Riti della spiritualità umana

Aperto da Angelo Cannata, 19 Agosto 2017, 06:31:25 AM

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Carlo Pierini

Citazione di: InVerno il 30 Agosto 2017, 09:41:23 AM
Citazione di: green demetr il 29 Agosto 2017, 23:07:30 PME' inutile vagheggiare ad un ritorno nel mondo magico.
Io ...mi riferivo alla riverenza verso il mistero, alla distanza necessaria alla contemplazione e al successivo senso di sacralità, di "potere superiore", lungi dall'inventarsi spiegazioni!  

"L'ipotesi dell'esistenza di un Dio assoluto, al di là di ogni esperienza umana, mi lascia indifferente; né io agisco su di Lui, né Lui su di me. Se invece so che Egli è un possente impulso nella mia anima, me ne devo interessare".  [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.59]

"Nel definire Dio o il Tao come un impulso dell'anima o uno stato psichico, ci si limita a compiere una asserzione su ciò che è conoscibile, e non invece su quanto è inconoscibile, intorno al quale non potremmo affermare assolutamente nulla".[JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.63]

InVerno

Citazione di: Carlo Pierini il 30 Agosto 2017, 10:59:44 AM
Citazione di: InVerno il 30 Agosto 2017, 09:41:23 AM
Citazione di: green demetr il 29 Agosto 2017, 23:07:30 PME' inutile vagheggiare ad un ritorno nel mondo magico.
Io ...mi riferivo alla riverenza verso il mistero, alla distanza necessaria alla contemplazione e al successivo senso di sacralità, di "potere superiore", lungi dall'inventarsi spiegazioni!  

"L'ipotesi dell'esistenza di un Dio assoluto, al di là di ogni esperienza umana, mi lascia indifferente; né io agisco su di Lui, né Lui su di me. Se invece so che Egli è un possente impulso nella mia anima, me ne devo interessare".  [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.59]

"Nel definire Dio o il Tao come un impulso dell'anima o uno stato psichico, ci si limita a compiere una asserzione su ciò che è conoscibile, e non invece su quanto è inconoscibile, intorno al quale non potremmo affermare assolutamente nulla".[JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.63]
E' paradossale che citi il Tao

Chi si dedica allo studio ogni dì aggiunge,
chi pratica il Tao ogni dì toglie,
toglie ed ancor toglie
fino ad arrivare al non agire:
quando non agisce nulla v'è che non sia fatto.
Quei che regge il mondo
sempre lo faccia senza imprendere,
se poi imprende
non è atto a reggere il mondo.

P.s. Angelo, scusa per averti frainteso.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Carlo Pierini

Citazione di: InVerno il 30 Agosto 2017, 11:25:32 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 30 Agosto 2017, 10:59:44 AM
Citazione di: InVerno il 30 Agosto 2017, 09:41:23 AM
Citazione di: green demetr il 29 Agosto 2017, 23:07:30 PME' inutile vagheggiare ad un ritorno nel mondo magico.
Io ...mi riferivo alla riverenza verso il mistero, alla distanza necessaria alla contemplazione e al successivo senso di sacralità, di "potere superiore", lungi dall'inventarsi spiegazioni!  

"L'ipotesi dell'esistenza di un Dio assoluto, al di là di ogni esperienza umana, mi lascia indifferente; né io agisco su di Lui, né Lui su di me. Se invece so che Egli è un possente impulso nella mia anima, me ne devo interessare".  [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.59]

"Nel definire Dio o il Tao come un impulso dell'anima o uno stato psichico, ci si limita a compiere una asserzione su ciò che è conoscibile, e non invece su quanto è inconoscibile, intorno al quale non potremmo affermare assolutamente nulla".[JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.63]
E' paradossale che citi il Tao

Chi si dedica allo studio ogni dì aggiunge,
chi pratica il Tao ogni dì toglie,
toglie ed ancor toglie
fino ad arrivare al non agire:
quando non agisce nulla v'è che non sia fatto.
Quei che regge il mondo
sempre lo faccia senza imprendere,
se poi imprende
non è atto a reggere il mondo.

Queste sono le parole di un poeta di 2.500 anni fa, di un precursore dell'idea di "sacrificium intellectus", che ha portato la cristianità ai roghi della "Santa" Inquisizione. Mentre...

"L'uomo moralmente e spiritualmente emancipato della nostra epoca non vuole più seguire una fede o un rigido dogma. Egli vuole comprendere, e non meraviglia, dunque, che egli trascuri ciò che non capisce. Il simbolo religioso rientra tra le cose difficilmente accessibili alla ragione, perciò di regola è la religione la prima ad essere gettata a mare. Il sacrificium intellectus che la fede positiva pretende è un atto di violenza contro cui la coscienza degli spiriti evoluti si ribella".   [JUNG: Contrasto tra Freud e Jung - pg.141]

"La fede è un carisma (dono della grazia) per colui che la possiede, ma non è una via d'uscita per chi ha bisogno di capire qualche cosa prima di credere. Giacché infine anche il credente è convinto che Dio ha dato l'intelletto all'uomo e certo per qualcosa di meglio che per mentire e ingannare. Benché in origine si creda ai simboli in modo naturale, è possibile anche comprenderli, e questa è l'unica via per tutti coloro cui non è stato concesso il carisma della fede. [...] Il simbolo è stato ed è il ponte che conduce a tutte le più grandi conquiste dell'umanità".   [JUNG: Simboli della trasformazione pg. 231]

"La fede può comprendere un sacrificium intellectus (premesso che ci sia un intelletto da sacrificare), ma mai un sacrificio del sentimento. Così i credenti rimangono fanciulli, invece di diventarecome fanciulli e non conquistano la loro vita perché non l'hanno mai perduta".   [JUNG: Psicologia e religione - pg.493]

InVerno

#48
Citazione di: Carlo Pierini il 30 Agosto 2017, 11:59:40 AM
Queste sono le parole di un poeta di 2.500 anni fa, di un precursore dell'idea di "sacrificium intellectus", che ha portato la cristianità ai roghi della "Santa" Inquisizione. Mentre...

"L'uomo moralmente e spiritualmente emancipato della nostra epoca non vuole più seguire una fede o un rigido dogma. Egli vuole comprendere, e non meraviglia, dunque, che egli trascuri ciò che non capisce. Il simbolo religioso rientra tra le cose difficilmente accessibili alla ragione, perciò di regola è la religione la prima ad essere gettata a mare. Il sacrificium intellectus che la fede positiva pretende è un atto di violenza contro cui la coscienza degli spiriti evoluti si ribella".   [JUNG: Contrasto tra Freud e Jung - pg.141]

"La fede è un carisma (dono della grazia) per colui che la possiede, ma non è una via d'uscita per chi ha bisogno di capire qualche cosa prima di credere. Giacché infine anche il credente è convinto che Dio ha dato l'intelletto all'uomo e certo per qualcosa di meglio che per mentire e ingannare. Benché in origine si creda ai simboli in modo naturale, è possibile anche comprenderli, e questa è l'unica via per tutti coloro cui non è stato concesso il carisma della fede. [...] Il simbolo è stato ed è il ponte che conduce a tutte le più grandi conquiste dell'umanità".   [JUNG: Simboli della trasformazione pg. 231]

"La fede può comprendere un sacrificium intellectus (premesso che ci sia un intelletto da sacrificare), ma mai un sacrificio del sentimento. Così i credenti rimangono fanciulli, invece di diventarecome fanciulli e non conquistano la loro vita perché non l'hanno mai perduta".   [JUNG: Psicologia e religione - pg.493]
Penso che la conoscenza possa essere ottenuta e abbandonata, i concetti consolidati e poi disciolti, se non sbaglio dovrebbe essere una traduzione alternativa del passo che ho citato (purtroppo non ho accesso in questo momento). Non ho alcuna fiducia per le persone che non sorridono quando parlano (e il mezzo scritto in questo lascia sistematicamente a desiderare), il sorriso sta a significare che si è consci che le parole sono parole, ma una volta ascoltate non bisogna prenderle troppo sul serio, bisogna scioglierle nuovamente entro se stessi. Lo stesso penso di "ciò che si può imparare". Non si tratta di sacrificare il proprio intelletto, ma di sapere usare la mente come la mano, poterla aprire e chiudere a piacimento, anzichè vivere in uno stato di continua diarrea mentale, un flusso di informazioni continuo. Ora io sono  una persona estremamente anti-rituale, aborro e detesto la ripetizione, per correttezza dovrei persino evitare di scriverne. Tuttavia a volte capita. Per esempio sono un modestissimo apicoltore, e alla mattina dopo colazione tempo permettendo faccio una passeggiata dagli alverari. Ho le conoscenze base per capire che cosa sta succedendo (anche se ultimamente la materia si è fatta anche scientificamente misteriosa) e queste mi sono utili per operare nell'alveare. Ma se voglio meravigliarmi di questi insetti stupendi e provare un senso di comunione con essi devo abbandonare queste conoscenze, svuotare la mente, osservarli come se non sapessi nulla di loro, a partire dal semplice fatto che permanere li potrebbe fornirmi una poco meravigliosa puntura. Allora diventa possibile abbandonare la paura, lanciarsi nel baratro del mistero, camminare con le api nelle mani e nei capelli senza che esse ti pungano. Jung ha fatto una missione della sua vita il "capire" mappe disegnate per "sentire", ammirevole, ma è come usare una ruota per volersi sedere.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Carlo Pierini

Citazione di: InVerno il 30 Agosto 2017, 12:11:11 PMPer esempio sono un modestissimo apicoltore, e alla mattina dopo colazione tempo permettendo faccio una passeggiata dagli alverari. Ho le conoscenze base per capire che cosa sta succedendo (anche se ultimamente la materia si è fatta anche scientificamente misteriosa) e queste mi sono utili per operare nell'alveare. Ma se voglio meravigliarmi di questi insetti stupendi e provare un senso di comunione con essi devo abbandonare queste conoscenze, svuotare la mente, osservarli come se non sapessi nulla di loro, a partire dal semplice fatto che permanere li potrebbe fornirmi una poco meravigliosa puntura. Allora diventa possibile abbandonare la paura, lanciarsi nel baratro del mistero, camminare con le api nelle mani e nei capelli senza che esse ti pungano. Jung ha fatto una missione della sua vita il "capire" mappe disegnate per "sentire", ammirevole, ma è come usare una ruota per volersi sedere.

Sono d'accordo con te, ma la tua non è una regola. La conoscenza di una cosa non impedisce la contemplazione del mistero che incarna; anzi, a me succede l'esatto opposto: più comprendo a fondo la realtà (sia materiale che spirituale) più me ne innamoro; più ne rivelo i misteri, più mi affascina il grande mistero ancora sepolto.
In altre parole, la comprensione non contraddice la contemplazione, ma la arricchisce e la rende più profonda, più piena. E' un errore tragico, secondo me, contrapporre dualisticamente queste due modalità di relazione della nostra anima col mondo. L'intelletto, se è abbastanza illuminato dal cuore, non profana i sentimenti, ma li esalta; e il cuore, se risuona con i nostri pensieri più alti, non intralcia la ragione, ma la guida.

green demetr

Inverno ovviamente (spero tu l'avrai capito) io comprendo e faccio mio quello che hai scritto cos' bene sul mistero.
Ci tenevo particolarmente a dirlo.


Il mio intervento è relativo alla questione sociologica, o meglio comunitaria (che sarebbero poi la situzione attuale e quella utopica).

In un tempo dove la Scienza ha preso il posto di Dio, è difficile trovare spazio per il Mistero.

Inoltre il Mistero ha sempre più i caratti di un settarismo, orgoglioso e risentito, penso sopratutto alla Wicca e simili religioni sincretiche.

Difficile trovare gente come te, Carlo che stanno sulla doppia soglia tra lo scientifico e il misterico.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Carlo Pierini

#51
Citazione di: green demetr il 01 Settembre 2017, 09:39:25 AM
Difficile trovare gente come te, Carlo che stanno sulla doppia soglia tra lo scientifico e il misterico.

...Infatti, prendo sganassoni sia dai "mistici" che dagli "scientisti"!   >:(

"Le dualità, in fondo, indicano il "sí" e il "no", gli inconciliabili opposti che "devono" essere conciliati perché l'equilibrio della vita non vada perduto. Ciò può verificarsi soltanto se ci si attiene saldamente al centro, là dove si bilanciano agire e patire. Una strada questa che corre sul filo del rasoio. E proprio nel momento culminante, quando gli opposti universali si scontrano, si apre non di rado un'ampia prospettiva che abbraccia passato e futuro. E' questo il momento psicologico in cui, come il consensus gentium ha costatato da tempi antichissimi, si producono i fenomeni sincronistici, per cui ciò che è lontano può apparire vicino". [JUNG: Archetipi e inconscio collettivo - pg.334]



L'angolo musicale:
A. BRANDUARDI: I santi
https://youtu.be/g_JNj-7EHe0?t=22

InVerno

Citazione di: green demetr il 01 Settembre 2017, 09:39:25 AM
Inverno ovviamente (spero tu l'avrai capito) io comprendo e faccio mio quello che hai scritto cos' bene sul mistero.
Ci tenevo particolarmente a dirlo.


Il mio intervento è relativo alla questione sociologica, o meglio comunitaria (che sarebbero poi la situzione attuale e quella utopica).

In un tempo dove la Scienza ha preso il posto di Dio, è difficile trovare spazio per il Mistero.

Inoltre il Mistero ha sempre più i caratti di un settarismo, orgoglioso e risentito, penso sopratutto alla Wicca e simili religioni sincretiche.

Difficile trovare gente come te, Carlo che stanno sulla doppia soglia tra lo scientifico e il misterico.
Ma in realtà il problema è sociologico, nel senso che la scienza ha preso il posto di Dio solamente in virtù del fatto che essa viene divulgata in questa maniera, come se ad ogni studio corrispondesse un tassello aquisito verso l'onniscienza, quando in realtà è esattamente il contrario e il problema sta in menti troppo abituate a trattare la verità come un manuale di sopravvivenza, e quindi ad assolutizzarla per i propri scopi. Non ricordo chi, disse che la scienza è come un isola artificiale dove gli scienziati scaricano tonnellate di sabbia. E' vero che l'isola man mano aumenta di diametro e di grandezza, ma è anche vero che i confini con l'ignoto (nella metafora, spiagge) diventano sempre più lunghi ed estesi. Se si passano le giornate nell'entroterra è difficile poi lamentarsi che non si vede il mare!

Ps. Carlo, concordo con il tuo ultimo intervento, io non contrappongo, e se schifassi la conoscenza non sarei qui a risponderti. Certo è un equilibrio labile e funambolico, bisogna prestare attenzione.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Angelo Cannata

Citazione di: InVerno il 30 Agosto 2017, 12:11:11 PMNon ho alcuna fiducia per le persone che non sorridono quando parlano (e il mezzo scritto in questo lascia sistematicamente a desiderare), il sorriso sta a significare che si è consci che le parole sono parole, ma una volta ascoltate non bisogna prenderle troppo sul serio, bisogna scioglierle nuovamente entro se stessi.
Trovo utile per il discorso il tuo riferimento alle parole. Lo scopo iniziale che avevo espresso in partenza era di tentare di essere più attivi verso le ritualità della nostra esistenza, piuttosto che viverle passivamente, qualunque esse siano. Ora, mi sembra che un luogo essenziale in cui porre in atto questo tentativo sia quello delle parole. La parola, in quanto segno o simbolo, mi sembra avere una caratteristica che nessun altro tipo di segni o simboli possiede: essa è in grado di contenere in sé sia il razionale che l'irrazionale e favorisce più di ogni altra cosa il dialogo fra entrambi. Probabilmente è stata l'intuizione di questa capacità della parola a farla essere per alcune religioni un oggetto centrale della ritualità, un elemento sacro. Mi riferisco alle tre religioni Ebraismo, Cristianesimo e Islam: tutte e tre sono, tra l'altro, anche religioni del libro, cioè della parola, una parola considerata come rivelazione da parte di Dio.
Giustamente hai scritto anche che la parola, specialmente come testo scritto, lascia sistematicamente a desiderare: come tutti gli altri segni e simboli essa si presta al fraintendimento e al vuoto di significato. Non esistono garanzie di salvezza da questi problemi, ma non è detto che ciò che non garantisce salvezza non valga la pena di essere coltivato.
A questo punto, se vogliamo indagare sulle possibilità di lavoro attivo sulla parola come rito, credo che sarebbe fuorviante disquisire di scienze della parola, come per esempio semiotica, semantica, strutturalismo, scienze varie del linguaggio, sebbene esse siano delle discipline utilissime. Una ricerca sulla parola, come rito su cui tentare di agire attivamente, credo che, piuttosto che impiegare tutte le energie su questo tipo di studi scientifici, possa trarre molto frutto seguendo una via più intuitiva, che ritengo sia quella del collegamento con la persona. Insomma, allo stesso modo in cui, per trarre il massimo da una poesia, sebbene siano preziosissime tutte le scienze del linguaggio, una via essenziale sia quella di recepirla nella spontaneità della nostra umanità, così la parola in sé come rito può essere valorizzata esplorando il suo essere umana, detta o scritta da esseri umani e recepita da altri esseri umani. Questo non è altro che dire con parole diverse quello che già hai scritto tu: "bisogna scioglierle nuovamente entro se stessi". Questo scioglierle entro se stessi credo possa diventare un lavoro attivo, sebbene si tratti di un lavoro che deve fare attenzione a non trasformarsi in gabbia limitante. Una concetto di questo genere, vicino a quanto espresso, potrebbe essere quello di meditazione: la meditazione può essere considerata un lavoro che cerca di essere anche ascolto, anche passività.

InVerno

Citazione di: Angelo Cannata il 01 Settembre 2017, 19:14:51 PMTrovo utile per il discorso il tuo riferimento alle parole. Lo scopo iniziale che avevo espresso in partenza era di tentare di essere più attivi verso le ritualità della nostra esistenza, piuttosto che viverle passivamente, qualunque esse siano. Ora, mi sembra che un luogo essenziale in cui porre in atto questo tentativo sia quello delle parole. La parola, in quanto segno o simbolo, mi sembra avere una caratteristica che nessun altro tipo di segni o simboli possiede: essa è in grado di contenere in sé sia il razionale che l'irrazionale e favorisce più di ogni altra cosa il dialogo fra entrambi. Probabilmente è stata l'intuizione di questa capacità della parola a farla essere per alcune religioni un oggetto centrale della ritualità, un elemento sacro. Mi riferisco alle tre religioni Ebraismo, Cristianesimo e Islam: tutte e tre sono, tra l'altro, anche religioni del libro, cioè della parola, una parola considerata come rivelazione da parte di Dio.
Giustamente hai scritto anche che la parola, specialmente come testo scritto, lascia sistematicamente a desiderare: come tutti gli altri segni e simboli essa si presta al fraintendimento e al vuoto di significato. Non esistono garanzie di salvezza da questi problemi, ma non è detto che ciò che non garantisce salvezza non valga la pena di essere coltivato.
A questo punto, se vogliamo indagare sulle possibilità di lavoro attivo sulla parola come rito, credo che sarebbe fuorviante disquisire di scienze della parola, come per esempio semiotica, semantica, strutturalismo, scienze varie del linguaggio, sebbene esse siano delle discipline utilissime. Una ricerca sulla parola, come rito su cui tentare di agire attivamente, credo che, piuttosto che impiegare tutte le energie su questo tipo di studi scientifici, possa trarre molto frutto seguendo una via più intuitiva, che ritengo sia quella del collegamento con la persona. Insomma, allo stesso modo in cui, per trarre il massimo da una poesia, sebbene siano preziosissime tutte le scienze del linguaggio, una via essenziale sia quella di recepirla nella spontaneità della nostra umanità, così la parola in sé come rito può essere valorizzata esplorando il suo essere umana, detta o scritta da esseri umani e recepita da altri esseri umani. Questo non è altro che dire con parole diverse quello che già hai scritto tu: "bisogna scioglierle nuovamente entro se stessi". Questo scioglierle entro se stessi credo possa diventare un lavoro attivo, sebbene si tratti di un lavoro che deve fare attenzione a non trasformarsi in gabbia limitante. Una concetto di questo genere, vicino a quanto espresso, potrebbe essere quello di meditazione: la meditazione può essere considerata un lavoro che cerca di essere anche ascolto, anche passività.
Si sono d'accordo, mi sembra un contributo di buon senso. Poi il fatto che linguaggio e magia nei miei post siano affiancati è perchè nella mia prospettiva uno è la derivazione dell'altra e la parentela è cosi stretta da essere difficilmente definibile, la magia come derivazione metafisica delle metafore è una chiave di lettura cosi comoda da provocare non pochi sospetti, tuttavia dal mio punto di vista veritiera. Essendo tu un ex prete, avrai tu stesso somministrato tante ostie-sineddoche :) Per quanto riguarda ritualità e linguaggio, basti pensare che anticamente proibire una parola significava proibire l'accesso a una dimensione del reale ed era una punizione che in alcune culture veniva posta in essere da una casta religiosa, che nella maggioranza dei casi parlava una lingua diversa (comunemente considerata semplicemente "dotta", ma capace di dare accesso esclusivo a reami del reale altrimenti proibiti e articolati, e pericolosi se capitati in mani inesperte). Ricordo non diversamente che il papa che assistette alla traduzione in volgare e stampa in massa della Bibbia profetizzò che questo processo avrebbe avuto come unica conseguenza la fine della Chiesa. E poi mi viene in mente Arpocrate, il Dio del Silenzio, che veniva sovente posto all'entrata dei templi (con il caratteristico dito davanti alla bocca che ancora oggi usiamo) per ammonire che davanti al divino si doveva tacere. Nella ritualità spirituale quindi c'è anche un complesso meccanismo di potere istituzionalizzato, la privazione della parola è spesso un metodo di autoconservazione del potere temporale della casta religiosa e non ha nulla a che fare con un percorso spirituale cosciente. E' quindi normale che Carlo parli di "sacrificio intellettuale", perchè questa storicamente sopratutto in occidente è stata la deviazione principale del sacrificio spirituale. La riscoperta della spiritualità e delle sue forme rituali deve quindi prima partire, come giustamente ha considerato Demetr, da una riformulazione sociale della stessa, su un piano che ad oggi rimane quasi del tutto largamente inesplorato in occidente. E' anche per questo che tantissimi hanno volto lo sguardo verso l'oriente, i millenari regimi idraulici orientali hanno meno avvilito le qualità spirituali dei percorsi, avendone meno bisogno per controllare i popoli (Arpocrate compare tardi in un Egitto già in declino proprio per rafforzare il potere monarchico, a chi mi facesse notare che anche l'Egitto era una società idraulica).
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Angelo Cannata

Il punto di vista della ritualità, come d'altronde ogni punto di vista, può essere talmente allargato da arrivare a comprendere qualsiasi cosa, fino a dire che tutto è rito. Questa prospettiva è evidentemente una forzatura, ma certe forzature possono evidenziare elementi e meccanismi altrimenti invisibili, così come l'introduzione di certi coloranti nelle cellule consente di visualizzare al microscopio parti e movimenti altrimenti impossibili da individuare.

Se tutto è rito, si può pensare che le religioni si siano venute a formare anche con uno scopo simile a quello che ho esposto all'inizio: gestire i riti attivamente, quindi gestire la vita attivamente, non limitarsi a lasciarsela scorrere nelle vene e negli eventi. Quello che però era nato come strumento di valorizzazione, si è poi trasformato in strumento limitante: le religioni, da strumento per valorizzare attivamente le ritualità dell'esistenza, si sono trasformate in strumenti di controllo e monopolio della ritualità, paralizzazione appropriazione del mondo intimo delle ritualità.

È tipica delle organizzazioni che hanno un grande potere la tendenza ad assumere il controllo di certi elementi chiave dell'esistenza umana, quali ad esempio l'alimentazione (si pensi in ambito religioso ai digiuni, ai cibi consentiti e cibi proibiti; ma anche il fascismo ha propagandato l'austerità nel mangiare), il sesso (è diffusissima nelle religioni la tendenza a stabilire i comportamenti sessuali leciti e illeciti; anche le dittature hanno solitamente cercato di dettare regole sulla prolificazione, per esempio incoraggiandola per fornire nuove leve all'esercito) e aggiungiamo la parola: sia nelle religioni che nella politica è facile individuare norme e costumi su ciò che si può dire e ciò che non si deve dire.

In questo contesto di idee, ipotizzare che ogni parola che diciamo e pensiamo è sempre, in quanto segno o simbolo, un rito, ne segue la possibilità di una riconsiderazione tutta nuova del parlare, del comunicare e del pensare, alla luce di questa prospettiva, soprattutto considerando anche l'opportunità già detta di tentare di vivere attivamente l'esperienza, in questo caso della parola, piuttosto che lasciarsela scorrere passivamente addosso lungo la vita di ogni giorno.

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