Riti della spiritualità umana

Aperto da Angelo Cannata, 19 Agosto 2017, 06:31:25 AM

Discussione precedente - Discussione successiva

Angelo Cannata

Vorrei provare a discutere con coi di un modo laico, indipendente, di considerare e praticare i riti. Come sapete, tra le religioni si riscontrano queste pratiche, che hanno, come ogni pratica umana, i loro pro e i loro contro. Un rito che tutti conosciamo, ad esempio, è, in ambito cattolico, la Messa. L'orizzonte può essere esteso fino a considerare gesti semplicissimi che a volte non disdegniamo di chiamare riti: per certuni, ad esempio, è un rito irrinunciabile il caffè preso a una certa ora, un rito che può includere anche il modo preferito di prepararlo e poi prenderlo; spesso è un rito in noi il modo di eseguire certe azioni, perché col tempo ci siamo formati uno standard su come portarle a termine.

Un difetto essenziale di ogni rito è quello di creare abitudini sempre uguali e quindi distogliere dal progredire, creare originalità, essere spontanei. Un pregio è invece la capacità del rito di affermare e sistematicamente riaffermare, con forza, nell'esistenza del singolo o delle società, l'importanza di certe azioni, eventi, elementi della vita comune o individuale. Possiamo pensare, ad esempio, al minuto di silenzio che a volte viene osservato, di comune accordo, in occasione di qualche evento socialmente tragico che si è verificato, oppure alle varie festività civili.

Potremmo notare che ai nostri giorni sono venuti a nascere certi riti che si sono imposti da sé: si potrebbe considerare un rito il controllo periodico dell'email, di facebook, o anche la lettura o ascolto delle ultime notizie. In questo senso, perfino il controllo periodico o l'inserimento dei messaggi in questo forum può assumere degli aspetti di ritualità.

Ora, se i riti, oltre ad avere ovvi difetti e inconvenienti, possiedono anche pregi e vantaggi, al punto che in molti casi li introduciamo volentieri nella nostra vita, oppure essi stessi vi s'introducono da sé con forza, per abitudine o per necessità, perché non sfruttarli con più consapevolezza, in modo trarne al meglio i vantaggi possibili?

Ad esempio, un modo di sfruttare con maggiore consapevolezza un certo tipo di riti può essere quello di stabilire per sé un ritmo di lettura di libri, oppure una periodicità con cui inserire messaggi in questo forum, allo scopo di favorire la riflessione in se stessi e negli altri. Naturalmente ogni tipo di rito ha bisogno poi di precisazioni, dettagli e adattamenti per poter dare i suoi frutti migliori.

In altre parole: perché lasciare solo alle religioni i vantaggi di una ritualità consapevole? La domanda è simile a quella più generale che ci si può porre riguardo alla spiritualità: perché lasciare alle religioni i vantaggi del praticare con impegno una spiritualità?

Carlo Pierini

#1
Citazione di: Angelo Cannata il 19 Agosto 2017, 06:31:25 AM
Vorrei provare a discutere con coi di un modo laico, indipendente, di considerare e praticare i riti. Come sapete, tra le religioni si riscontrano queste pratiche, che hanno, come ogni pratica umana, i loro pro e i loro contro. Un rito che tutti conosciamo, ad esempio, è, in ambito cattolico, la Messa. L'orizzonte può essere esteso fino a considerare gesti semplicissimi che a volte non disdegniamo di chiamare riti: per certuni, ad esempio, è un rito irrinunciabile il caffè preso a una certa ora, un rito che può includere anche il modo preferito di prepararlo e poi prenderlo; spesso è un rito in noi il modo di eseguire certe azioni, perché col tempo ci siamo formati uno standard su come portarle a termine.

Il rito nasce come gesto simbolico rivolto a Dio. Per cui, dal punto di vista religioso, il cosiddetto "rito civile" è una variante degradata del suo significato originario, una sorta di idolatria in cui l'autorità dell'uomo sostituisce quella divina: celebrazione del matrimonio davanti al sindaco, di un processo giudiziario davanti al giudice, di un contratto davanti al notaio, ecc..
Se è vero che anche il sacerdote dei riti religiosi è un uomo, non dobbiamo dimenticare che egli non celebra il rito a titolo personale, ma in nome di Dio, così come il giudice e il notaio celebrano i loro processi in nome della "Dea bendata" Giustizia. ...E il sindaco? La sua autorità ("...in nome del popolo...") è legittima? Solo nella misura in cui è vero che "Vox populi, vox Dèi"!  :)

doxa

#2
in ambito ecclesiale il rito indica la procedura o l'esecuzione degli atti liturgici secondo norme codificate, invece l'aggettivo "rituale" si riferisce al "libro", al testo liturgico che descrive i riti o esecuzioni  da praticare nella celebrazione del culto e nella gestione dei sacramenti. 

Angelo Cannata

Ho cercato nei due unici messaggi che precedono il tuo, ma non sono riuscito a trovare la parola "rituale", né "rituali".

Comunque, quando "rituale" viene usato nel senso di "libro", non è aggettivo, ma sostantivo. Il significato di "libro" non è l'unico significato possibile di "rituale" usato come sostantivo. Se, come sostantivo, "rituale" viene usato nel senso di "insieme di cerimonie", allora diventa perfettamente interscambiabile con "rito": entrambi significano l'identica cosa. Basta consultare un qualsiasi vocabolario.

Angelo Cannata

Citazione di: Carlo Pierini il 23 Agosto 2017, 10:44:28 AMIl rito nasce come gesto simbolico rivolto a Dio.
Il rito nasce dove vogliamo farlo nascere noi, in base a quanto vogliamo estendere il significato della parola. Basti pensare che anche tra gli animali si riscontrano riti, riti di corteggiamento, riti di accoppiamento, che non sono sicuramente gesti simbolici rivolti a Dio.

doxa

#5
Angelo ha scritto:
Citazioneperché lasciare solo alle religioni i vantaggi di una ritualità consapevole?
Si, Angelo, hai ragione. Mi hai preceduto con la risposta mentre modificavo il mio precedente post. Comunque mi riferivo alla parola "ritualità" che ho quotato.

Angelo Cannata

Tu cosa sostituiresti a "ritualità" nella mia frase che hai citato?

doxa

Citazione di: Angelo Cannata il 23 Agosto 2017, 16:49:43 PM
Tu cosa sostituiresti a "ritualità" nella mia frase che hai citato?


Un sinonimo potrebbe essere ripetitività.  :) 

Carlo Pierini

Citazione di: Angelo Cannata il 23 Agosto 2017, 16:42:53 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 23 Agosto 2017, 10:44:28 AMIl rito nasce come gesto simbolico rivolto a Dio.
Il rito nasce dove vogliamo farlo nascere noi, in base a quanto vogliamo estendere il significato della parola. Basti pensare che anche tra gli animali si riscontrano riti, riti di corteggiamento, riti di accoppiamento, che non sono sicuramente gesti simbolici rivolti a Dio.

...E cosa ne sappiamo? Anche gli anima-li hanno un'anima, per quanto "in nuce"!  :)

paul11

Angelo,
penso che il rito sia una forma di codificazione temporalizzata, con delle precise successioni che incorpora o un evento o addirittura una narrazione in quelli più complessi. Necessita di simboli.

Psichicamente la compulsione è un rito dove ad un evento si fa corrispondere determinati gesti.
Prima di uscire di casa ogni volta  devo controllare il gas, controllo di nuovo, e ancora.

il rito in sè è un controllo simbolico su delle paure, timori. Dall'altra è socializzazione, o ripetuta memorizzazione di una tradizione.

Io le chiamerei abitudini, più che vere e proprie ritualità, certi incontri periodici con amici, il trovarsi il luogo di un un tal giorno della settimana, ecc.

Carlo Pierini

#10
Citazione di: altamarea il 23 Agosto 2017, 16:13:16 PM
in ambito ecclesiale il rito indica la procedura o l'esecuzione degli atti liturgici secondo norme codificate, invece l'aggettivo "rituale" si riferisce al "libro", al testo liturgico che descrive i riti o esecuzionida praticare nella celebrazione del culto e nella gestione dei sacramenti.

Appunto, il rito è un atto simbolico, cioè un atto che ha un significato ulteriore che trascende quello oggettivo dell'atto in sé; è un atto che rimanda ad altro, ad un valore ideale, a un principio, ad un "oggetto" di culto. Altrimenti anche un libretto di istruzioni per il montaggio di un mobile Ikea può essere visto come una "procedura che segue norme codificate per l'esecuzione di un atto liturgico".  :)

paul11

alcune riflessioni.
l'oggetto di un rito, il perchè lo si compia, deve avere l'oggetto più potente per noi che vi partecipiamo.
Un rito di iniziazione, di purificazione, sacrificatorio, la transustanziazione in una Messa, l'ostia del "corpo di Cristo" che ne è il "cuore" simbolico, fino ad un giuramento laico per una legge, per un'iniziazione massonica deve avere questo oggetto"potente".

Se la spiritualità diciamo in una visione laica dovesse avere un rito, forse è la stessa spiritualità a cui i partecipanti devono fortemente credere.Forse il problema diventerebbe la "consistenza" di questa spiritualità.

I riti laici ,procedurali, diventano iter come un processo giudiziario,dove è la legge che è ritenuta potente che incorpora ancora il giusto e lo sbagliato, la sanzione e la pena. 

Angelo Cannata

Penso che in una spiritualità laica si possa considerare potente ciò che riesce a farsi apprezzare come crescita. Questo dipende sia dall'oggetto che dal soggetto. In una partita di calcio, per esempio, si possono riscontrare ritualità sia tra i tifosi che tra i giocatori. La potenza sta in quel gioco specifico, di cui si sente tutta la forza liberatrice, come anche nei tifosi e giocatori, che hanno imparato ad apprezzarne le capacità liberatorie (mi riferisco a liberazione dell'istinto a vincere, a servirsi di tattiche, a collaborare in squadra). Uno che non s'interessa di calcio percepirà quelle ritualità come insignificanti, non toccano il suo interesse e le sue emozioni, così come i gesti della Messa sono insignificanti per chi non è addentro nel Cristianesimo.

Una spiritualità laica può cercare simboli potenti che riescano a farsi apprezzare come tali da chiunque. Si pensi ad esempio al semplicissimo rito del salutarsi, diverso nelle varie parti del mondo, ma mi sembra che il salutarsi in sé, al di là dei gesti con cui viene fatto, sia una pratica universalmente apprezzata. Certe cose possono invece essere apprezzate in seguito ad un cammino di crescita, di formazione. In questo senso una spiritualità laica può chiedersi per che cosa di potente valga la pena di spendere energie per formarsi ad apprezzarla e perfino goderne. In questo senso io penso alla scuola, cioè la formazione in sé, l'istruzione, che può essere anche istruzione alla conoscenza delle migliori e più grandi spiritualità del mondo, come potenze che può valere la pena di imparare ad apprezzare.

Carlo Pierini

Citazione di: Angelo Cannata il 24 Agosto 2017, 00:04:44 AM
Penso che in una spiritualità laica si possa considerare potente ciò che riesce a farsi apprezzare come crescita. Questo dipende sia dall'oggetto che dal soggetto. In una partita di calcio, per esempio, si possono riscontrare ritualità sia tra i tifosi che tra i giocatori. La potenza sta in quel gioco specifico, di cui si sente tutta la forza liberatrice, come anche nei tifosi e giocatori, che hanno imparato ad apprezzarne le capacità liberatorie (mi riferisco a liberazione dell'istinto a vincere, a servirsi di tattiche, a collaborare in squadra). Uno che non s'interessa di calcio percepirà quelle ritualità come insignificanti, non toccano il suo interesse e le sue emozioni, così come i gesti della Messa sono insignificanti per chi non è addentro nel Cristianesimo.

Una spiritualità laica può cercare simboli potenti che riescano a farsi apprezzare come tali da chiunque. Si pensi ad esempio al semplicissimo rito del salutarsi, diverso nelle varie parti del mondo, ma mi sembra che il salutarsi in sé, al di là dei gesti con cui viene fatto, sia una pratica universalmente apprezzata. Certe cose possono invece essere apprezzate in seguito ad un cammino di crescita, di formazione. In questo senso una spiritualità laica può chiedersi per che cosa di potente valga la pena di spendere energie per formarsi ad apprezzarla e perfino goderne. In questo senso io penso alla scuola, cioè la formazione in sé, l'istruzione, che può essere anche istruzione alla conoscenza delle migliori e più grandi spiritualità del mondo, come potenze che può valere la pena di imparare ad apprezzare.

"ll marxismo e la psicologia del profondo hanno illustrato l'efficacia della cosiddetta demistificazione quando si voglia scoprire il vero - o l'originale - significato di un comportamento, di un'azione o di una creazione culturale. Nel nostro caso, dobbiamo cercare una demistificazione alla rovescia, vale a dire dobbiamo 'demistifìcare' i mondi apparentemente profani e i linguaggi della letteratura, delle arti plastiche e del cinema per rivelare i loro elementi 'sacri', sebbene si tratti, naturalmente, di una 'sacralità' ignorata, camuffata o degradata. In un mondo desacralizzato, quale il nostro, il 'sacro' è presente e attivo soprattutto negli universi dell'immaginazione. Ma le esperienze dell'immaginazione sono parte dell'essere umano nella sua totalità, non meno importante delle sue esperienze diurne. Ciò significa che la nostalgia per le prove e le atmosfere d'iniziazione, che appare in tante opere letterarie e plastiche, rivela la ricerca da parte dell'uomo moderno di un totale e definitivo rinnovamento, di una renovatio capace di cambiare la sua esistenza".   [M. ELIADE: La nostalgia delle origini - pg.143] 

InVerno

#14
Citazione di: Angelo Cannata il 24 Agosto 2017, 00:04:44 AM
Si pensi ad esempio al semplicissimo rito del salutarsi, diverso nelle varie parti del mondo, ma mi sembra che il salutarsi in sé, al di là dei gesti con cui viene fatto, sia una pratica universalmente apprezzata.
Come si ci saluta è molto più interessante di quanto si possa immaginare, la stretta di mano occidentale è quasi certo fosse un modo per "perquisire" l'altro (i romani arrivavano fino all'avambraccio) in cerca di coltelli nascosti, offrire una stretta di mano era quindi sinonimo di "vengo in pace" e fugava i sospetti che l'altro potesse essere armato. Abbastanza significativo di un certo clima di sospetto e di società militarizzate. Non differentemente shalom\salam (pace), dove altro se non in medio oriente la pace poteva essere un saluto gradito da assicurare prima di un incontro? I saluti orientali differiscono, l'inchino si spiega da solo, le mani giunte sono sinonimo di contatto tra due tensioni superficiali (parlo del saluto, non pratiche meditative). Penso che, al di la dei conformismi sociali, queste due diverse tipologie di saluto instaurino un clima diverso nell'incontro, una riverenza amicale e disponibilità d'animo nel caso orientale, un accordo di non belligeranza e di fiducia nel caso occidentale, femmineo il primo masculino il secondo.  Se fossimo davvero aperti ai costumi del mondo, potremmo imparare ad usarle entrambe a seconda delle circostanze e delle aspettative dell'incontro che abbiamo davanti.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Discussioni simili (5)