Senza Dio la storia umana è priva di senso

Aperto da Alexander, 22 Ottobre 2021, 10:14:37 AM

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Ipazia

@Alexander

Il tuo ragionamento sposta tutta la questione sul soggettivo, mentre io cerco qualcosa di più oggettivo, verificabile e falsificabile, per cogliere un significato nella vicenda evolutiva umana denominata Storia.

Se restiamo nel soggettivo il senso emerge dal piacere, dalla gratificazione ideologica e ideale, dalla predisposizione, versatilità e talento individuale. Tutte cose sacrosante, ma non generalizzabili in formulazioni oggettive quanto l'influenza dell'economia e del classismo nella storia umana.

Continuando nel soggettivo personale, io trovo assai noiosa e dal senso scaduto una storia di cui si sa già la/il fine. Una storia dove l'unica variazione possibile sul tema è una competizione meritocratica verso i favori dell'Altissimo denominata "santità". Altri troveranno il loro rassicurante senso in ciò. Ma ho la sensazione che la storia umana pretenda un senso più consistente.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#151
Citazione di: Ipazia il 13 Novembre 2021, 10:34:37 AM
@Alexander

Il tuo ragionamento sposta tutta la questione sul soggettivo, mentre io cerco qualcosa di più oggettivo, verificabile e falsificabile, per cogliere un significato nella vicenda evolutiva umana denominata Storia.

Se restiamo nel soggettivo il senso emerge dal piacere, dalla gratificazione ideologica e ideale, dalla predisposizione, versatilità e talento individuale. Tutte cose sacrosante, ma non generalizzabili in formulazioni oggettive quanto l'influenza dell'economia e del classismo nella storia umana.

Continuando nel soggettivo personale, io trovo assai noiosa e dal senso scaduto una storia di cui si sa già la/il fine. Una storia dove l'unica variazione possibile sul tema è una competizione meritocratica verso i favori dell'Altissimo denominata "santità". Altri troveranno il loro rassicurante senso in ciò. Ma ho la sensazione che la storia umana pretenda un senso più consistente.
Alexander insiste sull'analogia dell'autore del libro che lui legge , che ha sicuramente un fine/ una fine, in quanto è già stato scritto , ma la cui fine lui non conosce, e che  lui quindi  non si annoia a leggere, e anzi è curioso di sapere come va' a finire, rassicurato dal fatto che la sua lettura presumibilmente  non sarà vana perché che la su curiosità non andrà delusa. Quindi immagino ci voglia dire che se la vita reale là si potesse leggere come un libro, lui la vivrebbe con l stessa letizia che può provare leggendo un libro.
Lui potrebbe anche non capire che senso l'autore abbia voluto dare al libro, ma si sente rassicurato dal solo fatto che un senso vi sia, e per esservi deve esserci un autore che glielo ha dato.
Dunque lui di fatto effettua una equivalenza autore=senso, ma è a lui allo stesso tempo evidente che questo autore non possa essere lui stesso.
In sostanza non gli interessa al limite conoscere il senso, ma si accontenta di sapere che ci sia, e perché vi sia la sua
vita non può essere un libro che lui stesso scrive. Leggendo il libro della sua vita gli sembra   volte di giungere vicino al senso, ma senza mai giungervi davvero.
Il senso dunque coincide con un autore, che non è però un autore fra tanti.
Se il senso è nel libro e il libro è la vita finito il libro, se noto diviene il senso, si chiude il libro, mentre se non lo si acchiappa si riapre il libro e lo si legge ancora, ed ogni volta sembra nuovo come se vi scorgesse un senso nuovo, così la vita continua.
Insomma quello che Alexander vuole esporci è un paradosso esistenziale che ci accomuna tutti, condizionando i più o meno.
È un mistero il perché per goderci la vita abbiamo bisogno di sapere che vi è un senso la cui conoscenza c'è ne toglierebbe il piacere stesso.
Perché in effetti ci contentiamo di sapere che c'è, senza pretendere di conoscerlo, e anzi rassicurati dal fatto che non lo conosceremo mai. Nessuno ci toglierà mai il piacere della lettura raccontandoci il finale, ma sotto sotto continuiamo a chiederci se la scelta fatta in libreria sia stata davvero felice.
Per esorcizzare tale eventualità ci affidiamo ad "autori autorevoli" , ma poi alla fine  siamo costretti ad mettere che il nostro vero libro del cuore , di ignoto autore , lo abbiamo trovato per caso.
M non è che al fine Alexander voleva fare solo un elogia della lettura?😅
Sembra che voglia dirci che la vita sarebbe più bella se fosse come un libro che si legge, come se il senso fosse un piacere in se'.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

niko

#152



Alcune mie considerazioni su amor fati e mors tua vita mea in risposta a Ipazia, ma anche in generale:

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La morte relativizza gli orrori, la vanità e l'erranza, appunto, di tutta l'esistenza, quindi non è solo dalla morte dell'altro che possiamo trarre giovamento come ego e sussistenza individuale, direi piuttosto che ci sovviene l'innocenza e l'auto-assoluzione dell'effimero -che può riguardarci come nostro effimero valoriale e comportamentale- laddove comprendiamo che l'effimero è un fatto essenziale e un attributo necessitato di molte cose grazie alla realtà della morte.

Voglio dire, non aver agito e sentito spesso in termini di eternità o comunque di durata molto superiore alla vita umana individuale, aver fatto molte cose che secondo l'etica e la morale in cui abbiamo vissuto, (che siano morali familiste, lavoriste, religiose, comunitariste o produttiviste) sono sbagliate, può invece sembrarci giusto, ribaltando il punto di vista e considerando che secondo verità non siamo eterni, e nemmeno eccedenti la nostra singola vita.

Effimero e necessità si legano inscindibilmente davanti alla morte, e necessità è innocenza, disvelamento di ogni meccanismo sacrificale che ne impedisce l'azione, falsa imputazione di tutte le colpe o quasi.

Anche da un punto di vista fondamentalista di chi odierebbe di per sé la relativizzazione dei valori (intendo valori dell'etica o del punto di viste in cui è cresciuto, o che ha scelto, o nel migliore dei casi in cui si è evoluto), la relativizzazione dei disvalori può essere da questo stesso soggetto benevola e benedetta, e la morte consolatrice e de-eternizzante svolge giusto appunto questa funzione, quindi il "fare" spazio della morte a nuove realtà e risorse, comincia ben prima della morte del corpo nello "spazio" interiore di un certo tipo di individuo che della morte non ha paura.
Insomma relativizzazione degli orrori e dei vuoti dell'esistenza conseguente alla morte e alla -laicissima- prospettiva di morte, intesa come relativizzazione dei disvalori, delle colpe e delle crudeltà  proprie e altrui, di quello che si è nel tempo imparato a odiare e di quello che in generale non si ama, a beneficio di un possibile sovrappiù di amore.

Morte è libertà, la morte è stata a lungo pensata come libertà, perché immortalità sarebbe esplorazione e convivenza con tutte le combinazioni e possibilità di realizzazione date nel tempo infinito dell'universo o spazio in cui si sarebbe immortali e di cui si sarebbe parte, quindi uno stato in cui la -residuale- libertà di scelta resterebbe al limite la libertà sull'ordine di successione nel quale fare tutte le proprie non libere e predeterminate scelte.
Solo il mortale invece, può fare una scelta escludendo definitivamente, appunto mortalmente, le miriadi di altre scelte che non fa.

La morte correttamente intesa è il terzo corno del duro dilemma umano se sia preferibile il dolore alla morte o la morte al dolore.
Esistono appunto i meccanismi di autospegnimento della coscienza in presenza di troppo dolore o di affievolimento degli istinti vitalistici e volontaristici in prossimità della morte, quindi la morte è il troppo del dolore e il dolore è il troppo poco della morte, secondo misura del tempo e del luogo in cui "si deve" morire: ad esempio, Epicuro non se lo chiede più se sia preferibile la morte al dolore o il dolore alla morte, semplicemente sa che ogni dolore prima o poi o passa o induce alla morte del corpo, quindi ogni dolore ha un destino di doppia trasfigurazione ad esso possibile o nel piacere (suo opposto) o nella morte, quindi nessun dolore va assunto e vissuto come se fosse eterno, con la reazione spropositata, ed isterica, e surrogativamente consolatoria in favole ed illusioni, che si avrebbe davanti alla prospettiva di un dolore eterno.


L'amor fati però secondo me è oltre la fiducia epicurea nello spegnimento della coscienza in presenza di eccessivo dolore o nell'affievolimento degli istinti in prossimità dell'inevitabile morte, né è fede nella libertà e nella connessione dell'innocenza con l'effimero che dalla morte può derivare; l'amor fati è solo quando si comprende che l'esistenza con tutto il suo dolore non è né redenta, né consolata, né relativizzata dalla morte, quindi è un pensiero che contempla l'eterno ritorno dell'uguale, o quantomeno il fatto che la vita sia atopica, acronica e genericamente possibile come conseguenza delle leggi di natura.

Accettando l'amor fati,
Il dolore sperimentabile in vita trasfigura solo nella gioia, non più nella gioia-o-nella-morte come termini di una tautologia, legando l'uomo alla sua massima responsabilità possibile prima di trasfigurare a sua volta; in questo senso il passato, con tutta la sua sofferenza, è stato, oggetto di volontà, perché in generale preferito alla morte; si torna al dilemma, e lo si scioglie nel senso che il dolore è preferibile alla morte.

Si può fare della morte un disvalore, un puro suggello/nulla, perché non si fa, della vita un valore: si esiste nelle considerazioni e nelle possibilità relative alla qualità della vita, si ha una posizione relativa corrispondente alla nostra vita in una vita più grande, che non è solo nostra. L'oblio diviene un fatto attivo, non più oblio della coscienza, ma oblio nella coscienza, meccanismo per riguadagnare ulteriormente il passato alla disponibilità della volontà infuturandolo. E il senso dell'attimo presente è il non poter ri-volere immediatamente il passato, ma solo dopo mediazione che possa comprendere anche il valore dell'oblio come effetto a distanza della creazione, non essere attaccati alla vita come nominazione e sopravvivenza.



Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Ipazia

Il Libro da leggere c'è, più affascinante e misterioso di tutti i Libri Unici partoriti dalla supponenza umana che pose il logos nell'archè di tutto, mentre è solo l'inizio, certamente venerabile e gravido di significati, della storia della specie intelligente di un piccolo pianeta, in un piccolo sistema solare, in una galassia tra le tante di un grande universo che ha scritto quel Libro.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
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daniele22


Chissà quando qualcuno parlò per la prima volta di "storia umana", dando così un minimo di esistenza a tale cosa.

Rispondo invece alla domanda che avevo lasciato in sospeso nell'ultimo intervento. Diversamente da Ipazia la prendo da un altro lato cercando di tener unite specie umana e altre specie: Ciò che darebbe valore alla propria vita deriverebbe dalla relazione che ogni individuo intrattiene, provandola sulla propria pelle e psiche (laddove vi sia), con la sensazione di bene e di male. All'interno di tale relazione può succedere di tutto, ma anche nulla. Si darebbe però, nel caso umano, grazie proprio alla nostra ragione spesso zoppa in taluni casi, che tale relazione possa rivelarsi distorta al punto di indurci ad una malattia mentale inconsapevole (tanti sarebbero gli ammalati da non distinguersi essendo la malattia divenuta norma).
Saremmo dunque ammalati?
Sì, se è vero che ci stiamo quasi ammazzando pensando fino a ieri di aver vissuto correttamente, senza quindi renderci conto che i nostri comportamenti ci stessero portando a punti quasi catastrofici.
Sì, siamo ammalati se l'uso durevole di psicofarmaci o droghe di vario tipo fosse abbastanza elevato tra gli umani come sembra essere.
Sì, siamo ancora ammalati se non ci rendiamo conto che coi nostri comportamenti (mi riferisco soprattutto a vari tipi di escalation che pervadono le nostre pratiche umane) stiamo travalicando in dismisura (e lo facciamo da mo') proprio quella relazione succitata che fonderebbe il valore incontrovertibile della "propria vita". Detta relazione, in modo più consono e più simile alle altre specie, dovrebbe manifestarsi naturalmente più contenuta. Dico questo alla faccia di certe tesi sull'evoluzione che proclamano una visione distorta della sopravvivenza di una specie, e, all'interno di questa, di un individuo. E' dunque la ragione a dar senso e a guidarci in questa avventura umana? Bei risultati! E senza guardarci tanto in giro basta guardare il nostro forum, dove il novantasei per cento delle volte le persone abbandonano i topic più per stanchezza che per esser giunti ad ampia condivisione, o netta separazione. Questi sono i risultati del nostro ragionare. Ma noi (del forum) siamo forse più scarsi in materia di pensiero di Draghi, o di Biden, o di chi altri? Da qui forse, il senso di vanità che a volte può pervarderci. Vanità letta quindi non come mancanza di senso, o inefficacia, bensì come mancanza di senno. Opinione naturalmente personale

Alexander

Buona domenica a tutti



Mancanza di senno e mancanza di senso sono un tutt'uno, come ipotizza Daniele22? Sembra anche a me che ci sia una forte relazione. In effetti, non è proprio la mancanza di ragionevolezza nei comportamenti umani, e quindi nella nostra storia, a farci scuotere la testa, osservandola, e quindi prorompere nella domanda che è alla base di questo topic:"Ma che senso (significato)  ha tutto questo?". Spesso, quasi sempre, anche i comportamenti e le azioni che sembrano ragionevoli diventano  poi ideologici, irrazionali, portati a perdere il loro senso che pure pareva esserci nelle decisioni iniziali. Una follia protratta nel tempo sembra diventare ragionevolezza, destino, addirittura una necessità. Pensiamo al consumismo che da 60 anni domina la società, ne indirizza le scelte, i piani di studio scolastici, l'attesa di un futuro "buono in sé" a prescindere.
In questa tensione tra ragione che diventa follia, e follia che si veste di razionalità, il credente in un Autore, cioè il soggetto  che vive un tempo d'attesa avendo preso per buono un messaggio di speranza, che forse arriva perfino  a illudersi che la sua vita sia meno angosciosa in virtù di quel messaggio, certamente non sa come saranno i famosi "Cieli nuovi e Terra nuova".  Saranno forse proprio la fine di questa mancanza di senno? Un cielo nuovo si vede spesso all'alba, dopo un risveglio. Sarà questo il significato? Ha ragione Iano, il futuro è incerto e da scoprire sia per il credente che per il non credente, e il credente spesso si innamora dell'idea che si è fatto dell'autore, del libro acquistato in libreria, sperando di aver fatto la scelta giusta. Ma in fondo è così per tutti. Nessuno conosce tutti gli esiti delle proprie scelte.


baylham

Si può anche rovesciare il tema: senza la storia umana Dio è privo di senso, come non esiste un autore senza il suo prodotto. Autore e prodotto che sono in parte elementi del caso e quindi senza alcun senso predefinito.
Comunque la condizione esistenziale di Dio, se esistesse, cosa che logicamente non credo affatto, sarebbe simile a quella dell'uomo.
Corollario, il futuro è certo come il passato, quindi esiste un senso, una storia da scrivere. Ma la scrittura non dipende dall'uomo o da Dio, li trascende.

viator

#157
Salve daniele22. Citandoti : "E senza guardarci tanto in giro basta guardare il nostro forum, dove il novantasei per cento delle volte le persone abbandonano i topic più per stanchezza che per esser giunti ad ampia condivisione, o netta separazione. Questi sono i risultati del nostro ragionare".


Pensavi che il nostro ragionare, dentro e fuori il Forum, conducesse alla conversione di coloro che la pensano diversamente da chi sta in quel certo momento scrivendo.........oppure che giungesse a dimostrare ferreamente delle VERITA'.........oppure che ci insegnasse a non compiere degli errori.........?


Il nostro ragionare serve solo a creare la nostra visione del mondo, senza poter cambiare nulla del mondo che osserviamo. Infatti il sito si chiama RIFLESSIONI, mentre il mondo viene cambiato dalle AZIONI.       





Pensi che il nostro futuro dipenda solo dalle riflessioni intime dei "Potenti" ?




Dipende invece dalle loro DECISIONI, le quali consistono nell'esito dello scontro-incontro della loro personale visione del mondo con le dinamiche di forza, materia e potere che li circondano. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Jacopus

Viator. Invece tu pensi che le decisioni si prendano senza prima pensare, senza avere modelli teorici, ad esperienze memorizzate, a circuiti comportamentali. Fare e riflettere, teoria e prassi sono inscindibilmente collegati.
Rispetto alla considerazione di Daniele. Anch'io spesso ho avuto la sua stessa impressione, come se qui, come in molti altri luoghi social e virtuali occorra dimostrare chi ce l'ha più lungo e di fronte alle discussioni si rischia spesso di finire in caciara, senza alcun arricchimento reciproco. Ma occorre anche distinguere. Non tutti sono uguali. Tu ad esempio difficilmente dici " hai ragione", oppure " grazie per la spiegazione", oppure dire: "si su questo punto hai ragione ma cerca di vederla anche dal mio punto di vista". Altri utenti hanno un approccio molto diverso e quindi il dialogo può diventare una danza dalla quale ciascuno può trarre un insegnamento o lo stimolo per approfondire un argomento.
Penso che nel confronto diretto, fra amici, mentre si discute in osteria, o in casa o in qualunque altro posto, la discussione non diventa mai così polarizzata, perché si riconosce l'amico, che non è solo l'avversario dell'attuale polemica ma anche una persona, unica e con cui si sono condivise esperienze e sogni e pranzi e partite di calcetto. Nelle stanze virtuali gli "altri" sono molto simili "all'inferno" sartriano di quanto non siano nella realtà. Se ci pensassimo come amici, questo desiderio di aver sempre e comunque ragione forse non sarebbe così impellente, da parte di tutti noi.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Ipazia

Spostandosi la discussione verso l'irrazionalità della storia umana, inviterei a dare a Cesare quel che è di Cesare e a Tizio quel che è di Tizio. Dubito che Tizio smaniasse per andare a morire nella selva di Teutoburgo e Efisio agognasse tanto per la conquista dei quattro sassi del Carso.

Chiamare a correo l'intero genere umano per una storia che è sempre stata scritta da oligarchi e loro servitori lungo complesse trame di dominio, è profondamente falsificante.

La stessa evoluzione scientifica è stata sempre diretta dalle classi dominanti che l'hanno indirizzata non a fantasiose "magnifiche sorti e progressive" dell'intera umanità,  bensì della propria classe.

Semmai bisognerebbe chiedersi: com'è possibile che pochi abbiano sottomesso molti ? La storia dell'arte di dominio è lunga come la storia umana e il logos, con le sue appendici culturali e religiose, è parte essenziale di tale storia, legittimando e santificando la trasmissione di eredità da una generazione di dominanti all'altra, fenomeno assente in natura, con esclusione dei buoni geni trasmessi, però da riconfermare sul campo senza sconto alcuno.

La storia millenaria di dominazione dell'uomo sull'uomo ci ha portato ad una situazione aberrante in cui i costi economici, sociali e ambientali, delle scelte di governo non sono pagati da chi ha attivamente prodotto il danno, ma da chi lo subisce essendone coinvolto in una passività coatta.

C'è, per quanto perfida, razionalità in questa storia, da parte di chi ha sempre soggiornato all'apice della piramide sociale. Pensare di fare un forfait di senso tra chi sta al vertice e chi sta alla base della piramide non ha alcun senso.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

#160
Salve jacopus. Citandoti : "Non tutti sono uguali. Tu ad esempio difficilmente dici " hai ragione", oppure " grazie per la spiegazione", oppure dire: "si su questo punto hai ragione ma cerca di vederla anche dal mio punto di vista". Altri utenti hanno un approccio molto diverso e quindi il dialogo può diventare una danza dalla quale ciascuno può trarre un insegnamento o lo stimolo per approfondire un argomento".


Infatti, circa l'atteggiamento che mi attribuisci, hai ragione. Tendo ad essere esageratamente apodittico.


La spiegazione, indipendentemente dal fatto che tu od altri la comprendiate e/o l'accettiate, consiste nel fatto (ahi, ahi, ahi !!, gravissimo dal punto di vista di quasi tutti) che io non cerco affatto il confronto con altri punti di vista ma.................ad EVENTUALE supporto di quanto affermo io cerco di non addurre le opinioni mie (che esistono e sono soggettivissime) oppure le opinioni di altri (magari anche illustrissimi, ma anch'esse soggettivissime !).


Ad EVENTUALE SUPPORTO io vorrei chiamare non le parti, ma ciò che sta fuori e sopra le parti, se si crede che esista : LA LOGICA. Per questa ragione abbastanza spesso io - quasi sempre inascoltato - chiedo di replicarmi in via logica e non ideologica, pregiudiziale, convenzionale, dottrinaria, fideistica, idealistica, sentimentale, umorale.


Naturalmente nessuno è obbligato a conoscere o a condividere l'esistenza di una qualsiasi logica (la quale logica non sarà mai assoluta, ma semplicemente estranea alle psiche di coloro che stiano discutendo di un argomento).


La logica altro non è che l'espressione formale del RAZIOCINIO, cioè della funzione mentale per eccellenza.


Se poi l'interlocutore nega che logica e raziocinio siano funzioni mentali, oppure che le menti non esistano, oppure che esistono ma - dialetticamente - devono restarsene subordinate ad una psiche, a dei sentimenti oppure ad uno spirito.........beh, si conferma che ciascuno si contenta di ciò in cui gli piace credere. Saluti
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

iano

A me Ipazia , sembra che non abbia senso il contrario. Non lo dico nel mio interesse, perché sono di indole pacifica e non competitivo per natura.
Perché nella storia degli ominidi noi abbiamo prevalso e gli atri si sono estinti?
Per il motivo che fra quelli che competono per le stesse risorse condividendo la stessa nicchia ecologica alla fine ne resta sempre uno solo. Nel nostro caso la specie sapiens.
È una ingiustizia questa?
Si, ma solo nella misura in cui ci si affeziona troppo a quella che è una convenzione, la convenzione che definisce un specie, e lo stesso può direi per ogni individuo per quanto più difficile da percepire come risultato di una convenzione.
Ne sarebbe comunque un caso limite.
Ma sarebbe ragionevole immaginare ogni cosiddetto essere vivente come un  agglomerato di esseri viventi in competizione reciproca pure essi in relativo equilibrio instabile.
A turno questi esseri prevalgono , ma è sempre una vittoria di Pirro se non si ristabilisce poi un nuovo equilibrio destinato ancora ad essere messo in discussione.
Ciò significa essere sottoposti all'evoluzione.
Allora è l'evoluzione ad essere ingiusta con ogni essere vivente, ma lei non è colpevole in quanto  impersonale.
Qualunque convenzione che definisca un qualunque accrocchio di viventi può avere un senso, che è comunque sempre relativo . Credo sarebbe un buon esercizio sforzarci a vederci noi come tali, sebbene ci percepiamo in ben altro modo.
Allora vedremmo la questione del bene e del male in altro modo.
Dividere il mondo in buoni e cattivi dovrebbe essere uno sport che trovo sorprendente ancora si pratichi.


Noi qui ci chiediamo quel sia il senso della storia di un essere, di un accrocchio , l'umanità, che è convenzionale.
L'intero consesso dei viventi non si può suddividere in altro modo che non sia convenzionale, anche quando la convenzione non si stata frutto di cosciente scelta.
Ora, se così non si facesse, ditemi voi come sarebbe possibile diversamente raccontare una storia di questo consesso.
Sono certo che non riuscirete ad immaginarlo.
Se uno crea un personaggio di fantasia , perche' gli serve per raccontare una storia, e poi si chiede quale il senso della storia di quel personaggio, la su domanda ha senso solo se non ha coscienza di averlo creato lui il personaggio.
Ma noi che lo sappiamo che è stato lui stesso a creare il personaggio, sappiamo anche quale risposta darà alla sua domanda: no, non ha alcun senso.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
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Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#162
Citazione di: viator il 14 Novembre 2021, 16:26:21 PM
Salve jacopus. Citandoti : "Non tutti sono uguali. Tu ad esempio difficilmente dici " hai ragione", oppure " grazie per la spiegazione", oppure dire: "si su questo punto hai ragione ma cerca di vederla anche dal mio punto di vista". Altri utenti hanno un approccio molto diverso e quindi il dialogo può diventare una danza dalla quale ciascuno può trarre un insegnamento o lo stimolo per approfondire un argomento".


Infatti, circa l'atteggiamento che mi attribuisci, hai ragione. Tendo ad essere esageratamente apodittico.


La spiegazione, indipendentemente dal fatto che tu od altri la comprendiate e/o l'accettiate, consiste nel fatto (ahi, ahi, ahi !!, gravissimo dal punto di vista di quasi tutti) che io non cerco affatto il confronto con altri punti di vista ma.................ad EVENTUALE supporto di quanto affermo io cerco di non addurre le opinioni mie (che esistono e sono soggettivissime) oppure le opinioni di altri (magari anche illustrissimi, ma anch'esse soggettivissime !).


Ad EVENTUALE SUPPORTO io vorrei chiamare non le parti, ma ciò che sta fuori e sopra le parti, se si crede che esista : LA LOGICA. Per questa ragione abbastanza spesso io - quasi sempre inascoltato - chiedo di replicarmi in via logica e non ideologica, pregiudiziale, convenzionale, dottrinaria, fideistica, idealistica, sentimentale, umorale.


Naturalmente nessuno è obbligato a conoscere o a condividere l'esistenza di una qualsiasi logica (la quale logica non sarà mai assoluta, ma semplicemente estranea alle psiche di coloro che stiano discutendo di un argomento).


La logica altro non è che l'espressione formale del RAZIOCINIO, cioè della funzione mentale per eccellenza.


Se poi l'interlocutore nega che logica e raziocinio siano funzioni mentali, oppure che le menti non esistano, oppure che esistono ma - dialetticamente - devono restarsene subordinate ad una psiche, a dei sentimenti oppure ad uno spirito.........beh, si conferma che ciascuno si contenta di ciò in cui gli piace credere. Saluti
Il tuo ragionamento, a proposito di applicazione della logica non fa' un pecca.
Mi rimane solo un dubbio.
Se tu estrai un solo rigo da un lungo post per criticarlo, significa che il restante post tu lo approvi?
Allora facciamo così. Senza dover commentare punto per punto, cosa che diventa stucchevole e difficilmente replicabile, estrai un esempio cattivo e poi uno buono ogni volta.
O a turno uno buono, e un altra volta uno cattivo da poter stare in media statistica.😅


Non credo comunque che ci si possa astenere dall'essere ostaggio dei propri pregiudizi.
La differenza sta solo in quanta consapevolezza ne abbiamo, e tu mi pare ne abbia ben poca e per questo la tua interazione nel forum appare  particolarmente  asimmetrica.


Che si possa risolvere tutto con la sola logica è una illusione. La logica infatti richiede qualcosa cui applicarsi, e ciò a cui si applica non ha sostanza logica, ma pregiudiziale.
Il pregiudizio in se' non è cosa negativa, ma anzi necessaria, negativa è la non coscienza di esso, tanto che tutto appaia logica senza altra necessaria aggiunta.


Se tu dici ad esempio che due più due fa' quattro per logica, due però è un pregiudizio.
È se tu mi dimostri che dico il falso, perché uno più uno fa' due, rimane però che uno è un pregiudizio.
La logica ha sempre un punto di partenza illogico, che però non è sempre a noi presente.
Credo che la funzione principale della filosofia sia di esplicitare questi punti.
Non basta sapere di non sapere.
Bisogna sapere di non sapere di non sapere.😅🙏
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Ipazia

La storia umana non è divisa in buoni e cattivi, ma in dominanti e dominati. È una storia classista che ha separato il senso e gratificazione del vivere in base all'appartenenza di classe e agli obblighi e privilegi connessi.

Questo è un dato di fatto a prescindere da ogni giudizio morale. Se non si parte da questo dato storico oggettivo è impossibile discutere di senso della storia umana collettivamente intesa. Si possono esternare le proprie sensazioni soggettive, ma non è questo la domanda implicita nel titolo della discussione.
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iano

#164
Citazione di: Ipazia il 14 Novembre 2021, 17:08:11 PM
La storia umana non è divisa in buoni e cattivi, ma in dominanti e dominati. È una storia classista che ha separato il senso e gratificazione del vivere in base all'appartenenza di classe e agli obblighi e privilegi connessi.

Questo è un dato di fatto a prescindere da ogni giudizio morale. Se non si parte da questo dato storico oggettivo è impossibile discutere di senso della storia umana collettivamente intesa. Si possono esternare le proprie sensazioni soggettive, ma non è questo la domanda implicita nel titolo della discussione.
La risposta a questo post sta già nel mio precedente in tua risposta.
Aggiungo solo che dominanti e dominati sono sempre uomini, per cui cambiando l'ordine degli addendi il risultato non cambia.
E che storia sarebbe questa, se vale la proprietà commutativa fra gli uomini?
È vero quello che dici, se non ci inventiamo uomini dominanti e uomini dominati che storia potremmo raccontare?
Ma è proprio questo il punto.
Una storia obiettiva , basata sui fatti, là si può raccontare solo se si individuano i personaggi della storia, che però sono sempre fittizi, cioè convenzionali.
Se dividi gli uomini in due classi racconti una storia.
Se li dividi in tre ne racconti un altra.
Gli uomini stessi sono il risultato di una arbitraria divisione degli messeri viventi.
Qual'e' allora la storia sensata se le divisioni possibili, e le relative storie,  non hanno limite?
Se però tu credi che esista una divisione sensata allora poi la storia ha lo stesso senso dato a quella divisione.
Personalmente non mi sento parte di alcuna classe ne' di altro, neanche in via momentanea, figuriamoci poi in via ereditaria.
Queste divisioni hanno fatto la storia, ma credo sia arrivato il momento di riscriverla.
Una storia dell'umanità come convenzionale parte dagli esseri viventi, che , dividili come vuoi, sono tutti sulla stessa arca. Dividici  come vuoi , ma restiamo tuttti minolli.😅
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