Senza Dio la storia umana è priva di senso

Aperto da Alexander, 22 Ottobre 2021, 10:14:37 AM

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iano

#90
Citazione di: Alexander il 02 Novembre 2021, 16:04:42 PM
Buongiorno Phil


Quindi concordi con me che la storia umana non ha alcun senso? cit.:"perché la condizione di possibilità del dare senso è che non ci sia senso da scoprire, ma solo uno (o molti) da inventare/attribuire. "
Tanti sensi soggettivi inventati non fanno un senso condiviso. La domanda si pone sul senso oggettivo della storia, non su quello soggettivo. In mancanza di un senso oggettivo sorge il sentimento di vanità (soggettivo.Perché ovviamente un sentimento non può che essere soggettivo) della storia umana. Sono partito da questo sentimento di vanità che percepisce il personaggio di Calvino. Naturalmente non è detto che tutti lo provino.
Possiamo parlare di un senso oggettivo della storia umana perché non possiamo escludere che non vi sia.
In effetti io credo che vi sia, come proverò a dire, anche se  ti anticipo già' che deluderò le tue aspettative e non acquieterò il tuo senso di vanità.
Intanto parlarne ha senso solo se l'umanità è qualcosa di oggettivo, e a me non pare che lo sia.
La strada parte  in salita, come se volessi subito smentirmi.
Tu allora puoi smentirmi dando una definizione di umanità, ma puoi farlo solo se la accrediti già' in partenza di un senso.
Altri potranno dare altre definizioni cui sono attinenti diversi sensi, come se vi fossero diverse umanità.
Tuttavia, tutti noi condividiamo il fatto che vi sia una sola umanità. Ne parliamo come se fosse una e una sola.
Ciò può avvenire solo attribuendo tutti lo stesso senso, non esprimendolo però, perché non ne abbiamo consapevolezza.
Possiamo condividere ciò che è implicito, ma non ciò che è esplicito, e se ciò che è implicito diventa esplicito allora non è più condiviso. È sufficiente che un solo individuo rifiuti quel senso, ed è certo che avvenga prima o poi.
Ma supponiamo per assurdo che invece non avvenga. Un senso divenuto esplicito viene da tutti condiviso e per sempre.
Anche così non disponiamo ancora di un senso oggettivo, perché l'oggettività non ha a che fare con l'unanimita'..
Quindi un senso anche da tutti condiviso non sarebbe oggettivo.
Se però un tal senso ci fosse risolverebbe almeno un problema.
Quello di capire come mai, pur essendovi diverse possibili umanità, una per ogni senso possibile, noi ne percepiamo una sola.
Quindi, ripetendomi, il senso dell'umanità, e quindi della sua storia, è ciò che la definisce, e che quindi c'è la fa' percepire come tale. Lo possediamo, e lo condividiamo, fin quando non lo esplicitiamo.
Sicuramente ho così deluso le tue aspettative, come premesso.


Ma allora il problema che poni, o ancora meglio che sentì, perché tu provi un senso di vanità, andrebbe meglio così riproposto.
Se provi un senso di vanità, cosa manca al tuo vuoto per riempirlo?
Quali sono le tue aspettative deluse?
Posto che mi sentirei di osservare che tutti possediamo questo senso di vanità, quindi la tua risposata chiarirebbe un problema comune.


Io lo razionalizzerei nel seguente modo.
Il senso di vanità equivale alla coscienza che il soggetto della storia, anche quando fosse oggettivamente definito, sarebbe tale per un solo istante, perché la storia lo muterebbe all'istante dopo.


Il vero problema è che diamo per scontate, senza esplicitarle, tante, troppe ipotesi.
Come ad esempio che  l'umanità sia ben definita e che tale definizione abbian eterno valore.
Ma ha senso parlare della storia di ciò che essendo eterno non muta?



Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

Persino un pensatore che sulla vanità della storia umana ha costruito tutta la sua opera intellettuale ritrovava il senso della vita (umana) in una coppa di gelato. Ovvero in un artefatto della storia umana. Anche le vie del senso sono infinite.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Alexander

Buongiorno Ipazia


Forse allora possiamo dire che trovare il senso della (nostra) vita ci aiuta a non sprofondare in quel sentimento di vanità che la storia umana nel suo complesso può e sa suscitare. Quasi che la mente, dopo averlo provato, cerchi di ritornare alla sue certezze rassicuranti, consuete. Magari si legge un libro edificante o si va su Aforismi.it per vedere l'insegnamento sul senso della (loro) vita dato dai grandi pensatori,scienziati, filosofi o maestri spirituali. E' un po' la tecnica che usiamo quando siamo vecchi e malandati: compensiamo con piccoli piaceri, abitudini che ci consolano. Cerchiamo di vedere il bicchiere mezzo pieno e cerchiamo in ogni modo di rallentarne lo s-vuoto-mento.

daniele22

Buona giornata.
Vano: vuoto o anche privo di efficacia.
La nostra vita di singoli individui vive quotidianamente di gesti che si spera siano buoni a farci vivere.
Siamo pertanto invasi da un'abitudine mentale che rende spontaneo il vedere una finalità nel gesto che si compie.
Tutti sappiamo però che c'è la morte ad aspettarci, della quale nulla sappiamo.
In questo gravame mortifero, tra l'altro, le nostre produzioni linguistiche affascinanti l'umanità intera si sono rose senza successo ad affrontare vitalmente tale aspetto. Il senso comune della storia umana pertanto, e forse di qui il senso di vanità che si può percepire, risulterebbe dal rendersi conto che le nostre azioni, pur guidate dalla morte, sono finalisticamente rivolte alla vita. A 'sto punto mi chiedo. Perché non finalizzare la morte? Perché mi danno a vivere, anche se ne provo soddisfazione? Se la morte è tappa obbligata della vita tanto vale che mi ammazzi subito e vediamo poi che succede. Ma lo fanno in pochi. Il gelato è buono si sa, e come dice Ipazia le vie del senso sono infinite. Forse, al fine di vedere un senso comune della vita, basterebbe solo accontentarci di avere ben chiaro al punto di saperlo riconoscere in ogni istante che si vive quale possa essere l'attimo in cui si possa pure rischiare la morte. Ma lo fanno in pochi

Alexander

Buona sera Daniele22


Penso anch'io che nel gesto quotidiano ci sia finalità, cosa che ci viene a mancare quando osserviamo la storia umana nel suo complesso. Il sentimento di vanità è anche un sentimento di morte, come giustamente scrivi. Sentimento che cerchiamo di negare opponendo una quantità di sensi soggettivi che ci confermino, che riempiano di senso questa intuizione fondamentale, metafisica, sempre presente nella coscienza umana di fronte alla vanità, alla storia incapace di liberarci da questo vuoto. Storia che si affanna inutilmente a riempirlo, facendo e poi rifacendo, creando e distruggendo. Il sentimento di vanità può generare anche un desiderio di non essere, di porre fine a questo nell'oblio della morte.Così possono nascere pensieri autodistruttivi, per porre fine all'angoscia della percezione della vanità. Anche a me è capitato di nutrire pensieri simili. In questa angoscia però , sempre, un incontro mi ha preso per i capelli e tirato su. Sempre un essere umano, volto di Dio, mi ha ridato un briciolo di fiducia. Io almeno ho dato questa chiave di lettura a questi incontri, apparentemente senza particolare importanza, che non cambiavano nulla della mia esistenza quotidiana, ma cambiavano la mia visione delle cose. Il Dio-con-noi lo riconoscevo allora nel volto del poveraccio che aiutavo in qualche modo, magari solo a salire le scale, che ringraziava, ringraziava, mentre io non ero capace di ringraziare.

Ipazia

Tornando all'intervento di Phil, se postuliamo che la vita umana e la storia siano realtà oggettive, dedurne un senso dipende dal punto di vista antropologico in cui ci collochiamo e dalla costellazione di valori di questo punto di vista. Da ciò non sfugge neppure il senso parziale del teista e il significato a cui attinge. Sentendo la necessità di un senso comune, l'unica strada possibile è la promozione e condivisione della propria causa/fede con altri umani, verificando nel feedback la fecondità della propria intuizione. Tale processo è trascendentale in senso kantiano e, qualsiasi sia il riscontro, non legittima le pretese di oggettività universale che il titolo della discussione pone. Tale consapevolezza non è riducibile ad una ritirata senile negli aforismi filosofici, ma riguarda chiunque abbia un proprio senso del mondo da comunicare.

Personalmente preferisco radicare il mio senso della realtà nell'immanenza della quale, come dicevano gli antichi, la storia è maestra di vita. Rifuggendo dal corto circuito scopo-senso. Ma lasciando che il senso emerga dagli scopi perseguiti nella storia, tanto realizzati che falliti.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#96
Possedendo memoria e spiccata coscienza, viviamo in tempi estesi, e, con la globalizzazione iniziamo a vivere in ogni luogo. La storia, pur collettiva, diventa quindi, nelle sue diverse interpretazioni, sostanza costitutiva di ogni individuo.
La stessa complessità della storia richiede interpretazioni semplificative, e ciò rimanda a una chiave di lettura, un senso pregiudiziale. Queste interpretazioni diventano a loro volta motori della storia.
Quindi, se come mi pare risulti da questa discussione sia più facile trovare un senso individuale, è poi l'interazione di questi diversi sensi a fare la storia.
Possiamo attribuire alla collettività una memoria, ma non una coscienza, quindi non una intenzionalità guidata da un preciso senso, ma dall'interazione di diversi sensi.
Il senso stesso della collettività sta nella diversità.
Per quello che ne sappiamo non esiste il bene e il male, ma l'efficace e L' inefficace relativi al contingente di una realtà mutevole.
Dietro al disagio che provoca il senso di vanità della storia intravedo l'ineliminabile disagio provocato dal divenire.
Allora Dio viene invocato come ciò che può dare un senso alla storia, come l'emblema di ciò che è , causa del divenire, ma non effetto. Se Dio esiste allora abbiamo la certezza che una realtà pur apparentemente tanto caotica da sembrare inconcludente e priva di meta, pure ha una causa certa e immutabile.
Se certa fissa, immutabile, chiara, contenitore di ogni desiderabile, è la causa, il caos degli effetti non può che essere solo apparente.
Il credente non perciò attinge al senso della storia più di quanto non faccia un non credente, ma è certo che vi sia, e questo lo aiuta a procedere nella storia. Ad acquietare il senso di vanità che tutti, credenti e non credenti provano.
Mi chiedo, se potessimo conoscere l'intero futuro troveremmo allora il senso della storia dell'umanità?
Quello che è certo è che in un lontano futuro non ci sarà alcuna umanità, nel modo in cui oggi la intendiamo.
Al massimo ci saranno esseri viventi che possiamo ad essa fare risalire, e dall'aspetto prevedibilmente ripugnante, se è vero che oggi basta una semplice sfumatura di colore della pelle diversa, per generare tale sentimento.
La domanda quindi può avere un senso se riferita alla vita intera nella sua diversità presente e futura.
Oggi possediamo abbastanza conoscenze della storia della vita passata, ma l'impressione è che se pure vi aggiungessimo la conoscenza della futura non ne caveremmo nulla.
Ma nella misura in cui la conoscenza ci rende diversi , forse potremmo iniziare a correggere il nostro linguaggio rendendo le nostre domande più coerenti con la nostra conoscenza.
In tal senso chiedersi quale sia il senso della storia umana è un quesito che dovrebbe aver perso ormai ogni senso.
Qualunque collettività si voglia considerare , prima non era e poi non sarà, ed è oggi solo in quanto convenzione arbitraria che la astrae dal contesto  vitale.
Seppur percepiamo direttamente l'umanità, non dunque come arbitraria costruzione, ciò non certifica la sua esistenza, ma certifica il fatto che la diversità della vita insiste su una base comune, essendo il prodotto di un divenire continuo, seppur con qualche salto di estinzioni di massa.
Non è un caso che chi ipotizza Dio si trovi a fare i conti con l'evoluzione come produttrice di diversità, evocatrice di caos ,la quale alla lunga rende vana ogni possibile astrazione di una collettività dal "tutto vivente".
Il destino di ogni astrazione è segnato, e a volerla dire tutta, la vita stessa è una astrazione.
Ogni astrazione ha solo il senso di coincidere con se stessa, in quanto arbitraria, e a ciò non sfugge nemmeno l'umanità, se non la vita intera.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
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Ipazia

#97
Citazione di: iano il 03 Novembre 2021, 21:22:54 PM
Mi chiedo, se potessimo conoscere l'intero futuro troveremmo allora il senso della storia dell'umanità?
Quello che è certo è che in un lontano futuro non ci sarà alcuna umanità, nel modo in cui oggi la intendiamo.
Al massimo ci saranno esseri viventi che possiamo ad essa fare risalire, e dall'aspetto prevedibilmente ripugnante, se è vero che oggi basta una semplice sfumatura di colore della pelle diversa, per generare tale sentimento.
La domanda quindi può avere un senso se riferita alla vita intera nella sua diversità presente e futura.
Oggi possediamo abbastanza conoscenze della storia della vita passata, ma l'impressione è che se pure vi aggiungessimo la conoscenza della futura non ne caveremmo nulla.
Ma nella misura in cui la conoscenza ci rende diversi , forse potremmo iniziare a correggere il nostro linguaggio rendendo le nostre domande più coerenti con la nostra conoscenza.
In tal senso chiedersi quale sia il senso della storia umana è un quesito che dovrebbe aver perso ormai ogni senso.

Non ne sarei così convinta. Qui si tocca un punto cruciale della storia umana, introdotto da Bobmax, ovvero il senso nel senso di verso. Se è pur vero che la storia è maestra di vita, la sensibilità umana è più attirata dal futuro che dal passato e ne ha ben donde: il passato è immutabile ed a prova di qualsiasi fantasia, il futuro no. Ed infatti il punto di forza di qualsiasi costrutto ideologico sta nel futuro, nell'escatologia non falsificabile, salvo quando il futuro non sarà più tale. Ma per chi scommette sull'eterno la partita è facile e vinta in partenza.

Questo dato ce lo consegna pure la storia passata che mostra la capacità di signoreggiarla dei profeti, fondatori di religioni e imperi materiali e ideologici. Nel carisma dei profeti si intravvede il senso della storia umana, sempre pronta a concedersi a chi lascia intendere di padroneggiare il futuro. Arte che i millantatori prestati alla politica e alla persuasione hanno affinato tecnoscientificamente fino al dettaglio più insignificante e al delirio più delirante. Rivolto al cielo o alla terra, poco cambia, fino a sorprenderci per la sua capacità di affossare imperi millenari, militari e ideologici, come fossero fuscelli.

I profeti sono il fuoco, l'epicentro, di una coscienza collettiva pronta a grandi balzi nella storia dell'umanità che, come la natura, i salti li fa.

Che il balzo abbia esiti tragicomici appartiene pure al senso della storia umana, trascendentalmente sovraccarica direi, più che vuota.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

daniele22

Buon pomeriggio.
Come mi sembra abbia detto Ipazia, per vedere il senso della storia umana bisognerebbe vederlo contraddistinto dal precedente stato in cui ci si trovava. Il linguaggio consapevole dovrebbe tracciare una linea di demarcazione. Cos'ha prodotto nella storia fino ad oggi l'uso di tal linguaggio consapevole (almeno per quel che riguarda i massimi sistemi)?
Percorrendo l'unica via possibile indicata sempre da Ipazia, a mio giudizio, il senso della storia umana è questo: dalla notte dei tempi si è prodotta a livello mondiale una tesi: Dio. Si è poi prodotta un'antitesi: niente Dio. Sempre a mio giudizio, ad oggi mancherebbe la sintesi, che in qualche misura dovrebbe render conto delle due produzioni precedenti

daniele22

Oppure anche, senza tesi ed antitesi, scendendo un po' più in basso e guardando la storia umana in relazione ai comportamenti, si potrebbe parlare della costante presenza del capro espiatorio. Se ne potrà mai uscire?

Phil

Il capro espiatorio (sia esso animale, umano, concettuale o spirituale) è uno degli ingranaggi messi in moto dalla dinamica del senso (una volta che questa sia innescata, innesco tramite mano/mente umana che dimostra ulteriormente come tale dinamica non sia una necessità trascendentale "oggettiva"): che cosa espia il capro? Una colpa. Di chi? Non sua. Come? Tramite un'investitura/attribuzione di... senso, appunto. Il senso del sacrificio del capro è assegnato dal sacrificante (nel caso di Cristo si ha coincidenza fra sacrificante e sacrificato, ma è un'altra storia), di per sé il capro non ha colpa (né la sua morte naturale avrebbe un senso), ma alla sua morte indotta viene assegnato un senso convenzionalmente (seppur ritualmente e nessun rito si autopresenta come mera convezione), senso che chiaramente esula dall'immanenza del perire della vittima sacri-ficale (fatta sacra, non nata sacra né necessariamente sacra; siamo sempre nell'attribuzione umana di un senso trascendente ad un'immanenza priva di senso innato).
La stessa dinamica semantica di attribuzione soteriologica può essere applicata sociologicamente, esistenzialmente, etc. la caccia al colpevole si ripiega spesso in una inconsapevole caccia al capro espiatorio, soprattutto quando c'è di mezzo sofferenza o morte a cui sentiamo il bisogno di dover (v. sopra) attribuire un senso, poiché l'insensatezza ha in sé l'ombra di un'insensibilità in cui magari non ritroviamo la nostra visione del mondo (l'attuale situazione sanitaria fornisce abbondanti esempi di come la ricerca del capro espiatorio faccia spesso, metaforicamente, affilare le spade e le lingue mentre si socchiudono gli occhi di fronte ai fatti oggettivi; è solo un esempio e non voglio deviare il discorso, per quanto sia facile prevedere che ognuno ci vedrà il senso che vorrà vederci, decidendo chi è il capro espiatorio di quale colpa, assegnando i ruoli tramite la suddetta "investitura apotropaica").

bobmax

Secondo me, non è sufficiente constatare come spetti al singolo ricercare in se stesso il senso della vita.
Occorre pure considerare quale sia il motivo che lo sospinge alla ricerca.

Perché la ricerca non può che avvenire in perfetta solitudine, in quanto a nessuna "verità" ci si può aggrappare, se non a se stessi.

Ma cosa avvia la ricerca?

Perché il ritenere che sia una autonoma scelta incondizionata è questo sì un non senso!

Di modo che mi metto in ricerca perché sollecitato dall'altro.
E l'altro è qualsiasi ente che non sia me stesso.

Così come non nasce in me alcuna nuova idea che non sia sollecitata da ciò che è fuori da me, allo stesso modo il senso della mia esistenza diventa necessario proprio a causa del mondo in cui sono immerso.

È il mondo che mi richiede di dargli un senso!

E nel rispondere a questa richiesta decido chi sono.

O meglio... decido di essere o non essere.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

Filtrare il senso attraverso il capro espiatorio significa inoltrarsi nel campo del simbolico che è  nutrimento comune della sensibilità umana e dilaga dalla religione all'ideologia alla scienza.

E pensavo dondolato dal vagone
"Cara amica il tempo prende, il tempo dà
Noi corriamo sempre in una direzione
Ma qual sia e che senso abbia chi lo sa
Restano i sogni senza tempo
Le impressioni di un momento
Le luci nel buio di case intraviste da un treno
Siamo qualcosa che non resta
Frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno" 


F.Guccini - Incontro
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
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daniele22


Considerando l'intervento di Phil, quel che vorrei proporre sarebbe che per ricercare il senso della storia umana si dovrebbe considerare, come suggerisce Bobmax, da dove provenga l'esigenza di darne un senso.
Al di là delle simbologie del capro espiatorio, resta il fatto che in presenza del Dio giudaico il capro (innocente) si carica delle colpe della comunità liberandola delle sue colpe (non dimentichiamo cmq che la comunità di allora era già fornita del braccio secolare della giustizia verso i malfattori). Venendo meno la presenza di Dio, sempre più la comunità si spoglia della colpa attribuitagli a suo tempo da Dio. Lo fa ergendosi essa stessa ad autorità senza colpa (sostituendosi cioè a Dio). L'autorità viene così ad esercitarsi da chi detiene potere trasferendo la colpa tutta sulle spalle dell'individuo che contrasta in qualche misura l'autorità. Rispondendo forse a Bobmax, il senso della storia umana nella sua globalità proverrebbe dal sentimento individuale (ciascuno a sua misura) e al tempo stesso collettivo, individuandosi in un sentimento di mancanza di giustizia nel mondo. Personalmente mi sono rassegnato a tale status e navigo per altre vie, anche se ancora chiacchiero di queste cose immaginando donchisciottescamente che le chiacchiere possano non esser vane a cambiare tale situazione

iano

#104
Citazione di: daniele22 il 05 Novembre 2021, 11:00:06 AM

Considerando l'intervento di Phil, quel che vorrei proporre sarebbe che per ricercare il senso della storia umana si dovrebbe considerare, come suggerisce Bobmax, da dove provenga l'esigenza di darne un senso.

Insisto sul fatto che ciò che ci fa' percepire le cose come tali e' il senso che gli diamo.
Non sempre però abbiamo presente a noi stessi il senso che diamo alle cose, e solo ciò giustifica chiedersi quale sia il loro senso.
Il senso della storia dell'umanità è quello di essere una astrazione da una storia più grande, che è quella della vita.
Se noi consideriamo l'insieme di tutti gli esseri viventi non è ovvio che esso possa suddividersi in sottoinsiemi secondo precisi criteri. Il senso di ogni sottoinsieme , specie, famiglia etc..., è quel criterio che li determina, che equivale ad un senso.
Se noi ci chiediamo qual'e' il senso della storia di qualcosa che abbiamo estratto da qualcosa di più grande che la contiene, stiamo ammettendo che abbia un senso parlare di una storia che sta dentro una storia più grande.
Se ciò ha un senso, questo gli deriva dall'attrazione fatta.
Chiediamoci allora perché abbiamo astratto l'umanità dal contesto della vita, cosa in se' lecita quanto arbitraria?
Sul perché di quella "estrazione" si basa il senso della storia di ciò che è stato astratto.
Ma che senso ha chiedersi il senso di una storia che sta dentro una storia più grande?
L'unico senso è quello di semplificare e rendere fruibile la storia, che non può dirsi un senso vano.
Di vano c'è solo il provare a montare su una storia oggettiva su nulla di oggettivo.
Di vano c'è solo il credere nell'oggettivita' di ciò che arbitrariamente abbiamo costruito.
Vano, ma non privo di significato e di conseguenze.
Le condizioni in cui versa il nostro pianeta ci suggeriscono di allargare la platea di viventi dei quali cercare un senso della storia.
Si può fare,,essendo una operazione arbitraria, e si deve fare in quanto più utile ai tempi e alle emergenze  che viviamo.
Riferirsi alla storia esclusiva dell'umanità, una storia dentro una storia, non ha più un senso attuale.
Invece di crogiolarci dentro ad un masochistico senso di vanità, è giunto il momento di allargare se non il senso, il soggetto di cui considerare la storia e l'eventuale suo senso.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

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