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Quanto importa?

Aperto da Aumkaara, 21 Ottobre 2020, 12:28:41 PM

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Aumkaara


Vedendo quante pagine ha suscitato qui di recente il problema resurrezione, viene da chidere: quanto importa, ad un devoto pervaso dall'amore di Dio, di come, se e quando risorgere fisicamente?
Comprendo che per un devoto cristiano "medio", che crede alla resurrezione fisica, la questione come minimo incuriosisce (o lo fa sperare tantissimo e la pone a fondamento della sua fede).
Persino ad uno ancora più mediocre, come me, se gli venissero a proporre di riavere il corpo che già conosce, e in una vita migliore, direbbe di sì (magari dopo aver chiesto tutto ciò che comporta, e se ci sono clausole nascoste o condizionalità inespresse, ovviamente poste a fin di bene trattandosi di Dio...).
Leggendo queste parole del 1453 del teologo e cardinale Nicola Cusano ("La Pace della Fede", Jaca Book, 1991):
<<Dio, in quanto creatore, è trino e uno; in quanto infinito, né trino né uno; né nulla di quello che si può dire, poiché i nomi che si attribuiscono a Dio sono formati dalle creature. Egli stesso è ineffabile in sé ed è al di sopra di tutto quello che si può nominare o dire.>>
Per coloro che tendono verso Dio (ma sul serio, "infiammati" da questa tensione) non in quanto creatore (quindi come mezzo per avere un mondo di cui godere) ma in quanto ciò che è di per sé, quanto potrà mai interessargli di avere un particolare corpo simile al precedente ma più perfezionato, con cui guardare al resto del creato, fosse anche un creato migliorato dopo la Resurrezione? Certo, anche per questi amanti supremi il creato non è (o non dovrebbe essere) da disprezzare, ma non lo pongono in primis, e quindi non credo pongano in primis anche il corpo che vi abiterà. Lasceranno fare a Dio, senza pensarci troppo, non certo dicendo "senza la Resurrezione la nostra fede sarebbe vana" come sento dire (anche da Paolo, o sbaglio?).
A meno che non si stabilisca in qualche modo che ci voglia un corpo simile al nostro anche per tendere all'assolutezza di Dio.

viator

Salve Aumkaara. Credo proprio che il fedele medio, ma pure quasi tutti i fedeli adeguatamente acculturati e riflessivi, non siano interessati alle considerazioni che esprimi, anche perchè esse risultano estranee al senso comune.

La questione poggia su fondamenti puramente psicologici consistenti nella umana incapacità di percepire (sto dicendo percepire, non concepire) l'oggettività (e sto dicendo oggettività, non realtà) di un mondo esterno al sè.

La conseguenza è semplicemente l'impossibilità - per ciascuno di noi - di concepire l'esistenza di un mondo privo di noi stessi.

Tale "sindrome", nel fedele, assume la veste semplificata della pacifica credenza circa l'"impossibilità" di una propria mortalità definitiva.Per il fedele il cosiddetto "trapasso" non sarebbe che che il transito da una condizione provvisoria ed incerta di rapporto con un mondo incomprensibile, imprevedibile, pericoloso, eventualmente doloroso (la vita biologica) ad una dimensione (appositamente creata dalla psiche umana) in cui la vita prosegue indisturbata dopo essere stata "mondata" di tutte le sue spiacevolezze (la vita dopo la morte).


Scusa ma, se per decenni e decenni ci fossero milioni e milioni di fonti intorno a te che ti propongono - fino allo sfinimento - tale prospettiva come reale, certa e gratuita.........................tu non ne saresti allettato ?. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Dante il Pedante

Ciao a tuttiSono Dante il Pedante :)

Beh  viator si potrebbe anche rovesciare la tua considerazione e dire:
Per gli atei è impossibile concepire la trascendenza perché sono capaci di percepire solamente l'oggettività materiale del mondo :)
Padrone dacci fame, abbiamo troppo da mangiare.La sazietà non ci basta più. Il paradosso di chi non ha più fame,ma non vuol rinunciare al piacere di mangiare.(E. In Via Di Gioia)

viator

Citazione di: Dante il Pedante il 21 Ottobre 2020, 14:17:39 PM
Ciao a tuttiSono Dante il Pedante :)

Beh  viator si potrebbe anche rovesciare la tua considerazione e dire:
Per gli atei è impossibile concepire la trascendenza perché sono capaci di percepire solamente l'oggettività materiale del mondo :)


Hai perfettamente ragione, caro Dante, A voce e sui pezzi di carta si può invertire qualsiasi concetto. Accade infatti assai frequentemente.


Quindi la tua ipotesi "logica" sarebbe che gli atei non riescono a concepire il proprio "sè" ma solamente l'"alterità" di ciò che è fuori di loro stessi.


Quindi sarebbero (proprio come potrebbero affermare i più "invasati" dei "fedeli") degli individui privi di coscienza (la quale rappresenta la funzione (psichica) oppure - a seconda dei punti di vista - il dono divino (=anima) che genera la percezione del "sè" (psichico) oppure - a seconda dei punti di vista - il libero arbitrio e la responsabilità etica (quali creature di Dio).


Lasciamo poi perdere il concetto di trascendenza il quale, appartenendo alla metafisica, non può riguardare in particolare un "dentro di sè" od un "fuori di sè", ma riguarda la relazione tra tali due ambiti, cioè appunto la possibilità di trasmigrare concettualmente dall'umano materiale al sovrumano (extraumano ?) concettuale ed immateriale.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Dante il Pedante

Citazione di: viator il 21 Ottobre 2020, 14:46:40 PM
Citazione di: Dante il Pedante il 21 Ottobre 2020, 14:17:39 PM
Ciao a tuttiSono Dante il Pedante :)

Beh  viator si potrebbe anche rovesciare la tua considerazione e dire:
Per gli atei è impossibile concepire la trascendenza perché sono capaci di percepire solamente l'oggettività materiale del mondo :)


Hai perfettamente ragione, caro Dante, A voce e sui pezzi di carta si può invertire qualsiasi concetto. Accade infatti assai frequentemente.


Quindi la tua ipotesi "logica" sarebbe che gli atei non riescono a concepire il proprio "sè" ma solamente l'"alterità" di ciò che è fuori di loro stessi.


Quindi sarebbero (proprio come potrebbero affermare i più "invasati" dei "fedeli") degli individui privi di coscienza (la quale rappresenta la funzione (psichica) oppure - a seconda dei punti di vista - il dono divino (=anima) che genera la percezione del "sè" (psichico) oppure - a seconda dei punti di vista - il libero arbitrio e la responsabilità etica (quali creature di Dio).


Lasciamo poi perdere il concetto di trascendenza il quale, appartenendo alla metafisica, non può riguardare in particolare un "dentro di sè" od un "fuori di sè", ma riguarda la relazione tra tali due ambiti, cioè appunto la possibilità di trasmigrare concettualmente dall'umano materiale al sovrumano (extraumano ?) concettuale ed immateriale.
Beh! Noi abbiamo l'idea che una cosa deve essere sempre alla portata di tutti.Ma le cose spirituali magari non sono alla portata di tutti.Con portata non intendo intelligenza, ma quel complesso di potenzialità mentali interiori e disposizione d'animo, o apertura d'animo,ecc. che forse (non lo so) non tutti possiedono.E riprendendo uno spunto da Aumkaara (ciao! :) ) cito una frase evangelica atribuita al Cristo, che viene usata più volte."Chi ha orecchie per intendere, intenda!".Come sai è stata molto discussa dai teologi sul significato di questa esortazione.Darebbe proprio il senso di qualcosa che non viene "inteso" da tutti. Le "orecchie" giuste forse non le hanno tutti, secondo Cristo.Ciao :) 
Padrone dacci fame, abbiamo troppo da mangiare.La sazietà non ci basta più. Il paradosso di chi non ha più fame,ma non vuol rinunciare al piacere di mangiare.(E. In Via Di Gioia)

Dante il Pedante

Ciao Aumkaara
Sono il Pedante :)
Nel Cristianesimo mi sembra che si parli di Trasfigurazione del corpo. la prima avviene sul monte dove Gesù appare come "sfolgorante".Il corpo del risorto infatti si può toccare,ma nello stesso tempo passa attraverso i muri e le porte,come un fantasma.Viene in parte riconosciuto e in parte sembra diverso (discepoli in viaggio verso Emmaus).La Resurrezione quindi non è semplicemente il risorgere del corpo materiale (polvere alla polvere, lasciate i morti ai morti,ecc.)ma è l'apparizione dell'Uomo nella sua interezza, quella lacerata dalla Grande Separazione.Le tre parti in cui comunemente il Cristianesimo intende l'uomo (corpo ,psiche, anima) non sono più "divise in sé", lacerate per l'appunto, ma un tutt'uno.Si parla di Nuovo Adamo per cristo proprio per intendere questo unità originaria ricostituita.Il cristianesimo attuale ha in gran parte perso questa dimensione escatologica che però penso si afondamentale per capirlo veramente e non fraintenderlo o semplificarlo .
Padrone dacci fame, abbiamo troppo da mangiare.La sazietà non ci basta più. Il paradosso di chi non ha più fame,ma non vuol rinunciare al piacere di mangiare.(E. In Via Di Gioia)

anthonyi

Citazione di: Aumkaara il 21 Ottobre 2020, 12:28:41 PM

Comprendo che per un devoto cristiano "medio", che crede alla resurrezione fisica, la questione come minimo incuriosisce (o lo fa sperare tantissimo e la pone a fondamento della sua fede).
Persino ad uno ancora più mediocre, come me, se gli venissero a proporre di riavere il corpo che già conosce, e in una vita migliore, direbbe di sì ).


Io non darei così per scontato, Aumkaara, che la resurrezione fisica sia migliore di una resurrezione in un corpo spirituale. Oltretutto non ne vedo la logica, abbiamo un corpo fisico perché ci serve per compiere azioni fisiche, in un altro mondo non fisico questo corpo non ci serve.
Il mio parere è che la resurrezione fisica di Gesù è un'allegoria che vuole rappresentare la resurrezione spirituale e renderla più comprensibile a persone necessariamente legate alla fisicità, perché solo di quella hanno avuto esperienza.

Aumkaara


Viator: ciò che hai secondo me ben colto, cioè l'impossibilità di credere che "le cose possano esistere senza di me", è una "sindrome" quando è riferita al senso di individuazione (la sensazione di poter trovare qualcosa, per quanto vaga, che sia "me"), che, come ho detto altrove, per me è solo un costrutto. Viceversa, è il segno di un'intuizione di realtà, quando è riferita non al senso di "me" ma a quello spazio di consapevolezza in cui le cose appaiono, spazio che, di per sé, non è e non ha un senso di sé, ce l'ha solo appunto attraverso il suddetto costrutto, che però è solo uno dei tanti "oggetti" che compaiono in tale spazio.
Non è quindi sbagliata la tendenza a credere ad una continuazione indefinita dell'apparire di un mondo (o di ciò che chiamiamo mondo), perché questo spazio consapevole non può annichilirsi (il perché tralasciamolo, almeno per il momento). È invece sbagliata (meglio: è fonte dell'alternarsi di agitazione e abbattimento) la tendenza ad aspettarsi un prolungamento indefinito dell'apparente senso di sé, e persino un prolungamento del modo con cui esso si sostiene attualmente (un corpo, o per lo meno un corpo in particolare, ricordi specifici, ecc.), che invece, come minimo, hanno alti e bassi di varia natura (basta il sonno ad affievolire e distorcere grandemente la situazione di tutti loro).
Sono ovviamente discorsi troppo sottili per distogliere l'attenzione dalla "pubblicità plurimillenaria" su di un corpo rinnovato ma simile al precedente. Però volevo appunto fare un sondaggio, tra coloro che nell'argomento precedente sembravano interessati alla Resurrezione classica, su come vedono quest'ultima rispetto alle forme "superiori" della dottrina cristiana (e che un minimo conosceranno, se scrivono qui e non - o non solo - sul forum cattoliciromani).


Dante: ecco appunto, in riferimento a quello che ho appena detto a viator, qualcuno che ha informazioni superiori al catechismo medio: hai ben descritto la non banalità di una concezione più elaborata della Resurrezione, che avevo quasi dimenticato. Che ne siano stati consapevoli o meno nel formularla, messa così ha punti di contatto con concezioni esoteriche di varie tradizioni, anche lontane. Ed ha tutto un altro significato rispetto a come viene intesa di solito la Resurrezione. Tanto da avere un suo valore, anche "terreno", cioè rispetto al corpo, poco importa se i racconti evangelici sulla Resurrezione non descrivessero un evento storico. Per lo meno nel modo in cui intendo io una "resurrezione" che unifica ciò che appare diviso: l'uomo riunificato per me è lo spazio consapevole (di cui parlavo sopra a Viator), che prima è abitato da oggetti opachi (che sembrano distinguersi dallo spazio, identificando così quest'ultimo come "spirito") che in questo modo esprimono separazione (sia che si tratti di oggetti di percezione che oggetti psichici, quindi sia corpo che psiche, diversi solo per il grado di opacità), ma poi, quando gli oggetti si fanno più trasparenti, diventa evidente che essi sono solo "zone" dello stesso spazio, arbitrariamente circoscritte da differenti gradi di attenzione.
La chiave di volta per favorire la trasparenza di tutti gli oggetti di coscienza è rendere trasparente il senso di individuazione, che è un oggetto come gli altri, ma che si pone in una prospettiva in cui gli altri oggetti sembrano gravitare intorno ad esso.
Ovviamente Gesù, se mai è esistito in un modo anche solo simile ai modi in cui è stato descritto, potrebbe non avere niente a che fare con quello che ho detto. Ma visto che non tutto quello che diceva era lineare, chissà ... diceva appunto "chi ha orecchie per intendere, intenda".
PS: e tutti gli altri in camper. Per quanto me ne debba vergognare, non ho resistito, anche se va a controbilanciare la seriosità dell'argomento (ora capisco perché, se non ricordo male, nell'apocrifo di Tommaso Gesù critica le burle e il non prendere le cose sul serio...).


Anthoniy: come puoi vedere da quello che ho detto a Dante, non sono convinto neanche io che sia più importante una resurrezione fisica rispetto ad altro. Se mi fosse proposta di fatto e non come speranza in cui aver fede (nei limiti in cui qualcosa possa avvenire "di sicuro"), forse accetterei, ma solo sapendo che non sia davvero a tempo illimitato e continuo: per quanto ci siano aspetti nella vita ordinaria che sono desiderabili, reiterarla senza mai avere accesso ad "altro" lo trovo assurdo. Ovviamente, do per scontata l'irriducibilità di ciò che siamo (quello "spazio" di cui ho parlato agli altri), a differenza della momentaneità degli oggetti, psichici e fisici, che crediamo di essere.

Dante il Pedante

#8
Credo che il senso della Resurrezione stia proprio nel compimento finale dell'essere creatura.Cioè:noi prendiamo parte di noi stessi e la assolutizziamo, come il pensiero.Da questo ne deriva un senso ddi onnipotenza che ci fa dire:Io non accetterei dei limiti.E non è forse questo il delirio di onnipotenza umano, che rifiuta il suo essere limitato,di creatura?Invece la ricostituzione dell'unità umana originaria,sec.il CRist., conferisce finalmente alla creatura il suo autentico posto.In questo non esiste più il senso di "voglio essere altro da quello che sono" .Se pensiamo alla resurrezione ci domandiamo:ma che palla è? IO non voglio stare in eterno in un certo modo, voglio poter essere altro.Noi pensiamo che questo esprima la grandezza dell'umano,invece ne esprime il delirio.Questo non ci fa mai apprezzare quello che realmente siamo.Che non è poco, anzi è tantissimo.Essere creatura dinanzi a Dio,in rapporto di amicizia ("non vi chiamo servi, ma amici) è il nostro autentico essere,che la R. ci ridona.Allora credo che non possa più esistere il senso di dire "mi romperei il caxxo a stare in eterno con questo corpo,anche se trasfigurato",perché è quello che siamo e non altro e allora ci sarà vera gioia nell'essere finalmente "noi stessi",senza maschere e deliri di onnipotenza  :)
Padrone dacci fame, abbiamo troppo da mangiare.La sazietà non ci basta più. Il paradosso di chi non ha più fame,ma non vuol rinunciare al piacere di mangiare.(E. In Via Di Gioia)

Aumkaara

Dante: concordo, il problema è non accontentarsi di quello che appare in un dato momento. Ma paradossalmente quel che appare non permane, e anche questo genera problemi (anche un corpo trasfigurato sarebbe soggetto a mutamenti: per quanto subliminali, avrebbero un peso, a meno che non li si voglia ignorare forzatamente, e quindi snaturando la spontaneità e la naturalità che dovrebbe avere un tale corpo).
La soluzione, per quanto anch'essa relativa, sta nel comprendere nel modo più profondo possibile (quindi con qualche alto e basso anch'esso) la vera natura sia del relativo permanere che del relativo mutamento.
...e un eterno "essere creatura dinanzi a Dio" non può essere questa natura da ricercare, non può essere la soluzione, perché non si riferisce a qualcosa di stabile, ma ad un'ulteriore condizione di cui accontentarsi (se così non fosse non avremmo cercato altro, la sperimentaremmo tutt'ora), e anche perché presuppone ulteriormente un movimento: un rapporto implica una tensione, per quanto piacevole possa essere.
Non sto negando che tale rapporto non possa relativamente permanere, cioè che non possa essere ritrovato dopo essere stato perso, ma avrà i suoi sviluppi, i suoi alti e bassi. Idealizzarlo in un "rapporto assoluto", cioè in un illogico relativo assoluto, in una permanenza inamovibile che non è propria dei rapporti e delle relazioni, significherebbe ottenere qualcosa di artificiale.
L'unico assoluto, l'unica nostra natura, è quello "spazio" consapevole in cui avvengono tutti i rapporti. Non possiamo ottenerlo (lo siamo già), possiamo solo formare, in tale spazio, un'ulteriore relazione: quella tra tutti gli oggetti relazionanti già presenti in tale spazio (compresa la relazione Dio-creatura) e un nuovo oggetto che ci ricordi che tutte le relazioni dipendono da tale spazio che è la nostra vera natura.

Dante il Pedante

Ciao Aumkaara
Sono Dante :)

L'essere risorto non è l'IO umano, quello che chiamiamo ingannevolmente "noi stessi",ma è l'uomo completo.E' l'uomo ri-unito.Pertanto le categorie dell'essre come le conosciamo, e quelle del divenire,non avrebbero più alcun senso.Bisogna anche considerare che non solo l'uomo ri-sorge trasfigurato,ma l'intera creazione ri-sorge.Quindi viene ripristinata anche la relazione autentica tra TUTTE le creature (la "Nuova Gerusalemme" credo si chiami) equindi non è solamente una creatura risorta messa dinanzi al suo creatore , ma l'insieme delle creature, in relazione autentica e non più artificiosa come l'attuale,davanti al creatore che così "torna a passeggiare nel giardino" con quel rapporto d'amicizia che è stato tradito dalla creatura.Il divenire come morte  viene spazzato via,ma permane il divenire come relazione,che era l'intenzione originaria di Dio nella creazione.Il tempo stesso non è più tempo per la morte,ma tempo per la relazione, per vivere l'amicizia tra le creature tutte e il creatore.Infatti si parla di "tempi nuovi", "nuovio cielo" ecc.Il concetto di assoluto e relativo non avrebbe più alcun senso, superato dall'apparire di questa dimensione nuova.Superato nel vero senso, come quando ci si sveglia dal sogno e si comprende di aver sognato e che quello che ci sembrava vero era solo un sogno . Così almeno credo di aver capito;frequento un personaggio particolare che mi spiega queste cose :)
Padrone dacci fame, abbiamo troppo da mangiare.La sazietà non ci basta più. Il paradosso di chi non ha più fame,ma non vuol rinunciare al piacere di mangiare.(E. In Via Di Gioia)

Aumkaara

#11
Dante: forse sarebbe meglio continuare ad ascoltare solo quel personaggio, perché se la tua strada è l'approfondimento ortodosso (nel senso di rigoroso) della teologia cristiana (cattolica?), qui puoi trovare solo distrazioni. Ma, visto che sei qui, e che qualche spunto puoi prenderlo (anche solo per decidere che le interferenze poco rigorosamente cristiane non sono necessarie o rilevanti), porto comunque avanti quello che hai appena detto.
Il problema di spazzare via le cose, invece di integrarle, è che tornano comunque, e in modi non controllabili, a differenza di quando sono integrate. Infatti, se spaziamo via la morte, invece di integrarla, la ritroveremo in qualche altro modo, a meno che non si voglia continuare a tenerla lontana forzatamente, quindi inautenticamente.
Così come spazzare via la logica ce la farà ritrovare ad agire indisturbata in forme diverse (con tutti i suoi rigidi ed incatenanti dettami). E dire, come hai appena fatto, che non avranno più senso le categorie "assoluto" e "relativo", ma che contemporaneamente ci sarà una relazione tra creatura e Dio, significa spazzare via la logica, invece di ampliarla con logiche differenti e coerentemente integrate con quella corrente (quella che utilizza le due categorie suddette e che hai continuato ad usare anche tu pur negandole).
O meglio, hai provato a dare una giustificazione ad un possibile mantenimento della relazionabilità pur in assenza di relatività e assolutezza, cercando di portare su di un altro piano quella che si ha con Dio qualificandola con l'aggettivo "autentica".
La relazione tra Dio e creatura sarà autentica, a differenza delle relazioni che abbiamo ora.
"Autentico" però cosa significa? Nel senso in cui lo usiamo, vuol dire che qualcosa è valutata più di un'altra. Un Rolex è autentico perché è valutato maggiormente quando è prodotto dalla stessa casa di produzione che li ha fatti per prima. È una valutazione arbitraria, perché un altro produttore potrebbe fare orologi identici, o migliori.
Per uscire dalle considerazioni arbitrarie, dobbiamo amplificarle in assoluto (anche la categoria "assoluto", finché non è integrata in qualche modo, spunterà sempre fuori a trasformare i punti fermi che crediamo di aver trovato): in che modo l'autenticità può essere assoluta? Quando perde ogni possibilità di paragone. E quand'è che i paragoni non sono possibili? Quando non ci sono più reali differenze tra le cose paragonate. La relazione con Dio, per essere autentica, non può essere paragonata alle altre, e per non essere paragonata alle altre deve essere sostanzialmente identica alle altre. Può variare in intensità e durata (categorie altrettanto limitate, altrettanto non autentiche, quindi prima o poi altrettanto soggette ad alti e bassi), ma sostanzialmente non è differente da quelle attuali. Sono tutte autentiche, pur se differenti in intensità di espressione, oppure tutte non autentiche, nel senso che nessuna avrà mai quella stabilità e perfezione sperata, non importa quanto intense si sperimenteranno per un po'.
Inutile aggirare il problema dicendo "non è paragonabile perché è la migliore": vorrebbe dire averla già paragonata (appunto definendola la migliore), e quindi significherebbe non averla posta in assoluto, nella vera autenticità (in cui però abbiamo appena visto che perde la sua specificità, portandoci prima o poi a guardare comunque di nuovo altro, perché non diverso se non per la minore intensità, e perché tale diversa intensità è necessaria per continuare a valutare come migliore la relazione con Dio). Un circolo virtuoso e vizioso senza fine, come tutte le dualità e polarità.
Il fatto che anche la relazione con Dio sia qualche cosa di relativo vuol dire rinunciarvi per forza? No, si tende sempre a cercare condizioni migliori, e tale relazione può esserlo. Ma non può essere definitiva. Infatti vi avevamo rinunciato, secondo il cristianesimo. E ciò che si ottiene di nuovo perché giudicato migliore dopo aver assaggiato il peggiore (ad esempio il mondo, la caduta, la mela del tentatore, per usare immagini cristiane), può essere perduto di nuovo assaggiando un nuovo "peggiore" anche questa volta creduto migliore di Dio (il tentatore potrà anche essere sconfitto, ma gli angeli sono infiniti, altri potrebbero prendere il suo posto, e trovare modi più subdoli per tentarci; i non cristiani leggano "possibilità di sperimentazione duale" al posto di "angeli").
L'unico aspetto definitivo e assoluto è la "sostanza" di cui sono fatte tutte le relazioni e i relazionanti. Puoi chiamarla amore: la spazialità che accoglie tutto, in cui accadono relazioni e relazionanti; spazialità accogliente in cui persino Dio è compreso e quindi limitato (in alternativa puoi chiamare "Dio" direttamente questo spazio, ma allora non è "quel Dio" con cui puoi relazionarti).
Questo spazio-amore l'abbiamo già, è irriducibile (qualunque cosa sia riducibile presuppone uno spazio che l'accoglieva; persino lo spazio-tempo della fisica einsteiniana o lo spazio granulare e composito delle teorie di fisica fondamentale presuppongono, che i fisici se ne rendano conto o meno, una matrice preesistente in cui possono essere accolti ed in cui possono annichilirsi gli spazi deformabili e compositi).
Ed in quanto sostanza, matrice, spazio irriducibile, è identica a se stessa in qualunque forma appaia: di una forma (ad esempio una relazione, o la qualità di una relazione) possiamo averne tanta o poca (quindi possiamo avere tanto o poco amore formale, fisico o psichico), ma della qualità di una sostanza non puoi averne tanta o poca, se c'è l'hai, c'è l'hai (e ce l'hai, o le forme, comprese le relazioni, non sussisterebbero). Ricorda questo (ricorda che l'amore l'hai già) e avrai l'autenticità senza dover fare o aspettare altro, neanche Dio. Il problema è ricordarlo il più possibile, ma c'è la vita con i suoi alti e bassi (e, volendo, c'è anche la relativa assenza di Dio, visto che chi lo desidera non lo ha mai abbastanza neanche quando lo sente) a spingerci a ricordarcelo.

Kephas




Aumkaara si chiede: "...viene da chiedere: quanto importa, ad un devoto pervaso dall'amore di Dio, di come, se e quando risorgere fisicamente"


Anch'io mi chiedo !: Un (vero) devoto cristiano, considerato che Iddio Istesso è uno Spirito Supremamente Perfetto e Puro, e che la mèta finale esclusiva degli esseri umani è di diventare per l'eternità degli spiriti perfetti e puri a somiglianza di Dio!
A che cosa potrebbero loro servire in questo caso i corpi?
L'amore è come il mare in tempesta, che tutto travolge nei primi momenti, poi l'arcobaleno che tutto colora, i sogni ed i momenti, poi tutto con il tempo si placa, rimane l'onda tranquilla che torna e ritorna a lambire le sponde.

Dante il Pedante

Ciao Aumkaara
Sono dante :)
La tua mi sembra però una visione troppo intellettuale e poco spirituale.la mia voleva essre una spiegazione dal punto di vista teologico attuale della R..Non credo di esserci riuscito al 100%,ma va beh! ;D
Padrone dacci fame, abbiamo troppo da mangiare.La sazietà non ci basta più. Il paradosso di chi non ha più fame,ma non vuol rinunciare al piacere di mangiare.(E. In Via Di Gioia)

Dante il Pedante

#14
Citazione di: Kephas il 22 Ottobre 2020, 14:18:08 PM



Aumkaara si chiede: "...viene da chiedere: quanto importa, ad un devoto pervaso dall'amore di Dio, di come, se e quando risorgere fisicamente"


Anch'io mi chiedo !: Un (vero) devoto cristiano, considerato che Iddio Istesso è uno Spirito Supremamente Perfetto e Puro, e che la mèta finale esclusiva degli esseri umani è di diventare per l'eternità degli spiriti perfetti e puri a somiglianza di Dio!
A che cosa potrebbero loro servire in questo caso i corpi?
Quello che rirorge non è il corpo con muscoli,tendini ano e uccello, ma un corpo ttrasfigurato, spiritualizzato per capirci.Nespà? :) Quello che descrivi non è la visione cristiana della Resurrezione, ma una piuttosto pseudo-cristiana.Un pò new age.O quella che a volte insegnavano al catechismo ai bambini dei volontari che non ne capivano un caxxo neppure loro... ;D ;)
Padrone dacci fame, abbiamo troppo da mangiare.La sazietà non ci basta più. Il paradosso di chi non ha più fame,ma non vuol rinunciare al piacere di mangiare.(E. In Via Di Gioia)

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