Riflessioni sul suicidio.

Aperto da Socrate78, 18 Maggio 2021, 20:49:43 PM

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niko

Citazione di: anthonyi il 21 Maggio 2021, 19:05:11 PM
Citazione di: niko il 21 Maggio 2021, 17:41:59 PM
Probabilmente il Socrate storico non credeva che una vita migliore o un paradiso di qualche tipo lo attendesse dopo il suo suicidio-condanna a morte, ma già il Socrate platonico, cioè il personaggio di Socrate per come lo racconta e lo descrive Platone, lascia più volte intendere qualcosa del genere.


Celebre è il passo del canto dei cigni, nel Fedone, che è secondo me uno dei punti di massima vicinanza e anticipazione tra cristianesimo teologico tradizionale e pensiero di Platone, e quindi anche una delle principali e più famose svolte in senso metafisico o, a voler essere critici, "necrofilo", o quanto meno antimaterialistico, del pensiero occidentale in generale.


In esso il personaggio di Socrate, stravolgendo la concezione naturalistica precedente del pensiero greco, per cui si pensava che i cigni cantassero in prossimità della loro morte per il dolore e la tristezza di stare per perdere la loro (unica) vita, come un tragico saluto ad essa e un effimero tentativo di godere appieno degli ultimi istanti, afferma invece, tutto al contrario, che i cigni sanno che una vita migliore li attende dopo la morte, e, in prossimità del momento fatale, cantano per la gioia di stare per raggiungere questa vita migliore, quindi non in saluto della vecchia vita che se ne va, ma di una presunta nuova che viene.


E naturalmente anche Socrate da questa bizzarra e anti-tradizionale interpretazione di un fatto naturale, ne trae un ulteriore motivo per non temere il suo imminente martirio-morte, perché quello che vale per i cigni, ovvero la prospettiva della vita ultraterrena, vale anche per gli uomini.


E così il duro realismo e la tragicità intrinseca del primo modo di interpretare il canto e i suoi motivi, si perde nel razionale quanto indimostrabile ottimismo del secondo.
Ciao niko, ma poi cos'è che ti dice che la certezza di una vita oltre la vita ti fa desiderare la morte. Tutto dipende dalla bellezza della vita che ti aspetti di trovare rispetto a quella che vivi.


Certo siamo nell'ambito di concezioni ottimistiche che credono che, quantomeno per il giusto, ci sarà una vita migliore, appunto "passare a miglior vita" , che non può essere anticipato col suicidio perché  il giusto per definizione  affronta le prove e le difficoltà della vita e non si sottrae, almeno non senza un ottimo motivo per sottrarsi..
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Eutidemo

Le più ragionevoli considerazioni sul suicidio, secondo me, le ha fatte Seneca, quando ha scritto (a Lucilio), quanto segue:
"È bene disdegnare la vecchiaia avanzata e non aspettare la morte, ma darsela con le proprie mani?
Ecco il mio parere.
Se uno attende inerte il proprio destino, non è dissimile da chi lo teme; come è un ubriacone chi vuota la bottiglia e beve anche la feccia.
Dovremo, però chiederci se l'ultima parte della vita è feccia o piuttosto bevanda limpidissima e purissima, sempre che la mente sia sana e i sensi integri aiutino l'anima, e il corpo non sia in declino e morto prima del tempo; importa molto, cioè, se prolunghiamo la vita o la morte.
Ed infatti, se il corpo non assolve più le sue funzioni, non è meglio liberare l'anima dalle sue sofferenze?
Anzi, forse bisogna agire un po' prima del dovuto perché, arrivato il momento, non ci si trovi nell'impossibilità di poterlo fare (come accadde al mio amico Paolo, paralizzato dalla SLA); ed infatti, secondo me, il pericolo di vivere male è molto peggiore del pericolo morire presto.
Quindi, se uno non scongiura il rischio di una grande disgrazia solo per guadagnare un po' di tempo, a mio parere è un pazzo!
Pochi uomini sono morti vecchissimi senza subire danno; molti hanno condotto un'esistenza passiva e inutile: aver perduto una parte della vita ti sembra tanto più crudele che perdere il diritto di mettervi fine?
Non ascoltarmi contro voglia, come se il mio parere ormai ti riguardasse direttamente e pondera bene quello che ti dico: io non abbandonerò la vecchiaia, se mi conserverà integro, ma integro nella parte migliore di me, se, però comincerà a turbare e a sconvolgermi la mente, se non mi lascerà la vita, ma solo il soffio vitale, mi precipiterò fuori dall'edificio marcio e in rovina.
Non fuggirò la malattia con la morte, purché non sia una malattia inguaribile e non danneggi l'anima.
Non mi darò la morte per paura del dolore: morire così significa darsi per vinto. Tuttavia, se saprò di dover soffrire per tutta la vita, me ne andrò non per il dolore in se stesso, ma perché mi sarebbe di ostacolo a tutte quelle attività che sono lo scopo dell'esistenza.
E' debole e vile chi si dà la morte per paura del dolore, ma è insensato chi vive soltanto per soffrire.
Ma la sto tirando troppo alla lunga; ho ancora argomenti che potrebbero occupare un giorno intero: e come potrà mettere fine alla sua vita un uomo incapace di finire una lettera?
Perciò addio: leggerai più volentieri questo commiato, che tutti i miei ragionamenti sulla morte.
Stammi bene."
***
Considero come se tale lettera fosse stata scritta a me, invece che a Lucilio; e mi riservo, per quanto mi sarà possibile, di seguirne puntualmente i suggerimenti.
Che condivido in pieno!
;)
***

Ipazia

Questa lettera appartiene al meglio della tradizione classica, da Epicuro alla Stoa. E risuona di una attualità cristallina a duemila anni di distanza.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

daniele22

E' già da molto tempo che mi chiedo se avrei mai il coraggio di suicidarmi. Tale momento per ora non è ancor giunto. In ogni caso sono propenso a pensare che l'ipotesi del mio suicidio dovrebbe configurarsi nello specifico ambito delle decisioni da prendere in funzione della mia salute fisica. Mi riferisco nella fattispecie alle considerazioni di Junger nel suo "der waldgang" (trattato del ribelle) quando dice che è senz'altro giusto curarsi, ma che a un certo punto una persona dovrebbe pure mettere da parte la mondanità e dedicarsi ad altre attenzioni

Kobayashi


In questo Topic più che di suicidio finora si è parlato di eutanasia e martirio...
Per questo tema, come non mai, vale la regola che si può conoscere solo ciò che si ama.
Dunque è richiesta una certa affinità per le tenebre.
Come preparazione ad essa il consiglio è dimenticare gli antichi e lasciarsi sprofondare nei labirinti di Van Gogh, A. Artaud, Sylvia Plath, Sarah Kane, Edgar Allan Poe, Lovencraft, Strindberg...

daniele22

Citazione di: Kobayashi il 04 Giugno 2021, 10:54:22 AM

In questo Topic più che di suicidio finora si è parlato di eutanasia e martirio...
Per questo tema, come non mai, vale la regola che si può conoscere solo ciò che si ama.
Dunque è richiesta una certa affinità per le tenebre.
Come preparazione ad essa il consiglio è dimenticare gli antichi e lasciarsi sprofondare nei labirinti di Van Gogh, A. Artaud, Sylvia Plath, Sarah Kane, Edgar Allan Poe, Lovencraft, Strindberg...


Non sono proprio d'accordo con te. Chiaro che io ho parlato del mio suicidio potenziale anche conformemente alle mie paure. Mica posso sapere per quale motivo si suicidano gli altri, anche se a volte azzardo delle ipotesi. Il nome che usi è quello di un pilota di formula 1 e anche il nome di un poeta. E' cmq un nome orientale. Per quel poco che so dell'oriente estremo non mi sembra possibile che essi conoscano solo ciò che amano. Resto infatti del parere che si conosce solo ciò che si fa

Kobayashi

Daniele22, "Kobayashi" è un cognome abbastanza comune in Giappone. L'ho adottato molto prima che iniziassi a frequentare questo forum. Non vuole essere in alcun modo il segno di una mia "specializzazione" sull'Oriente.


C'è un brano nell'ultima opera di Sarah Kane, scritta poco prima di uccidersi, in cui racconta come una mattina, bevendo caffè nero amaro e fumando una sigaretta, riconosce all'improvviso, in una nuvola di vecchio tabacco quell'odore di medicinale dell'ospedale psichiatrico in cui era stata ricoverata, e così, dice, una ferita si riapre e da essa sgorga un dolore oscuro, ripugnante, un dolore pieno di vergogna.

È questo tipo di fragilità che mi sembra avere attinenza con il suicidio.

Phil

Credo che, per quanto sia inopportuno generalizzare su qualcosa di radicalmente individuale (forse non c'è gesto più estremamente personale del suicidio, darsi la morte, considerando che il darsi la vita non è possibile), la scena raccontata chiami in causa quelli che sono in generale i principali moventi del suicidio: quello psichiatrico (con differenti declinazioni), quello del dolore (anche qui le possibilità sono molteplici) e quello della non accettazione (il "sentirsi pieni di vergogna" o semplicemente il non accettare più la vita).
Sulla questione della fragilità, sempre restando sul generale, lo scenario è forse più ambiguo: può il togliersi consapevolmente la vita essere un gesto dettato direttamente dalla fragilità? Quanta forza d'animo, imprescindibile per il suicidio, scaturisce dalla fragilità che rende insopportabile la vita? Se l'esser fragili porta a soccombere, a l'esser schiacciati (che non è lo schiacciarsi volontario), quanta risolutezza e quanta (ultima prova di) forza sono richieste per sottrarsi a ciò che schiaccia, rendendosi "inschiacciabili" in quanto definitivamente fuori dalla dinamiche oppositive e dai rapporti di forza? La fragilità stessa della vita individuale, non richiede un'estrema forza per essere violata dal suo stesso possessore, andando contro ogni istinto, ogni norma morale e ogni scelta di autoconservazione compiuta fino a quel momento?

Eutidemo

Citazione di: Kobayashi il 05 Giugno 2021, 17:10:16 PM
Daniele22, "Kobayashi" è un cognome abbastanza comune in Giappone. L'ho adottato molto prima che iniziassi a frequentare questo forum. Non vuole essere in alcun modo il segno di una mia "specializzazione" sull'Oriente.


C'è un brano nell'ultima opera di Sarah Kane, scritta poco prima di uccidersi, in cui racconta come una mattina, bevendo caffè nero amaro e fumando una sigaretta, riconosce all'improvviso, in una nuvola di vecchio tabacco quell'odore di medicinale dell'ospedale psichiatrico in cui era stata ricoverata, e così, dice, una ferita si riapre e da essa sgorga un dolore oscuro, ripugnante, un dolore pieno di vergogna.

È questo tipo di fragilità che mi sembra avere attinenza con il suicidio.
Il tuo cognome "Kobayashi" mi ricorda molto il cognome "Kuribayashi" (栗林忠道), che era quello del valoroso comandante giapponese Tadamichi Kuribayashi; il quale morì suicida, compiendo "seppuku", il 26 marzo 1945, quando il suo posto di comando,  sull'isola di Iwo Jima, era ormai prossimo a cadere nelle mani dei marines.

daniele22

Citazione di: Kobayashi il 05 Giugno 2021, 17:10:16 PM
Daniele22, "Kobayashi" è un cognome abbastanza comune in Giappone. L'ho adottato molto prima che iniziassi a frequentare questo forum. Non vuole essere in alcun modo il segno di una mia "specializzazione" sull'Oriente.


C'è un brano nell'ultima opera di Sarah Kane, scritta poco prima di uccidersi, in cui racconta come una mattina, bevendo caffè nero amaro e fumando una sigaretta, riconosce all'improvviso, in una nuvola di vecchio tabacco quell'odore di medicinale dell'ospedale psichiatrico in cui era stata ricoverata, e così, dice, una ferita si riapre e da essa sgorga un dolore oscuro, ripugnante, un dolore pieno di vergogna.

È questo tipo di fragilità che mi sembra avere attinenza con il suicidio.


Ciao Kobayaschi, mi sono pronunciato sul mio ipotetico suicidio solo perché ritengo ozioso pronunciarmi oltre. Però ora mi pronuncio. Nel momento in cui mi rendo conto che una persona potrebbe anche suicidarsi per ammazzare spiritualmente un'altra persona, ritengo di non dover o voler commentare i suicidi delle persone

Donalduck

Citazione di: Socrate78 il 18 Maggio 2021, 20:49:43 PM
Voi personalmente come ritenete l'atto del suicidio, come vi ponete nella sua valutazione etica? Lo ritenete sempre o quasi condannabile, come un atto vigliacco e cattivo, oppure ritenete che vi siano casi di suicidio non condannabili?
Trovo abbastanza stupefacente che sia dato per scontato, in questa domanda, che il suicidio sia comunque in molti casi da condannare. Sembra che la nostra eredità cattolica, che personalmente considero deleteria, continui ad esercitare pesantemente la sua influenza.

Se anziché delegare a ideologie i nostri pensieri ci limitiamo a riflettere, senza bisogno di spremerci troppo il cervello, credo che il semplice buonsenso ci possa suggerire che il suicidio sia da considerare un atto di vigliaccheria e irresponsabilità solo nei casi in cui la propria morte causi danni o sofferenze gravi a persone nei confronti delle quali abbiamo assunto legami e impegni, ma naturalmente si può valutare solo caso per caso, senza mai cadere nella tentazione di creare regole generali. In tutti gli altri casi mi sembra evidente (ma a quanto pare per molti non lo è) che nessuno ha da metter becco nel diritto di una persona di disporre della propria vita come meglio crede.

anthonyi

Citazione di: Donalduck il 07 Giugno 2021, 11:09:24 AM
In tutti gli altri casi mi sembra evidente (ma a quanto pare per molti non lo è) che nessuno ha da metter becco nel diritto di una persona di disporre della propria vita come meglio crede.
Anche questa è una posizione ideologica, Donald, in una società la vita di ciascuno non è indifferente per gli altri componenti della società e cercare di evitare che una persona faccia del male a se stessa fa parte dei meccanismi che caratterizzano l'azione pubblica. La morte è un fatto irreversibile per cui, quanto meno, una persona che voglia autoprodursela, va invitato a rifletterci molto bene.

Donalduck

Citazione di: anthonyi il 07 Giugno 2021, 12:06:12 PM
Citazione di: Donalduck il 07 Giugno 2021, 11:09:24 AM
In tutti gli altri casi mi sembra evidente (ma a quanto pare per molti non lo è) che nessuno ha da metter becco nel diritto di una persona di disporre della propria vita come meglio crede.
Anche questa è una posizione ideologica, Donald, in una società la vita di ciascuno non è indifferente per gli altri componenti della società e cercare di evitare che una persona faccia del male a se stessa fa parte dei meccanismi che caratterizzano l'azione pubblica. La morte è un fatto irreversibile per cui, quanto meno, una persona che voglia autoprodursela, va invitato a rifletterci molto bene.
Una posizione è ideologica quando è determinata o fortemente condizionata dall'adesione a un'esplicita e condivisa ideologia, ossia a un insieme di principi, idee e regole codificata e più o meno universalmente nota. Se invece una posizione deriva principalmente dal proprio modo di vedere e  sentire e da una propria autonoma elaborazione non è ideologica. Altrimenti qualunque posizione sarebbe ideologica, per il solo fatto di derivare da qualche idea.
In ogni caso, a scanso di qualunque equivoco, è questo il modo in cui uso il termine ideologico: convinzioni che non sono frutto di elaborazione mentale propria e di una propria autentica sensibilità, ma sono prese e subite da ideologie che circolano nel proprio ambiente e che magari vengono insistentemente proposte o nei casi peggiori inculcate a forza.

Sulla tua ultima osservazione: una cosa è invitare a riflettere, ben altro è condannare o biasimare.

anthonyi

Citazione di: Donalduck il 07 Giugno 2021, 13:10:22 PM
Citazione di: anthonyi il 07 Giugno 2021, 12:06:12 PM
Citazione di: Donalduck il 07 Giugno 2021, 11:09:24 AM
In tutti gli altri casi mi sembra evidente (ma a quanto pare per molti non lo è) che nessuno ha da metter becco nel diritto di una persona di disporre della propria vita come meglio crede.
Anche questa è una posizione ideologica, Donald, in una società la vita di ciascuno non è indifferente per gli altri componenti della società e cercare di evitare che una persona faccia del male a se stessa fa parte dei meccanismi che caratterizzano l'azione pubblica. La morte è un fatto irreversibile per cui, quanto meno, una persona che voglia autoprodursela, va invitato a rifletterci molto bene.
Una posizione è ideologica quando è determinata o fortemente condizionata dall'adesione a un'esplicita e condivisa ideologia, ossia a un insieme di principi, idee e regole codificata e più o meno universalmente nota. Se invece una posizione deriva principalmente dal proprio modo di vedere e  sentire e da una propria autonoma elaborazione non è ideologica. Altrimenti qualunque posizione sarebbe ideologica, per il solo fatto di derivare da qualche idea.
In ogni caso, a scanso di qualunque equivoco, è questo il modo in cui uso il termine ideologico: convinzioni che non sono frutto di elaborazione mentale propria e di una propria autentica sensibilità, ma sono prese e subite da ideologie che circolano nel proprio ambiente e che magari vengono insistentemente proposte o nei casi peggiori inculcate a forza.

Sulla tua ultima osservazione: una cosa è invitare a riflettere, ben altro è condannare o biasimare.
Infatti, Donald, io non ho contestato la tua argomentazione critica.
La parte che ho ripreso la considero ideologica perché fondata su una visione individualistica della società, una visione che oltre ad essere estrema è anche errata perché gli uomini sono esseri sociali.

Donalduck

Citazione di: anthonyi il 07 Giugno 2021, 13:47:49 PM
Infatti, Donald, io non ho contestato la tua argomentazione critica.
La parte che ho ripreso la considero ideologica perché fondata su una visione individualistica della società, una visione che oltre ad essere estrema è anche errata perché gli uomini sono esseri sociali.
Estrema, non vedo proprio perché, e tu non accenni neppure a spiegarlo.
Fondata su una visione individualistica della società, neppure. Fondata su semplice, elementare buonsenso, che sa distinguere i confini tra ciò che è dominio dell'individuo e ciò che è competenza della società. Società che, nella mia concezione, prevedrebbe anche forti limitazioni alla proprietà privata e ad ogni accentramento e accumulo di potere individuale o oligarchico. Niente a che fare con quello che generalmente viene chiamato individualismo.

Casomai sarebbe estrema, caratteristica dei regimi dittatoriali e liberticidi, una concezioni in cui la società si arroga il diritto di condizionare e prevaricare anche le decisioni di un individuo sulla sua sfera più personale e intima, e non solo quelle sul rapporto con gli altri, insomma in cui l'ndividuo è ridotto a semplice componente della società, la cui volontà non conta nulla ma deve essere sempre subordinata a quella della collettività, ossia in concreto a quella di chi detiene il potere.
Le religioni, che nella loro essenza altro non sono che ideologie di appoggio a regimi totalitari e schiavisti, portano questa espropriazione del dominio individuale fino alle estreme conseguenze: la tua vita non ti appartiene affatto, ma appartiene a Dio (in concreto a chi detiene il potere e si autoproclama portavoce di Dio) e tu non hai alcun diritto di disporne; e se trasgredisci, sarai sottoposto alle più terribili punizioni.
Solo questo tipo di ideologie, a mio parere abominevoli, possono concepire una condanna del suicidio, tanto più se a priori, senza considerare attentamente ogni singola specifica situazione.

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