Perche si ha paura di morire?

Aperto da acquario69, 16 Agosto 2016, 06:45:00 AM

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Sariputra

#90
Citazione di: paul11 il 27 Agosto 2016, 11:11:43 AMSariputra, il divenire per cui tutto scorre è nel nostro destino. E' la constatazione di fatto di una mente che attraverso i sensi percepisce il mondo. Ma la ragione non si ferma all'osservazione, elabora. Non è possible che la ragione formuli leggi matematiche e fische, ovvero utilizza la logica formale e si fermi lì. E adatto che è la stessa ragione che costruisce quegli strumenti elaborativi per studiare e capire i fenomeni, non si ferma al momento empirico dell'osservazione del mondo.Questa è già metafisca, perchè come ho già scritto, noi vediamo il mondo, non l'equazione dell'energia o le formulazioni della termodinamica. La scienza è strumento metafisco dentro l'empirismo.Il suo errore e il nostro è fermarsi a questo solo movimento conoscitivo. E' l'autocoscienza che chiede alla ragione il senso. Se acettassi il divenire oltre a questa contraddizione dei domini, ci sarebbe un altro risvolto che amio parere non avete compreso, ma sottaciuto.Tutto è fondato sul nulla. Significa che la cultura è una vestigia del ieri che muta nell'oggi e obsoleta domani.Nulla è fermo perchè gli stessi pensieri, gli stessi paradigmi culturali poggiano su piedi di argilla. Quale sarebbero i paradigmi etici e morali dentro la politica e l'economia, quale teoria standard delle particelle fisiche vi sarà fra un secolo.Allora dall'atomos di Democrito alla teoria delle stringhe, tutto muta anche nel modello di rappresentazione del mondo ,che a sua volta muta il modello socio-culturale, che asua volta muta il nostro modello personale di vedere il mondo e noi stessi. Così diciamo di Democrito, oggi che fu bravo, ma superato, e domani diranno dell'oggi. Rimane il regno dell'indeterminata immanenza con l'illusione che la scienza determini i fenomeni e costruisca scienza. Ma tuto è falso, poichè muta autofalsificandosi, la verità inciampa nell'opinione e noi siamo banderuole al vento in preda a culture dominanti che nulla hanno di vero. Il risultato è l'accettazione del relativismo in cui il rapporto individuo-sociale- cultura oltre che al rapporto ambienetale uomo-natura è basato sul finalismo della funzionalità, ovvero una cosa è giusta perchè è utile a me e di nuovo emerge la particolarità e con essa l io come egoismo. Perchè nulla vi è di fondativo etico e morale, le spirtualità sarebbero illusioni per tener buona la gente, e la vera regola è la violenza che è già dentro nelle vestigia culturali che esplica le sue contraddizioni nelle guerre, poichè incapace di gestire attraverso un paradigma di verità e non di relativismo se stesso e il mondo. Quindi siamo animali pseudo culturali.Il finalismo è il potere e il denaro e dentro questa cultura se accettata è l'unica verità che rimane. E l'autocoscienza dovìè ,cose ne è di lei?.Mortificata. Allora l'uomo alienato, nella sua schizofrenica disputa esistenziale fra l'essere e l'avere del finalismo dell'utile e del menfreghismo, si rintana sempre più spesso nella sua solitudine raminga. La cultura diventa esibizione eloquente delle retoriche, ovvero imbonitori che devono convincere la gente, come i pastori di pecore che menano dalla stalla al pascolo e viceversa. E questo è l'uomo? Mi rifiuto razionalmente, autocoscientemente , esistenzialmente che quello che c iritroviamo come ragione e autocoscienza ci servano "per ucciderci"meglio" "per costruire un piano strategico di come fottere il prossimo" Solo l filosofia può avere l'esercizio critico di porre le domande nel contraddittorio delle culture secolari.

Postulare che il Reale è il Divenire non significa affatto fermarsi alla semplice osservazione di un'esperienza dei sensi. Nemmeno esclude la logica e la ragione,  che diventa lo studio delle forme , delle cause e delle condizioni che sostengono l'Eterno mutare di Tutto.  Però non si può subordinare la ricerca ( e qui non intendo solo la ricerca scientifica) ad un giudizio a priori, ad un pre-giudizio sulla natura e sul suo passare ininterrotto.Non possiamo dire che il Divenire non è vero ( nel senso che non è la Realtà ultima) solo perchè noi desideriamo in cuor nostro che non sia vero. Dobbiamo poi investigare in profondità questo divenire e vedere se veramente è negativo, sorretto e conducente al Nulla, come sostieni. Se una cosa è vera lo è indipendentemente dal giudizio , magari viziato dall'avversione o sostenuto dal desiderio, personale di noi. Brutalmente si potrebbe dire che il reale è indifferente al fatto che ci stia simpatico o antipatico per come appare.
Per es. prendiamo il Tempo che è il cambiamento stesso. Si presenta come nemico dell'uomo quando ci priva di ciò che amiamo, ma diventa amico quando guarisce una grave malattia, quando ripara le ferite dell'animo con la progressiva dimenticanza, quando lentamente lenisce un dolore. L' autocoscienza  che tipo di giudizio obiettivo può formulare sul Tempo? E' negativo? E' positivo? La risposta più razionale , a mio modesto parere, diventa: né positivo, nè negativo. Il tempo è...semplicemente il tempo. Tutte le cose sono semplicemente se stesse, ma quel loro "essere se stesse" non è dovuto al fatto che dispongono di una sostanza , o "anima", ma lo sono in virtù di cause e condizioni che le pongono in essere. Al mutare delle cause e delle condizioni, mutano anche tutte le cose ( compresa l'autocoscienza). Forse la mia valutazione risente di una sorta d'amore per la Bellezza del divenire  e niente ispira più della caducità, L'amore stesso ha bisogno della caducità. Come potremmo amare i fiori che a Maggio sbocciano sui ciliegi se prima non fosse passato il freddo inverno? Che amore profondo sgorga osservando un figlio che , piano piano, cresce o un vecchio che, pian piano, muore.
C'è una "sacralità" profonda, rabbrividente, nel divenire di tutto. Una sacralità però che non è esterna ad esso. Non è uno spirito che osserva il passare delle cose e ama o soffre. E' il divenire della natura stessa ( qui per natura intendo TUTTA la natura, compreso l'uomo con il suo pensiero e la sua coscienza) che ama e soffre, che crea amore e dolore. Perchè se noi, esseri naturali dotati di ragione e coscienza, amiamo e soffriamo non è proprio per mezzo di noi che la natura ama e soffre in se stessa? Prendiamo una moneta. Una moneta dispone di due facce. Ossevandole si può dire che siano opposte l'una all'altra. Se mettiamo l'effige della coscienza da un lato e quella della natura dall'altro, non otteniamo proprio visivamente l'idea che abbiamo della Realtà? Però le due facce sono un'Unica moneta, sono costruite nella stessa lega, partecipano dello stesso movimento se le gettiamo in aria, cadono insieme...
Io vedo il Divenire come unità indissolubile di coscienza e materia e la lega che lo forgia la "sete d'esistere" o "volontà d'esistere". Una volontà cieca , quasi brutale, indifferente alle ragioni dell'Io personale, costretta ad andare eternamente avanti per le stesse cause e condizioni che la costituiscono ma, nell'uomo che la pensa, si pensa; nell'uomo che ne è cosciente, è cosciente di questo suo stato e ....( non prendetemi per folle visionario, sono solo un inadeguato esteta...) ne soffre, amandosi disperatamente.. Per questo ,alla Natura che in eterno si trasforma, donerei il nome  "Il Vivente".
Non degrado l'uomo  partecipandolo dell'eterno mutamento, ma lo innalzo come colui che rende vivo e cosciente l'eterno mutare delle cose.


P.S: In pratica ho tentato di fondere, in un tutt'uno inscindibile, Coscienza e Materia. Si potrebbe dire che sostengo la "spiritualizzazione" della materia ( anche se odio il termine "spirito") o la "materializzazione" dello spirito ...( e non sono ancora ubriaco!... ;D)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

acquario69

#91
Citazione di: Sariputra il 28 Agosto 2016, 00:36:46 AM
Postulare che il Reale è il Divenire non significa affatto fermarsi alla semplice osservazione di un'esperienza dei sensi. Nemmeno esclude la logica e la ragione,  che diventa lo studio delle forme , delle cause e delle condizioni che sostengono l'Eterno mutare di Tutto.  Però non si può subordinare la ricerca ( e qui non intendo solo la ricerca scientifica) ad un giudizio a priori, ad un pre-giudizio sulla natura e sul suo passare ininterrotto.Non possiamo dire che il Divenire non è vero ( nel senso che non è la Realtà ultima) solo perchè noi desideriamo in cuor nostro che non sia vero. Dobbiamo poi investigare in profondità questo divenire e vedere se veramente è negativo, sorretto e conducente al Nulla, come sostieni. Se una cosa è vera lo è indipendentemente dal giudizio , magari viziato dall'avversione o sostenuto dal desiderio, personale di noi. Brutalmente si potrebbe dire che il reale è indifferente al fatto che ci stia simpatico o antipatico per come appare.
Per es. prendiamo il Tempo che è il cambiamento stesso. Si presenta come nemico dell'uomo quando ci priva di ciò che amiamo, ma diventa amico quando guarisce una grave malattia, quando ripara le ferite dell'animo con la progressiva dimenticanza, quando lentamente lenisce un dolore. L' autocoscienza  che tipo di giudizio obiettivo può formulare sul Tempo? E' negativo? E' positivo? La risposta più razionale , a mio modesto parere, diventa: né positivo, nè negativo. Il tempo è...semplicemente il tempo. Tutte le cose sono semplicemente se stesse, ma quel loro "essere se stesse" non è dovuto al fatto che dispongono di una sostanza , o "anima", ma lo sono in virtù di cause e condizioni che le pongono in essere. Al mutare delle cause e delle condizioni, mutano anche tutte le cose ( compresa l'autocoscienza). Forse la mia valutazione risente di una sorta d'amore per la Bellezza del divenire  e niente ispira più della caducità, L'amore stesso ha bisogno della caducità. Come potremmo amare i fiori che a Maggio sbocciano sui ciliegi se prima non fosse passato il freddo inverno? Che amore profondo sgorga osservando un figlio che , piano piano, cresce o un vecchio che, pian piano, muore.
C'è una "sacralità" profonda, rabbrividente, nel divenire di tutto. Una sacralità però che non è esterna ad esso. Non è uno spirito che osserva il passare delle cose e ama o soffre. E' il divenire della natura stessa ( qui per natura intendo TUTTA la natura, compreso l'uomo con il suo pensiero e la sua coscienza) che ama e soffre, che crea amore e dolore. Perchè se noi, esseri naturali dotati di ragione e coscienza, amiamo e soffriamo non è proprio per mezzo di noi che la natura ama e soffre in se stessa? Prendiamo una moneta. Una moneta dispone di due facce. Ossevandole si può dire che siano opposte l'una all'altra. Se mettiamo l'effige della coscienza da un lato e quella della natura dall'altro, non otteniamo proprio visivamente l'idea che abbiamo della Realtà? Però le due facce sono un'Unica moneta, sono costruite nella stessa lega, partecipano dello stesso movimento se le gettiamo in aria, cadono insieme...
Io vedo il Divenire come unità indissolubile di coscienza e materia e la lega che lo forgia la "sete d'esistere" o "volontà d'esistere". Una volontà cieca , quasi brutale, indifferente alle ragioni dell'Io personale, costretta ad andare eternamente avanti per le stesse cause e condizioni che la costituiscono ma, nell'uomo che la pensa, si pensa; nell'uomo che ne è cosciente, è cosciente di questo suo stato e ....( non prendetemi per folle visionario, sono solo un inadeguato esteta...) ne soffre, amandosi disperatamente.. Per questo ,alla Natura che in eterno si trasforma, donerei il nome  "Il Vivente".
Non degrado l'uomo  partecipandolo dell'eterno mutamento, ma lo innalzo come colui che rende vivo e cosciente l'eterno mutare delle cose.


P.S: In pratica ho tentato di fondere, in un tutt'uno inscindibile, Coscienza e Materia. Si potrebbe dire che sostengo la "spiritualizzazione" della materia ( anche se odio il termine "spirito") o la "materializzazione" dello spirito ...( e non sono ancora ubriaco!... ;D)

mi piacerebbe capire meglio le cose che hai descritto sopra

mi sembra quindi di capire che per te non ce' nessuno "IO" e inoltre che tutto si svolge senza causa determinante o principio, e che insomma tutto si svolgerebbe in se stesso in un eterno divenire e diciamo noi compresi,partecipandovi in una sorta di "fusione"

ho interpretato bene!?

ora (se) stando così le cose come dici tu qui sopra,secondo me vengono fuori un paio di contraddizioni;
la prima e' che in questo modo questo eterno divenire sia contemporaneamente anche cio che e' (tu sopra citi,io vedo il divenire come unita' indissolubile,al che mi chiedo: come può infatti qualcosa di indissolubile,percio indivisibile in se stesso,divenire e quindi mutare?)...allora o l'uno o l'altro perché come può il divenire essere allo stesso tempo cio che e'?

collegato a quanto sopra poi subentrerebbe anche la seconda contraddizione poiché il fatto di sostenere che non può esserci un principio,diventa implicitamente anch'esso un principio e questo secondo me mette in evidenza che al principio stesso e' impossibile sfuggire,il che ne denuncia la sua stessa esistenza,pur non riconoscendola.

Sariputra

Citazione di: acquario69 il 28 Agosto 2016, 07:34:46 AM
Citazione di: Sariputra il 28 Agosto 2016, 00:36:46 AM[/font][/size] [font=Verdanastando così le cose come dici tu qui sopra,secondo me vengono fuori un paio di contraddizioni;[/font] la prima e' che in questo modo questo eterno divenire sia contemporaneamente anche cio che e' (tu sopra citi,io vedo il divenire come unita' indissolubile,al che mi chiedo: come può infatti qualcosa di indissolubile,percio indivisibile in se stesso,divenire e quindi mutare?)...allora o l'uno o l'altro perché come può il divenire essere allo stesso tempo cio che e'? collegato a quanto sopra poi subentrerebbe anche la seconda contraddizione poiché il fatto di sostenere che non può esserci un principio,diventa implicitamente anch'esso un principio e questo secondo me mette in evidenza che al principio stesso e' impossibile sfuggire,il che ne denuncia la sua stessa esistenza,pur non riconoscendola.

Rispondo prima alla seconda obiezione.
Non può essere dato un principio a qualcosa che è eterno. Non c'è inizio e non c'è fine all'eterno mutamento. Qual'è il principio? 
Se per principio invece sostieni che una cosa è fondata in se stessa, allora sì, l'eterno divenire è fondato in se stesso. Fondato sulle sue cause e condizioni che lo trasformano ininterrottamente. E' una catena di produzione condizionata. 
Sulla prima obiezione invece ho scritto che l'unità indissolubile riguarda l'unione di materia ( intesa come Natura) e coscienza. La definisco indissolubile perchè, proprio come gli anelli di una catena, nessuna forma del divenire può sorreggersi da sola, ma acquista il suo senso solo nel legame con le altre cause e condizioni . L'Io cosciente è semplicemente un anello della catena.
La mente umana, che come giustamente scrive Paul, ragiona e usa la logica, definisce le forme del divenire, me è impossibilitata , per la struttura stessa del linguaggio, a concepire qualcosa di perennemente "fluido" e in continua trasformazione.
Per questo l'intuizione e le forme dell'Arte si avvicinano di più alla "conoscenza" del reale, a parer mio. Proprio perchè trascendono i limiti del linguaggio concettuale.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

paul11

Sariputra,

Sai che quello che scrivo  è armonico in grande parte anche alla spiritualità orientale, ma ti sfugge la logica dialettica

Se penso che il mondo della sola natura esiste e tutto è divenire la mia autocoscienza si attacca necessariamente al divenire, costruendo il possesso.Persino la conoscenza diventa conquista, le case, il denaro, tutto ciò che è fisico e osservabile, diventa attaccamento ,così la mia stessa vita.

L'errore delle spiritualità orientali, ma non era così in origine, è pensare che che si possa governare l'autocoscienza 
per il mondo IN-Sè-E-PER- SE':anche questa è una forma di egoismo, molto più sottile.
La metafisica è necessaria per chiudere il cerchio, in senso orientale è come se un blocco energetico che si manifesta come malattia non riesce a passare per le linee energetiche
Perchè capisce che se il movimento della conoscenza e dei sentimenti si ferma agli oggetti della materia che appaiono es scompaiono nel tempo, tutto è fatuo.Ma l'autocoscienza ferma il tempo .
L'uomo non è solo cognitivo, ha una coscienza.

Il divenire non è che non offre la conoscenza, non ho mai detto che la scienza contemporanea sia falsa, è utile e funzionale a scopi, ma non è la verità ciò che può fermare se si ferma al mondo in divenire, alla realtà che lascia dietro di sè solo vestigie e memorie che si perdono nelle nebbie dei tempi. E' la coscienza che fa vivere oltre il tempo, è lei che unisce il passato, il presente e il futuro offrendosi come intuizione alla ragione calcolativa e logica..
Quando riflettiamo si presenta l'autocoscienza e si relaziona alla conoscenza della ragione, è quì che emergono i movimenti contraddittori che l'autocoscienza deve dirimere.
Se tutto passa e va e la ragione segue il movimento del divenire, l'autocoscienza ha registrato le nostre essenze fuori dal tempo e le correla ai movimenti della ragione.Cerca le costanti senza tempo che le variaibili delle apparenze despistano nel contraddittorio del finito.
La logica, la ragione, l'autocoscienza e persino i sentimenti allora comprendono quella leggerezza dell'essere che gli impone di conoscere e di accettare la vita, ma di non finalizzarsi nel divenire della morte come fine del Tutto, poichè vi porterebbe i propri desideri, il possesso, la diversità e la frammentazione, illudendosi che il suo Ego sia unicità contro altre unicità frammentate di umani che vengono e vanno alla vita.

Phil

Citazione di: Sariputra il 28 Agosto 2016, 10:01:09 AMl'intuizione e le forme dell'Arte si avvicinano di più alla "conoscenza" del reale, a parer mio. Proprio perchè trascendono i limiti del linguaggio concettuale.
Se mi è concesso, vorrei prendermi la libertà di "ristrutturare" questa tua osservazione, non perché sia "fatiscente" (anzi!), ma proprio perché vorrei provare ad "abitarla" e, com'è noto, ogni inquilino "personalizza" sempre il suo "habitat" (non mi chiederai l'affitto, giusto? Confido nella tua ospitalità  ;) )

Un elemento che eliminerei è l'intuizione (se intesa laicamente come  balenare di una possibile verità): secondo me, è troppo vincolata a ciò da cui nasce (la mente, l'inconscio...) per essere ritenuta adeguatamente affidabile (intendiamoci, a volte lo è, e ci risolve persino alcuni problemi...). Per inciso, penso che nel silenzio alinguistico (di cui si è parlato in precedenza) non si intuisca, ma si esperisca. Che differenza c'è? Che l'intuizione, secondo me, convoca l'angusto problema della verità con più facilità di quanto lo faccia l'esperienza (ma ammetto che è una distinzione molto personale).

L'arte si avvicina alla "conoscenza" del reale? Vorrei innescare al massimo la potenzialità di quelle virgolette, fino a tramutare "conoscenza" (parola gravida di concetti elucubrativi come soggetto/oggetto, verità, sapienza, etc.) in "esperienza". Ciò che infatti ritengo l'arte faccia accadere è l'esperienza, non una "comunicazione gnoseologica"... esperienza del vero? Solo se ci accostiamo all'arte ciecamente affamati di verità e quindi (auto)suggestionati dal desiderio di trovarla (finendo per vedere dappertutto le sue tracce...).

L'arte e l'intuizione trascendono i limiti del linguaggio concettuale? Direi che hanno un loro linguaggio che non è quello logico: l'intuizione ci comunica "qualcosa" (che tuttavia non possiamo formalizzare logicamente in modo esatto), l'arte ci comunica un "input" che fa accadere l'evento estetico (la sua comunicazione quindi può essere solo parafrasata con parole e concetti, ma di per sé non è un "dire"...). Forse risponderei alla domanda dicendo che il linguaggio, anzi, i linguaggi dell'intuizione e dell'arte non hanno limiti concettuali (più che "trascendere" quelli del linguaggio formale: si tratta di linguaggi differenti, non necessariamente "comunicanti" fra loro).


P.s. Forse abuso dei termini "accadere" ed "esperire", ma sono due parole "dinamiche" che arrancano nel tentativo di descrivere la temporalità del divenire, per evitare di cristallizzare la vita in monolitiche identità che si prestano alla rigida speculazione metafisica (nobile per storia, ma che ragiona solo in termini di "fotogrammi", incapace di comprendere, anzi, esperire il "filmato"...).

P.p.s. Ecco, ora che ho "ristrutturato" la tua osservazione, mi rendo conto che ho trasformato un accogliente monolocale in una cuccia per cani... sarà per questo che non faccio l'architetto?!

Sariputra

Citazione di: paul11 il 28 Agosto 2016, 10:56:43 AMSariputra, Sai che quello che scrivo è armonico in grande parte anche alla spiritualità orientale, ma ti sfugge la logica dialettica Se penso che il mondo della sola natura esiste e tutto è divenire la mia autocoscienza si attacca necessariamente al divenire, costruendo il possesso.Persino la conoscenza diventa conquista, le case, il denaro, tutto ciò che è fisico e osservabile, diventa attaccamento ,così la mia stessa vita. L'errore delle spiritualità orientali, ma non era così in origine, è pensare che che si possa governare l'autocoscienza per il mondo IN-Sè-E-PER- SE':anche questa è una forma di egoismo, molto più sottile. La metafisica è necessaria per chiudere il cerchio, in senso orientale è come se un blocco energetico che si manifesta come malattia non riesce a passare per le linee energetiche Perchè capisce che se il movimento della conoscenza e dei sentimenti si ferma agli oggetti della materia che appaiono es scompaiono nel tempo, tutto è fatuo.Ma l'autocoscienza ferma il tempo . L'uomo non è solo cognitivo, ha una coscienza. Il divenire non è che non offre la conoscenza, non ho mai detto che la scienza contemporanea sia falsa, è utile e funzionale a scopi, ma non è la verità ciò che può fermare se si ferma al mondo in divenire, alla realtà che lascia dietro di sè solo vestigie e memorie che si perdono nelle nebbie dei tempi. E' la coscienza che fa vivere oltre il tempo, è lei che unisce il passato, il presente e il futuro offrendosi come intuizione alla ragione calcolativa e logica.. Quando riflettiamo si presenta l'autocoscienza e si relaziona alla conoscenza della ragione, è quì che emergono i movimenti contraddittori che l'autocoscienza deve dirimere. Se tutto passa e va e la ragione segue il movimento del divenire, l'autocoscienza ha registrato le nostre essenze fuori dal tempo e le correla ai movimenti della ragione.Cerca le costanti senza tempo che le variaibili delle apparenze despistano nel contraddittorio del finito. La logica, la ragione, l'autocoscienza e persino i sentimenti allora comprendono quella leggerezza dell'essere che gli impone di conoscere e di accettare la vita, ma di non finalizzarsi nel divenire della morte come fine del Tutto, poichè vi porterebbe i propri desideri, il possesso, la diversità e la frammentazione, illudendosi che il suo Ego sia unicità contro altre unicità frammentate di umani che vengono e vanno alla vita.

Mi sembra di capire che tu intenda la ragione come l'unica possibilità di portare il reale all'autocoscienza. Lo fa attraverso simboli e concetti che io invece definisco come interpretazioni delle cause e delle condizioni del reale. E non è vero, secondo me ovviamente, che se penso che tutto è divenire io mi attacco al divenire. Per esempio osservando il dolore inerente al divenire sorge disgusto, distacco dal divenire stesso. Qui  l'errore profondo è interpretare questo disgusto come prova dell'esistenza di "qualcosa" (anima) di natura sostanziale e diversa dal divenire che lo rifiuta e che se ne vuole liberare.
In realtà io vedo questa sensazione come operante all'interno del divenire stesso, in quanto, osservandola noto come l'Io prova disgusto perchè interpreta il divenire come una minaccia per la falsa idea di esistere in sé, come altro dal divenire. In realtà è proprio perchè tutto diviene che esiste una cessazione del dolore dell'Io.
In più non riesco a comprendere cosa intendi con "essenze fuori dal tempo". Sono per caso le Idee? Se attribuisci alle idee dell'Uomo, attraverso i tempi, un valore di assoluto non posso seguirti in quanto a me sembra che proprio le idee dell'uomo siano in continuo mutamento. Mutamento che coinvolge la morale stessa.
Se invece queste "essenze" si riferiscono alla logica e alla matematica, io non vedo contraddizione con il divenire, in quanto questo eterno mutamento segue una logica ferrea, la logica appunto delle sue cause e condizioni che lo mantengono in essere e lo costituiscono e che ovviamente non possono farlo precipitare nel caos.
E' vero, quello che scrivi è spesso molto armonico con la speculazione filosofica orientale, io lo interpreto molto vicino al sistema Samkhya di Isvarakrsna -Gaudapada, ma per certi aspetti anche molto lontano. Il radicale rifiuto della metafisica fa parte dell'Insegnamento di Gotama Siddharta ( il celeberrimo "Silenzio del Buddha") definita la "Giungla del teorizzare, il groviglio del teorizzare". Spetterà ai suoi seguaci costruirne una che porterà lontano dagli insegnamenti originali.
Anche la mia comunqua si può senz'altro definire come "teoria". AVrei dovuto coltivare il Silenzio... :D :D
Sulla strada del bosco
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Sariputra

#96
Citazione di: Phil il 28 Agosto 2016, 12:00:43 PM
Citazione di: Sariputra il 28 Agosto 2016, 10:01:09 AMl'intuizione e le forme dell'Arte si avvicinano di più alla "conoscenza" del reale, a parer mio. Proprio perchè trascendono i limiti del linguaggio concettuale.
Se mi è concesso, vorrei prendermi la libertà di "ristrutturare" questa tua osservazione, non perché sia "fatiscente" (anzi!), ma proprio perché vorrei provare ad "abitarla" e, com'è noto, ogni inquilino "personalizza" sempre il suo "habitat" (non mi chiederai l'affitto, giusto? Confido nella tua ospitalità ;) ) Un elemento che eliminerei è l'intuizione (se intesa laicamente come balenare di una possibile verità): secondo me, è troppo vincolata a ciò da cui nasce (la mente, l'inconscio...) per essere ritenuta adeguatamente affidabile (intendiamoci, a volte lo è, e ci risolve persino alcuni problemi...). Per inciso, penso che nel silenzio alinguistico (di cui si è parlato in precedenza) non si intuisca, ma si esperisca. Che differenza c'è? Che l'intuizione, secondo me, convoca l'angusto problema della verità con più facilità di quanto lo faccia l'esperienza (ma ammetto che è una distinzione molto personale). L'arte si avvicina alla "conoscenza" del reale? Vorrei innescare al massimo la potenzialità di quelle virgolette, fino a tramutare "conoscenza" (parola gravida di concetti elucubrativi come soggetto/oggetto, verità, sapienza, etc.) in "esperienza". Ciò che infatti ritengo l'arte faccia accadere è l'esperienza, non una "comunicazione gnoseologica"... esperienza del vero? Solo se ci accostiamo all'arte ciecamente affamati di verità e quindi (auto)suggestionati dal desiderio di trovarla (finendo per vedere dappertutto le sue tracce...). L'arte e l'intuizione trascendono i limiti del linguaggio concettuale? Direi che hanno un loro linguaggio che non è quello logico: l'intuizione ci comunica "qualcosa" (che tuttavia non possiamo formalizzare logicamente in modo esatto), l'arte ci comunica un "input" che fa accadere l'evento estetico (la sua comunicazione quindi può essere solo parafrasata con parole e concetti, ma di per sé non è un "dire"...). Forse risponderei alla domanda dicendo che il linguaggio, anzi, i linguaggi dell'intuizione e dell'arte non hanno limiti concettuali (più che "trascendere" quelli del linguaggio formale: si tratta di linguaggi differenti, non necessariamente "comunicanti" fra loro). P.s. Forse abuso dei termini "accadere" ed "esperire", ma sono due parole "dinamiche" che arrancano nel tentativo di descrivere la temporalità del divenire, per evitare di cristallizzare la vita in monolitiche identità che si prestano alla rigida speculazione metafisica (nobile per storia, ma che ragiona solo in termini di "fotogrammi", incapace di comprendere, anzi, esperire il "filmato"...). P.p.s. Ecco, ora che ho "ristrutturato" la tua osservazione, mi rendo conto che ho trasformato un accogliente monolocale in una cuccia per cani... sarà per questo che non faccio l'architetto?!


Magari non sarai un grande architetto...ma come filosofo non te la cavi niente male!! :D :D  
Concordo con te : Esperienza definisce meglio che non intuizione. In realtà volevo scrivere Prajna , un termine sanscrito che però non ha un esatto equivalente nella nostra lingua (Conoscenza intuitiva? Visione intuitiva? Legato al meditare...), quindi "esperienza" ha un significato più vasto che non intuizione.
Anche sull'Arte e sul suo significato , con tutti i limiti che evidenzi, concordo. Infatti ho scritto :"l'intuizione e le forme dell'Arte si avvicinano di più alla "conoscenza" del reale.
"Si avvicinano" , ma non possono esaurire la conoscenza del divenire. Mi sembrano al momento gli strumenti meno spuntati, a parer mio, di cui disponiamo . Dei sussidi propedeutici alla famosa "esperienza". Non dispongono di un linguaggio logico, parlano la loro lingua, spesso meno arida di quella logica. E' un linguaggio "open" :D...creativo.
Apprezzo molto quel: "accadere" ed "esperire"sono due parole "dinamiche" che arrancano nel tentativo di descrivere la temporalità del divenire, per evitare di cristallizzare la vita in monolitiche identità che si prestano alla rigida speculazione metafisica (nobile per storia, ma che ragiona solo in termini di "fotogrammi".
Per caso hai tempo pure per ristrutturare casa mia, pesantemente decaduta e che dimostra tutto l'eterno passare del tempo?...In questo giorni avrei bisogno di qualcuno che mi aiutasse a riverniciare gli infissi delle finestre. Pago poco però...un prosecchino di Valdobbiadene o un caffè napoletano vanno bene lo stesso? Serviti dalla Vania naturalmente... :D :D :D  
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acquario69

#97
CitazioneSariputra:
Rispondo prima alla seconda obiezione.

Non può essere dato un principio a qualcosa che è eterno. Non c'è inizio e non c'è fine all'eterno mutamento. Qual'è il principio?
Se per principio invece sostieni che una cosa è fondata in se stessa, allora sì, l'eterno divenire è fondato in se stesso. Fondato sulle sue cause e condizioni che lo trasformano ininterrottamente. E' una catena di produzione condizionata.
Sulla prima obiezione invece ho scritto che l'unità indissolubile riguarda l'unione di materia ( intesa come Natura) e coscienza. La definisco indissolubile perchè, proprio come gli anelli di una catena, nessuna forma del divenire può sorreggersi da sola, ma acquista il suo senso solo nel legame con le altre cause e condizioni . L'Io cosciente è semplicemente un anello della catena.
La mente umana, che come giustamente scrive Paul, ragiona e usa la logica, definisce le forme del divenire, me è impossibilitata , per la struttura stessa del linguaggio, a concepire qualcosa di perennemente "fluido" e in continua trasformazione.

Per questo l'intuizione e le forme dell'Arte si avvicinano di più alla "conoscenza" del reale, a parer mio. Proprio perchè trascendono i limiti del linguaggio concettuale.



il linguaggio e la mente hanno evidenti limiti,percio e' chiaro che si può stare a discutere all'infinito e non arriveremo mai a coglierlo proprio a motivo delle premesse iniziali...ma abbiamo comunque l'intuizione che facendo un paragone e' come il silenzio che si "oppone" alla parola..ma che e' anche al tempo stesso,il contenitore di tutte le sue possibilità,allo stesso modo del principio da cui tutto scaturisce (spero si capisca il concetto)

per cercare di rientrare nell'argomento senza troppe dispersioni "perché si ha paura di morire"
io dico questo:
la morte non esiste,per cui a me non fa nessuna paura...quello che mi scoccia semmai e' la sofferenza,ma qui credo si entrerebbe di nuovo in un labirinto,percio questo punto lo chiudo così.
un altra cosa che voglio dire e che penso proprio non coincide con la tua concezione,e' che la coscienza (non l'ego/IO) e' "qualcosa" che e' "al di fuori" di questo eterno divenire,ed e' il principio immutabile su cui ruota tutto il divenire stesso e le sue incessanti forme..( analogo esempio e' lo stesso silenzio accennato sopra) una volta morti,questa coscienza incarnata si libera da questa stessa forma "attuale"...

Phil

Citazione di: Sariputra il 28 Agosto 2016, 13:14:45 PMPrajna , un termine sanscrito che però non ha un esatto equivalente nella nostra lingua (Conoscenza intuitiva? Visione intuitiva? Legato al meditare...)
Molto interessante la Prajna come intuizione indotta dalla meditazione (o meditazione che porta all'intuizione), ovvero, se ho ben inteso, come esperienza dalle conseguenze "illuminanti"(o "risveglianti"), estranea alla logica del conoscere formalizzato, alla razionalità del comprendere linguistico e al misticismo dell'ascesi a dio. 
Credo non ci sia un termine adatto a tradurre "Prajna" perché la cultura occidentale (greco-cristiana) probabilmente non ha mai concepito un tipo di """conoscenza""" basata su un "uso del corpo", basti pensare alla differente sfumatura semantica del verbo "meditare": in occidente viene inteso soprattutto come ponderare, riflettere, valutare, mentre in oriente viene inteso perlopiù come pratica disciplinata del proprio corpo (con attenzione al respiro, alla postura, etc.).

Citazione di: Sariputra il 28 Agosto 2016, 13:14:45 PMIn questo giorni avrei bisogno di qualcuno che mi aiutasse a riverniciare gli infissi delle finestre. Pago poco però...un prosecchino di Valdobbiadene o un caffè napoletano vanno bene lo stesso? Serviti dalla Vania naturalmente... :D :D :D
Grazie per l'invito, ma, in tutta onestà, non mi ti consiglio... sarei un manutentore estremamente inadeguato ( ;) ), rischierei di verniciare anche i vetri... magari ne verrebbero giochi di luce interessanti  ;D

paul11

Citazione di: Sariputra il 28 Agosto 2016, 12:03:58 PM
Citazione di: paul11 il 28 Agosto 2016, 10:56:43 AMSariputra, Sai che quello che scrivo è armonico in grande parte anche alla spiritualità orientale, ma ti sfugge la logica dialettica Se penso che il mondo della sola natura esiste e tutto è divenire la mia autocoscienza si attacca necessariamente al divenire, costruendo il possesso.Persino la conoscenza diventa conquista, le case, il denaro, tutto ciò che è fisico e osservabile, diventa attaccamento ,così la mia stessa vita. L'errore delle spiritualità orientali, ma non era così in origine, è pensare che che si possa governare l'autocoscienza per il mondo IN-Sè-E-PER- SE':anche questa è una forma di egoismo, molto più sottile. La metafisica è necessaria per chiudere il cerchio, in senso orientale è come se un blocco energetico che si manifesta come malattia non riesce a passare per le linee energetiche Perchè capisce che se il movimento della conoscenza e dei sentimenti si ferma agli oggetti della materia che appaiono es scompaiono nel tempo, tutto è fatuo.Ma l'autocoscienza ferma il tempo . L'uomo non è solo cognitivo, ha una coscienza. Il divenire non è che non offre la conoscenza, non ho mai detto che la scienza contemporanea sia falsa, è utile e funzionale a scopi, ma non è la verità ciò che può fermare se si ferma al mondo in divenire, alla realtà che lascia dietro di sè solo vestigie e memorie che si perdono nelle nebbie dei tempi. E' la coscienza che fa vivere oltre il tempo, è lei che unisce il passato, il presente e il futuro offrendosi come intuizione alla ragione calcolativa e logica.. Quando riflettiamo si presenta l'autocoscienza e si relaziona alla conoscenza della ragione, è quì che emergono i movimenti contraddittori che l'autocoscienza deve dirimere. Se tutto passa e va e la ragione segue il movimento del divenire, l'autocoscienza ha registrato le nostre essenze fuori dal tempo e le correla ai movimenti della ragione.Cerca le costanti senza tempo che le variaibili delle apparenze despistano nel contraddittorio del finito. La logica, la ragione, l'autocoscienza e persino i sentimenti allora comprendono quella leggerezza dell'essere che gli impone di conoscere e di accettare la vita, ma di non finalizzarsi nel divenire della morte come fine del Tutto, poichè vi porterebbe i propri desideri, il possesso, la diversità e la frammentazione, illudendosi che il suo Ego sia unicità contro altre unicità frammentate di umani che vengono e vanno alla vita.
Mi sembra di capire che tu intenda la ragione come l'unica possibilità di portare il reale all'autocoscienza. Lo fa attraverso simboli e concetti che io invece definisco come interpretazioni delle cause e delle condizioni del reale. E non è vero, secondo me ovviamente, che se penso che tutto è divenire io mi attacco al divenire. Per esempio osservando il dolore inerente al divenire sorge disgusto, distacco dal divenire stesso. Qui l'errore profondo è interpretare questo disgusto come prova dell'esistenza di "qualcosa" (anima) di natura sostanziale e diversa dal divenire che lo rifiuta e che se ne vuole liberare. In realtà io vedo questa sensazione come operante all'interno del divenire stesso, in quanto, osservandola noto come l'Io prova disgusto perchè interpreta il divenire come una minaccia per la falsa idea di esistere in sé, come altro dal divenire. In realtà è proprio perchè tutto diviene che esiste una cessazione del dolore dell'Io. In più non riesco a comprendere cosa intendi con "essenze fuori dal tempo". Sono per caso le Idee? Se attribuisci alle idee dell'Uomo, attraverso i tempi, un valore di assoluto non posso seguirti in quanto a me sembra che proprio le idee dell'uomo siano in continuo mutamento. Mutamento che coinvolge la morale stessa. Se invece queste "essenze" si riferiscono alla logica e alla matematica, io non vedo contraddizione con il divenire, in quanto questo eterno mutamento segue una logica ferrea, la logica appunto delle sue cause e condizioni che lo mantengono in essere e lo costituiscono e che ovviamente non possono farlo precipitare nel caos. E' vero, quello che scrivi è spesso molto armonico con la speculazione filosofica orientale, io lo interpreto molto vicino al sistema Samkhya di Isvarakrsna -Gaudapada, ma per certi aspetti anche molto lontano. Il radicale rifiuto della metafisica fa parte dell'Insegnamento di Gotama Siddharta ( il celeberrimo "Silenzio del Buddha") definita la "Giungla del teorizzare, il groviglio del teorizzare". Spetterà ai suoi seguaci costruirne una che porterà lontano dagli insegnamenti originali. Anche la mia comunqua si può senz'altro definire come "teoria". AVrei dovuto coltivare il Silenzio... :D :D

Il disgusto è ancora sentimento ,non è ragione tanto meno autocoscienza.Quel disgusto deve seguire i movimenti dentro gli strumenti conoscitivi. la ragione deve sciogliere l contraddizione che gli porta il sentimento che tende a separare a focalizzarsi in qualcosa tralasciando altro, per cui l'amore diventa ad esempio possesso se la ragione l'autocoscienza non lo rapportano ad una unicità. e di nuovo dal deduttivo nellì'induttivo invertendo il movimento

Acquario è vicino al mio modo di pensare.

Se ti lasci guidare dall'IO .l'ego continuerà  a cercarsi strada nel mondo dei desideri, ma non potrà mai essere soddisfatto e teme ovviamente la morte come fine contraddittoria del Tutto, perchè lui finisce, perchè lui è attaccato alle apparenze perchè vive nei e di frammenti.L'Io egoico è solo dentro la natura e si oppone ,all'autocoscienza si costituisce per sopravvivere, ma non per vivere nella riflessione del pensiero.
Se vince giustificandosi nella ragione, allora l'uomo intero deve negare la propria autocoscienza e riconoscersi necessariamente nel divenire e deve obliare tutto ciò che dal rapporto autocoscienza/ragione porterebbe all'origini dell'unicità.
Quando lo fa l'uomo e la società si manifestano come malattia, come separazione dell'indivisibile. perchè l'oblio è solo nascondimento non si può negare ciò che è e deve necessariamente essere, allora l'uomo soffre perchè l'anima di nuovo suggerisce all'autocoscienza che chiede alla ragione le domande esistenziali, i primitivi filosofici e religiosi.Fin quando l'uomo oblierà la propria autocoscienza rimarrà immaturo e decadrà.
E se quell'uomo penserà che l'autocoscienza è dividere nel mondo della natura il bene e il male , il giusto o lo sbagliato, errerà continuamente nell'opinione delle condizioni culturali che di nuovo si susseguiranno temporalmente dicendo oggi ciò che è bene e della stesa cosa domani ne dichiarerà il male,

In effetti il termine essenza è ambiguo, in quanto storicamente mutato.
Ad esempio un'equazione che spiega non un fenomeno ,ma un principio per me  è essenza.
Quindi comincia a riunificare i frammenti nel mondo delle apparenze e li confronta.
Deve trovare le costanti , la fermezza, non le variabili nel e del divenire.
L'essenza  è trovare nelle diversità umane e del mondo ciò che li unisce e caratterizza.
Ma il movimento del conoscere non può fermarsi all'appercezione e trovarvi le regole di questo dominio.
La ragione quindi porta l essenze all'autocoscienza che riflette e unisce le correlazioni fra i domini.
E' fuori dal tempo pur essendo nel tempo la correlazione che compie l'autocoscienza.

Ribadisco, non nego la scienza dentro il dominio della natura, ma nego la scienza come strumento di verità dentro un dominio ritenuto vero.Se ci si crede allora coerentemente dovresti negare la tua propria coscienza, e la tua spiritualità, ti serve solo come training autogeno,Se non la neghi, come praticamente tutti fanno, agiscono solo per convenienza ,ma non perchè credono in ciò che pensano o fanno, ovvero contraddittoriamente procedono nel divenire obliando parte di sè, e fischiettando accettano che il vento li porti dove vorrà.
Si può essere benissimo "anime belle" ed ingenue e cercare pezzi di felicità e di serenità.
Ma fin quando il destino porterà il vento felice. Ma mai capirà quell'uomo il destino e sarà sempre in balia degli eventi, chiamandoli fortuna e sfortuna.
Lo so benissimo che l'evidenza della natura è fortissima, il metafisico è celato e da scoprire, così il tramonto segue l'alba, il tempo scorre. Poichè l'inerzia è la potenza della natura, la metafisica richiede di andare oltre l'ozio fisico del divenire che trasporta inconsapevoli esistenze.

davintro

Se tutto ciò che è reale coincidesse con il divenire non sarebbe possibile neanche la coscienza del divenire, del mutamento stesso. Noi possiano riconoscere in noi il cambiamento a partire dall'esperienza di una successione di stadi della nostra esistenza. Ma questa successione si riferisce ad un soggetto che viene percepito come sempre lo stesso, seppur mutato in alcune sue componenti. Ciò che ero primo, ciò che sono, ciò che sarò sono differenti ma appartengono ad uno stessa sostanza o substrato che costituisce la nostra identità personale. Quando la mia autocoscienza mi avverte di essere cambiato, io sto ricordando. L'Io, trascendendo l'immediatezza istantanea del puro presente (di fronte invece dovrebbe fermarsi riducendolo materialisticamente ed empiristicamente ad una vuota tabula rasa riempita di volta in volta, da stimoli sensibili provenienti dagli oggetti che colpiscono fisicamente i suoi campi percettivi) si protende verso il non-essere del passato creando una continuità passato-presente resa possibile dalla presenza di un "nocciolo", di un nucleo immutabile della persona (in tedesco definibile con "Kern" secondo la terminologia di Edith Stein), cosicchè la coscienza non è un punto, ma una flusso comprendente e riconoscente in sè differenti fasi temporali. In assenza di tale nucleo immutabile non potrei fare alcun esperienza del divenire, l'io del passato che ora ricordo non sarebbe in alcun modo lo stesso io del presente, e allora come potrei dire che "sono cambiato"? Mancherebbe il soggetto del cambiamento, resterebbe un'esperienza di oggetti senza alcun legame di continuità fra loro., anzi non sarebbe possibile alcun ricordo, non solo riferito a me stesso, autocoscienziale, ma anche degli oggetti del mondo esterno, perchè qualunque ricordo di qualunque oggetto presuppone sempre la coscienza di me stesso come osservatore passato di quegli oggetti che era lo stesso osservatore del presente che ora ricorda. In sintesi, la coscienza di essere cambiato presuppone che l'Io passato e l'Io presente siano stadi mutati appartenenti allo stesso soggetto che resta se stesso in nome di una continuità che gli permette di ricondurre a sè la successione dei suoi stadi.

Quindi i due errori dai quali guardarci, a mio parere, dovrebbero essere da un lato la confusione parmenidea eleatica che confonde il livello ontologico formale con quello "materiale" concreto pensando di dedurre dalla reciproca esclusione logica dell' "essere" e del "non-essere", la staticità monolitica di questo essere, non avvedendosi del fatto che il divenire, lungi dall'essere passaggio contradditorio da un assoluto essere ad un assoluto non-essere, va interpretato come trasformazione qualitativa interna dell'essere, che non conduce l'essere al di fuori di sè ma testimonia il passaggio da UN certo tipo d'essere a un ALTRO tipo d'essere, dall'altro lato l'assolutizzazione del divenire, che negando qualunque aspetto di continuità si precluderebbe, come provato a mostrar sopra, la stessa coscienza del divenire stesso. Convivono nella persona aspetti mutevoli e contingenti (aristotelicamente "contingenti"), ed un'essenza immutabile che accoglie in sè la mutevolezza dei caratteri appartenenti al suo substrato. Questa comparecipazione corrisponde alla dualità materia-spirito. L'uomo è sintesi di materia e spirito, la materia determina la nostra mutevolezza , lo spirito fonda la nostra continuità, e universalità, alla luce della coscienza che nella memoria di sè "trattiene" il passato unificandolo entro certi limiti al presente. Ed in questa imperfetta continità l'uomo si scopre analogo, non identico, a quell'Io, che è pura unità senza frammentazione, cioè un puro spirito che, non avendo materialità, è immune dal divenire, Dio. il problema metafisico (e inevitabilmente teologico) si apre nel tentativo di giustificare razionalmente l'origine del carattere di continuità e spiritualità nell'uomo, mostrando tutta la problematicità di un'ipotesi materialistica per la quale l'inferiore, il corruttibile, il contingente (la materia) dovrebbe porsi come causa adeguata a realizzare qualcosa di superiore, incorruttibile, autosufficiente, cioè lo spirito

p.s.
Essendo oggi il mio compleanno spero che eventuali contestazioni non siano troppo aggressive!
(ovviamente scherzo... sono aperto a tutto!)

Sariputra

@ paul
E' impossibile farsi guidare dall'Ego se vedi la consistenza dolorosa e insoddisfacente del divenire ( se la vedi davvero, non se la affermi semplicemente come idea). Spontaneamente decade l'attrazione per ciò che è ripugnante. Ma il divenire è anche coscienza, sentimento, ragione, e quindi spontaneamente la mente rivolge l'attenzione a questo. Nessuna dualità, tra coscienza e natura. E' il rifiuto della metafisica come possibilità di dare un senso all'esistenza se non costruendolo su astrazioni concettuali inverificabili. In effetti quale altra concreta esperienza abbiamo se non quella del divenire e tutte le idee e formule che escogitiamo non si riferiscono sempre al divenire stesso? Persino le religioni sono piene di concetti "in divenire" ( Realizzazione del regno, fine dei tempi, Cieli nuovi e Terra nuova, beatitudine da conquistare con il tempo, ecc.). Questo , a mio parere, dimostra che le cause e condizioni che tengono in essere il divenire sono le stesse che formano la mente umana e il suo lavoro non può sfuggire alle stesse cause e condizioni, anche se ne è inconsapevole ( avidya).
Il centro unificatore, o anima che spiega  anche
@ davintro ( a proposito auguri!! :))
ha una consistenza  temporanea, legata al tempo. Al mutare delle condizioni e delle cause che lo determinano, si trasforma. Anche il corpo agisce come un tutt'uno. I piedi camminano insieme e le braccia dondolano alternativamente mentre passeggiamo, nel frattempo il cuore batte, lo stomaco digerisce e i polmoni respirano. Ma chi se la sentirebbe di dire che è eterno ?
E la mente che si trasforma: da neonato che non ha coscienza di sé, a bimbo che non vede differenza alcuna tra la realtà e i sogni, all'adulto che ha ricordi ma che costantemente li muta, li trasforma, li rimuove e poi al vecchio che perde tutti i ricordi e non distingue più il passato dal presente e perde qualunque possibilità di ragionare e di pensarsi, perchè invece desumiano che tutto questo processo sia l'esperienza di un'anima eterna ? Se quello è così anche questo deve essere necessariamente così, perchè ci dovrebbero essere due realtà separate? Una spirituale e una materiale?
Credo anche che la separazione creata dal pensiero greco-cristiano tra spirito e materia , con questa inferiore e da sottomettere e usare, abbia costruito le basi di una visione negativa e utilitaristica della Natura.
Per questo l'ho definita "Il Vivente" e noi , che siamo nella natura, siamo anche noi "Il Vivente". Quando cessa l'identificazione con l'Ego appare Il Vivente. Cosa c'è di più puro e sacro ?
Però credo che sono andato troppo fuori tema... :-\ :-\ :-\
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

sgiombo

Mi scuso per non aver avuto il tempo di leggere gli interventi in questa discussione.

Per parte mia non temo affatto la morte come "annullamento di ogni cosa per chi la subisce" (in particolare per me); va da sé che non condivido l' affermazione dell' intervento iniziale in questa discussione per la quale "E' evidente che il nulla non può esistere (il che già dire che esiste il nulla,la dice lunga sull'enorme contraddizione)": per me non é per niente illogico o contraddittorio: due negazioni affermano, ma la negazione di un' affermazione nega logicissimamente e sensatissimamente".

Temo piuttosto un' eventuale reincarnazione o metempsicosi: pur essendo assai contento della mia vita attuale (ritengo che sia fortunata, senza alcun mio merito, poiché non me la sono data da me così com' é), constato che molti sono fortemente e crudelissimamente infelici senza alcuna colpa (nessuno si é fatto da sé così com' é, più o meno buono o malvagio: pensiamo ad esempio a chi é ancora vivo e destinato a morire sotto le macerie del terremoto lazio-umbro-marchigiano: qualcosa di orribile!) non vorrei proprio correre il rischio di un' altra vita che potrebbe essere infelice, pur sapendo che sarebbe altrettanto possibile che fosse felice.

Comunque non posso fare nulla per evitare un' eventuale reincarnazione: posso solo sperare che non accada.

Phil

@davintro
Credo che in questa problematicità fra permanente ed impermanente, tu abbia convocato un protagonista fondamentale: la memoria... è lei che dà continuità alla (auto)coscienza, consentendole di assecondare la fluidità del divenire; non serve altro... ogni stato di memoria comprende il precedente (non lo cancella) e, così aumentando, percepisce il passare del tempo: oggi mi ricordo tutto il mio passato fino a ieri (ovviamente con molti "vuoti di memoria", ma credo sia chiaro cosa intendo); domani ricorderò anche oggi, e questa "crescita" di memoria, con la sua continuità, mi farà capire che è passato del tempo e la mia vita, accumulando ricordi, è andata avanti. 

Non serve uno spirito o un'anima per tenere assieme il flusso di coscienza ("joyciano") o per organizzare la memoria: bastano un cervello sano ed un'annessa autocoscienza... il fatto che io viva la vita dal mio punto di vista prospettico (in senso fisico, non metaforico!), e che ciò che ho visto un attimo fa sia seguito da ciò che vedo ora, mi garantisce l'identità e la coesione del mio essere lo stesso soggetto-percipiente che esperisce sensazioni successive e a cui accadono fatti in sequenza (una sorta di dimostrazione per assurdo: non credo che i malati di Alzheimer abbiano un'anima "difettosa", ma la loro crisi d'identità e il loro rapporto conflittuale con l'ordine del divenire, sono dovuti, se non erro, ad un problema di funzionamento esclusivamente fisiologico...)

Banalizzando: il mio computer non ha un'anima (spero!) eppure tenendo traccia della cronologia (delle operazioni che compie, dei siti che visita, etc.) che aumenta giorno dopo giorno, se fosse intelligente, o se avesse addirittura una coscienza, potrebbe percepire anche lui il suo divenire, il suo fluire nel/del tempo. Secondo me, basta avere una memoria cosciente e si può essere consapevoli del proprio divenire e del divenire di ciò che ci circonda...

Con questo non voglio criticare chi crede in un'anima e le ascrive il compito di essere tutore dell'identità dell'individuo, ma solo suggerire che, forse, la coscienza del divenire può anche fare a meno di entità trascendenti o mistiche...

P.s. Buon compleanno!

paul11

Davintro,
buon compleanno...purtroppo il tempo scorre....
Tutta la prima parte la ritengo esatta.
Nel mo modo di vedere l'autocoscienza è centrale, è il centro del cerchio per cui alla periferia appare e scompare il divenire attorno a sè.

Sono d'accordo sul'accennata analisi di Parmeide.
Perchè si ferma al dominio dell'Essere contraddicendo la propria esistenza,  contraddice se stesso come agente epistemologico. E' come dire io esprimo l'Essere ma nego me stesso.
Trovo che l'unica forma non statica sia la filosofia dialettica ,perchè pone le relazioni e quindi spiega.
le filosofie che si fermano al processo dichiarativo e di definizioni ontologiche vanno incontro alla critica giusta di Heidegger, non dicono nulla dell'Essere.
Nel mio modo di vedere l'esser-ci heideggeriano dovrebbe corrispondere al rapporto anima/autocoscienza. 
Ma non vorrei essere confuso nè con l'idealismo e nemmeno con l'esistenzialismo, seppur prendo molti loro spunti.

Hai scritto come la penso quindi non posso che  essere di  nuovo d'accordo.

Ecco preciserei che l'IO è Ego, perchè ho voluto assecondare in questo caso Sariputra, le definizioni poste da altri per cercare di fare meno confusione possibile nella comunicazione interna.
So benissimo che l'IO potrebbe essere definito e interpretato in maniere diverse in base ai domini in cui viene relazionato ( filosofia, psicologia, ecc.).

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