Senza Dio la storia umana è priva di senso

Aperto da Alexander, 22 Ottobre 2021, 10:14:37 AM

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Ipazia

#60
Ma si può andare oltre:

Con Dio la storia umana è diventata un nonsenso.

Dai sacrifici umani, alle guerre di religione, liturgie, tabù, rituali magici, false credenze, superstizioni, persecuzioni di infedeli ed eretici, integralismo religioso, patriarcato, ... la storia umana si è sovraccaricata di talmente tanti nonsensi da renderci  più insensati di qualsiasi altro animale che segue la legge innata di natura.

Se ne accorsero fin dell'antichità i filosofi epicurei ("Tantum potuit religio suadere malorum" - Lucrezio)
e vale pure oggi con quel "crescete e moltiplicatevi" più micidiale della "bomba zar" di Sacharov.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

niko

#61


Citazione di: Alexander il 29 Ottobre 2021, 15:13:40 PM

Buongiorno Daniele22
In realtà avevo letto il tuo post. Spesso cerco di condensare in un unico post vari spunti che provengono da interventi diversi, per esigenze di tempo.
Apprezzo anch'io  " la ricerca di un'umiltà non ideologica "
Il senso di vanità sarebbe quindi naturale. Ossia: la natura , osservando se stessa, prova spesso un senso di vanità, ovvero una mancanza di senso. Il senso di vanità però , il personaggio di Calvino, lo prova per la storia umana, non tanto per la vita in sè, nella quale ognuno cerca il proprio senso e magari può trovarlo nelle cose più disparate che ad altri possono non interessare affatto.Su Aforismi.it ti danno cinquanta sensi della vita diversi, opinioni illustri di "chi sa", per ogni gusto personale. Posso sentire la vita piena di senso per molte cose a cui sono interessato. Un senso volatile perché, appena passa l'interesse, o mi viene a noia, o viene a mancarmi, necessariamente devo cercarne un altro . In questo caso si potrebbe dire che il senso della vita sta nella capacità di attaccarsi alle cose e trovarci/immaginarci un senso. Ma trovare un senso alla storia umana e attaccarcisi non mi pare così semplice e naturale. Dire che il senso si trova nell'evoluzione naturale sembra quasi come dire che il senso di placare la sete sta nel bere. Rischiamo di confondere  meccanismo con significato.  In altre parole un insegnante che racconta la storia agli alunni non si riduce semplicemente ad uno che parla e tanti che ascoltano. Il significato sta nel trasmettere delle nozioni e stimolare un interesse per il loro significato.E' un esempio. Il significato non si trova quindi nel semplice meccanismo, anche se ne dipende. Se provo allora un sentimento di mancanza di senso, osservando la storia umana in generale, è dovuto alla difficoltà o all'incapacità di trovare questo significato.
Mi sembra che l'esigenza sentita da molti di dare un significato ultimo al divenire degli eventi ci ha condotti , nel pensiero moderno, ad individuare nella storia un progresso, uno sviluppo che, in qualche modo, possa giustificare ogni crisi, ogni male e ogni inevitabile dolore. E' interessante notare che questa filosofia nasce con il pensiero giudaico-cristiano: tanto per il credente quanto per il filosofo della storia, il senso degli eventi non sta nel passato, ma in futuro escatologico sempre a venire, che per il cristiano è capace di inserire ogni fatto alla luce di una storia della salvezza, al cui epilogo è attesa la redenzione.Mentre però il credente è capace (non sempre) di portare la croce di questa attesa, il filosofo secolarizza la speranza religiosa nell'incondizionata fede nel progresso, tanto "cristiana nelle sue origini, quanto anti-cristiana nelle sue conseguenze" (Karl Lowith).
Secondo lo stesso Lowith in ogni filosofia della storia ci sono , ben mascherati, dei presupposti teologici che operano, decretandone, avulsi dall'ambito della fede, il drammatico fallimento della stessa. Questo smascheramento, che va dall'ebraismo di Marx alla lettura puramente storica della Bibbia, porta Lowith ad una tesi radicale: l'impossibilità stessa di una filosofia della storia.
Condivido con voi questa riflessione trovata sul web, perché mi sembra che sia alla base, esplicita o implicita, del senso della storia umana che comunemente si danno le persone. In fin dei conti siamo tutti stati educati a credere in questo "bene di là da venire", sia credenti che non credenti, e che dovrebbe conferire un senso alla storia umana.
Solo che, il personaggio di Calvino, posa lo sguardo sugli eventi e non vede venire questo bene. Allora sorge il senso di vanità.



L'amore per il proprio fato evolutivo, se correttamente inteso, non è una metafisica della storia, tutt'altro.


Cercherò di delineare il problema in modo breve e comprensibile:

il futuro è difficile da amare perché è indeterminato; il passato è difficile da amare perché da una parte esso è l'unico possibile oggetto di coscienza per l'uomo, dall'altra in esso risiedono tutti i traumi subiti dall'individuo cosciente e la sua sofferenza come differenza tra desiderio e realtà, dunque esso in quanto passato è iper-determinato, determinato al di là dell'apparente volere della volontà.

Dunque all'amore per il futuro si oppone la natura alternativamente o oggettuale (nel senso buono del termine, come amare l'altro) o narcisistica dell'amore umano che comunque in nessuno dei suoi due aspetti fondamentali può amare l'assolutamente indeterminato (non si può amare quello che in generale non è nella nostra coscienza e dunque non ha il minimo effetto sul nostro corpo), all'amore per il passato si oppone l'istinto di sopravvivenza e la difesa dell'io (se abbiamo messo la mano sul fuoco in passato, non ce la rimettiamo, e odiamo il pensiero del dolore subito, quindi non possiamo mai amare tutto il passato, semmai lo amiamo a tratti, spontaneamente diciamo "sì" a certe cose depositate nella memoria, e "no" ad altre).

Ora, questi due problemi non hanno nessuna soluzione separata, ma hanno, appunto nell'amore per il fato evolutivo una soluzione simultanea; se io amo il mio passato, amo l'intero contenuto accessibile e riconoscibile della mia coscienza e memoria, dico di "si" a tutto ciò che vi riconosco e dunque sono felice (necessariamente anche il corpo esulta); se tale coscienza amata è anche conoscenza, se mi sovviene nell'attimo secondo verità e quindi nell'unico modo in cui mi può realmente sovvenire, io amo il passato in quanto tale, dunque amo che il passato sia se stesso e sia passato, e così mi apro al futuro, posso amare l'indeterminazione assoluta amando la più nitida determinazione "sfruttando" a mio vantaggio il "meccanismo" intrinseco alla vita, per cui ogni possibile determinazione è cosciente, e dunque passata.
Di tutto ciò che so, so che è passato e so -anche- che lo amo, dunque mi resta "spazio" interiore per amare il futuro, lo spazio interiore dell'amore non è saturato dallo spazio figurale della determinazione.
Non c'è in me nessuna metafisica della storia, perché non c'è in me nessuna differenza quantitativa tra quanto amo il passato e quanto amo il futuro, li amo tutti e due cogliendoli nella loro differenza qualitativa, ovvero esisto nell'attimo.

Il senso della sete sta dunque nel bere?

Non lo so, so solo che, prendendo ad esempio un bisogno fondamentale come la sete, come non si può continuare indefinitamente a volere il voluto (prima o poi fisicamente si muore), così non si può continuare indefinitamente a volere il passato (prima o poi si soccombe, ci si accorge ce la vita non è più degna di essere vissuta).
Quando il voluto è passato, un po' anche il passato è voluto. Si ha tempo ed energia per fare e pensare altro. E' questo che succede quado, dopo aver vagato a lungo nel deserto, si giunge finalmente al pozzo o all'oasi. Si ha finalmente un buon rapporto con la parte nota del tempo, o meglio del divenire, e quindi, se si è capaci di intelligenza, anche con il suo tutto. Vale la pena di essere attaccato dai predoni o di morire di caldo domani, se ho trovato l'acqua oggi.

Il divenire ha un ruolo mediamente molto più importante nelle filosofie e nelle etiche dei pessimisti o al limite dei realisti, che non in quelle degli ottimisti. Perché il divenire è danza degli opposti. Croce per gli ottimisti, e delizia per i realisti.



Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

iano

#62

Se vi è  un senso della storia buono per tutti, per essere tale deve essere ignoto, se è vero che, essendo dotati di libero arbitrio, conoscendolo potremmo rigettalo.

Non possiamo escludere che non vi sia un senso della storia, ma se vi è, e noi lo possediamo, non sappiamo però  dirlo.
A meno che tutto non sia riducibile in parole, e allora sarebbe vero che  la storia non ha senso.
Infatti se fosse riducibile a parole , non sarebbe il senso di tutti.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#63
Dio è l'innominabile...più nominato che vi sia.
Perché?
Perché su ciò di cui non si può dire, si dice ogni cosa, che vale come non dire nulla.
Se c'è un senso , allora non possiamo dirlo, se non dandogli ogni possibile senso, quindi nessuno.
Non ci sono parole per dirlo. Nessuna parola è adatta, in quanto parola, e vanità è una parola.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#64
Il senso è la vita, perché lo si vive, possedendolo tutti, come possediamo la vita.
È ciò che condividiamo, al di là delle scelte coscienti.
Il senso è ovvio, e come tutte le cose ovvie non occorre dire. Non si può.
Non si può dire perché il rosso lo vediamo rosso, ma tutti lo vediamo rosso.
Come si può spiegare questo a parole?
Si può dire che vediamo rosso perché ad esso corrisponde una precisa frequenza d'onda elettromagnetica.
Ma non si può dire perché in corrispondenza di quella frequenza vediamo rosso e non giallo.
Vediamo rosso perché il nostro sistema percettivo, a tutti comune, è fatto così, e nessuno di noi lo ha deciso.
Allo stesso modo cerchiamo un senso perché abbiamo una coscienza., che nessuno ha deciso di avere.

Quando facciamo una distinzione netta fra individuo e collettività , quando parliamo di discriminazioni, di ingiustizie, di oppressori, di complotti, dimentichiamo che stiamo parlando di noi, e non di altri.
Lamentiamo le diseguaglianze dimenticando quanto siamo uguali nel profondo.
Ma quando parliamo di storia umana, al contrario, dimentichiamo che non ci sarebbe alcuna storia senza individui diversi, e questa diversità è l'unico senso che io riesco a trovare.
Se pure l'umanità avesse un senso, un percorso prestabilito, un fato, questo percorso non è fattibile senza il motore della diversità fatto di individui, ognuno dei quali perciò comunque ha un senso.
Se c'è una meta, qualunque essa sia, non rischiamo di mancarla , spegnendo il motore, rinunciando alla nostra individualità, per presunta vanità.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

Citazione di: iano il 30 Ottobre 2021, 22:09:04 PM

Se vi è  un senso della storia buono per tutti, per essere tale deve essere ignoto, se è vero che, essendo dotati di libero arbitrio, conoscendolo potremmo rigettalo.

Non possiamo escludere che non vi sia un senso della storia, ma se vi è, e noi lo possediamo, non sappiamo però  dirlo.
A meno che tutto non sia riducibile in parole, e allora sarebbe vero che  la storia non ha senso.
Infatti se fosse riducibile a parole , non sarebbe il senso di tutti.

Sulla scia del titolo della discussione si arriva a questo ed è già un buon punto d'arrivo, ma se fosse insensata (unsinnig) la partenza, ovvero il titolo della discussione ? Se ci fosse una insolubile confusione tra senso e scopo, finalizzata (inconsciamente) a confondere le acque della logica e della semantica.

Dopo aver attinto ai sacri testi del diploma universitario web, mi sono schiarita un pochino le idee sul compagno indissolubile del senso, ovvero il significato. In soldoni: il significato fa quello che il senso "vede". Il significato è, etimologicamente, un facitore di segni. Quindi prima di chiedersi se la storia umana ha senso bisognerebbe verificare se significa. La risposta è: sì. La storia umana è una fabbrica instancabile di segni fin dalle prime necropoli e pitture rupestri. Passando al recettore sensibile: ha senso tutto ciò ? Dipende dalla sensibilità del recettore. La quale non è mera soggettività individualistica, ma vincolata al livello di sensibilità del recettore medesimo. Una macchia su una radiografia ha un senso ben diverso per un medico rispetto al profano. Così come una serie di note ha livelli di recettività sensibile (senso) assai diversi tra profani, dilettanti e musicisti.

Tornando alla domanda iniziale si perviene all'ambito soggettivo della filosofia di riferimento, della Weltanschauung detta pure visione del mondo. Per il finalista, in cui il senso si lega indissolubilmente allo scopo, la storia umana, espunto il motore sovrannaturale del finalismo, non ha senso (scopo). Per un immanentista, come molti che sono intervenuti, la storia umana, la natura, l'evoluzione, hanno un senso in sé e vanno presi così come sono. Adattando lo scopo (l'intenzionalità umana è indubbiamente finalistica, pro domo sua) al significato che la "realtà" propone al recettore dotato di senso, anche metafisico, trovando piena gratificazione e "senso" in tale operazione di disvelamento della verità immanente, attraverso il riconoscimento dei suoi segni. Così come quando si "scopre" qualcosa.

Sapendo che la scoperta non è la/il fine della storia, ma il capitolo di una storia il cui senso, e bellezza, è nel suo essere in-finita.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Alexander

Buona domenica a tutti


Una collezione di segni non fornisce un significato. Perché assumano significato i segni vanno interpretati. Non è però semplice e univoco interpretare la storia umana. Anche la gratificazione che si può provare nel di-svelamento della Verità (?) immanente, ottenuto attraverso il riconoscimento di un segno, non si sottrae all'arbitrarietà dell'interpretazione soggettiva. Non è infatti pensabile che un segno storico immanente abbia un'unica interpretazione. L'opinione sul segno immanente, quanto mai personale, concorre al senso complessivo di vanità e mancanza di senso generale, perché la storia si genera anche in segni contraddittori tra loro, in cui alla fine prevale quello che ha più potere sugli altri. Potere che è anche convinzione, mi sembra. maggioranza, ecc. Che ci sia una finalità di dominio, che percorre tutta la storia umana, mi pare evidente. Dominio nelle più svariate forme, a cui ha concorso naturalmente anche l'istituzione religiosa, ma non solo. Possiamo allora dire che il senso della storia umana è questo percorso di dominio gli uni sugli altri? Dominio anche delle convinzioni? Anche in questo forum sono in difficoltà perché la mia interpretazione tende ad essere "dominata" da quella della larga maggioranza atea che scrive.Naturalmente è sempre difficile per tutti trovare le parole adatte, cercando di non diventare parolai. La sensazione di vanità della storia collettiva umana non mi sembra però molto razionalizzabile. Come ho già scritto: anche se penso che sia dovuta alla perdita della fiducia in un autore che sostenga la storia umana, la potrei a volte provare anche in presenza di questa fiducia, proprio perché non potrei essere certo di interpretare correttamente i segni che percorrono la storia. Il ciclista che sale su una strada di montagna può sperare che ci sia un traguardo che dia un senso finale alla sua fatica, ma come tutti non potrà mai esserne certo, non lo vede ancora, e quindi non può far altro che fare del suo meglio, come gli altri.

Freedom

Citazione di: Alexander il 22 Ottobre 2021, 10:14:37 AM
Uso il termine senso nell'accezione di significato. La storia umana , e quindi la storia personale di ognuno di noi, non appare priva di significato in assenza di Dio?
E' talmente ovvio che non necessita una gran discussione.

Infatti l'ateo attribuisce debolezza, fragilità, fuga dalla realtà al credente. Perché quest'ultimo non accetta l'assenza di significato che deriva dalla vita così come ci appare. Oddio, qualcuno si esercita in improbabili dimostrazioni di significato/i laddove, viceversa, è del tutto evidente l'assenza di esso/i.

E' per questo che l'ateo, non sempre ma spesso, afferma (o più elegantemente pensa tra sé e sé) che egli è più forte, più oggettivo, più aderente alla realtà insomma.....superiore.

Chissà, magari è anche vero.

P.S.
Ho usato la parola credente senza specificare in quale Dio. Perché se è certamente vero che esistono delle differenze nei vari credo è altrettanto vero che esistono anche delle similitudini. Come nel caso di specie e cioè che il credere in qualunque Dio dà un significato alla propria vita.
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

Ipazia

Il significato include l'interpretazione di un segno, ma non tutte le interpretazioni si equivalgono e l'ermeneutica storica si sforza di discriminare i segni dal contesto sociopolitico che li ha prodotti, inclusivo delle leggende e bufale su di essi. Tutti i segni portano a dimostrare che Giulio Cesare fosse latino e non giapponese (verità ! immanente), indipendentemente dalle acrobazie soggettive che si possono esercitare sul significato "Giulio Cesare".

Altra questione è il rapporto tra senso e scopo. Da ciclista assicuro che i miei giri in bicicletta non hanno come scopo il ritorno alla meta, dove posso benissimo rimanere anche senza usare la bicicletta. Il senso del mio biciclettare è il piacere che mi dà il farlo, non la scontata meta finale.

Non nego che per qualcuno il senso della vita sia racchiuso in una fede religiosa, ma per altri può essere un rapporto umano, un lavoro, un interesse di qualsiasi genere. Di queste sommatorie di senso è fatta la storia umana ed escluderne alcuni a vantaggio di altri significa presumere un Senso ed una Sensibilità superiori a tutti gli altri. Hybris inaccettabile.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Salve alexander. Citandoti (ma sto contemporaneamente citando il "senso comune" creduto valido da chiunque !) : "Il ciclista che sale su una strada di montagna può sperare che ci sia un traguardo che dia un senso finale alla sua fatica, ma come tutti non potrà mai esserne certo, non lo vede ancora, e quindi non può far altro che fare del suo meglio, come gli altri.".

Potrei tranquillamente affermare che non esiste conclusione più sciocca di quella di chi considera che un traguardo possa costituire il senso di una azione.Sin qui lo sciocco - secondo appunto il "senso comune" - apparirò invece essere io.........ma al di là del vaporoso significato di "senso", esiste la LOGICA.


Nel momento in cui il ciclista affronta la salita intenzionato a raggiungerne il colmo, il senso della sua fatica consiste nel produrre uno sforzo orientato al raggiungimento di una certe forma fisica e/o di un proprio masochistico piacere e/o di una propria soddisfazione psicoatletica e/o di una certo luogo (quello del traguardo).


Perciò, arrestandosi al traguardo, il ciclista cessa la propria fatica, la quale, come sopra detto, incarna il senso del suo agire. Il traguardo pertanto è sempre la FINE DEL SENSO DI CIO' CHE ABBIAMO FATTO PER RAGGIUNGERLO.



Esso traguardo (ovunque e comunque collocato) è solamente uno strumento che ci permette di dare un senso al "viaggio" che noi compiamo per raggiungerlo. Saluti.




Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

iano

#70
Citazione di: Alexander il 31 Ottobre 2021, 11:48:24 AM
Buona domenica a tutti


Che ci sia una finalità di dominio, che percorre tutta la storia umana, mi pare evidente. Dominio nelle più svariate forme, a cui ha concorso naturalmente anche l'istituzione religiosa, ma non solo. Possiamo allora dire che il senso della storia umana è questo percorso di dominio gli uni sugli altri? Dominio anche delle convinzioni? Anche in questo forum sono in difficoltà perché la mia interpretazione tende ad essere "dominata" da quella della larga maggioranza atea che scrive.Naturalmente è sempre difficile per tutti trovare le parole adatte, cercando di non diventare parolai. La sensazione di vanità della storia collettiva umana non mi sembra però molto razionalizzabile. Come ho già scritto: anche se penso che sia dovuta alla perdita della fiducia in un autore che sostenga la storia umana, la potrei a volte provare anche in presenza di questa fiducia, proprio perché non potrei essere certo di interpretare correttamente i segni che percorrono la storia.
Se l'inconsapevole motore della storia è una collettività di individui consapevoli , esso trae energia da un gradiente che è la loro diversità. Che in virtù di questa diversità, per fattori contingenti, alcuni abbiano un vantaggio sugli altri, è il succo dell'evoluzione, la quale si muove non per andare da qualche parte, ma anzi per "restare" , resistere, su una terra che invece non sta, mutando in continuazione.
Le estinzioni di massa, almeno sei, secondo quanto spesso ci ricorda Jacopus, ci suggeriscono che se vogliamo cercare un senso esso va' riferito alla vita, cioè alla collettività di tutti gli individui, dai microbi in su'.
Se torniamo indietro ai primi due miliardi di anni ( se non ricordo male) dominato dai microbi, che senso ci possiamo trovare?
Se vi state figurando quella terra, vedrete bene che quello è il perfetto quadro della vanità.
Possiamo vedere nella storia dei microbi un percorso di dominio degli uni sugli altri?
Si, certamente . Ma dovremmo scandalizzarcene? Infatti se escludessimo questo percorso dalla loro storia, non sapremmo come altro raccontarla, se non come collettività chesii da' un verso per resistere ai mutamenti ambientali di verso opposto, e di cui loro poi diventano a loro volta causa.
Che senso ha la loro storia? È una storia di resistenza. Resistere,resistere, resistere.
Il fatto è che se usiamo il termine dominio , un senso tendenzioso glielo abbiamo già dato, a dimostrazione del fatto che tendiamo a dare un senso, anche quando obiettivamente non sembra esservi.
La cosa, trasportata al presente , siccome sembra questo più complesso rispetto ai primi miliardi di esistenza della vita, in questa complessità ci sembra meglio plausibile trovare un senso.
Ma ai fini del trovare un senso, nulla in verità è cambiato.
Mi chiedo quale possa essere il vantaggio che possa acquisire qualunque essere vivente in vita, se poi comunque morirà?
O, in alternativa, quale vantaggio ne hanno tratto i posteri, tutti indiscriminatamente?
Se trascendiamo la morte, shuntando l'individuo, sembra che per stare su questa terra, che non sta, bisogna al pari non stare , tanto che chi per diletto ama andare, sarà destinato a dominare.
Prendi Ipazia ad esempio, che coi suoi giri in bici è un tiranno in erba, oppure in asfalto, secondo come scelga il percorso.😅
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
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iano

#71
Insomma, la storia della vita sulla terra prescinde dagli individui mortali, e quindi il senso non può stare nella loro reciproca sopraffazione, ma semmai negli effetti che questa ha sulla collettività vitale.
Però sono gli individui a cercare un senso, non la collettività, che è priva di coscienza.
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Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#72
Forse, siccome sono gli individui a cercare un senso, potremmo trovarne una parte nella risposta alla seguente domanda: Che ricaduta si avrebbe sulla vita se gli individui smettessero di cercare un senso?
Siccome però nei primi due miliardi di anni i microbi non cercavano alcun senso, perché privi di coscienza, allora la ricerca di senso è la conseguenza di una aumentata complessità che ha incluso la coscienza, quella cosa che non ti fa vivere alla giornata , proiettandoti in continuo in un percorso futuro, dovendo decidere ogni volta che senso prendere...o dare.
Del come possa procedere una collettività in cui ogni individuo scelga un diverso senso lo si può capire dal fatto che la diversità sia funzionale , e che insiste su una base comune  a diversi livelli, per i quali si può parlare di specie e di famiglie di viventi.
Di sicuro, se perciò, si cerca di dare un senso a una famiglia o una specie, o una umanità, si troverà solo il senso di una arbitraria convenzione.
Si può parlare solo di senso della vita, che non per questo è più facile da trovare, se non per meglio escludere di trovare un senso in cose come la ricerca di dominio di individui su altri , cosa che pure è vera, ma che allargata alla vita intera cambia completamente prospettiva, e non può certamente ridursi al senso della vita.
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bobmax

L'autentico senso della vita lo può dare solo il singolo, traendolo dalla propria profondità.

Mettendo in gioco se stesso.
Perché quel senso è infatti la direzione in cui vuole andare.

Se non ci è alcun senso l'uomo è perduto. Una direzione vale l'altra.
Forte è allora la tentazione di gettarsi nell'ogni lasciata è persa, oppure di fare lo struzzo pur di non vedere l'orrore.

Ma un senso può pure provenire da "verità" rivelate, a cui ci si aggrappa pur di sfuggire all'angoscia esistenziale.
Come il credere in un Dio.

Ma essendo questa credenza strumentale, ossia non motivata dal semplice puro amore... occorrerà rimettersi alla ricerca dell'autentico senso, che non può trovarsi che in se stessi.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Alexander

Buon Ognissanti a tutti



Non sono molto d'accordo che il senso si trova in se stessi. Piuttosto lo vedo nella mia relazione con gli altri che mi fa persona. Come sapete il cristianesimo vede l'essere umano non semplicemente come un individuo, "proprietario" di se stesso, ma come una persona che , essendo debitrice dall'altro di quello che è, nella relazione/dono trova la sua completezza e il suo senso. Noi siamo debitori degli altri per quello che siamo: senza l'altro non avremmo imparato a camminare bene, non avremmo imparato a parlare, a pensare in maniera organizzata,ecc. L'idea che siamo individui bastanti a noi stessi è illusoria, una chimera. Quasi sempre la nostra felicità/infelicità dipende dal tipo di relazione che intratteniamo con l'altro (non solo umano.Siamo in relazione con tutto). L'idea dell'uomo che si fa da sé, tipicamente liberista, è miope e ristretta. Piuttosto, il credente , oltre alla relazione con l'altro e con la propria interiorità, aggiunge la relazione con Dio, anch'essa mediata dalla relazione con la "comunità dei credenti". La difficoltà del credente oggi è anche quella dovuta proprio allo sgretolamento del senso di comunità, al distanziamento sociale, al ripiegamento nel contatto virtuale che indebolisce sempre più questo senso di essere debitore dell'altro, della comunità per la propria vita e felicità. La società parcellizzandosi spegne questo senso di appartenenza, se non in virtuali adesioni a social e gruppi che condividono interessi, spesso autoescludenti. La comunità però non è solo condivisione di interessi è anche e soprattutto contatto fisico, presenza. In una comunità autentica ci si annusa uno con l'altro. Il rapporto non viene mediato da un medium digitale, nascosto in un anonimato. La sfida per il futuro penso sarà proprio quella di far convivere una virtualizzazione dei rapporti sociali sempre più spinta, tendente a individualizzare sempre più, funzionale al sistema di potere attuale, e il senso di appartenenza comunitario.
Questo però riguarda, alla fine, il senso della vita di ognuno; ma il significato della storia umana, la storia collettiva, lo posso trovare in me stesso? E' già difficile, se non impossibile, trovare il senso della propria vita personale. Trovare l'altro sembra follia.

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