Senza Dio la storia umana è priva di senso

Aperto da Alexander, 22 Ottobre 2021, 10:14:37 AM

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iano

#15
Citazione di: Alexander il 24 Ottobre 2021, 09:21:21 AM
Buona domenica a tutti



Natura sive deus o deus sive natura? Mentre me lo chiedo indosso una mascherina chirurgica e tengo in tasca un detergente chimico per le mani.Mi siedo e vedo bolli rossi per il distanziamento. Mai come in questo periodo mi è difficile pensare di trovare un senso nel movimento naturale. Forse questo senso c'è, ma è ancora più nascosto e indecifibrabile di un dio, o del Dio.
Penso che dalla natura si possa spremere del piacere, ma non del significato. Siamo ormai troppo lontani come esseri dalla natura. La tecnica ci ha portato ormai troppo al largo dalla riva naturale. Anche la "svolta green" è chiaramente un accelerato processo tecnologico, basato sulla paura, che mira a ridurre l'impatto  dell'uomo sull'ambiente, ma non porterà l'uomo ad abbracciare la natura, a trovare in essa un senso per la sua storia, anzi, la dipendenza e l'ibridazione dell'uomo con la tecnica sarà maggiore dell'attuale, con ogni probabilità e previsione.  L'evoluzione poi è solo uno scalino di una scala lunga e indecifrabile e che non necessariamente fa sempre salire. essendo privata di riferimento esterno a sé , che le può conferire senso. La lettura , positiva o negativa, di questa scala è esercizio soggettivo, spesso arbitrario e sottoposto a preferenze. E' proprio l'osservazione di questa scala che  fa nascere il senso di vanità. E' stata proprio la paura della natura il sorgere della tecnica che ci ha fatto allontanare da essa. Solo accettando la morte si accetta pienamente la natura. L'uomo però non accetta la morte, ne sente il fascino come di qualcosa esterno a sé, ma mai che la sua vita e la sua morte sono la medesima cosa.
Posso certamente, come facciamo tutti alla fine, dar-mi un senso, in modo  soggettivo. Un senso incerto perché ancorato ad un vuoto, il mio vuoto. Sempre un dubbio, come il tarlo del legno, me lo divora dal di dentro. Certo non possiamo nemmeno usare Dio come un anti-tarme.
Questa discussione deve aver ispirato tutti voi, perché ho letto veramente dei bei post da parte di tutti.😊


Tornando al tema, forse è impossibile trovare un senso, ma ciò non impedisce di continuare a cercarlo, e ci sembra a volte di trovarlo e poi di riperderlo, ma devo ribadire che, comunque stiano le cose, noi facciamo parte della natura, tecnica compresa. Per molti, non solo per te, ciò  sembra difficile da digerire, e per motivi diversi.
Infatti non riesco neanche a pensare che la cosa in se' non sia evidente, ma allora diventano significativi i diversi motivi che fanno da paraocchi.
In verità, in verità vi dico, che se io possedessi un sentimento religioso, il pararsi a immagine di Dio mi sembrerebbe bestemmia massima., nonché uno dei diversi motivi per i quali ci possiamo pensare distinti dalla natura.
Il peccato, come ammonisce la Bibbia, è quello della conoscenza, che ci espelle dall'Eden-natura.
Ma non è un peccato distinguersi e distinguere, equivalendo ciò a conoscere; il peccato consiste nel credere che esista davvero ciò che distinguiamo, come se non fosse , ciò che diciamo esistere, solo il risultato di una interazione fra noi e la realtà, ma la realtà stessa. Se così fosse saremmo anche più che una sbiadita immagine di Dio, ma i suoi diretti emissari.
Se io possedessi un sentimento religioso sarei costretto a farmi la mia personale religione che dia un senso, ma forse è proprio così e noi non lo sappiamo, perché non è che conosciamo  tutto noi, per quanto pecchiamo.
Magari una parte di noi c'è la siamo dimenticata in paradiso, ma non lo sappiamo,, e per questo è ancora lì.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Alexander

Buon lunedì a tutti
che la settimana ci sia lieve


La domanda iniziale che mi ponevo non era però tanto sul senso della (mia) vita, ma quanto sul senso della storia umana. Ossia, osservando lo svolgersi degli avvenimenti della società umana, attraverso gli anni e i secoli, non credendo in Dio, il personaggio di Calvino prova un senso profondo di vanità. Questo non ha a che fare con la bellezza o la bruttezza estetica dell'esistenza del singolo, quanto proprio della vanità dell'insieme, del suo non essere più storia, se viene a mancare l'inizio, lo svolgersi e l'epilogo che abbia un qualche significato non accidentale. Intendo cioè che la storia umana ha un senso se è nella "mani" di un autore che l'ha pensata. L'autore di una storia è nella storia , ma anche esterno ad essa, come l'autore di una narrazione che  infonde qualcosa di se stesso nel racconto, ma non è effettivamente nel racconto. Però può benissimo esserci una storia senza un creatore della stessa, una storia accidentale, che avanza senza meta e senza significato. Una storia creata da innumerevoli autori che agiscono senza consapevolezza dell'insieme . E' di questa storia che allora si prova, se sufficientemente sensibili, un profondo senso di vanità. Come scrive Kobayashi questo sentimento che nasce semplicemente dall'osservare ha a che fare più con la profondità che con la razionalità. Intuisco nel profondo  dell'animo la vanità e l'insensatezza, mentre la ragione può dirmi al contrario che la vicenda umana è proprio così, casuale e senza un preciso significato.

iano

#17
Ciao Alexander.
Vorrei condividere, non fosse per quietare il senso di vanità che pure sento,  se non fosse che rilevo una specie di paradosso: se c'è l'autore di una storia allora vi è un senso possibile, ma se le storie si moltiplicano con gli autori , allora si perde il senso, che non è inteso allora come senso di qualunque genere, ma come un senso unitario.
Il paradosso starebbe nel fatto che se esistesse un unico individuo, e quindi un unica storia, allora avremmo un senso.
Temo però che non avremmo una storia, perché non ci sarebbe uno svolgimento ,un divenire.
L'interagire di diversi individui relativamente indipendenti lascia la storia sempre aperta nel suo svolgersi, e per questo che la storia ci appassiona, perché non sappiamo come finisce.
Tutte le storie che hanno un finale già scritto, come le religioni, hanno il problema di giustificare quello che sta fra l'inizio e la fine. Se la storia acquista un senso, allora è il suo svolgimento a perderlo.

Una storia con un finale già scritto, di cui conosciamo quindi il senso, se è l'effetto di una causa che è lo svolgimento, là si può rappresentare come un ingranaggio che va' avanti finché non finisce la carica predeterminata.
Ma, seppure ciò che è meccanico faccia parte della vita, non la esaurisce però.
La storia di una vita con un senso sembra sembra raccontare la per difetto.
Come una storia che appena inizia è già finita, o, il che è lo stesso, come un meccanismo condannato a ripetersi sempre uguale. Una storia con un senso è una storia che, se non è ferma, gira su se stessa.
Paradossalmente la ricerca di un senso, il quale trovato bloccherebbe la storia, siccome invece non si trova, perciò allora vi è una storia da raccontare.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

Concordo con iano. Se conoscessimo già il finale - come nelle escatologie religiose - la storia sarebbe già  scritta e ci sarebbe solo da aspettare il suo compimento. Invece così è tutto più interessante - altro che vanità ! - perchè la storia la scrive e fornisce di senso ciascuno di noi, da solo o in gruppi piccoli e grandi, e il finale non lo conosce nessuno.

La storia umana non viaggia su binario unico nell'unico treno in cui sta raggruppata tutta l'umanità. La storia umana è sommatoria di storie parziali, incrocio di sentieri occasionali e gli attori, pirandellianamente, hanno perfino smesso di cercare l'autore e, non trovandolo, si sono rimboccati le maniche e si sono messi a recitare a soggetto.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

daniele22

Buonasera. D'accordo col fatto che non abbia molto senso parlare di storia umana. Se si cerca il senso della storia senza Dio, si dovrebbe desumerla immagino dal senso della storia riferendola al termine io. "Da dove viene il termine Dio?" chiede Iano. Evidentemente dall'io che l'ha prodotto. La storia umana di un individuo è una storia di ordini di attenzione verbalmente espressi più o meno permanenti generati da altri io, naturalmente in concomitanza con l'accadere di cose a cui l'io si riferisce quando genera qualcosa. Naturalmente non occorre che tutti capiscano quanto si è prodotto, occorre comunque un certo numero. Anche l'io di Parmenide generò qualcosa di assimilabile a una idea di Dio. E' però difficile sapere la quantità di credenza in Dio presente mediamente nell'individuo dell'anno mille. Quel che viene infine a mancare dalla scena odierna della storia di un superstizioso (mi rifiuto di credere che la mayoria dei credenti di oggi non appartenga a tale categoria) è il premio in cielo, e a cagion di questo, forse, chiedo, non riesce più a dare un senso alla morte e si getta nel nichilismo. Buona nottolata a questo punto


PS per JE: citandoti: "Nietzsche si era accorto del buco che la scomparsa del fondamento religioso avrebbe lasciato nella cultura europea e tentando di ideare un rimedio culturale per quando il tempo fosse venuto, aldilà di termini quasi markettari come oltreuomo, l'idea era buona: separare l'istinto razionale (causa finale) dall'istinto vitale (causa prima), il "pull" secondario dal "push" originario per cosi dire; comprendere che il primo viene dal secondo, e saperne ricavare nuove direzioni."

Aveva la vista lunga quel Nietsche ... dove si sarà mai arenato

Alexander

Naturalmente rifiutando l'immagine ingenua e stereotipata del credente che avete, obietto che  il cercare nella filigrana della storia la presenza del divino non toglie nulla alla scoperta, giorno per giorno, del divenire storico. Il credente semmai sente un compito più pressante del non credente: dare ragione della propria fede attraverso e malgrado il senso di vanità della storia umana che avverte. Leggere una eventuale storia nascosta che scorre assieme a quella ordinaria che tutti viviamo. Compito arduo perché l'inganno è sempre in agguato. L'inganno però gioca con ognuno di noi, credente o non. Il credente non conosce l'epilogo della storia, certo non più del non credente. L'unica differenza sta nelle fede in un autore e che questi sappia quello che fa. Riprendendo l'esempio del bambino che ascolta una storia, si dirà allora che il credente ha fiducia che ci sia un narratore che conosca l'epilogo. Attende allora la scoperta di questo epilogo. E questo è un atto di fede. La storia nel suo divenire allora lo interpella e vaglia la sua fede, perché è là, nella mancanza di senso, che può trovare o rifiutare il Dio/ autore, diventando così, con la sua scelta di ascoltare o meno, un custode oppure un imbrattatore del racconto. Frumento da granaio o pula.

iano

#21
Io non ne farei una questione di credenti e non credenti, in quanto credo che la fede sia a fondamento dell'uomo.
La differenza fra credenti e non credenti sta nel fatto che vi sono fedi esplicite e fedi non esplicite, di cui solo quelle non esplicite, in quanto non soggette al libero arbitrio, sono perciò condivise.
Riduco il tutto a un paradigma matematico.
Non puoi applicare alcuna ragione se non a partire da punti fermi quanto arbitrari.
Cioè, in quanto "umanità " , non possiamo che partire da una fede comune, che non conosciamo.
Dio è una ipotesi esplicita quanto indefinita, che si presta quindi ad ogni uso, perché quelle esplicite, sebbene potenzialmente condivisibili, finché restano esplicite, di fatto non lo saranno mai del tutto condivise.
Si prestano cioè potenzialmente a fare da trama per una storia comune, che in quanto tale sembrerebbero possedere un senso, ma di fatto il tutto non funziona mai.
Gli uomini condividono però delle cose, le quali giustificano parlare di una storia "dell'umanità ", ma non sono esplicite.
Se tutti percepiamo le stesse cose è perché vi sono fedi di fondo comuni, a partire dalle quali tutti giungiamo a "vedere le stesse cose" , tanto che ingannandoci crediamo quelle abbiano corrispondenza uno a uno con la realtà, se tutti le vediamo parimenti.

Queste fedi condivise mi fanno venire in mente la barzelletta di quei pazzi che ridevano quando uno di loro pronunciava un numero. Ma cosa succede se poi si dimentica a quale numero corrisponda quale barzelletta?

Dio è una ipotesi aperta a partire dalla quale ognuno trova il suo senso, e tutto ha funzionato bene, immagino,  finché non si è inventata la scrittura con testi sacri a seguire.
Sono convinto infatti che ci sia stato un tempo in cui gli uomini, riuniti la sera attorno a un fuoco, erano capaci di trovare un senso alla vita, ma uno diverso per ogni sera.
Ogni mattina si rinasceva a una nuova vita con un nuovo senso.


Allora proviamo , come esempio, ad esplicitare una fede comune ad ogni uomo, che la vita sia una e non tante.
Ma sarà proprio vero?
Metti che siano tante e che ognuna abbia il suo diverso senso.
Così non vi sarebbe alcuna vita priva di senso.
Come volevasi dimostrare.😅
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
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Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#22
Ma Alexander, che senso ha cercare il senso della vita?
Per capirlo prova a rispondere alla seguente?
Se un giorno tutti gli uomini, in modo consapevole, condividessero un senso per la vita, allora quello sarebbe il senso della vita?
Non avremmo modo di dimostralo.
Ciò che avviene di fatto è che diversi gruppi di uomini , ognuno dei quali alla ricerca di un senso, condividano diversi sensi. Ogni senso determina un gruppo.
Se conveniamo di chiamare questi gruppi, umanità 1, umanità 2,..., umanità n, allora ogni umanità avrà il suo senso della vita.
Ciò ha senso, in quanto l'umanità è una astrazione, e possiamo quindi astrarne diverse in base a criteri arbitrari, come quello della condivisione di un senso della vita.
È la vita stessa come potremmo definirla?
Come ciò che ha un inizio e una fine?
Ma allora come faremmo a distinguere una fine che coincida con un inizio, ciò  che di una vita ne fa tante?
Chiedersi quale sia il senso della vita per l'umanità ha senso nella misura in cui i termini in questione, vita è umanità, siano ben definiti. Ma ciò non è.
L'unica cosa sensata che mi sento di dire è che sia un senso condiviso a definire una "umanità " e se non c'è un unico senso condiviso allora ci sono tante umanità quanti sono i sensi.
Ma se diversi sensi della vita possono essere diversamente condivisi, allora il senso comune a tutti questi sensi è propriamente la condivisione.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
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Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Alexander

#23
Di fatto però , in questo modo, si tratterebbe solo di condividere le favole che raccontiamo a noi stessi. Anche questo mi sembra che contribuisca a far crescere il senso di vanità della/delle storie che ci raccontiamo. Che importanza può avere la favola che si raccontava il tagliapietre di Bisanzio nell'ottavo secolo ? Che importanza potrà avere quella che mi racconto, tra mille anni ? Nessuna. Con sgomento assumo questo vuoto in me, sapendo che è/ era il vuoto in ognuno, riempito solo di favole. Se non esiste Dio perché dovrei preferirne una ad un'altra? Solo perché qualcuna mi sembra simile, ma non ne sono certo, a quella che mi racconto anch'io ogni giorno? Per questo ripeto che si dovrebbe distinguere "senso della vita" da "senso della storia". Il primo è relativo e individuale, il secondo collettivo. E' la trama in cui si innesta il mio vivere soggettivo l'esistenza. Senza una trama non si può parlare di una storia con del senso. Ci sarà una storia, ma appunto priva di senso.

JE

CitazioneChe importanza può avere la favola che si raccontava il tagliapietre di Bisanzio nell'ottavo secolo ? Che importanza potrà avere quella che mi racconto, tra mille anni ?


Molta o poca, ma comunque qualcuna.


Se la favola che ti racconti poi cambia il modo in cui agisci rispetto al non farlo, e questo cambia il modo in cui qualcun altro agisce, etc.


La favola di Bisanzio (chiunque sia) ti ha spinto a nominarla (anche se é solo un esempio), qualcuno potrebbe leggerla e venirne ispirato, cambiare azioni, influenzare altri a fare lo stesso, etc.


Il fatto che non sia determinabile non significa che sia anche non determinante.

niko

Io penso che la tecnica non allontani l'uomo dalla natura, ma sia lo smarrimento dell'uomo nella realtà infinita e vasta della natura, natura che non è solo specie, ma cosmo, bioma, ecosistema, realtà dell'inorganico e universo, finanche probabilmente realtà degli universi-multiverso; la tecnica è dunque il perdersi dell'umano in ciò che non è più specie umana, ma è -comunque- ancora natura.

L'equivoco in cui molti cadono è che la tecnica non è innaturale, ma -solo- antispecifica rispetto alla specie umana geneticamente e animalmente intesa, insieme dei riconoscimenti e delle filiazioni ulteriori e interne alla specie, e quindi disgreganti, nello spazio e nel tempo,rispetto alla specie intesa come unità,  ma a sua volta la natura non è -solo- specie, ma specie-più-altro, specie più mille altri aspetti, di modo che la tecnica "umana", e il suo fare-epoca, non è altro che un'ulteriore apofania della natura a se stessa e alla coscienza umana.
Insomma l'alienazione dalla specie, e quindi la realtà della tecnica, non è alienazione dalla natura, e quindi la natura non può essere ne l'età dell'oro da cui temporalmente ci si allontana, ne il totem alla cui ombra prosperare, ma sempre e comunque l'universo

pan-teistico di cui si è parte. Ed esserne parte vuol dire averne necessariamente una conoscenza parziale, avere una conoscenza parziale della natura o se vogliamo del deus sive natura, di modo che non è scontato dedurne, intendo dedurre dalla natura, i fondamenti di una qualsiasi etica, insomma ogni etica dei bisogni, cioè legata agli aspetti noti della natura, deve essere controbilanciata da un'etica dei desideri, cioè legata ai suoi aspetti ignoti, (desiderio del desiderio e attribuzione di libertà alla natura come Altro), perché ciò deriva direttamente dalla condizione della coscienza e della conoscenza di fare-parte del mondo senza esaurirlo, di modo che il mistero, la parte in ombra, può, e deve, essere attribuito alla natura stessa, e non a un dio come ipotetico fattore/creatore della natura.

Stando così la mia visione delle cose, la storia è il tempo stesso, non c'è differenza fondamentale e dicotomica tra tempo umano e tempo cosmico, come non ce né tra vivente e non vivente, tra organico ed inorganico; e il tempo non può avere un'epilogo, quale mai potrebbe essere l'epilogo del tempo?

Quale potrebbe essere l'epilogo di un tale immenso sistema di molteplicità non compresenti, o comunque non esperibili come compresenti?

Il suo epilogo potrebbe essere al massimo lo spazio come contenitore dell'eterno o della serie compresente, ma nello spazio ci siamo già, quindi dobbiamo "rassegnarci" a un senso della vita (e se vogliamo della storia) insieme vitalistico e minimale che corrisponda alla differenza che la vita (o la storia) fa nel tempo, all'avvento del presente come entità reale/illusoria tipica e propria della coscienza , che seppure non può essere divisiva dell'eternità e della continuità del tempo, può -forse- esserlo dell'eternità e della continuità del divenire, o, se vogliamo, lasciare traccia di noi nel mondo come spazio del prenascita e del post morte.

Noi non percepiamo ne organicamente ne  scientificamente o tecnologicamente il tempo, percepiamo organicamente e strumentalmente il divenire, i rapporti e i mutamenti della cose nel tempo, e dunque rispetto a un piano di possibile realizzazione della nostra volontà e di uso etico della tecnica siamo "immersi" nell'elemento "naturale" giusto, e non in quello sbagliato, perché è nel divenire, (formato da una successione di stati diversi), e non nel tempo, (formato da una somma cumulativa infinita di stati uguali), che la volontà può realizzarsi; realizzarsi intendo, in mille modi, ma, per dirla nel modo più universale possibile segnando un "prima" e un "dopo" nel divenire e facendo la differenza (e notare che, essendo essa stessa sempre sempre volontà, e vivendo in un ineffabile presente, per fare questa differenza nel tempo deve aver voluto sia il futuro che il passato, deve aver voluto quello che in generale la attraversa nella sua potenziale dicotomia, smettere di volere qualcosa alle spalle nel segno della necessità e cominciare a volerne qualcun davanti agli occhi altra nel segno della libertà, quindi ne deriva un'etica di estrema responsabilità, e non di sola intenzione o individualismo consumistico o culto dell'innovazione in quanto tale: per smettere di volere, -qualunque cosa-  bisogna prima aver voluto, accettare la propria responsabilità anche nel male e nella sofferenza, o perché nel male vi era in generale un errore, o perché nel male vi era in generale la difesa da un qualcosa di peggio).

Insomma ogni cosa, e ogni evento o innovazione, che si affaccia nel mondo abitato e percepibile dalla vita, è buona perché è in qualche, seppur remoto modo, oggetto di volontà, quantomeno manufatta o percepita da organi che hanno come scopo la vita e la sopravvivenza; ma il problema è che non ogni cosa e ogni evento esiste e trova forza e rapporti di forza per esistere, quindi era inevitabile che si passasse, storicamente, da una morale prescrittiva, che stabilisse cosa era in assoluto buono e cosa no, a una morale tecnica, che si occupasse esclusivamente di come realizzare in modo finito e intelligibile la volontà del volente stante il funzionamento della natura e le condizioni iniziali, insomma anche una volta sospeso ogni giudizio e accettata ogni volontà, le condizioni iniziali e le forze agenti nel mondo impongono un tipo di pensiero eudaimonisitco ed etico, che però tende a coincidere all'infinito con il pensiero tecnico e scientifico, insomma anche se tutta la storia nel suo complesso non finisce, coincide con il tempo stesso, e quindi non può più finire bene o male, le sue singole parti, le singole parti di divenire nel tempo, compresi noi che moriremo, finiscono eccome, e possono ben ancora finire bene o male rispetto ai loro singoli, più o meno consci e consapevoli, più o meno individuali o collettivi obbiettivi, e questo è il senso, residuale ma ragionevole, della vita e della storia secondo me.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Ipazia

Poco filosofico confondere storia e favola. La storia si scrive con la carne, la favola, con la fantasia.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

JE

CitazionePoco filosofico confondere storia e favola. La storia si scrive con la carne, la favola, con la fantasia.


Eppure, tra carne e fantasia il gioco a volte é molto stretto  :)

JE

CitazioneAveva la vista lunga quel Nietsche ... dove si sarà mai arenato


Purtroppo, a sentire gli storici, al bordello  8)

Ipazia

Citazione di: JE il 26 Ottobre 2021, 19:04:51 PM
CitazionePoco filosofico confondere storia e favola. La storia si scrive con la carne, la favola, con la fantasia.
Eppure, tra carne e fantasia il gioco a volte é molto stretto  :)
Per quanto stretto, non al punto da superare lo schermo sottilissimo ma impenetrabile della realtà.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

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