film della storia intesa come " progresso dell'umanità". Pensiamo a tutta la narrazione catastrofista green. L'urgenza di "salvare" l'umanità. La "lotta eroica" contro un patogeno che riempie di orgoglio,ecc. Sono tutti significati soggettivi, non importa quanto condivisi, che s'impongono come oggettivi. Una lettura teologica laica, si potrebbe quasi dire.  In fondo c'è sempre un vitello d'oro da adorare. Si può arrivare ad adorare anche il secchio vuoto, e vederlo dorato.

Kobayashi

Citazione di: InVerno il 20 Novembre 2021, 19:20:11 PM
Una delle cose che mi lascia sempre basito e perplesso, è il fatto che coloro i quali che tendono ad avvocare l'idea del valore salvifico della religione, sfruttano sovente la lettura storica positivista, che in teoria dovrebbe andargli indigesta, e contrappongono il medioevo "ora et labora" alla "modernità materialistica" etc.. sono avvenuti più progressi tecnologici in cinquant'anni di medioevo "ora et labora" di quanti ne siano avvenuti in cinquecento di impero romano, ma l'idea che questi poveracci dell'età oscura fossero così assorti in preghiera e consolati dal senso della storia da non curarsi delle vicende "materiali" è dura a morire, peccato sia un invenzione di quelli che la religione l'avrebbero cancellata con la gomma se avessero potuto. Serve parecchio "senso dell'autonomia" e "materialismo" per massacrarsi incessantemente per anni e anni e anni per qualche spicciolo o qualche acro di terra, come facevano gli uomini quando erano tutti, almeno sulla carta, cristiani, e osservati costantamente dal dittatore celeste, limitati nella loro hybris, tanto da sterminare continenti, devastare terre, stuprare in corsa e giocare in borsa..Sono certo che per loro, il male non fosse un problema, così come per una persona deformata non è un problema l'assenza di specchi.

Vediamo se ho capito: rispondi ad una critica della secolarizzazione con il luogo comune del credente ingenuo che idealizza un medioevo di preghiere e ascesi mai esistito. Ma io non ho mai nemmeno pensato di contrapporre alla modernità un medioevo spirituale.
Poi fai notare che siccome nel medioevo si massacravano allora il tema della non autonomia della morale rispetto alla ricerca di Dio è confutato dalla realtà... Tema che io avevo proposto invece per il credente disorientato di oggi descritto da Alexander. Infine concludi con una battuta che determina confusione nella questione della differenza nell'approccio al male, ovvero come problema o come mistero.
Che dire... Meglio chiuderla qua.

Ipazia

#208
Citazione di: Phil il 20 Novembre 2021, 14:53:50 PM
@Ipazia
Il presunto "primitivista filosofico" dà un senso/significato a ciò per cui è pertinente (una traccia animale o altro) non ad una condizione che può averne infiniti ed infalsificabili (la vita) o ad un concetto (la storia); è la differenza cruciale fra un vero problema (cacciare, difendersi, etc.) ed un falso problema (che senso ha la vita, la storia, etc.?). Venerare il vulcano implica un Senso solo agli occhi dell'antropologo che usa a priori il senso come categoria, agli occhi dell'indigeno magari è solo una questione di presenza di una divinità ostile (che noi definiremmo ingenua).
"Privitivista" mi piaceva di più, perchè è uno stadio precedente a "primitivista". Venerare un vulcano invece è già "primitivista": una prima adulterazione (il mondo dietro il mondo) del segno vulcano che erutta che procederà sul piano inclinato della "decrepitezza filosofica" e ideologica col suo corollario crescente di sacrifici umani. La vita è difficilmente infalsificabile visto che è falsificata dalla morte. "Senso", chi ha iniziato la discussione, lo intende come "signi-ficato", che produce una sensazione in chi è sensibile, completando il corollario semantico con la sua sfumatura trascendentale del "senso" che tutto racchiude. Da cui la "vanità", per chi non coglie altri significati, in assenza dei suoi.
CitazioneIl dogma che l'assenza di senso sia assenza di vita,
Non è più tale se consideriamo che l'assenza di vita è pure, oltre a tante altre assenze, assenza di senso.
Citazioneche sia "necessaria" una spiritualità,
Non so se è necessaria, ma anche la sfera psichica ha le sue ragioni che la ragione non conosce. Gli orientali la chiamarano atman, gli occidentali nous. Difficile immaginare una "filosofia senza spirito".
Citazioneche ci sia possibilità di salvezza (redenzione, etc.)
Qui posso pure concordare. L'unica salvezza possibile è trovare un modus vivendi sereno con "l'essere per la morte", come insegna Epicuro. Godendo in pienezza , come altrettanto insegna, "l'essere per la in vita", nel "secchio" Lebenswelt.
Citazionee che persino una fallacia sia un buon fondamento,
E' una fallacia per gli scettici, ma carica di senso per i portatori di "secchi".
Citazionesono altri sintomi della fede nel suddetto aut-aut fra Senso e caos, ataviche declinazioni dell'avversione per la "consapevolezza negativa" (v. la fame di pienezza per cui il secchio deve essere pieno e se non lo è un peccato;
Il secchio nasce contenitore. Il secchio vuoto è un nonsenso filosofico. Coerenza vorrebbe che, a questo punto, si rinunciasse pure al secchio, invece di portarlo a spasso vuoto (pesa pure da vuoto).
Citazionespesso si resta comunque figli della propria cultura locale, anche quando si rinnegano alcuni tratti dell'imprinting...).
Questo sempre. E vale pure per scettici e relativisti. Anche più obbligati, nella pratica quotidiana, a rinnegare alcuni tratti dell'autoimprinting, portando a spasso secchi vuoti. Una cultura meno locale e più saggia consiglierebbe di mettere nel secchio solo lo stretto indispensabile richiesto dalla "fallacia" naturalistica. Un secchio leggero, ma ragionevolmente funzionante. In rapporto dialettico con la "consapevolezza negativa", sotto lo sguardo benevolo di Guglielmo da Ockham.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

@Alexander e @Ipazia

Per tirare le fila del mio discorso occorre coniugare la storiella del monaco alla metafora del secchio, ma sempre alla luce della constatazione, non a caso premessa alla questione del secchio, che il dover assegnare un senso alla storia, alla vita, etc. costituisce «una retorica senza dubbio utile individualmente e socialmente consolidante» (autocit.) e che «se così non fosse, se non fossimo affamati di senso, non saremmo "animali semantici", non ci sarebbero (state) "grandi narrazioni", non saremmo eredi di una storia culturale basata su valori e assoluti, etc.» (autocit.). Lungi da me dunque suggerire (come già accennato, mi interessa descrivere non prescrivere) contemplazioni di secchi dorati o l'abbandono dei secchi (infatti il monaco appeso non abbandona il ramo, non si lascia cadere, né tantomeno lo venera), bensì, come detto, è proprio in virtù della originaria vuotezza del secchio che ognuno può riempirlo come vuole (o anche non riempirlo). La conseguenza è che il chiedersi quale sia il senso è, per me, un falso problema, perché il senso è inevitabilmente quello che noi, più o meno consapevolmente, mettiamo nel secchio, non ce n'è uno già (im)posto dentro, da dover decifrare o scoprire.
Se poi slittiamo dal senso inteso esistenzialmente, al senso come scopo/fine, sino ad arrivare al senso come oggetto della pulsione dell'istinto (attaccamento alla vita, etc.), ovviamente usciamo dalle dinamiche filosofiche-teologiche (in cui ha senso parlare di dio, come da titolo del topic) per entrare in altri orizzonti (o in altri secchi-matrioska, per quanto la dinamica dell'assegnazione del senso resti sempre la medesima, se non la si confonde con l'"assegnazione" dell'istinto, l'"assegnazione" dell'imprinting culturale, etc.).

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