Riti della spiritualità umana

Aperto da Angelo Cannata, 19 Agosto 2017, 06:31:25 AM

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green demetr

Citazione di: Angelo Cannata il 26 Agosto 2017, 17:07:15 PM
No, mi sembra che ciò che ho scritto si possa applicare a qualsiasi cosa vogliamo considerare dal punto di vista del suo essere rito o simbolo, per esempio anche queste stesse parole che sto usando in questo messaggio.


Si certamente lo possiamo fare, ma così dicendo la questione mi sembra piuttosto generale, e a mio parere rischia di cadere nel qualunquismo.

Infatto il punto è proprio quale ritualità usare?

Per esempio le olimpiadi sembra che funzionino come una grande festa che unisca tutte le persone.

In generale i fenomeni sportivi.


Sinceramente quando sento filosofi affermati sostenere queste idee con un certo fervore, mi chiedo sempre ma dove andremo a finire di questi tempi??

A mio parere la scelta del rito è tutt'altro che semplice, e forse è un bene, perchè la gente è ora che pensi con la propria testa.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Angelo Cannata

altamarea, è la seconda che ti vedo fare una distinzione e poi, nel momento in cui ne spieghi le particolarità, in realtà gli elementi che presenti fanno concludere il contrario, cioè che non c'è distinzione.

La prima volta è accaduto in questa stessa discussione, poco sopra, tra rito e rituale.

Adesso mi dai la stessa impressione riguardo a segno e simbolo. Infatti, nel descrivere le particolarità del simbolo rispetto al segno, hai scritto "Il simbolo, invece, può essere considerato come un ponte verso una realtà che non può essere spiegata solo con le parole". Ora, tu stesso poco sopra hai fatto riferimento alla bandiera come simbolo: tu pensi che in una bandiera, per esempio la bandiera italiana, ci siano cose che non possono essere spiegate a parole? Addirittura, se ci riflettiamo, possiamo osservare l'opposto: non è difficile pensare a segni che contengono un mare di elementi impossibili da dire a parole. Pensiamo per esempio al segno del bacio: penso che non sia difficile essere d'accordo sul fatto che un bacio comunica un mare di cose impossibili da dire a parole. Possiamo pensare alle espressioni del volto come segno della nostra personalità, o di ciò che stiamo provando: non sarà difficile concordare sul fatto che un'espressione del volto è un segno che comunica un'infinità di cose impossibili da esprimere a parole. Come fai quindi a sostenere che "Il simbolo, invece, può essere considerato come un ponte verso una realtà che non può essere spiegata solo con le parole"? Poi, per confermare questo, hai fatto riferimento alla teologia. Ma la teologia non è fatta di simboli, è fatta di parole, e la teologia si fa proprio per tentare di spiegare. Esiste la teologia apofatica, oppure possiamo osservare che le parole stesse sono in grado di rinviare all'indicibile. Ma questo non fa che confermare che le parole, i segni, rinviano anch'esse all'indicibile, quindi non è certo un'esclusiva del simbolo rinviare all'indicibile.
Poi hai scritto che "Un simbolo può avere evocazioni molteplici, un segno ha un solo significante ed un solo significato", ma questo non è affatto vero: se, per esempio, consideriamo la poesia, le parole di cui è composta hanno esattamente questo scopo: essere ricchissime di significati. Il poeta si sforza di rendere le parole che scrive un vero concentrato di significati. Inoltre basta consultare un vocabolario qualsiasi per accorgersi senza ombra di dubbio che per molte parole vengono indicati una marea di significati possibili, quindi come fai a sostenere che "Un simbolo può avere evocazioni molteplici, un segno ha un solo significante ed un solo significato"?

Angelo Cannata

Citazione di: green demetr il 28 Agosto 2017, 08:09:07 AMA mio parere la scelta del rito è tutt'altro che semplice, e forse è un bene, perchè la gente è ora che pensi con la propria testa.
A me sembra che stiamo sostenendo la stessa cosa. Infatti, quando io dico che sarebbe un bene cercare di vivere i riti con consapevolezza, certamente non intendo dire che la consapevolezza debba limitarsi ad una conferma di quello che già si fa. Per me consapevolezza significa anche senso critico, e senso critico significa anche scegliere i riti da compiere. Ora tu hai scritto che la scelta del rito è un bene, quindi mi sembra che stiamo sostenendo la stessa cosa.

doxa

#33
Angelo abbi pazienza per la mia testardaggine.  Ma se un linguista come Ferdinand de Saussure dice che  il segno  è soltanto composto da significato e significante, perché lo assimili al polisemico simbolo ?

Se sono uguali che necessità c'è di usare due termini anziché solo la parola simbolo ?

Considerando la differenza e non l'unicità o la sovrapposizione tra segno e simbolo, il bacio a cui ti riferisci è un segno o un simbolo ?  Quando è segno e quando è simbolo  ? Il bacio sulle labbra della partner quando è affetto e quando è desiderio sessuale ?

Hai scritto: "non è difficile pensare a segni che contengono un mare di elementi impossibili da dire a parole." In tal caso voglio capire se sbagli te, confondendo segno e simbolo o sbagliano i linguisti che affermano per il segno: un solo significante ed un solo significato.

Hai anche scritto: "Possiamo pensare alle espressioni del volto come segno della nostra personalità, o di ciò che stiamo provando: non sarà difficile concordare sul fatto che un'espressione del volto è un segno che comunica un'infinità di cose impossibili da esprimere a parole."

Al contrario di te penso che l'espressione del volto non è un segno ma un simbolo, perché all'espressione del volto (significante) quale unico stato d'animo corrisponde ? Se non è unico ma molteplice è simbolo.
Idem per la poesia. Se ha più significati è simbolica e non segno.


Cerca con pazienza di convincermi del contrario.  :) Grazie

Carlo Pierini

#34
Citazione di: altamarea il 28 Agosto 2017, 07:50:03 AM
Scusami Carlo, ho bisogno di un ulteriore chiarimento.

Nel mio precedente post ho quotato la frase di Angelo che dice: "Simbolo significa segno" ed io ho risposto dicendo che simbolo e segno sono due entità diverse.

Tu hai replicato per dire: "Esattamente. Anche il simbolo è un segno." ed hai spiegato la tua opinione. Però non capisco se concordi con Carlo o con me.


Forse volevi dire ...se concordo con Angelo (hai scritto "con Carlo") o con te. Concordo con te nella necessità di una distinzione tra segno e simbolo; ma questa distinzione è riferita alle diverse proprietà dell'uno e dell'altro, non alla loro categoria di appartenenza. Nel senso che, sia il segno che il simbolo sono significanti che trovano il loro significato in "altro da sé", nella "cosa" che indicano e che rappresentano sul piano del linguaggio; ed è questa caratteristica comune che li colloca all'interno di una medesima categoria di appartenenza (infatti, molto spesso, specialmente in teologia, "segno" e "simbolo" sono usati come sinonimi; p. es.: "...i segni del Cielo"). Ma mentre il segno si associa univocamente (e convenzionalmente) a qualcosa di noto, i grandi simboli associano analogicamente qualcosa di noto a qualcosa di sconosciuto o di non ancora conosciuto, cioè, mettono sapientemente in relazione il sensibile con il sovrasensibile, l'immanente con il trascendente; ed è proprio questa loro singolare e misteriosa saggezza nel mostrare il reale come metafora (o allegoria o analogia) del "metafisico" che induce da sempre l'uomo a vederli, appunto, come "segni del Cielo", come "lingua degli dèi". Scrive Alleau:

"Il latino symbolum (propriamente 'caratteristica, segno') deriva dal greco sumbolon, 'segno', da sumballein, 'gettare insieme, riunire'». (...) Si tratta cioè di evocare un movimento che 'riunisce', che 'accomuna' degli elementi precedentemente separati gli uni dagli altri, e designarne i risultati. Di conseguenza, se si tratta dell''atto di riunione' che unisce delle parti contraenti giuridicamente e per iscritto, si chiama il suo redattore, il notaio professionista, sumbolai graphos, letteralmente «colui che scrive il simbolo giuridico». Perciò i documenti redatti dai notai privati erano detti sumbolaia o, più esattamente, sumbolaiaagoraia, nell'accezione giuridica giustinianea". [RENÉ ALLEAU: La scienza dei simboli - pg.27]

"La lingua universale dell'analogia e dei simboli, è non soltanto la 'lingua degli dei', ma anche la lingua della natura, del 'sovrumano' e dell"infraumano', la lingua dello spirito ma anche quella delle profondità del corpo".   [RENÉ ALLEAU: La scienza dei simboli - pg.69]

"Tutte le tradizioni iniziatiche e religiose hanno ammesso la necessità dell'interpretazione della «lingua degli dèi», sia nelle sue forme arcaiche, di tipo divinatorio e oracolare, sia nelle sue complesse espressioni di insegnamenti trasmessi da testi sacri. La casta sacerdotale, costituendo nel suo insieme un organo di relazione tra gli uomini e gli dèi era necessariamente investita del potere e del compito di riunire conservare e spiegare le istruzioni, gli avvertimenti, i consigli, le visioni, i presagi e i segni ricevuti dagli indovini e dai profeti".  [RENÉ ALLEAU: La scienza dei simboli - pg.171]

Angelo Cannata

Citazione di: altamarea il 28 Agosto 2017, 13:42:15 PM...voglio capire se sbagli te, confondendo segno e simbolo o sbagliano i linguisti che affermano per il segno: un solo significante ed un solo significato.
Forse mi sbaglio, ma ho l'impressione che ti sia creato un malinteso, a causa del fatto che in linguistica, così come in tante altre discipline, spesso, per semplificare le spiegazioni, si parla delle cose al singolare, anche quando sono molte. Ad esempio, in grammatica è normale dire che in una frase è possibile distinguere soggetto, predicato e complemento. Ma ciò non significa affatto che una frase, per essere corretta, debba avere un solo soggetto, o un solo predicato, o un solo complemento. Quando si parla di animali è normale dire, ad esempio, che tra i leoni, il maschio si accoppia con la femmina; ma ciò non significa affatto che tra i leoni ci sia sempre un solo maschio che si accoppia con una sola femmina. Allo stesso modo, dire che nel segno è possibile distinguere significante e significato non implica che il significato debba essere per forza uno solo. A pensarci bene, non esistono segni di alcun tipo il cui significato sia uno solo. Forse una cosa del genere è riscontrabile in alcune scienze che si sforzano di essere al massimo precise, stringenti, e quindi il più possibile povere di significati, per esempio la matematica, oppure la fisica o la chimica. Ma, a parte questi casi speciali, non mi sembra che in altri campi ci sia alcuno sforzo di vincolare i significati a uno solo. Non vedo alcun motivo per cui ciò che intendiamo, o che si intende in linguistica, con la parola "segno", debba necessariamente implicare un solo significato. In linguistica ci si occupa specialmente di parole e non c'è alcuna regola che dica che una parola debba avere un solo significato. Non mi pare che De Saussure abbia mai voluto dire che un segno, per poter essere chiamato tale, debba avere un solo significato; magari avrà detto "un significato", ma ciò è diverso dal dire "un solo significato".

D'altra parte, se cerco nel vocabolario la parola "segno", tra i suoi significati trovo anche "simbolo"; se cerco "simbolo", trovo anche "segno". Le due parole hanno senza dubbio sfumature diverse, in base come si è soliti usarle nei vari contesti, ma non mi sembra che tra di esse ci sia una differenza radicale.

Phil

L'ultima decina di messaggi (circa) verte sul problema della definizione (e conseguente differenziazione), fra "simbolo" e "segno", a dimostrazione di come definire adeguatamente le parole-chiave di un discorso non sia una "perdita di tempo" o uno "sterile astrattismo", ma invece rappresenti indubbiamente una doverosa fase metodologica, ineludibile per impostare un dialogo chiaro e con riferimenti semantici condivisi.
Il problema, secondo me, nasce dall'appellarsi a "vocabolari" differenti per rintracciare le suddette definizioni: c'è il "vocabolario" di Jung, quello di De Saussure, quelli di altri linguisti, quello della lingua italiana, quello delle espressioni popolari, etc.

A questo punto quale scegliere? Per me la questione è risolvibile scegliendo una definizione su cui tutti i dialoganti siano consenzienti e concordi, senza ritenere più autorevole quella di un autore specifico (a cui potrebbe essere contrapposta quelli di altri autori pertinenti, e a quel punto diverrebbe una faccenda di posizioni personali...). Moltiplicare il reperimento di fonti, citazioni e definizioni a disposizione, probabilmente renderebbe solo più inibitoria l'impasse "semiologica"...

Propongo quindi una riflessione estemporanea: la croce è un simbolo cristiano e ci si fa il segno della croce... un gesto o un rituale, come scambiarsi un "segno di pace" può avere valore simbolico (non diremmo "segnico")... al segno linguistico è solitamente connesso anche un fonema (o una dimensione fonetica), come accade per le lettere dell'alfabeto, mentre spesso i simboli hanno a loro volta un proprio nome segnico (grafemi e fonemi) nel linguaggio di riferimento (senza addentrarsi nei temi della traduzione o degli ideogrammi)... il significato simbolico di una poesia non è il significato segnico/letterale...

Provo allora ad abbozzare una proposta: se i segni sembrano essere l'elemento basilare della comunicazione (linguistica e non), il simbolo forse si differenzia per un "plus-valore semantico" che rimanda ad almeno un ulteriore significato (o più) già costituito ed indipendente dal simbolo stesso: il cristianesimo non è il "significato" del crocifisso, ma il crocifisso, nella sua autonoma identità formale/materiale, rimanda simbolicamente al cristianesimo (che esiste a prescindere da, e non si riduce a, tale riproduzione simbolica); mentre il significato intrinseco al segno della croce è "riprodurre", "raffigurare" le linee della croce, creando una simbiosi forte fra il segno e il suo significato (nel senso che il segno non è scindibile dal suo significato, come invece accadeva con la croce, che ha comunque un suo significato di base, un "referente" letterale, autonomo: struttura in legno usata per uccidere i malfattori ai tempi dei romani...). 
Ma allora i segni linguistici per eccellenza, le lettere, che significato hanno/rappresentano? Direi semplicemente quello di un determinato suono che, combinato con altri suoni, forma parole significanti, quindi frasi, etc. non a caso, l'alfabeto fonetico, che si propone di unificare la traslitterazione "universale" dei suoni, è piuttosto recente (fine '800).

Dunque, interpretato così, il simbolo sarebbe più prossimo all'allegoria piuttosto che ad un semplice segno arbitrario e convenzionale, come le lettere, o il segno che ci fa il vigile quando dobbiamo accostare con l'auto, per poi mostrargli il simbolo del nostro essere legittimi automobilisti (con la speranza di non averlo lasciato a casa sul comodino  ;D ).

Carlo Pierini

Citazione di: Phil il 28 Agosto 2017, 19:37:58 PMLa croce è un simbolo cristiano e ci si fa il segno della croce... un gesto o un rituale, come scambiarsi un "segno di pace" può avere valore simbolico (non diremmo "segnico")... al segno linguistico è solitamente connesso anche un fonema (o una dimensione fonetica), come accade per le lettere dell'alfabeto, mentre spesso i simboli hanno a loro volta un proprio nome segnico (grafemi e fonemi) nel linguaggio di riferimento (senza addentrarsi nei temi della traduzione o degli ideogrammi)... il significato simbolico di una poesia non è il significato segnico/letterale...

Diciamo che nel simbolo della Croce si sintetizza la filosofia centrale del cristianesimo: la corrispondenza tra una analogia verticale fondante (l'Uomo è analogia di Dio) ed una analogia orizzontale fondata (la fratellanza-analogia Uomo-Uomo). Una doppia complementarità di opposti.

paul11

Sulla traccia di Phil che intelligentemente svolge alcune spiegazioni fra simbolo e segno, aggiungerei che il simbolo è analogico e il segno è logico.
E' il segno che è convenzione, mentre il simbolo è intuitivamente attribuibile ad un significato proprio in base ad un riconoscimento analogico di per sé esistente.
I segni possono essere arbitrari, posso inventarmi un alfabeto, costruire delle fraseologie, proposizioni, predicazioni, dentro regole semantiche e sintattiche; mentre il simbolo è più o meno il contenuto che esso esprime e quindi il significante è simile al significato,dove il significato è il concetto ed il significante è il supporto che lo esprime.
Ne consegue che il simbolo è leggibile universalmente anche da coloro che utilizzano segni linguistici completamente diversi(pensiamo al cinese rispetto all'italiano).
Si potrebbe anche dire che il segno è nel dominio della causa ed effetto, logico ed orizzontale, mentre il simbolo è correlato a principi sincronici, analogici e verticali.

Ne consegue che il simbolo è tipico del linguaggio mitico e il segno di quello razionale.

Il simbolo all'interno del concetto di inconscio collettivo di Jung presuppone una capacità universale, in ogni essere umano, di decodificazione

InVerno

Ci sono anche altre parole che ricorrono e avrebbero bisogno di definizione, per esempio "laico" viene usato come "ateo" mentre significa semplicemente non confessionale, plurale, aperto, anche al teismo\deismo. E poi la cosiddetta "spiritualità", capisco che "tutto è spirito" ma se si arriva a parlare dei riti olimpionici mi pare che il tema sia stato affrontato in un senso un po troppo "laico". Per come la vedo io la parola "rito" ha un accezione puramente legata all'antichità, giustamente ora si parla più di abitudini o ricorrenze, e nel rito antico l'ingrediente fondamentale era il mistero, la contemplazione del mistero, e la funzione apotropaica della ripetizione, cioè lo stabilirsi dell'ordine di fronte al caos (ordine che poi diventa istituzione), penso che la spiritualità rituale si posizioni esattamente al confine tra caos universale e ordine antropogenico, e che se vogliamo parlare di riti e ritualità innanzitutto dovremmo andare a caccia di misteri, in un mondo che ne è estremamente avaro e dove tutto viene "scientificamente conosciuto". Al di la della ripetizione, che come è stato fatto notare è un elemento puramente "egoistico" (ripetizione di stimoli posivi), penso che si stia facendo un po il ragionamento inverso e si parta dal rito (conseguenza) anzichè dal mistero (causa).
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Angelo Cannata

Il mio interesse personale al riguardo riguardava la spiritualità intesa come cammino di vita interiore e la ritualità intesa come insieme di attività programmate e prestabilite nel loro svolgersi.
Ad esempio, supponendo che io voglia crescere nella mia capacità di amare il prossimo, potrei stabilire per me l'impegno a dare un euro al mese per i poveri. Già questo, in questa mia visione tutta personale, può essere fruttuosamente considerato come un rito che decido di rispettare ogni mese per la mia crescita spirituale.

anthonyi

Citazione di: InVerno il 29 Agosto 2017, 10:30:37 AM
Ci sono anche altre parole che ricorrono e avrebbero bisogno di definizione, per esempio "laico" viene usato come "ateo" mentre significa semplicemente non confessionale, plurale, aperto, anche al teismo\deismo. E poi la cosiddetta "spiritualità", capisco che "tutto è spirito" ma se si arriva a parlare dei riti olimpionici mi pare che il tema sia stato affrontato in un senso un po troppo "laico". Per come la vedo io la parola "rito" ha un accezione puramente legata all'antichità, giustamente ora si parla più di abitudini o ricorrenze, e nel rito antico l'ingrediente fondamentale era il mistero, la contemplazione del mistero, e la funzione apotropaica della ripetizione, cioè lo stabilirsi dell'ordine di fronte al caos (ordine che poi diventa istituzione), penso che la spiritualità rituale si posizioni esattamente al confine tra caos universale e ordine antropogenico, e che se vogliamo parlare di riti e ritualità innanzitutto dovremmo andare a caccia di misteri, in un mondo che ne è estremamente avaro e dove tutto viene "scientificamente conosciuto". Al di la della ripetizione, che come è stato fatto notare è un elemento puramente "egoistico" (ripetizione di stimoli posivi), penso che si stia facendo un po il ragionamento inverso e si parta dal rito (conseguenza) anzichè dal mistero (causa).

Mi sembra che il solo riferimento all'antichità sia restrittivo, basti pensare a tutte le ritualità legate alle istituzioni moderne, politiche, militari, giudiziarie.
Comunque il riferimento al "mistero", che è in generale il significato del rito, e al rapporto rito-mistero, mi richiama una diatriba ancora oggi aperta in ambito antropologico, che è un po' come l'uovo e la gallina.
C'è chi dice che il rito è nato per mantenere la memoria del mistero, e chi dice che il mistero venga inventato per dare senso al rito stesso. Per me è più vera la prima, comunque c'è da dire che la seconda permette di risolvere un problema, cioè spiegare l'origine del mistero, che è problematica, differentemente dal rito, la cui spiegazione originaria è più semplice essendo esso basato sulla nostra tendenza naturale a ripetere i comportamenti.

green demetr

Citazione di: InVerno il 29 Agosto 2017, 10:30:37 AM
Ci sono anche altre parole che ricorrono e avrebbero bisogno di definizione, per esempio "laico" viene usato come "ateo" mentre significa semplicemente non confessionale, plurale, aperto, anche al teismo\deismo. E poi la cosiddetta "spiritualità", capisco che "tutto è spirito" ma se si arriva a parlare dei riti olimpionici mi pare che il tema sia stato affrontato in un senso un po troppo "laico". Per come la vedo io la parola "rito" ha un accezione puramente legata all'antichità, giustamente ora si parla più di abitudini o ricorrenze, e nel rito antico l'ingrediente fondamentale era il mistero, la contemplazione del mistero, e la funzione apotropaica della ripetizione, cioè lo stabilirsi dell'ordine di fronte al caos (ordine che poi diventa istituzione), penso che la spiritualità rituale si posizioni esattamente al confine tra caos universale e ordine antropogenico, e che se vogliamo parlare di riti e ritualità innanzitutto dovremmo andare a caccia di misteri, in un mondo che ne è estremamente avaro e dove tutto viene "scientificamente conosciuto". Al di la della ripetizione, che come è stato fatto notare è un elemento puramente "egoistico" (ripetizione di stimoli posivi), penso che si stia facendo un po il ragionamento inverso e si parta dal rito (conseguenza) anzichè dal mistero (causa).

Come al solito Angelo non si sbilancia mai, e non dice praticamente nulla.

Però la domanda che si era fatto è all'altezza dei tempi.

E' inutile vagheggiare ad un ritorno nel mondo magico.

Qua si parla di trovare nuovi segni che rimandino ad una semantica antropopoietica, più che apotropaica.  (;D)

Ha ragione perciò a chiedersi se sia il caso o meno di scegliere insieme quale possa essere.

Il fatto è che una volta deciso che è una buona cosa farlo....

non sappiamo a quale rituale accedere.

Per questo io dico che sebbene sia cosa buona poterlo fare, NON SI PUO' fare, pena fissarsi con le cavolate olimpiche e non oso immaginare cosa altro.

E quindi caro Angelo ribalto la questione, forse è meglio usare la propria testa per altre cose.  ;)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

InVerno

#43
Citazione di: green demetr il 29 Agosto 2017, 23:07:30 PME' inutile vagheggiare ad un ritorno nel mondo magico.
Ne sono assolutamente convinto, ma la magia è la violazione del mistero, è la gnosi che lo razionalizza, a partire dalle forme più antiche (magia simpatica) fino alle forme più recenti (magia teologica). Ma non mi sorprendo che tu l'abbia menzionata,  oggi come oggi una prospettiva antimagica viene inevitabilmente etichettata come atea o materialista, negare un miracolo è immediatamente sintomo dell'incapacità di comprendere un "bene oltre" alla materia. Io invece mi riferivo alla riverenza verso il mistero, alla distanza necessaria alla contemplazione e al successivo senso di sacralità, di "potere superiore", lungi dall'inventarsi spiegazioni!  Io per esempio lo trovo guardando le stelle, e come in parte esplorato in altri topic, parebbe che l'inizio della ritualità sia partita proprio da li, dal mistero del cosmo, uno dei pochi che che è rimasto disponibile al sensibile anche se nettamente affievolito (ho una certa sicurezza che una cometa non mi prenderà in testa mentre lo contemplo ;) ). Ma si potrebbe anche solo considerare i misteri Eleusini a cui anche Platone prese parte, per ricordare che in qualche modo alla ritualità antica erano sempre collegati alterazioni degli stati di coscienza, enteogeni o endogeni, forse perchè portare il caos nella propria coscienza ci faceva illudere di essere parte più vera del "grande caos". In generale, se non si vuole relegare la questione all'antichità, io proporrei allora un altro tipo di distinzione: a) Il rito sacrale b) il rito celebrativo. Dei secondi fanno parte istituzioni moderne, religiose e laiche, olimpiadi e chi ne ha più ne metta, ma che collegamento esse abbiano con la spiritualità (intesa come ricerca di salvezza o "bene superiore") non mi è ben chiaro, che qualcuno si senta spiritualmente accresciuto il giorno della festa della repubblica mi pare quantomeno bizzarro. Lo stesso potrei dire di una ritualità "progettata" a tavolino come l'elemosina giornaliera, che è sicuramente un buon gesto che pure io ogni tanto pratico, ma non credo abbia alcuna valenza spirituale. Dov'è la vertigine del baratro spirituale?
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Angelo Cannata

Citazione di: InVerno il 30 Agosto 2017, 09:41:23 AM...la magia è la violazione del mistero, è la gnosi che lo razionalizza, a partire dalle forme più antiche (magia simpatica) fino alle forme più recenti (magia teologica). Ma non mi sorprendo che tu l'abbia menzionata,  oggi come oggi una prospettiva antimagica viene inevitabilmente etichettata come atea o materialista, negare un miracolo è immediatamente sintomo dell'incapacità di comprendere un "bene oltre" alla materia. Io invece mi riferivo alla riverenza verso il mistero, alla distanza necessaria alla contemplazione e al successivo senso di sacralità, di "potere superiore", lungi dall'inventarsi spiegazioni!
Trovo estremamente utile questa chiarificazione, perché esprime in maniera efficace la situazione ambigua in cui si trova oggi la spiritualità, divisa appunto tra ciò che hai descritto come magia e ciò che hai descritto come mistero. Inteso nel senso in cui l'hai descritto, per me "mistero" viene ad essere sinonimo di "spiritualità".

Citazione di: InVerno il 30 Agosto 2017, 09:41:23 AMLo stesso potrei dire di una ritualità "progettata" a tavolino come l'elemosina giornaliera, che è sicuramente un buon gesto che pure io ogni tanto pratico, ma non credo abbia alcuna valenza spirituale. Dov'è la vertigine del baratro spirituale?
È chiaro che il puro gesto esterno non è creatore di spiritualità. Io ritengo importantissimo che chi voglia percorrere un cammino di spiritualità lo faccia preparandosi un buon progetto, seduto a tavolino, meglio se con l'aiuto di buoni maestri. Se si entra in quest'ordine di idee, si capisce anche che uno, che voglia percorrere un cammino di crescita spirituale e si siede a tavolino a progettare, non si metterà certamente a progettare subito l'elemosina giornaliera. È logico, basta provare a mettersi ipoteticamente nei panni di colui che si siede a tavolino a progettare. Egli si chiederà anzitutto su cosa crescere, perché crescere, quali dovranno essere le cose più importanti. In questo contesto la progettazione di elemosine quotidiane sarà soltanto un aspetto, una piccola parte di un progetto molto più complesso.
Non è la prima volta che mi accade di essere frainteso su questo e riconosco che è in gran parte colpa mia, del mio modo di esprimermi e della mia mentalità: per la mia mentalità è scontato che ogni cosa che debba essere crescita spirituale debba sempre far parte di una progettualità più complessa e più grande, ma dimentico spesso che ciò non è scontato per tutti e necessita di essere precisato.

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