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Quanto importa?

Aperto da Aumkaara, 21 Ottobre 2020, 12:28:41 PM

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Dante il Pedante

#15
Naturalmente assoluto e relativco sono categorie del linguaggio, al quale sono costretto anch'io di conformarmi per discutere con voi.Allora  si potrebbe anche parlare di Presenza, cioè di un evento, come la R.  che irrompe nella dualità. Non so se così è più comprensibile.Importa la R.? Se è questo il disegno evidentemente sì, anche perché, rispondendo a Kephas, Dio è sì Spirito Supremamente Perfetto e Puro, ma questo è un aspetto della trinità, l'altro è anche quello che Dio è anche carne (il Figlio) e azione nel divenire (lo S.Santo).Nel C. il destino dell'anima non è quello di diventare perfetta e pura,che è un attributo che spetta al Padre (e anche qui perfetto epuro sono solo categorie del linguaggio umano), ma di essere di nuovo "figlia", così da partecipare con il Figlio alla relazione d'amore con il Padre. :)
Padrone dacci fame, abbiamo troppo da mangiare.La sazietà non ci basta più. Il paradosso di chi non ha più fame,ma non vuol rinunciare al piacere di mangiare.(E. In Via Di Gioia)

Aumkaara

Kephas: chissà... a cosa potrebbe servire un corpo? Nel messaggio di apertura, nella parte finale, avevo scritto:
"A meno che non si stabilisca in qualche modo che ci voglia un corpo simile al nostro anche per tendere all'assolutezza di Dio."
Sì può infatti davvero trovare il "puro spirito", oppure si può solo tendere ad esso? Se lo spirito viene visto come una forma più sottile del corpo che abbiamo ora, allora esso sarebbe solo un corpo meno denso, meno opaco. Sarebbe più libero e meno limitato da alcuni vincoli particolarmente grossolani, ma sarebbe ancora un qualcosa di definibile. In fondo, potrebbe essere identificabile con il corpo risorto, né troppo materiale né completamente privo di qualificazioni, oppure può essere identificato con uno dei vari corpi sottili delle scienze occulte o delle tradizioni orientali.
Uno spirito veramente puro, invece, è un assoluto, è talmente privo di contaminazioni da essere incondizionato. Non lo si potrebbe toccare, raggiungere, non potremmo rapportarci ad esso, o perderebbe la sua purezza.
Si potrebbe voler aggirare il problema dicendo che possiamo raggiungerlo solo purificandoci noi stessi, ma se fosse possibile vorrebbe dire che a quel punto non ci sarebbe più bisogno di raggiungerlo, perché lo saremmo noi stessi, puri; anzi, scopriremmo che lo siamo sempre stati: l'acqua è impura solo nel senso che è mescolata con altro, non nel senso che non è acqua quando non è pura.
Il problema è che qualcosa di completamente purificato può solo fare una cosa: sporcarsi di nuovo.
Un corpo (magari più "sottile" di quello attuale, da intendere anche solo come minore attaccamento al corpo rispetto all'attaccamento attuale) potrebbe essere quindi sempre necessario per mantenere un certo grado di tensione verso l'Assoluto, verso il puro spirito, senza mai purificarsi del tutto: altrimenti saresti talmente perfetto da perdere anche quei pochi riferimenti (quel poco di "contaminazione", quel poco di attaccamento) che ti ricorda di non sporcarti troppo, e non avendo in questo modo niente che possa impedirti di riprendere un corpo (come direbbero i teorici della reincarnazione), di tornare alle condizioni precedenti che hanno permesso la Caduta nel peccato (come direbbe certa teologia), di tornare ad attaccarti eccessivamente al corpo non avendo trovato niente oltre di esso (come direbbero i materialisti che vedono il corpo-mente come un tutt'uno) o comunque non trovando altro che corpi, anche se più sottili (come direbbero alcuni ricercatori esoterici).
Andando fino oltre la cima, puoi solo cadere. Staccandoti troppo da terra e vagando nello spazio dimenticandoti di cosa è la materia, vieni prima o poi attirato da qualche altro corpo celeste. Cercando troppo lo spirito, la corporalità ti reclama.
Un po' di corpo per fare equilibrio ci vuole.


Dante: pensa che molti direbbero che sono stato fin troppo spirituale! 😉 (Ma sarebbe meglio dire troppo religioso.) Visto che ho parlato (anche se usandoli come simboli) di angeli, diavolo, Dio, amore, ecc.
Comunque, mi permetto una precisazione che considero importante: sono stato molto intellettuale (sarebbe meglio dire cerebrale, lasciando il termine "intellettuale" agli studiosi di professione) invece che sentimentale, e non intellettuale invece che spirituale.
Non credo infatti che la spiritualità sia l'opposto dell'intellettualità, semmai sono i sentimenti ad essere l'opposto dell'intellettualità (o, per meglio dire, sono complementari, più che opposti).
La spiritualità, quando non viene identificata con la religione o la teologia (al massimo può essere identificata con certa filosofia "pratica", non solo teoretica), non ha contrari, ma usa qualunque strumento, intellettuale, sentimentale, fisico, ecc.
Comunque tu avevi ben chiarito la posizione della teologia della Resurrezione, sono io che ho tentato di portare un passo oltre la formulazione religiosa e oltre l'attesa salvifica della fede.

anthonyi

Citazione di: Aumkaara il 22 Ottobre 2020, 17:57:42 PM



Comunque, mi permetto una precisazione che considero importante: sono stato molto intellettuale (sarebbe meglio dire cerebrale, lasciando il termine "intellettuale" agli studiosi di professione) invece che sentimentale, e non intellettuale invece che spirituale.
Non credo infatti che la spiritualità sia l'opposto dell'intellettualità, semmai sono i sentimenti ad essere l'opposto dell'intellettualità (o, per meglio dire, sono complementari, più che opposti).
La spiritualità, quando non viene identificata con la religione o la teologia (al massimo può essere identificata con certa filosofia "pratica", non solo teoretica), non ha contrari, ma usa qualunque strumento, intellettuale, sentimentale, fisico, ecc.


Ciao Aumkaara, io non direi che la spiritualità non ha contrari, il contrario della spiritualità è il materialismo, e per conseguenza possiamo dire che la spiritualità è parte delle visioni ideali. Poi certo si possono utilizzare strumenti alternativi, ma poi neanche tanto alternativi, come l'emotività e l'intelletto. Per quanto riguarda il fisico, cioè il corpo della persona, non dobbiamo dimenticare che la ricerca spirituale è spesso fatta di azioni che cercano di annichilire il corpo, allontanando la coscienza da esso. C'è chi dice che l'estrema elevazione spirituale si realizza quando la coscienza si separa dal corpo.

Dante il Pedante

#18
Sono Dante  :)
Secondo me l'attesa salvifica è centrale nella spiritualità cristiana. Se togli la salvezza quale sarebbe lo scopo di credere in Dio? Sentirsi meglio, a tratti, durante la vita? Sentire l'"energia" divina? Stare come sulle montagne russe, così un giorno sentirsi amati da Dio e l'altro sprofondare nella più cupa disperazione? Evitare di prendere le benzodiazepine?Raggiungere una serenità interiore che crolla miseremante al primo invasato che ti martella col clacson perché ha fretta e non  scatti come Hamilton al semaforo? Credersi affrancati dai sensi e poi, al primo passarti davanti di una bella gnocca, crolla tutto? La spiritualità senza salvezza è come un piatto senza sale. Il rischio è quello di finire sempre nel credere alle proprie sensazioni o alle proprie riflessioni, più o meno argute.
Antony: penso che, mentre può esistere un corpo senza coscienza, come vediamo in miliardi di persone, non può esistere una coscienza senza un "supporto" che, nalla Parusia cristiana, viene visto come corpo del risorto, in cui coscienza e materia formano un tutt'uno.La coscienza del Padre non può essere  paragonata alla coscienza presente nelle creature che sono solo a sua "somiglianza".Noi non diventeremo mai Dio, o Brahman come dicono gli indiani.C'è l'abisso del terrore nel mezzo.
Sono d'accordo che il materialismo si oppone drasticamente alla spiritualità e non l'accetta, anche se a volte fa finta di sì per convenienza.Di solito si rivolgono allo zen  ;D In effetti sono due visioni del mondo agli antipodi
Padrone dacci fame, abbiamo troppo da mangiare.La sazietà non ci basta più. Il paradosso di chi non ha più fame,ma non vuol rinunciare al piacere di mangiare.(E. In Via Di Gioia)

Aumkaara

#19
Anthoniy: se per spiritualità intendiamo l'atto di elevarsi, di trascendersi, allora è il contrario della materialità (di cui il materialismo è solo una esagerazione). Ma deve comunque usarla, perché per prendere il balzo ha bisogno di un sostegno. Anche per le ascesi più passive, che invece attendono di essere presi dall'alto, c'è bisogno di fare opportune preparazioni nella materia, e se anche non fosse così perché ti affidi totalmente, bisogna ricordare che una volta arrivati in alto puoi solo guardare in basso, per lo meno se sei davvero al vertice (se l'estremo alto avesse un piano orizzontale come il basso, sarebbe un semplice omologo più rarefatto del basso, sarebbe un paradiso del bengodi, come diceva un mio amico, ovvero solo uno dei tanti punti intermedi con l'aria più pura rispetto alla valle ma in cui ci sono ancora bisogni e necessità e minor materia con cui saziarli; non sarebbe ancora lo spirito nella sua assoluta purezza).
Per coloro che sono più attivi c'è l'alternativa della salita personale: prendi solo l'essenziale e inizi la scalata. Tanti auguri. Finirai le scorte ben prima dell'arrivo, in punti dove c'è meno materia a cui attingere per i tuoi bisogni (ne hai ancora, non sei ancora in cima). Ma intanto ti sei abituato ad avere meno bisogni, l'ascesa ti ha fatto dimagrire, ti ha rafforzato e ha migliorato il metabolismo. Ce la puoi fare. Ma è davvero per i duri. E arrivato in cima, anche tu non avrai altro da fare che guardare in basso.
Se invece, come cercavo di dire io, per spiritualità si intende un semplice ed equilibrato processo di chiarificazione, lì dove si è, anche a valle, allora la materialità non solo non è il contrario di questo tipo di spiritualità, ma ne è il presupposto. È solo a valle, nelle impurità, che si accende (e soprattutto si mantiene!!!) il fuoco che purifica. È in basso che c'è tutto il necessario (tanto ossigeno, tanto combustibile, ecc.). Non c'è bisogno di abbandonare niente, né passivamente né attivamente, visto che a valle di materiale ne hai quanto vuoi. Che poi questa chiarificazione ti faccia ascendere automaticamente visto che prima o poi il fuoco attecchisce anche te e ti brucia le scorie rendendoti leggero come una mongolfiera, sarà inevitabile.
È una via pericolosa quindi, ti bruci inevitabilmente, ma se sai resistere (aiutato ad un certo punto da una certa insensibiltà per le tante cicatrici e soprattutto per l'esperienza accumulata) puoi imparare a dosare il fuoco, a tenerlo sempre acceso, a sfruttarlo per salite e discese controllate. L'alto a quel punto non è più importante del basso: è solo più tranquillo e ispiratore, ma privo del materiale che ti permette di fare i tuoi spostamenti controllati. Giù devi tornarci proprio per questo, per rifornirti. Per sporcarti di nuovo e purificarti di nuovo, come prima: ma lo farai in modo controllato, ormai manovri nell'aria, e ormai sai come purificarti. Anche gli altri devono scendere, ma per caduta, anche se ogni volta avranno imparato qualcosa per la prossima salita (cadranno perché se vuoi raggiungere la VERA cima dove non hai più bisogno della materialità, non resterai in equilibrio a lungo sulla punta, se non hai i mezzi per restare in volo). Con questa via invece si impara un equilibrio CON gli estremi, più che tra gli estremi. .
È la via dei filosofi operativi e non teorici, ed è anche la via di un certo esoterismo ben poco occultista (ho appunto fatto una descrizione che potrebbe piacere agli alchimisti non spagiristici, anche se non era intenzionale). Con essa si comprende che lo spirito "è in terra, in cielo, in ogni luogo", perché è lo spazio in cui c'è sia l'alto che il basso. È lo spazio puro, quello vero, sia interiore che esteriore (e quest'ultimo non è la "sostanza" che, anche se non fosse l'etere ottocentesco, è ciò a cui la scienza inconsapevolmente si riferisce quando dice che è defomabile, granulare, ecc.).
L'alto invece non è lo spirito vero, è solo un'altra coordinata materiale, anche se arriva ad altezze talmente rarefatte da ingannare.
PS: gli esempi stessi che ho usato possono sembrare materialistici, ma è per il principio del "così in alto così in basso" (non a caso simile a quello religioso sopra citato, "è in cielo, in terra..."). Sia nel senso appena detto, ovvero che l'alto e il basso sono omologhi, e sia nel senso che anche nella spiritualità (di qualunque tipo) c'è sempre in qualche modo un collegamento con la materialità.


Dante: esatto, sta lì la salvezza, negli alti e bassi. Ovviamente non nel modo in cui li viviamo adesso, ma nel saperli in parte sopportare (ma pian piano ce ne sarà poco bisogno), in parte nel saperli sfruttare per stare in equilibrio (grazie al quale puoi anche muoverti), e in parte imparando ad amare più il fatto che sono entrambi inevitabili perché non dissimili, più che amare il fatto che uno è più piacevole dell'altro (l'amore è superiore al piacere, come direbbe un religioso). Non vuol dire forzarsi ad amare il dolore, evitarlo va bene, anche se non è la soluzione (torna sempre, come appunto dici). La soluzione è saper giocare. È pericoloso come giocare con il fuoco (torniamo all'esempio appena fatto ad Anthoniy), ma pian piano viene naturale, non c'è da preoccuparsi.
E il gioco è più rilassante, piacevole e salvifico di qualunque altra cosa. Nel frattempo possiamo tendere verso "salvezze" che fuggono dal dolore (anche verso Dio, il paradiso e la resurrezione, sì). Danno momenti di riposo, e aiutano nel suddetto processo di abitudine sempre più giocosa.


PS generale: prevengo una possibile e comprensibile obiezione: "voler giocare con il fuoco è stupido. Fallo te, che io mi affido a ben altro".
Ma tutte le tradizioni, religiose, mistiche, sapienziali, ecc. parlano del fuoco (persino la scienza è ben descrivibile dal mito di Prometeo, con il suo fuoco-conoscenza, anche se forse il mito parlava di un po' tutte le forme di conoscenza, e comunque la pericolosità anche della scienza direi che è evidente).
Non è un'immagine che ho particolarmente a cuore (non sto quindi facendo emergere un mio lato piromane). Però è così che le tradizioni parlano: Dio stesso è descritto come un fuoco che consuma, e ogni cristiano che si rispetti deve infiammarsi del fuoco di Dio, se non vuole bruciare sempre furiosamente in quello dell'inferno o per tanto tempo a fuoco lento in quello del purgatorio (destini inevitabili, secondo la narrazione cattolica, per tutti gli apostati, e per i forse ancor più numerosi tiepidi cristiani di nome ma non di fatto presenti nella maggior parte del popolo).

niko

Riflettere sulla resurrezione della carne, è un po' chiedersi come ci vestiremmo se Dio ci invitasse alla sua festa.

Formale? Elegante? Casual? Sexy?

Il corpo non è un vestito, è un armadio pieno di vestiti.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Aumkaara

Citazione di: niko il 23 Ottobre 2020, 13:41:36 PM
Riflettere sulla resurrezione della carne, è un po' chiedersi come ci vestiremmo se Dio ci invitasse alla sua festa.

Formale? Elegante? Casual? Sexy?

Il corpo non è un vestito, è un armadio pieno di vestiti.
In India ti parafraserebbero dicendo "tutti i corpi, sia quello di un individuo (sia quelli fisici attraverso le reincarnazioni, sia quelli più sottili attraverso le trasmigrazioni), e sia quelli di tutti gli esseri, sono solo vestiti di un unico corpo-armadio che è la sostanza universale, la prakriti, scelti dal purusha-spirito.
Ma forse intendevi solo riferirti al fatto che come alternative abbiamo solo i vari modi in cui il corpo può presentarsi e comportarsi, senza che ci siano alternative all'avere un corpo (nel caso, concordo anche con questo, anche se non solo nel senso eventualmente più materialistico).

Dante il Pedante

Sono Dante  :) Sono così ignorante che devo pregare prima di scrivere qualcosa. :( Pensando alla Vigna della famosa parabola mi viene così da dire che,per il cristiano,non è importante il benessere in questa vita,ma quello viene in sovrappiù dice Gesù.L'importante per il cristiano è essere veramente un BUON lavoratore della Vigna del suo Signore. Anche se arriva verso sera e poco può ancora dare prima del tramonto, ecco che s'impegna  afare del suo meglio con amore per la Vigna. E così partecipa al Canto che si leva tra i lavoratori.Alcuni sono giunti al mattino e sono molto stanchi,altri al pomeriggio ,ma tutti s'impegnano nella vendemmia, amando la Vigna e la Vigna, che richiede sforzo e fatica e il sole che scotta sulle spalle,ti ripaga con la sua bellezza e dolcezza,la dolcezza della sua uva matura.E così,nella semplicità,condividi con gli altri lavoratori la fatica di vivere,ma anche la gioia perché arriva la sera e allora il Padrone della Vigna chiama a sè tutti i lavoratori e a ognuno dà la su apaga.E tutti ricevono il giusto per il loro lavoro.
Padrone dacci fame, abbiamo troppo da mangiare.La sazietà non ci basta più. Il paradosso di chi non ha più fame,ma non vuol rinunciare al piacere di mangiare.(E. In Via Di Gioia)

niko

Citazione di: Aumkaara il 23 Ottobre 2020, 14:24:19 PM
Citazione di: niko il 23 Ottobre 2020, 13:41:36 PM
Riflettere sulla resurrezione della carne, è un po' chiedersi come ci vestiremmo se Dio ci invitasse alla sua festa.

Formale? Elegante? Casual? Sexy?

Il corpo non è un vestito, è un armadio pieno di vestiti.
In India ti parafraserebbero dicendo "tutti i corpi, sia quello di un individuo (sia quelli fisici attraverso le reincarnazioni, sia quelli più sottili attraverso le trasmigrazioni), e sia quelli di tutti gli esseri, sono solo vestiti di un unico corpo-armadio che è la sostanza universale, la prakriti, scelti dal purusha-spirito.
Ma forse intendevi solo riferirti al fatto che come alternative abbiamo solo i vari modi in cui il corpo può presentarsi e comportarsi, senza che ci siano alternative all'avere un corpo (nel caso, concordo anche con questo, anche se non solo nel senso eventualmente più materialistico).



Sì la mia era una considerazione sugli individui umani su cui penso si possa concordare anche se non si crede alla reincarnazione, trasmigrazione eccetera, il nostro corpo non rimane uguale nella vita, è in mille modi diversi, ora embrione, ora fanciullo, ora vecchio, ma anche si mangia, si va in bagno, si suda, ci si riproduce eccetera, quindi la materia grezzamente compositiva del corpo a livello di cellule e materia fisica cambia velocissimamente proprio in senso di ricambio organico, e solo la continuità di forma e attività permette di continuare a identificare un corpo nel tempo come lo stesso corpo.


Quindi in conclusione, il fatto di "non sapere quale vestito mettersi" voleva dire che c'è chi si immagina reincarnato bambino, chi vecchio, chi giovane, chi nel pieno delle forze: la provocazione intellettuale del provare a pensare ad un evento miracoloso e un intervento divino che dopo la morte ad ogni anima "faccia riprendere il corrispettivo corpo" è che questo evento non è solo miracoloso, è proprio incoerente e impossibile, se si pensa a come "un corpo", anche solo a livello di realtà empirica e terrena, non è una realtà univoca e facilmente identificabile, ma è sottoposto continuamente e spietatamente al divenire, e dal grumo di cellule col cui aspetto cui nasce, diviene il cadavere col cui aspetto muore. I vestiti della mia metafora sono i singoli attimi e i singoli stati che attraversa un corpo, ognuno di noi ha attimi della sua vita che considera più felici, o anche solo più profondi e rappresentativi della vita nel suo complesso, di altri, momenti di esultanza psicofisica e comprensione superiori alla sua media o al suo solito o momenti che pensa, a torto o a ragione, lo rappresentino come essere unico più di altri, e penso che "il desiderio di reincarnarsi" a livello psicologico e archetipico esprima molto di più di un generico desiderio di immortalità o di vita oltre la vita, esprime proprio il desiderio di riprendere la forma migliore o più significativa degli infiniti attimi e delle infinite forme in cui si disgrega il concetto inafferrabile di corpo, il desiderio di cristallizzare e fermare nel tempo un attimo di cui abbiamo più ricordo piacevole o più nostalgie dire "quello sono io" di modo che, nella verità resa miracolosamente tale di questa affermazione (di per sé ovviamente falsa, davanti alla verità molto piò cogente del divenire e del disgregarsi del corpo), tutti gli attimi di tutta la vita confluiscano nell'attimo prescelto, quindi tra l'infinità dei vestiti, scegliere un vestito con cui presentarsi davanti a Dio, cioè un vestito che lo sguardo di Dio possa eternizzare.


Nei momenti di vera felicità , il corpo esulta, o è comunque in un qualche stato di quiete profonda e trascendimento della sofferenza, per questo questi momenti sono facilmente distinguibili da quelli di fredda soddisfazione, di gratificazione dell'ego, di rassegnata soddisfazione intellettuale o morale, di senso di superiorità. Non puoi trovare nessuna verità spirituale che non sia psicosomatica, che non sia anche fisica, quindi il tuo vestito migliore, è anche il tuo massimo grado di perfezione raggiunto. Non tutti sanno quale sia, e non tutti hanno accesso al loro vestito migliore nella confusione e nel dimenticatoio dell'armadio, e appunto reincarnarsi può essere gioia tale per definizione, ma può essere tematizzato anche come problema, appunto la mia domanda "che vestito mi metto davanti a di Dio?" se dovessimo scegliere un attimo della vita, e dunque un singolo stato tra i mille attraversati dal nostro corpo, a cui restare legati per sempre, quale attimo sarebbe? La questione non è ovviamente che solo i più saggi ho i più fortunati hanno attimi, e dunque corpi, belli da sfoggiare e viceversa gli sfigati anche prendendo il loro attimo, e dunque stato del corpo, migliore rimarrebbero comunque ineleganti e indegni agli occhi di Dio, il punto è che anche ammesso che tutti abbiano una possibilità e quindi un vestito gradito a Dio nell'armadio, solo i più saggi o fortunati sanno scegliere bene, altri potrebbero reincarnarsi male, cioè legarsi per sempre a forme ed attimi che non sono la scelta migliore per loro, e dunque non sarebbe Dio, che li ha giudicati male, si sarebbero loro stessi, giudicati male, un po' come le anime nel mito di Er nella Repubblica di Platone, che sono per l'ennesima volta morte e devono scegliere una sorte nella loro prossima vita, un destino che poi nella loro nuova vita dimenticheranno di avere volontariamente scelto ma che le plasmerà inconsciamente come demone/carattere, e tutte scelgono in base non solo alla loro eterna e invariante natura, che sempre in qualche modo influirà, in base non solo alle circostanze, perché la gamma di destini possibili tra cui scegliere ha una componente aleatoria e non sempre, purtroppo o per fortuna, restano disponibili tutte le opzioni per tutte le anime, ma anche e soprattutto in base alle esperienze e alle conoscenze fatte nell'ultima vita appena trascorsa, che, al netto quindi di natura e caso, sarà il terzo elemento fondamentale che influirà su un'anima morta in procinto di scegliersi il proprio destino carnale e terreno per il prossimo "giro di giostra"; un mito molto simile si potrebbe raccontare per un'anima che muore, con ciò apprende che il corpo non è nulla, quantomeno nulla di unico e ben definito, eppure viene invitata a una festa a cui non può mancare e deve pur scegliersi, tra i suoi ricordi, un bel vestito-corpo, pur sapendo, ormai, dell'impossibilità logica e della difficoltà di questa scelta, se riferita al corpo nella sua totalità: con le esperienze della totalità della sua vita compiuta e finita, deve scegliere qualcosa sulle singole parti che questa totalità compongono, sui mille corpi che ha attraversato per il semplice fatto di aver avuto "un", -uno tra virgolette- corpo, quindi con un tipo di esperienza che può essere propria solo dello spirito, perché disincarnata per definizione, il paradossale giudizio che una vita potrebbe dare su se stessa solo a vita finita, si deve scegliere, e preferire, qualcosa che in vita ci ha identificato e rappresentato; insomma la vita nella sua completezza, ben lungi dall'essere valore e significato in sé, ben lungi dal giungere, dopo la morte, a qualcosa o in qualche luogo, non serve che a giudicare retrospettivamente del valore dei singoli stati di se stessa lungo il percorso di quella che fu una conoscenza incompleta, perché non (ancora) suggellata dalla morte.


Il desiderio di reincarnazione, è il desiderio, e quindi la mancanza, del corpo; il desiderio che il nesso tra conoscenza ed esperienza sia esso stesso la verità, e quindi permanga, dopo la morte.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Aumkaara

#24



Dante: se per ignoranza intendi l'assenza di nozioni numerose o l'assenza di grandi capacità di esposizione, allora può essere persino un bene. Per il resto non mi sembri ignorante, anzi, sostituisci l'eventuale assenza di cultura (fatto che dichiari tu) con intuizioni che mi sembrano più che buone.
E anche in questo caso hai posto un buon punto: "lavorare" per la bellezza del lavoro in sé, con gli alti e bassi in qualche modo ben integrato nell'atto. La ricompensa base, con gli eventuali sovrappiù, saranno conseguenti spontaneamente, non in quanto obiettivi.


Niko: bellissima considerazione secondo me. Per una volta, non so cosa aggiungere. Non sul momento almeno.

InVerno

Prendendo per buona l'analisi freudiana, ovvero che di religione ci sarà sempre bisogno finchè ci sarà paura della morte, penso che di resurrezione ci sarà sempre bisogno finchè non si arrivi al punto di superare la paura della morte. Anche molti atei di fronte alla dipartita del nonno dicono al bambino "ti guarda da lassù", perchè si rendono conto che una consolazione e una razionalizzazione dell'evento è necessaria, non si può moltiplicare per zero, non si può razionalizzare l'annichilimento, ed in senso lato, le persone morte continuano a vivere nelle nostre memorie,perciò è necessario comunicare  figurativamente quello che sarà un diverso tipo di rapporto con la persona morta. Riguardo alla letteralità o allegoricità, fisicità o spiritualità, di un testo.. faccio solo notare una cosa molto banale ma che in questa falsa dicotomia letteraria viene spesso sottovalutata: non esiste un interruttore da premere per parlare letteralmente o allegoricamente, sono due modi di senso che si compenetrano costantemente e dinamicamente, è impossibile non fare inferenze allegoriche mentre si parla "letteralmente", è impossibile non fare inferenze letterali mentre si parla in maniera prominentemente "allegorica". Allo stessa maniera la resurrezione di Cristo è riportata nei vangeli in maniera ibrida, vi sono elementi che suggeriscono una fortissima fisicità dell'evento (es. per prima cosa a Gesù viene offerto un pesce fritto, che risulterebbe comico in contrasto alla resurrezione spirituale) e allo stesso tempo ci sono tematiche simboliche e allegoriche (es. le similitudini mitologiche con l'apparizione di Romolo a Proculo Giulio) perciò a mio avviso non è realmente chiaro di cosa si stesse parlando, ma essendo che molto probabilmente sono eventi che non hanno niente a fare con la predicazione e gli eventi accaduti nella vita del Gesù storico, è il tipo di contradditorietà e procedimento "a spanne" tipico di deve tirare fuori un coniglio dal cappello, e i cristiani si sono praticamente divisi a metà a riguardo, tra i protestanti che prediligono il letteralismo, e i cattoliche che (in genere, ma non tutti) prediligono l'allegoricità in virtù di una più lunga e densa tradizione esegetica.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Dante il Pedante

Sarebbe difficile dire ad un bambino:Sì,nonno è morto,adesso le larve e i vermi che sono già dentro il suo corpo e anche nel tuo che sei vivo,cominceranno a divorargli tutta la carne iniziando dalle palpebre e dalle labbra;nel frattempo il corpod el nonno si gonfierà tutto e diventerà quasi nero emettendo un sacco di gas puzzolentissimi.Naturalmente il nonno che ti amava tanto non ci sarà proprio più.Si sarà infatti del tutto dissolto in atomi e molecole vari, per lo più puzzolenti.Anche l'amore che ti portava è adesso un gas puzzolentissimo.Così l'amore che ti attraeva al nonno adesso ti farebbe vomitare per la puzza.E anche io e tu finiremo così e della vita puoi godere o soffrire, di solito ti capiterà di più il secondo,ma non vale un caxxo la tua gioia e la tua sofferenza perché anche loro alla fine non sono niente.Anche la tua vita non conta un caxxo dopo tutto, tanto,vivo e o morto,alle molecole non cambia una mina.Fantastico! penso dirà il nipotino ;)
Padrone dacci fame, abbiamo troppo da mangiare.La sazietà non ci basta più. Il paradosso di chi non ha più fame,ma non vuol rinunciare al piacere di mangiare.(E. In Via Di Gioia)

Aumkaara

Questi due frammenti provengono dagli ultimi due post:
Citazione di: Viatornon si può razionalizzare l'annichilimento
Citazione di: Dantevivo e o morto,alle molecole non cambia una mina
È importante, per quanto piaccia poco al bambino (come giustamente fa capire Dante), insegnare una grossolana e concreta osservazione del fatto che il corpo a cui teniamo, e con cui riusciamo a fare tutto quello che conosciamo e nelle modalità in cui lo conosciamo, non durerà.
Ma al nipotino di cui state parlando gli direi anche che lui stesso è fondamentalmente uguale al nonno in tutti gli aspetti e non soltanto nel corpo, e che quindi può guardarsi dentro e chiedersi cosa può essere successo al resto del nonno (quello appunto interiore, non direttamente percepibile dagli altri) in assenza di corpo.
Gli direi: "ci sono buoni motivi per pensare che i nostri corpi non siano l'unica struttura che abbiamo per poter pensare e sentire, anche se in condizioni che non possiamo ancora vedere e conoscere, un po' come una candela spenta continua a bruciare (per vederlo è sufficiente mettersi degli occhiali costosi che mostrano tutto in verde). Ma se anche non fosse così, cosa credi che sentiresti, senza corpo? Senza poter neanche pensare?" Se il bambino rispondesse "niente" (tralasciando di approfondire il fatto che la parola "niente" forse è solo una introspezione inadeguata o una mancanza di parole giuste per descrivere la quiete di percezione e pensiero), gli farei presente che ci deve pur essere il sentire, per sentire questa cosa che chiami niente. Puoi non sentire niente, ma non puoi negare il sentire (purtoppo il modo in cui esprimiamo questo punto inganna: dovremmo dire più propriamente "sentiamo il niente", e non "non sentiamo niente").
Non si può razionalizzare il nichilismo, come dice Viator, ma non per una nostra difficoltà, ma perché non riscontriamo mai (in nessun contesto, a ben vedere) un annichilimento totale ed assoluto, ma solo cambiamenti formali, superficiali, anche se a volte importanti e critici se considerati dal nostro punto di vista abitudinario e ristretto (e non c'è niente che sia totalizzante e assolutizzabile, altra lezione importante da dare al bambino affinché non diventi un dogmatico né se seguirà una religione né se seguirà una qualunque altra ideologia o contesto).

viator

Citazione di: Aumkaara il 25 Ottobre 2020, 16:56:48 PM
Questi due frammenti provengono dagli ultimi due post:
Citazione di: Viatornon si può razionalizzare l'annichilimento
................................................................... (omissis) ............................................................

Non si può razionalizzare il nichilismo, come dice Viator, ma non per una nostra difficoltà, ma perché non riscontriamo mai (in nessun contesto, a ben vedere) un annichilimento totale ed assoluto, ma solo cambiamenti formali, superficiali, anche se a volte importanti e critici se considerati dal nostro punto di vista abitudinario e ristretto (e non c'è niente che sia totalizzante e assolutizzabile, altra lezione importante da dare al bambino affinché non diventi un dogmatico né se seguirà una religione né se seguirà una qualunque altra ideologia o contesto).

Salve Aum. Non ricordo di aver prodotto l'espressione alla quale stai replicando. Potresti aiutarmi a rintracciarla ? Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

InVerno

Citazione di: Dante il Pedante il 25 Ottobre 2020, 14:40:47 PM
Sarebbe difficile dire ad un bambino:Sì,nonno è morto,adesso le larve e i vermi che sono già dentro il suo corpo e anche nel tuo che sei vivo,cominceranno a divorargli tutta la carne iniziando dalle palpebre e dalle labbra;nel frattempo il corpod el nonno si gonfierà tutto e diventerà quasi nero emettendo un sacco di gas puzzolentissimi.Naturalmente il nonno che ti amava tanto non ci sarà proprio più.Si sarà infatti del tutto dissolto in atomi e molecole vari, per lo più puzzolenti.Anche l'amore che ti portava è adesso un gas puzzolentissimo.Così l'amore che ti attraeva al nonno adesso ti farebbe vomitare per la puzza.E anche io e tu finiremo così e della vita puoi godere o soffrire, di solito ti capiterà di più il secondo,ma non vale un caxxo la tua gioia e la tua sofferenza perché anche loro alla fine non sono niente.Anche la tua vita non conta un caxxo dopo tutto, tanto,vivo e o morto,alle molecole non cambia una mina.Fantastico! penso dirà il nipotino ;)
Ma sai, non è nemmeno vero, spesso sono i genitori a proiettare queste paure sui figli e proteggerli senza che ce ne sia bisogno, mi sembra che a volte i bambini reagiscano a realtà che gli adulti considerano come "insopportabili" con molta più compostezza e maturità (salvo che non siano già stati preventivamente influenzati nel considerarle insopportabili), ho visto bambini affrontare la morte di una persona cara raccontandosi meno sciocchezze di qualche adulto.
Sono abbastanza convinto che si possa raccontare la verità materiale ad un bambino senza mandarlo al manicomio, il problema è che non è tutto, nel senso che nella sua memoria questa persona continuerà ad esistere, ed è crudele nasconderglielo come se questo proseguimento non esistesse, mi è capitato di avere relazioni più forti con persone dopo che erano morte, magari da vive non mi dicevano granchè, ma nella mia memoria il pensiero di loro è diventato qualcosa di importante per me, perciò penso che qualsiasi sia la maniera figurativa per spiegare ad un bambino che probabilmente accadrà anche con lui, mi sembra giusto che debba far parte della spiegazione, insieme ai vermi, che sono bellissimi, e prima imparerà perchè sono bellissimi, prima smetterà di aver bisogno di risorgere.


Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

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