Scienza e religione.

Aperto da iano, 10 Maggio 2021, 01:22:22 AM

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Ipazia

#30
Religione e scienza hanno un'origine comune nella domanda fondamentale di tipo creazionista e causale. Domanda che richiede un certo livello di capacità induttive e deduttive. La tesi teologica ha guidato le danze per millenni e su questo vale la pena di interrogarsi. La risposta che mi dò è che essa rispondeva in pieno al bisogno, altrettanto fondamentale, di senso, protezione, giustizia e immortalità. Questi 4 cavalieri della religione si ritrovano in tutti gli argomenti teologici.

La scienza ha faticato a farsi largo in questo imponente flusso desiderante, dovendo per lo più andarvi controcorrente. Certosinamente ha accumulato le sue prove fino a decostruire, mattone su mattone, l'imponente, millenario (in antropologia l'anzianità fa grado) edificio religioso.

Ma, affetta dallo stesso peccato originale antropologico, ci ha messo meno che niente a convertire i suoi sudati teoremi in nuovi oggetti di fede, supportata in ciò anche dalle rendite di posizione acquisite nella piramide sociale. Il virus desiderante, una volta conclamato, ha rimesso in circolo la religione e queste discussioni.

A salvare l'anima della scienza rimane il suo accurato metodo di indagine, ma anche qui non è il caso di eccedere in trionfalismi salvifici. Statistica, paradigmi e algoritmi permettono alti livelli di mistificazione della realtà e la coperta torna ad accorciarsi.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

daniele22

Citazione di: inquieto68 il 11 Maggio 2021, 13:19:53 PM
Citazione di: iano il 10 Maggio 2021, 01:22:22 AM
La scienza si vanta con alterna fortuna di poter leggere il futuro a partire dalla considerazione del  presente, fidando che un futuro vi sia, mentre la religione auspica al minimo  un eterno presente,  fidando ancor meglio in un ritorno al passato, considerato quale sia  il presente.
Ma in verità la scienza ammette di non sapere dove andiamo , mentre la religione lo crede, perché in fondo si tratta di percorrere al contrario una strada gia' fatta.
Tanta fatica per nulla. Che peccato. Meglio sarebbe stato se non ci si fosse mai mossi.
Il primo passo per  tornare indietro è quindi fermarsi ,trasformando già così  il presente in un futuro certo, in attesa di un radioso regresso futuro.


Provo a raccolgo l'invito a rimanere sul tema del post.


Ma in un ottica laica la trascendenza, il divino, sono concetti assurdi, mentre la religione, pur come costruzione umana, esiste nei fatti, per cui avrà pur assolto a qualche necessità.
E tali presunte necessità sussistono anche dopo la rivoluzione scientifica?

Grazie inquieto68 e buona serata. In un ottica laica la trascendenza al divino non viene neppure presa in considerazione come dici, però un salto cognitivo in terra potrebbe benissimo accadere a cambiar le carte in tavola. Per come io vedo il linguaggio ad esempio, sarebbe a suo tempo accaduto che all'interno della realtà vissuta (sarebbe quella che tu chiami immanente? Scusami ... in quarta liceo venni rimandato in filosofia) qualcuno si fosse reso conto, ascoltando i motteggi vari del gruppo già dedito all'artificio, che esistesse un'azione che poi avrebbero chiamato parlare (mano a mano che gli altri si resero conto con la loro percezione che tale azione effettivamente esisteva). Ecco, per me questo potrebbe essere stato un salto (trascendenza?) di notevoli dimensioni. Ai giorni nostri tale salto in tono minore (riferito cioè solo alla nostra cultura occidentale) si sarebbe compiuto nel passaggio dall'era tolemaica a quella copernicana. Le trascendenze umane sarebbero infine dovute a quanta massa di individui viene coinvolta in una nuova consapevolezza, la quale può rivedere anche radicalmente una conoscenza anteriore sedimentata già da tempo. E' anche per tale motivo che penso che conoscere la nostra identità, che consiste in fondo a mio giudizio scoprire su cosa si fondi il linguaggio, possa costituire un salto cognitivo forse pari a quello che si verificò nel momento in cui scoprimmo di parlare. Va da sé, sempre a mio giudizio, che quando scoprimmo di parlare non avremmo avuto, a quei tempi, un pensiero sensibile alle tematiche filosofiche; e quando scoprimmo i problemi esistenziali eravamo già dimentichi dell'origine e delle tracce delle nostre parole. Giungendo a questa meta forse scopriremo la conclusione del ciclo.
Per quel che riguarda le necessità svolte dalla religione di sicuro esistono, ma esiste pure tanta falsità.
Ciao


daniele22

Citazione di: iano il 11 Maggio 2021, 14:11:00 PM
Meglio sarebbe stato non essersi mai mossi...ovviamente lo dico con ironia Daniele.


Pure io lo dico ironia ... Di fatto, fino alle soglie del paradiso vorrei arrivarci riscaldato, ben nutrito e con qualche altro agio, non molti in verità. Il problema è se mi faranno passare, ma il problema è loro e non mio. Saluti Iano

paul11

#33
 Se si supponesse che sia scienza che religione fossero  un falso paradigmatico, vale a dire che lo statuto della condizione umana cerca certezze, per natura umana, non sarebbe  né trascendenza e nemmeno l'immanenza la risposta: ci hanno provato da Nietzsche ad Heidegger che non erano ,fra tutte e due, filo religiosi o filo scientisti, ma cercavano , ognuno a suo modo, risposte immanenti sulle domande esistenziali.
Perchè le tre condizioni; filo religiose, filo scientifiche, e la terza via appunto di Nietzsche ed Heidegger falliscono? Questa è la filosofia del futuro che ancora non c'è.
Ognuna delle tre strade da sola ,forse è errata e forse, e ridico forse, è solo prendendo il meglio delle tre strade in una argomentazione solida e forte, che se ne potrebbe  uscire.


La religione è forte nella morale e nell'etica, ciò che non lo  è affatto la scienza che per sua costruzione è neutra, non si pone giudizi se sia giusto o ingiusto, lascia al diritto la contesa, nel negozio giuridico che oggi come oggi è opportunismo, egoismo, proprietà possesso, cinismo, potere forte, quindi è la contesa delle pratiche nel sociale che costituiscono e modificano il diritto stesso.


La scienza ha la sua forza nell'indagine della natura fisica, attraverso la tecnica, sforna continuamente tecnologia che si applica nelle pratiche, civili e militari. Quindi dà potere fisico, ma in un contesto privo di morali ed etiche( non gli intenti morali che sono diversi da una vera e seria morale)


La terza via "laica" immanente è fingere, ed è questo il problema non risolto, che l'esistere possa essere privato dalla domanda "da dove veniamo", cercando nel "ma siamo nel qui ed ora, ed è inutile porci altre domande impossibili da risolvere", come "ma la morte, il cadavere che vedo è davvero la fine?" A mio parere, ma forse mi sbaglio, la via intentata da Nietzsche e in altro modo da Heidegger non trova risposte, perchè pur non essendo filo scientifici(positivisti) sono più propensi all'aspetto scientifico che religioso.


Quindi in termini, come dire, temporali ,come sono state collocate  dal post introduttivo di questa discussione: la religione è forte nel cercare di dare risposte sull' origine e fine, ma è debole nel "quì ed ora".Perchè è  nella propria e dalla propria esistenza che sorgono dubbi nella fede, perché comunque questa fede condiziona il vivere e lo scarto fra ciò che dice la fede e ciò che è il mondo vissuto, c'è sempre, quindi è debole nel "qu' ed ora",ciò che stà nel mezzo fra: origine- qui ed ora- fine; ma ritorna forte nel  fine, perché si muore solo fisicamente come corpo materico.


La scienza è forte nell'indagine, non nella conoscenza in termini filosofici e religiosi, ciò che era vero ieri è smentito dalle nuove conoscenze dell'oggi che saranno smentite dalle future conoscenze, l'episteme è fondato sulla falsificazione, sul continuare a riequilibrare le dinamiche conoscitive in funzioni di nuove scoperte che modificano teoresi e prassi. E' debole nell'origine e nel fine è forte nel quì ed ora, ed è quindi molto pratica in quanto modificando gli strumenti d'indagine conoscitiva modifica anche le prassi con le sue applicazioni pratiche che entrano nel sociale, a sua volta modificandolo. La scienza corre con la tecnica, è l'uomo che paradossalmente deve aggiornarsi e stare al passo alle modifiche strutturali del sistema conoscitivo, strumentale e quindi pratico.


Le filosofie che sposano una tesi anti religiosa e anti scientifica, non trovano risposte plausibili già nella teoresi e pure nella pratica, non sono quindi più forti delle religioni o della scienza, non avendo né forza morale ed etica dell'una , nè la forza delle pratiche delle seconde.


Quindi se l'origine è il passato, il qui ed ora è il presente, e la fine è il futuro, si avrebbe un paradosso, che solo una società scientifica e al tempo stesso religiosa danno insieme le risposte al passato, presente e futuro. Ma allora perché c'è un muro fra i due fideismi: religioso e scientifico?

Ipazia

#34
Per la concorrenza che si fanno sul parco buoi dei fedeli. Questione che l'umanesimo ha filosoficamente posto da Epicuro in avanti.

La terza via è  quella filosofica che supera tanto i feticci della religione, che quelli della scienza (le magnifiche sorti e progressive). Una via perennemente in progress, che i fideisti scambiano per fallimento. 

Mentre si tratta di esplorazione e colonizzazione di quell'universo sempre uguale e sempre diverso che è l'umano. Coi suoi Holzwegen e radure assolate, con le sue montagne rigeneranti.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

niko

#35
Ipazia ha, tra l'altro, scritto:



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Religione e scienza hanno un'origine comune nella domanda fondamentale di tipo creazionista e causale. Domanda che richiede un certo livello di capacità induttive e deduttive. La tesi teologica ha guidato le danze per millenni e su questo vale la pena di interrogarsi. La risposta che mi dò è che essa rispondeva in pieno al bisogno, altrettanto fondamentale, di senso, protezione, giustizia e immortalità. Questi 4 cavalieri della religione si ritrovano in tutti gli argomenti teologici.

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paul11 ha, tra l'altro, scritto:

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Se si supponesse che sia scienza che religione fossero  un falso paradigmatico, vale a dire che lo statuto della condizione umana cerca certezze, per natura umana, non sarebbe  né trascendenza e nemmeno l'immanenza la risposta: ci hanno provato da Nietzsche ad Heidegger che non erano ,fra tutte e due, filo religiosi o filo scientisti, ma cercavano , ognuno a suo modo, risposte immanenti sulle domande esistenziali.
Perchè le tre condizioni; filo religiose, filo scientifiche, e la terza via appunto di Nietzsche ed Heidegger falliscono? Questa è la filosofia del futuro che ancora non c'è. Ognuna delle tre strade da sola ,forse è errata e forse, e ridico forse, è solo prendendo il meglio delle tre strade in una argomentazione solida e forte, che se ne potrebbe  uscire. La religione è forte nella morale e nell'etica, ciò che non lo  è affatto la scienza che per sua costruzione è neutra, non si pone giudizi se sia giusto o ingiusto, lascia al diritto la contesa, nel negozio giuridico che oggi come oggi è opportunismo, egoismo, proprietà possesso, cinismo, potere forte, quindi è la contesa delle pratiche nel sociale che costituiscono e modificano il diritto stesso. La scienza ha la sua forza nell'indagine della natura fisica, attraverso la tecnica, sforna continuamente tecnologia che si applica nelle pratiche, civili e militari. Quindi dà potere fisico, ma in un contesto privo di morali ed etiche( non gli intenti morali che sono diversi da una vera e seria morale) La terza via "laica" immanente è fingere, ed è questo il problema non risolto, che l'esistere possa essere privato dalla domanda "da dove veniamo", cercando nel "ma siamo nel qui ed ora, ed è inutile porci altre domande impossibili da risolvere", come "ma la morte, il cadavere che vedo è davvero la fine?" A mio parere, ma forse mi sbaglio, la via intentata da Nietzsche e in altro modo da Heidegger non trova risposte, perchè pur non essendo filo scientifici(positivisti) sono più propensi all'aspetto scientifico che religioso.

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quello che m ha colpito di quanto scritto è che Ipazia parla di:


domanda "creazioniste E causale", a cui scienza e religione secondo lei risponderebbero.
Come se le due cose, non tanto creazionismo e causalità, come "ismi" ideologici o sistemi raffinati e complessi di pensiero, ma proprio i due costituenti elementari della sua affermazione, la creazione E la causa, dovessero necessariamente e per forza di cose andare insieme.
E' logico, mi domando io, per l'essere umano tipico, che ogni causa sia un po' anche una creazione, e ogni creazione sia un po' anche una causa? O quanto è meno ana-logico, ovvero nesso tra i due, sia pure non pienamente dimostrabile e giustificabile, è sempre tale per poesia o per metafora?


Paul11, pur dal suo punto di vista ben diverso, su questo punto sembra rincarare la dose quando parla di fallimento, o comunque non completa adeguatezza, della terza via tra scienza e religione, quella secondo lui principalmente ascrivibile a Nietzsche e Heideggher, quando scrive:


"La terza via "laica" immanente è fingere, ed è questo il problema non risolto, che l'esistere possa essere privato dalla domanda "da dove veniamo", cercando nel "ma siamo nel qui ed ora, ed è inutile porci altre domande impossibili da risolvere", come "ma la morte, il cadavere che vedo è davvero la fine?" A mio parere, ma forse mi sbaglio, la via intentata da Nietzsche e in altro modo da Heidegger non trova risposte, perchè pur non essendo filo scientifici(positivisti) sono più propensi all'aspetto scientifico che religioso."


E io, facendo l'avvocato del diavolo (o quantomeno l'avvocato di Nietzsche e Heideggher per come li ha presentati lui) mi domando, e gli domando:


"ma, noi, intendo noi come esseri umani e pensanti, dobbiamo per forza venire (nel senso di pro-venire) da qualche parte?!Nel senso di, da qualche parte del tempo o dello spazio, ma l limite anche "parte" metafisica o intemporale?Con la morte, la vita deve per forza o finire o non finire, terzium non datur?E quindi Nietzsche e Haideggher sono stati un po', diciamo così, con tutto il rispetto, "superficialotti", nel loro sorvolare sul principale di-lemma di tutte le teologie e di tutte le filosofie "serie" e concentrarsi solo sul qui-ed-ora? Hanno glissato sulle due risposte possibili perché non avevano una posizione precisa da prendere?


Insomma spero che si sia già intuito dove voglio andare a parare con tutto il discorso, quando si parla di origine della vita, della coscienza e dell'universo stesso, la creazione (dal nulla e ad opera del dio-nulla) non è la sola forma possibile di causa perché, nella piena dignità di tutto o quasi il pensiero filosofico occidentale pre-cristiano, si può prescindere da una potenza creatrice infinita (potenza che poi finisce, guarda caso, per corrispondere a un dio personale, perché nel suo essere in-finita è anche arbitraira, logica/verbo e volontà divina devono coincidere senza che l'una possa prevalere sull'altra, pena l'implosione di tutto il sistema) e sostituire il concetto di creazione, con il, secondo me molto più soddisfacente concetto di ordinamento dal caos: in principio non vi è il nulla ma la hiule/xora, non nel senso che ci siano davvero un momento A in cui tutto il cosmo è disordinato e un momento B in cui invece è ordinato, ma nel senso che l'eternità pertiene alla materia e la possibilità eterna di ordinamento al caso/forma, generandosi e alternandosi così per sempre "isole" e "momenti" di ordine e di disordine.


(prescindendo un attimo dal caso, a cui Platone non avrebbe mai attribuito importanza creatrice, è interessante leggere e capire il Timeo, sciogliendone la chiave di lettura principale: da una parte viene affermato che "tutto quello che è deve aver avuto non solo una causa, ma anche proprio un'origine nel tempo" dall'atra che "il tempo è l'immagine mobile dell'eternità" è increato e riflesso "simultaneamente" da un principio superiore rispetto a cui sta con lo stesso nesso che c'è tra realtà e immagine, quindi, per chi comprende davvero profondamente, l'apparentemente da prendere alla lettera "origine nel tempo di tutte le cose", si riduce a un principio ordinativo formale agente appunto su una non meglio definibile materia).


Se siamo in questo, nemmeno eterno, ma direi omminitemporale senso, "ordinati dal caos" e non mai "creati dal nulla", bisogna passare ai due grandi filosofi della modernità più legati all'antichità classica, Nietzsche e Haideggher, che i due se ne infischino della presunta domanda fondamentale "da dove veniamo" perché proprio in alcuni sistemi di pensiero, come i loro, la domanda non ha senso: il tempo è estensivamente infinito ma, a differenza del Dio cristiano, non ha potenza infinita, contiene solo gli elementi e gli attimi che può contenere, e tra questi elementi e attimi, ordinati in un certo modo, ci siamo anche noi umani, ed ecco tutto.


Senza pretendere nemmeno lontanamente che questa sia una sintesi, direi che è questo quello che hanno in comune Nietzsche Heidegger e antichi greci: c'é sempre spazio e c'è sempre tempo, queste due grandi, misteriose cose, sono increate e non iniziano, quindi i pensieri dell'inizio, devono riferirsi a cosa accade e a cosa può accadere, per caso, per libertà o per necessità che sia, nel tempo, all'interno del tempo, che non è oggetto di creazione, ma di composizione secondo la sua facoltà di contenere e mostrare eventi diversi fra loro.


L'affermazione per cui "ogni causa è anche una creazione", si risolve nel suo contrario: "nessuna causa è anche una creazione"

Il mondo è da sempre e per sempre, e, presso l'increato "operano", eternamente, cause increate. Naturalmente, Paradossi vi sono in questo modo di porre le cose, come paradossi vi sono nel pensare la possibilità della creazione del nulla; principalmente per provare anche solo un minimo a risolvere i paradossi nell'ipotesi dell'increato, è importante che il circolo causale, oltreché spaziale o temporale, sia chiuso, e l'effetto ultimo possa re-innescare o sostenere la causa prima, insomma retroazione del futuro sul passato.


E, sempre in questo ambito di pensiero e a proposito di questo modo di mettere la questione, chiedersi se dopo morti si sopravviva o non si sopravviva, non è un dilemma, ma può essere un tri o multi-lemma, si muore e si vive secondo l'ordine del tempo e naturalmente, finché non è dimostrata l'unità compositiva dell'uomo, resta lecito affermare che alcune parti compositive di esso alla morte si annichiliscano e altre sopravvivano.


Spesso mi trovo a dire e a pensare, che l'idea teologico-cristiana della creazione dal nulla (che poi, molto probabilmente, la bibbia presa alla lettera e per lo spirito dei tempi di come alla lettera fu scritta, con l'inizio di Genesi intende un ordinamento dal caos simile alla concezione greco classica) e l'ipotesi scientifica del big bang per come la concepiscono, probabilmente in modo inesatto, la maggior parte delle persone, hanno in comune questa idea della creazione del mondo dal nulla, che è un'idea secondo me sbagliata e perniciosa se presa in modo assoluto e non confrontata e ponderata criticamente con altre idee di origine e causa che si possono altrettanto legittimamente avere, come l'eternità di spazio e tempo e l'origine come ordinamento dal caos; deduciamo il big bang principalmente dal fatto che l'universo si espande e dal fatto che la singolarità puntiforme è una soluzione possibile delle equazioni relativistiche. ;a ad esempio un'opera divulgativa di Tonelli:


Genesi, il grande racconto delle origini


spiega molto bene che il vuoto quantistico in cui si originò il big bang, non solo non è un nulla ma è un qualcosa brulicante di eventi che lo rendono spazialmente e temporalmente definibile, ma anche un qualcosa che il big bang stesso come evento (tra gli eventi possibili nel vuoto) ha trasformato in alcuni suoi aspetti e non sostituito del tutto: l'energia complessiva dell'universo è zero, il che significa che l'universo è un tipo particolare di vuoto, rientrante tra le trasformazioni e le permutazioni possibili del vuoto, il che implica che il suo inizio potrebbe non essere davvero primo e la sua fine non davvero ultima, e anche la sua localizzazione nello spazio non unica.




Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

daniele22

Citazione di: paul11 il 12 Maggio 2021, 00:25:41 AM
Se si supponesse che sia scienza che religione fossero  un falso paradigmatico, vale a dire che lo statuto della condizione umana cerca certezze, per natura umana, non sarebbe  né trascendenza e nemmeno l'immanenza la risposta: ci hanno provato da Nietzsche ad Heidegger che non erano ,fra tutte e due, filo religiosi o filo scientisti, ma cercavano , ognuno a suo modo, risposte immanenti sulle domande esistenziali.
Perchè le tre condizioni; filo religiose, filo scientifiche, e la terza via appunto di Nietzsche ed Heidegger falliscono? Questa è la filosofia del futuro che ancora non c'è.


Ciao Paul11, ciò che dici è più che giusto. Per come la vedo io la mia domanda esistenziale sta nello scoprire perché tutti proclamano pace e giustizia realizzando soprattutto guerra e ingiustizia. Forse è una domanda terra terra, magari gli altri pretendono altre certezze che sconfinano oltre la vita. Vai a sapere cosa pretende l'altro. Non conosco Nietzsche se non di lui qualche aforisma o brandello di pensiero che porto con me come cosa viva. Di Heidegger conosco solo la spiegazione condensata di "essere e tempo" vista su youtube a cura del professor Bancalari. Ti dirò in verità che mi son chiesto più volte, fintanto che guardavo e riguardavo il video, se il mio pensiero non coincidesse col suo. C'era però un punto del pensiero del filosofo che non mi convinceva, ed è il punto che esprime l'inautenticità dell'esserci. Com'è possibile? Il mio pensiero è che non vi sia alcuna inautenticità anche se non so approfonditamente cosa si intenda con tale termine. D'altra parte è vero che debba giustificarsi questa dedizione spasmodica verso l'ente. Però a me sembra che questo ricorso all'inautentico faccia restare l'uomo ancora dentro alla sua bolla. A mio giudizio Heidegger ha fallito poiché ha sbagliato la domanda.

[/size]CITAZIONE
La terza via "laica" immanente è fingere, ed è questo il problema non risolto, che l'esistere possa essere privato dalla domanda "da dove veniamo", cercando nel "ma siamo nel qui ed ora, ed è inutile porci altre domande impossibili da risolvere", come "ma la morte, il cadavere che vedo è davvero la fine?" A mio parere, ma forse mi sbaglio, la via intentata da Nietzsche e in altro modo da Heidegger non trova risposte, perchè pur non essendo filo scientifici(positivisti) sono più propensi all'aspetto scientifico che religioso.


Vorresti dire che i filosofi fingono? Forse i professionisti, almeno spero. Io non ho contatti col mondo dei filosofi quindi non posso dir nulla.

[/size]CITAZIONE
Quindi se l'origine è il passato, il qui ed ora è il presente, e la fine è il futuro, si avrebbe un paradosso, che solo una società scientifica e al tempo stesso religiosa danno insieme le risposte al passato, presente e futuro. Ma allora perché c'è un muro fra i due fideismi: religioso e scientifico?




Probabilmente perché le persone sono governate da istituzioni, le quali, essendo entità, si comportano come noi singoli, ovvero perseguono il loro esistere. L'idea di un Dio antropocentrato sta diventando sempre più debole. Non so se credo in Dio, ma in fondo Dio rappresenta solo quello che più profondamente non sai. Io mi accontento di sapere perché tutti proclamano pace e realizzano guerra e la curiosità della morte me la tengo stretta. A risentirci

Ipazia

Creazione e causalità vanno a braccetto fin dalla preistoria sulla base del modo induttivo/deduttivo dell'intelligenza umana. I moderni (FN e MH) se la sfangano allegramente bypassando la questione perché si sono resi conto che la questione è ontologicamente, e quindi anche filosoficamente, insolubile. Già Epicuro metteva in guardia i suoi contemporanei dal porsi domande che non hanno risposta (gli dei, se ci sono, si fanno i fatti loro) e Socrate, a forza di testare l'infondatezza delle verità di fede, si trovò a bere la cicuta.

La scienza ha fatto propria la lezione di millenni di riflessione filosofica sulle cause e i causanti primi , confezionandoci una cosmogonia plausibile (bigbang) con le sue brave pezze d'appoggio scientifiche, che ha pure il vantaggio, scansando l'intenzionalità, di non dover sottoporre gli eventuali soggetti trascendenti ad un processo etico da cui difficilmente uscirebbero indenni.

Lo snodo di tale passaggio metafisico epocale lo dobbiamo al tornitore di lenti ebraico-olandese che, analogamente a Socrate, venne scomunicato addirittura due volte dai depositari della verità del suo tempo, cristiani e giudei. I cristiani lo scomunicarono per definizione in quanto ebreo, e gli ebrei, con vista più acuta, perchè il passaggio dal Deus sive Natura al Natura sine Deus era così breve da saltare agevolmente l'abisso sottostante. Cosa di cui pure i cristiani si accorsero ben presto di fronte alle orde di illuministi che in quel passaggio si avventarono come orsi verso un mare di miele. Passaggio divenuto sempre più agevole per chi si occupa di filosofia e scienza. Al punto che la contrapposizione tra scienza e religione appare superata sul piano filosofico e rimane soltanto come residuo ideologico di politiche di dominio che si servono tanto dell'una che dell'altra, secondo le necessità e gli interlocutori da sottomettere.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

daniele22

Citazione di: Ipazia il 11 Maggio 2021, 15:54:11 PM
Religione e scienza hanno un'origine comune nella domanda fondamentale di tipo creazionista e causale. Domanda che richiede un certo livello di capacità induttive e deduttive. La tesi teologica ha guidato le danze per millenni e su questo vale la pena di interrogarsi. La risposta che mi dò è che essa rispondeva in pieno al bisogno, altrettanto fondamentale, di senso, protezione, giustizia e immortalità. Questi 4 cavalieri della religione si ritrovano in tutti gli argomenti teologici.

La scienza ha faticato a farsi largo in questo imponente flusso desiderante, dovendo per lo più andarvi controcorrente. Certosinamente ha accumulato le sue prove fino a decostruire, mattone su mattone, l'imponente, millenario (in antropologia l'anzianità fa grado) edificio religioso.

Ma, affetta dallo stesso peccato originale antropologico, ci ha messo meno che niente a convertire i suoi sudati teoremi in nuovi oggetti di fede, supportata in ciò anche dalle rendite di posizione acquisite nella piramide sociale. Il virus desiderante, una volta conclamato, ha rimesso in circolo la religione e queste discussioni.

A salvare l'anima della scienza rimane il suo accurato metodo di indagine, ma anche qui non è il caso di eccedere in trionfalismi salvifici. Statistica, paradigmi e algoritmi permettono alti livelli di mistificazione della realtà e la coperta torna ad accorciarsi.


Ciao Ipazia. Concordo con quel che sostieni. In particolare quando dici che la scienza è affetta dallo stesso vizio antropologico di cui soffre la religione. Il riferimento alle rendite poi è proprio la questione fondamentale del mio percorso di ricerca che era quello infine di scoprire fino in fondo cosa ci fosse dietro la nostra tanto cara e amata lingua, che tanto ingannò i figli suoi. Confido nella purezza animale dell'essere umano. A proposito, chi sono i moderni FN e MH che compaiono nel tuo post successivo? Buona serata

viator

Salve Ipazia. Sempre appropriata per chi conosce. Ma mi chiedo : sei mai stata animata dalla preoccupazione di risultare comprensibile a degli eventuali lettori occasionali, ad aspiranti (poveri loro !!) nuovi iscrivendi al Forum, al cosiddetto pubblico generalista ?. Oppure preferisci rivolgerti solo a degli interlocutori abituali ?.




Naturalmente ciascuno scriverà come preferisce o come può ma.......... non ti sembra un pò troppo gergale il riferimento a FN (noto idolo delle casalinghe), MH (penultimo vincitore de "Il Grande Fratello"), un famoso tornitore di "lenti" (facente parte forse di qualche orchestra da ballo ?) ?. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

paul11

#40
 Citaz. Iano
"ma, noi, intendo noi come esseri umani e pensanti, dobbiamo per forza venire (nel senso di pro-venire) da qualche parte? 


La risposta è Sì. Lo dice la storia umana, lo dicono tutti i popoli umani, nessuno escluso, che hanno costitutivamente una cosmogonia/cosmologia che dà  loro il significato di "essere nel mondo", non solo l'essere ontologico, ma il perché il mondo funziona in un certo modo. La modalità è la forma che costruisce la morale. C'è sempre una guerra : fra dei e titani, fra angeli e demoni, c'è sempre un discendente forte che uccide un padre o un ascendente, c'è sempre un'invidia, una gelosia, un atto di disobbedienza che spiega poi un destino. Poco importa che ci si creda o meno, perché sta di fatto che coloro che vi credono vi costituiscono il loro modo di essere(che è anche la loro moralità) e il loro modo di comportarsi (etica). Il fatto che siano presenti in tutte le culture è ineludibile, non si può fingere o scrollare il testone.
Il cuore del problema è un altro: è possible farne a meno? Ritengo di NO e la riflessione la pone proprio la modernità dell'Occidente in cui viviamo, che ha perso la morale; non esiste, purtroppo, uno spontaneismo morale umano "benigna" sposata da Nietzsche. Quindi un altro problema a me caro è la natura umana, l'ESSERE umano. L'esser-ci heideggeraino non trova senso nell'orizzonte della propria esistenza se non si risponde prima all'essere. E l'essere è origine, non qui ed ora , per questo falliscono rivoluzioni e rivoluzionari che pensavano di cambiare il mondo.


Il quesito meramente scientifico dell'origine dell'universo, come la cosmologia della teoria del Bg Bang, non spiega, come mai ci sia un vuoto quantistico  e l'energia già bella e pronta al tempo zero dell'orologio dell'universo. Ribadisco, questa scienza moderna con il modello sperimentale non può riuscire a dare risposte sull'origine e fine del "Tutto". E non è giocando con l'infinito matematico, vale a dire non rispondendo alla richiesta della domanda di senso umano, modalità fra l'altro novecentesca, perché l'infinito è un termine poco usato o del tutto assente prima di diventare una moda moderna di usarlo per non rispondere alle domande, oserei dire che anticamente il sistema era "chiuso" non infinito. Tant'è che i sistemi erano ciclici e non lineari . L'infinito è un modo per eludere domande perché è sconfinato, è fuori dal quel vedere che essendo il discrimine della prova scientifica sperimentale non è percepibile ai sensi quindi non è prova scientifica, è fuori dal metro metodico dell'indagine. La scienza è più restrittiva dell'evidenza .Perchè è evidente razionalmente che qualcosa o qualcuno abbia prodotto gli enti, gli essenti, le cose dell'universo, gli esseri che esistono, se lo chiese prima la filosofia delle religioni e infatti alcuni scrissero di cosmologie, a me pare ovvio che la ragione umana necessita di una causa prima, all'origine del tutto.
Lo scientismo, non la scienza, ha talmente inculcato agli occidentali moderni che quelle erano favole, che noi siamo i più progrediti, i più moderni , i più bravi, i migliori , ci ha educati al fideismo scientista, tanto da crederci e non cercare di porci più domande esistenziali essenziali, spacciandola pure per libertà. Libertà poi da che cosa? Libertà poi per che cosa? Ogni umano è un fedele di qualcosa, che si chiami Dio, o Scienza, o Tecnica, o "tasca mia" o "conto-in-banca".
Fingerlo è ipocrisia pura.


L'essenza del Timeo di Platone dice concetti fondamentali: che la verità risiede nel tempo eterno non nel divenire, quindi è all'origine non nel "quì-ed-ora", il divenire delle apparenze, il divenire a cui si riferisce la scienza moderna ,non è l'essenza della verità , è la doxa delle apparenze.
Quindi i riferimenti di verità, in Socrate e Platone, risiedono nell'eternità;  i comportamenti umani nel "quì-ed-ora"  trovano i referenti non nel "si dice"  e nel "si fa" delle convenienze  opportunistiche  ed utilitaristiche dei tempi umani , non nell'origine cosmologica.
Perchè la morale non può essere "ad uso e consumo" di un tempo storico o di un luogo geografico, non può inventarselo un umano per sua opportunità e convenienza come accade oggi . Quando un costume culturale si allontana dalla propria fondazione identitaria di socialità che non è solo la  convenienza dell'unirsi per avere più forza, ma riconoscersi in quel che si crede come fondativo del sistema sociale stesso che non può essere la doxa degli "usi e costumi" che formano mutevoli convenzioni, decade inevitabilmente la relazione fra individuo e società, cadendo nella frattura individualistica, tipica di una società che non si riconosce più in nulla, se non per abitudine.


Non penso affatto che sia Nietzsche che Heidegger, che sono intelligenti, pensino al tempo infinito, chissà perché l'uno dice di un eterno-ritorno e l'altro di un orizzonte di senso esistenziale.
Forse l'uno pensa che il tempo in fondo sia ciclico e l'altro che il senso della vita sia da ricercarlo nel proprio arco temporale dell'esistenza , nella sola propria vita. E qualcosa di vero in entrambi ,nella contestualizzazione temporale, a mio parere, c'è. E' ovvio che se penso, quel pensare è durante l'arco temporale in cui vivo, in un "io penso perché son vivo  e finché son vivo". Quindi la problematica del senso della vita è durante il proprio arco di esistenza in vita.


citaz.Iano
si muore e si vive secondo l'ordine del tempo e naturalmente, finché non è dimostrata l'unità compositiva dell'uomo, resta lecito affermare che alcune parti compositive di esso alla morte si annichiliscano e altre sopravvivano.


Questo è ammettere che il tempo è diviso in eterno e in divenire. Se la vita è nel divenire, la verità non può essere nella vita , ma ciò non implica, al tempo stesso,  che il pensiero sia solo "esperienziale" e quindi solo in divenire, per cui l'uomo può formulare durante la propria vita e riconoscere che una verità ,se è verità, non può essere accomodata ai fini umani utilitaristici e opportunistici. Un comandamento, una morale, non possono essere soggette al tiramolla delle convenienze umane ( cosa che il diritto, la scienza  giuridica invece fa), quindi sono immutabili, eterne. Il tempo, inteso come eterno e in divenire, eterno=verità, divenire= opinione(doxa).
Questo schema semplificato è tipico sia della filosofia metafisica che della religione cristiana, l'una vi arriva per ragione, l'altra per rivelazione, ma non è vero che seppur la vita sia in divenire debba essere interpretata in subordine, per non dire, negativamente rispetto all'eterno, ma proprio perché se il divenire è complementare all'eternità ne fa comunque parte, e quindi è in relazione e quindi apre a sua volta ala tentativo nitzcheano ed heideggeriano nel rapporto vita – natura del primo  e essere-tempo del secondo, ma e lo ribadisco non può la vita stessa in sé essere rivelatrice, proprio perché è in subordinata all'origine che è eternità. E' nella relazione eternità e divenire che sta la vita.


Fammi capire questa "creazione dal nulla" cosa significherebbe ? Creare da qualcosa sono capaci tutti, la tecnica infatti trasforma non crea. Lavoisier dice "nulla si crea e tutto si trasforma", è ovvio è il catalano della modernità, dice una cosa ovvia e banale (forse non al suo tempo) , ma da dove viene tutto ciò che si trasforma? Quindi è ovvio che creare significa che un qualcosa, qualcuno (dio) di preesistente all'universo deve esserci e non sono le teorie dei rimandi all'infinito come il multiverso o universi a dodici dimensioni, che costituiscono scienza, queste sono elucubrazioni.
Cosa vuol dire eternità di spazio tempo? Non è nemmeno un concetto scientifico moderno, perché il big bang e la cosiddetta "inflazione" successiva è correlata alle quattro forze interagenti: elettromagnetismo, nucleare debole e nucleare forte e gravità. Sono loro che dilatano l'energia e creano materia , per cui si ritiene che l'espansione dell'universo  sia da loro mosso. Se non fosse così cadono le teorie fondamentali delle particelle.
Cosa significa ordinamento del caos? E' già intrinseco prima dell'apparizione della forza elettromagnetica, quando la luce appare come uno "scoppio" del Big Bang che le quattro forze siano già presenti e appaiono via via, per ultima la gravità. Vi è una cronologia dei tempi infinitesimali in quanto brevissimi e sono correlati alla fisica delle particelle, alle loro teorie.

iano

Ciao Paul 11
Non sono citazioni mie, quelle del tuo precedente post. :)
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

niko

#42
Citazione di: Ipazia il 12 Maggio 2021, 16:43:33 PM
Creazione e causalità vanno a braccetto fin dalla preistoria sulla base del modo induttivo/deduttivo dell'intelligenza umana. I moderni (FN e MH) se la sfangano allegramente bypassando la questione perché si sono resi conto che la questione è ontologicamente, e quindi anche filosoficamente, insolubile. Già Epicuro metteva in guardia i suoi contemporanei dal porsi domande che non hanno risposta (gli dei, se ci sono, si fanno i fatti loro) e Socrate, a forza di testare l'infondatezza delle verità di fede, si trovò a bere la cicuta.

La scienza ha fatto propria la lezione di millenni di riflessione filosofica sulle cause e i causanti primi , confezionandoci una cosmogonia plausibile (bigbang) con le sue brave pezze d'appoggio scientifiche, che ha pure il vantaggio, scansando l'intenzionalità, di non dover sottoporre gli eventuali soggetti trascendenti ad un processo etico da cui difficilmente uscirebbero indenni.

Lo snodo di tale passaggio metafisico epocale lo dobbiamo al tornitore di lenti ebraico-olandese che, analogamente a Socrate, venne scomunicato addirittura due volte dai depositari della verità del suo tempo, cristiani e giudei. I cristiani lo scomunicarono per definizione in quanto ebreo, e gli ebrei, con vista più acuta, perchè il passaggio dal Deus sive Natura al Natura sine Deus era così breve da saltare agevolmente l'abisso sottostante. Cosa di cui pure i cristiani si accorsero ben presto di fronte alle orde di illuministi che in quel passaggio si avventarono come orsi verso un mare di miele. Passaggio divenuto sempre più agevole per chi si occupa di filosofia e scienza. Al punto che la contrapposizione tra scienza e religione appare superata sul piano filosofico e rimane soltanto come residuo ideologico di politiche di dominio che si servono tanto dell'una che dell'altra, secondo le necessità e gli interlocutori da sottomettere.


Forse non sono stato abbastanza sintetico da farmi capire, ma io ho risposto a te a a Paul11 perché:


Ipazia, tu parli di nesso tra causalità e creazione,


paul11 dell'ineludibilità della domanda "da dove veniamo?"


Ma non vi viene in mente, gente, che, assumendo che il mondo/cosmo sia ingenerato e imperituro (e in qualche non immediatamente evidente ma reale senso noi con esso!), la famosa ed epica domanda "da dove veniamo", possa semplicemente essere mal posta?


Da dove veniamo "noi", ma noi chi? Mi viene in mente il recente argomento sul logos eracliteo, se il logo è impersonale, e guadagna verità progredendo nell'intersoggettivo fino a culminare nel non-soggettivo, non c'è neanche un "noi"/"io" che possa provenire da qualche parte...


Ci sono sistemi di pensiero in cui le domande sulle origini non esistono, o meglio, soprattutto, non esistono in senso creazionista. Banalmente, ad esempio, i filosofi che si sono rotti la testa sulla differenza tra creazione ed emanazione, e hanno a vario titolo sostenuto la seconda escludendo la prima (direi Platone e tutti i neoplatonici a seguire), penso che ci credevano veramente in quello che sostenevano, non erano, diciamo così, nella modalità mentale dell'accontentarsi del discorso sul possibile per non poter attingere l'impossibile, o del parlare per metafore.


Quindi non è che la domanda sulle origini sia impossibile, e dunque il filosofo, messo di fronte a tale dura impossibilità, psicologicamente sublima/surroga, gnoseologicamente aggiusta il tiro, occupandosi di altro; io credo piuttosto sia interno alla buona filosofia accogliere la domanda sulle origini solo ed esclusivamente nella misura in cui essa è utile alla felicità terrena.

Qualcuno ha parlato di "vivere nel qui e ora" come se fosse una questione esclusivamente etica, e ha visto in una certa misura la scienza corrispondere bene a questa funzione da cicala propria di un certo tipo di filosofia, immanente e immanentista, mentre la religione sarebbe la formica propria di un certo altro tipo, diciamo così della trascendenza o più teologico.
In realtà anche qui il banco secondo me deve saltare, rispetto alla domanda sulle origini, e sulla vita dopo la morte, e sulle altre domande fondamentali, "viviamo nel qui e ora", dico io, nella misura in cui ci identifichiamo e ci entifichiamo come esseri viventi con la nostra coscienza e conoscenza, e dunque da questa prospettiva in cui si è solo coscienza/conoscenza, in cui si è totalmente lucidi e trasparenti come un diamante o non si è, è giocoforza assumere l'equivalenza tra ignoto e nulla; quindi viviamo eccome "nel qui e ora", ma non per qualche etos derivante da qualche phisis tramite un qualche nomos, bensì perché, proprio dal punto di vista del qui e ora, ignoto=nulla, e quindi, per contro, qui e ora=essere.

Per uscire da questa eterna condizione di cicale e cominciare a fare un po' anche le formiche, nell'equilibrio che serve per la felicità, che della filosofia dovrebbe essere il vero scopo, non ci vuole un' altro tipo di etica, perché non è un problema etico che ci ha portato a fare le cicale (progressiste, pragmatiste e scientiste e quant'altro), ma un problema di identificazione e auto-identificazione; non è dal punto di vista della conoscenza che si può sopperire all'ignoto (che ci circonda e circonda le nostre origini e destinazioni finali, come un grande nulla intorno a un piccolo essere) con altre indispensabili facoltà umane quali  l'immaginazione, la mitopoiesi, e la buona filosofia stessa, perché, dal punto di vista della conoscenza, queste soluzioni vengono riassorbite nella conoscenza umana stessa e nella trasparenza dello scibile nel momento stesso in cui vengono poste, quindi allargano i confini del noto senza mai, in nessun caso, entrare nel merito dell'apparente inconoscibilità delle origini e della fine, allargano il campo l'originato senza entrare nel merito dell'origine.

e dunque, è solo spostando il campo di identificazione, ed identificandosi non con la coscienza/conoscenza, ma con la vita/esperienza in tutte le sue contraddizioni, anche sensoriali, psicosomatiche e corporee, che si può apprezzare la differenza sottile, e non a comodamente portata di mano, intercorrente tra quanto supportato dai sensi e dal senso comune, e quanto posto solo immaginativamente e speculativamente, la differenza tra verità e certezza, che contraddistinguerà la filosofia moderna da Cartesio in poi, mentre potrei dire che quella antica era segnata dalla differenza tra verità e opinione: non è dal punto di vista della conoscenza, che una fiaba su Zeus o su Babbo Natale o su Dio si differenzia da una verità attestata dai sensi (come "oggi piove") o confermata dal metodo scientifico (come "la luna è un satellite"), ma dal punto di vista dell'esperienza (nessuno ha mai visto Babbo Natale, mentre la luna si vede, la pioggia si sente e gli esperimenti scientifici dovrebbero essere standardizzati e ripetibili); e l'esperienza è vita, ed è proprio facendo esperienza del fatto che le risposte sulle origini necessariamente non sono esperienza, che le risposte sulle origini si possono provare dare in quanto tali, si possono dare trascendendo e sapendo di trascendere l'esperienza, ma non la conoscenza e segnando così intenzionalmente il confine tra le due.

E' come la differenza tra sognare e basta e sapere di sognare, che è già difficile a concettualizzarsi, e tanto più difficile a mettersi in pratica: le facoltà che ci portano a inventare i miti sulle origini, sul dopo morte, su quello che si vuole, si attivano sempre spontaneamente e ci caratterizzano come umani, ma la filosofia è la storia del riconoscimento e della negazione/determinazione di tali facoltà come tali, quindi non sono le domande sulle origini a sfumare o a essere abbandonate in quanto insolubili nella mente del filosofo, ma le risposte tipizzate, banalizzate, strumentalizzate e logore a tali domande, compresa, forse prima tra tutte, la presa alla lettera della domanda stessa.



Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

paul11

Citazione di: iano il 12 Maggio 2021, 23:31:02 PM
Ciao Paul 11
Non sono citazioni mie, quelle del tuo precedente post. :)


scusa.......
il mio post precedente è da intendere come citazioni di Niko

paul11

Citazione di: daniele22 il 12 Maggio 2021, 15:38:34 PM
Citazione di: paul11 il 12 Maggio 2021, 00:25:41 AM
Se si supponesse che sia scienza che religione fossero  un falso paradigmatico, vale a dire che lo statuto della condizione umana cerca certezze, per natura umana, non sarebbe  né trascendenza e nemmeno l'immanenza la risposta: ci hanno provato da Nietzsche ad Heidegger che non erano ,fra tutte e due, filo religiosi o filo scientisti, ma cercavano , ognuno a suo modo, risposte immanenti sulle domande esistenziali.
Perchè le tre condizioni; filo religiose, filo scientifiche, e la terza via appunto di Nietzsche ed Heidegger falliscono? Questa è la filosofia del futuro che ancora non c'è.

Ciao Paul11, ciò che dici è più che giusto. Per come la vedo io la mia domanda esistenziale sta nello scoprire perché tutti proclamano pace e giustizia realizzando soprattutto guerra e ingiustizia. Forse è una domanda terra terra, magari gli altri pretendono altre certezze che sconfinano oltre la vita. Vai a sapere cosa pretende l'altro. Non conosco Nietzsche se non di lui qualche aforisma o brandello di pensiero che porto con me come cosa viva. Di Heidegger conosco solo la spiegazione condensata di "essere e tempo" vista su youtube a cura del professor Bancalari. Ti dirò in verità che mi son chiesto più volte, fintanto che guardavo e riguardavo il video, se il mio pensiero non coincidesse col suo. C'era però un punto del pensiero del filosofo che non mi convinceva, ed è il punto che esprime l'inautenticità dell'esserci. Com'è possibile? Il mio pensiero è che non vi sia alcuna inautenticità anche se non so approfonditamente cosa si intenda con tale termine. D'altra parte è vero che debba giustificarsi questa dedizione spasmodica verso l'ente. Però a me sembra che questo ricorso all'inautentico faccia restare l'uomo ancora dentro alla sua bolla. A mio giudizio Heidegger ha fallito poiché ha sbagliato la domanda.

CITAZIONE
La terza via "laica" immanente è fingere, ed è questo il problema non risolto, che l'esistere possa essere privato dalla domanda "da dove veniamo", cercando nel "ma siamo nel qui ed ora, ed è inutile porci altre domande impossibili da risolvere", come "ma la morte, il cadavere che vedo è davvero la fine?" A mio parere, ma forse mi sbaglio, la via intentata da Nietzsche e in altro modo da Heidegger non trova risposte, perchè pur non essendo filo scientifici(positivisti) sono più propensi all'aspetto scientifico che religioso.


Vorresti dire che i filosofi fingono? Forse i professionisti, almeno spero. Io non ho contatti col mondo dei filosofi quindi non posso dir nulla.

CITAZIONE
Quindi se l'origine è il passato, il qui ed ora è il presente, e la fine è il futuro, si avrebbe un paradosso, che solo una società scientifica e al tempo stesso religiosa danno insieme le risposte al passato, presente e futuro. Ma allora perché c'è un muro fra i due fideismi: religioso e scientifico?




Probabilmente perché le persone sono governate da istituzioni, le quali, essendo entità, si comportano come noi singoli, ovvero perseguono il loro esistere. L'idea di un Dio antropocentrato sta diventando sempre più debole. Non so se credo in Dio, ma in fondo Dio rappresenta solo quello che più profondamente non sai. Io mi accontento di sapere perché tutti proclamano pace e realizzano guerra e la curiosità della morte me la tengo stretta. A risentirci


Il "fingere" dei filosofi è metaforico, direi che volutamente fanno delle scelte filosofiche e nel caso proposto, volutamente non gli importa di dare risposte alle domande fondamentali, fanno delle scelte sulla loro impostazione filosofica che non condivido, Una filosofia priva dei fondamenti teoretici è una filosofia "alla moda" dei tempi ,si storicizza in quel determinato tempo e perde di consistenza con il passare del tempo. Non è un caso che i classici greci ...sono eterni, perchè trattano dei fondamenti.


Il Dio "antropocentrato" sarebbe come dire un "dio" umanistico, nel tempo in cui l'uomo si ritiene al centro  dell'universo e pensa che tutto ruota attorno ai suoi voleri: è alla conquista del mondo con la tecnica, è il delirio di onnipotenza. Religiosamente non esiste, praticamente invece sì, è quello del "dio personalizzato", dove ognuno costruisce una propria religione. Un conto è dire che ognuno vive la religione a modo suo, un altro aspetto è dire che ognuno si costruisce la religione che vuole.

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