Perche si ha paura di morire?

Aperto da acquario69, 16 Agosto 2016, 06:45:00 AM

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Gibran

Citazione di: acquario69 il 16 Agosto 2016, 06:45:00 AM

sicuramente saro' strano io ma francamente non riesco a capirlo.


ma che cose' che spaventa così tanto,forse l'idea che dopo non vi sarà altro che il nulla?!


E se fosse la paura di perdere qualcosa?

acquario69

#61
Citazione di: Gibran il 24 Agosto 2016, 13:06:27 PM
Citazione di: acquario69 il 16 Agosto 2016, 06:45:00 AM

sicuramente saro' strano io ma francamente non riesco a capirlo.


ma che cose' che spaventa così tanto,forse l'idea che dopo non vi sarà altro che il nulla?!


E se fosse la paura di perdere qualcosa?




penso di si...quando si pensa alla morte,equivale a pensare di perdere se stessi
potrebbe essere percio l'altra faccia della stessa medaglia di chi ha paura del "nulla"

la paura pero viene fuori da qualcosa che non si conosce,(infatti che cose' il "nulla" se non qualcosa di cui non si ha conoscenza?)

percio credo sia solo una questione di conoscenza (chiaramente non formale,ma interiore)..
quindi il punto fondamentale e'; chi sono io? una volta conosciuto questo,non ce più paura,perché non ce più la morte...

Gibran

[Cit.]  "quindi il punto fondamentale e'; chi sono io? una volta conosciuto questo,non ce più paura,perché non ce più la morte..."

Credo anch'io che sia così. La conoscenza di ciò che si è, profonda, interiore, fa scomparire la paura della morte...

Hai messo questa frase in corsivo quindi mi viene da pensare che sia una citazione. Se è così, posso sapere di chi?

Al momento sono in partenza, ma al mio ritorno frà qualche giorno magari riprendo il discorso.

acquario69

#63
Citazione di: Gibran il 24 Agosto 2016, 15:08:21 PM
[Cit.]  "quindi il punto fondamentale e'; chi sono io? una volta conosciuto questo,non ce più paura,perché non ce più la morte..."

Credo anch'io che sia così. La conoscenza di ciò che si è, profonda, interiore, fa scomparire la paura della morte...

Hai messo questa frase in corsivo quindi mi viene da pensare che sia una citazione. Se è così, posso sapere di chi?

Al momento sono in partenza, ma al mio ritorno frà qualche giorno magari riprendo il discorso.


Non e' una citazione...l'ho scritta mentre ci riflettevo sopra...Anzi,dentro di me

..e ripensandoci a posteriori quando mi capita di scrivere parti in corsivo o magari sottolineando,il motivo e' appunto quello di esprimere cio che mi viene fuori come un "immagine" difficile da spiegare a parole,se non attraverso una sintesi

anthonyi

Rispondo a davintro 45,
l'idea di una dialettica tra immanente e trascendente mi convince poco, la dialettica presuppone basi per un linguaggio comunicativo comune e i significati di fondo, tra una rappresentazione immanente e una trascendente (naturalmente pure) del mondo sono differenti. La dialettica può insistere tra individui su contenuti trascendenti se entrambe sono "predisposti". La dialettica su argomenti immanenti è più facile, perché tutti hanno esperienze e contenuti immanenti. Se poi con dialettica si intende il confronto interiore tra esperienze immanenti ed esperienze che si reputano trascendenti allora sono d'accordo.

Rispondo a paul11 56,
nell'altro thread mi dicevi che qui definivi la tua idea di razionalità. In realtà mi sembra che qui si parli soprattutto di senso, ma chissà forse le due cose si avvicinano. Potremmo differenziare tra un senso immanente ed un senso trascendente. Orrore! Cos'è un senso immanente, posso fare un esempio pratico preso dal thread, dove ci si domandava che senso ha il suicidio, ora se la domanda trovasse una risposta compatibile con la legge evoluzionistica (Cosa problematica, visto che è un comportamento direttamente opposto all'istinto di sopravvivenza), questo ridurrebbe la problematicità di trovare un altro tipo di senso, magari trascendente. Il senso, trattato in questo modo, si avvicina molto all'idea di razionalità, entrambe nascono dallo stesso bisogno umano di "chiudere il cerchio", trovare cioè una spiegazione per tutto (o almeno illudersi di averla trovata).

paul11

#65
Anthonyi
ho scritto numerosi post e non posso ripetermi.Utilizzo la filosofia dialettica per mettere in comunicazione i due domini dell'eterno e del divenire, mediati dall'autocoscienza che vive nel contraddittorio mondo delle apparenze.

Dal post di acquario posso dire che l'uomo ha paura di ciò che non conosce,anche di se stesso.
La predittività scientifica si razionalizza in una equazione per prevedere i fenomeni.
Sapere è predire, prevedere e questo porta alla padronanza.Ma la  vera padronanza è conoscere anche e non solo  esternamente i movimenti degli essenti, degli eventi e fenomeni che ritornano all'autocoscienza che correla i due domini.
La conoscenza della cultura contemporanea ,figlia degli ultimi cinque secoli, si è illusa che estendendo la conoscenza  che si è esplicata nella creazione di innumerevoli discipline scientifiche, in miriadi di dati, potesse avere quella padronanza.
La conoscenza così non è sapere, perchè il sapere è sempre riunificazione delle essenze, il distillato della conoscenza.Oggi l'uomo invece di essere padrone di sè è sempre più confuso e la morte fa ancora più paura .

Aniel

Nisargadatta Maharaj non era un uomo istruito, cosi' come pure Ramakrishna, eppure a prova che non e' il bagaglio culturale che puo' far arrivare a 'conoscere' cos'e la morte, ma anzi a volte ne e' di ostacolo, perche' manda come in confusione la mente e preclude quell'intimo 'sentire' che ci connette con il trascendente.
Trascrivo qui un frammento di dialogo tratto dal libro' IO SONO QUELLO' di Sri Nisargadatta Maharaj, un libro che io trovo sempre molto 'illuminante' nel percorso di risposta alla domanda 'Chi sono io?':

Visitatore: Quando il corpo muore, tu continui a esistere?
Maestro: Non muore niente.Il corpo e' soltanto immaginario. In realta' non esiste.
V. Prima della fine del secolo,sarai morto per tutti coloro che ti circondano. Il tuo corpo sara' coperto di fiori,cremato,le ceneri saranno sparse al vento:Questa sara' la nostra esperienza. Quale sara' la tua?
M.Il tempo finira' Viene chiamata 'la grande morte', la morte del tempo.
V.Significa che finira' l'universo e tutto cio' che contiene?
M.L'universo e' una tua esperienza personale:Come puo' essere influenzato? Potresti aver tenuto una grande conferenza per due ore:dov'e' andata quando hai finito? e' stata riassorbita nel silenzio in cui l'inizio,la parte centrale e la fine coincidono. Il tempo deve finire,c'era ma non c'e' piu'. IL SILENZIO dopo una vita di chiacchere, e il silenzio dopo una vita di silenzio sono uguali. L'immortalita' significa liberta' dalla sensazione di esistere,dall' IO SONO' Tuttavia non e' una fine.Al contrario,e' uno stato infinitamente piu' reale,consapevole e felice di quanto tu non possa immaginare. Scompare soltanto la coscienza di se'.
V. Perche' la grande morte della mente non coincide con la piccola morte del corpo?
M.Non coincide! Puoi morire migliaia di volte senza che l'inquietudine della tua mente subisca una battuta di arresto:Oppure puoi conservare il tuo corpo e morire soltanto nella mente. La morte della mente e' l'inizio della saggezza.
.......
V. E il testimone'? E' reale o no?
M.Tutte e due le cose.L'ultima briciola di illusione, il primo tocco del reale. Dire 'io sono il testimone' e' vero e falso allo stesso tempo.Falso a causa 'dell'io sono' vero per via del testimone.E' meglio dire:'c'e' la testimonianza'. Nel momento in cui dici 'io sono' un intero universo viene alla luce insieme al suo creatore.
Pag. 276-277  - Capitolo: la morte della mente e l'inizio della saggezza.

paul11

Citazione di: Aniel il 25 Agosto 2016, 10:37:06 AMNisargadatta Maharaj non era un uomo istruito, cosi' come pure Ramakrishna, eppure a prova che non e' il bagaglio culturale che puo' far arrivare a 'conoscere' cos'e la morte, ma anzi a volte ne e' di ostacolo, perche' manda come in confusione la mente e preclude quell'intimo 'sentire' che ci connette con il trascendente. Trascrivo qui un frammento di dialogo tratto dal libro' IO SONO QUELLO' di Sri Nisargadatta Maharaj, un libro che io trovo sempre molto 'illuminante' nel percorso di risposta alla domanda 'Chi sono io?': Visitatore: Quando il corpo muore, tu continui a esistere? Maestro: Non muore niente.Il corpo e' soltanto immaginario. In realta' non esiste. V. Prima della fine del secolo,sarai morto per tutti coloro che ti circondano. Il tuo corpo sara' coperto di fiori,cremato,le ceneri saranno sparse al vento:Questa sara' la nostra esperienza. Quale sara' la tua? M.Il tempo finira' Viene chiamata 'la grande morte', la morte del tempo. V.Significa che finira' l'universo e tutto cio' che contiene? M.L'universo e' una tua esperienza personale:Come puo' essere influenzato? Potresti aver tenuto una grande conferenza per due ore:dov'e' andata quando hai finito? e' stata riassorbita nel silenzio in cui l'inizio,la parte centrale e la fine coincidono. Il tempo deve finire,c'era ma non c'e' piu'. IL SILENZIO dopo una vita di chiacchere, e il silenzio dopo una vita di silenzio sono uguali. L'immortalita' significa liberta' dalla sensazione di esistere,dall' IO SONO' Tuttavia non e' una fine.Al contrario,e' uno stato infinitamente piu' reale,consapevole e felice di quanto tu non possa immaginare. Scompare soltanto la coscienza di se'. V. Perche' la grande morte della mente non coincide con la piccola morte del corpo? M.Non coincide! Puoi morire migliaia di volte senza che l'inquietudine della tua mente subisca una battuta di arresto:Oppure puoi conservare il tuo corpo e morire soltanto nella mente. La morte della mente e' l'inizio della saggezza. ....... V. E il testimone'? E' reale o no? M.Tutte e due le cose.L'ultima briciola di illusione, il primo tocco del reale. Dire 'io sono il testimone' e' vero e falso allo stesso tempo.Falso a causa 'dell'io sono' vero per via del testimone.E' meglio dire:'c'e' la testimonianza'. Nel momento in cui dici 'io sono' un intero universo viene alla luce insieme al suo creatore. Pag. 276-277 - Capitolo: la morte della mente e l'inizio della saggezza.


sono in parte d'accordo con il saggio.
Due sarebbero i punti da chiarire.
Cosa intende per morte della mente, e quindi cosa esiste ancora; se è l'anima sono d'accordo.
La seconda problematica è la visione del mondo. La mia non è separazione fra il dominio dell'eterno e del divenire.
Quindi questa anima dopo la morte dove va? Se è il nulla non sono d'accordo.
Quale è il significato dell'esistenza? Se la separazione fra mondo e realtà delle apparenze fosse illusione, sembrerebbe (uso il condizionale) che il mondo fisicosia "espiazione", una sorta di inferno o purgatorio ,tanto per farmi capire e non sarei d'accordo

Phil

#68
Partendo da questa prospettiva
Citazione di: Phil il 23 Agosto 2016, 15:40:55 PM
questo "dove" e questo "andare", di radicata tradizione greco-cristiana, sono secondo me l'ingannevole presupposto che (pre)orienta la domanda verso un vicolo cieco o in un pozzo senza fondo [...] si tratta per me di una domanda mal posta (a trabocchetto, del tipo: dove va la rabbia quando mi calmo? Dove vanno i sogni quando mi sveglio? Per queste domande il "dove" e l'"andare" sono solo una metafora [...] la mia personale "scommessa" è che non ci sia un "andare da qualche parte", ma un cambiare stato/condizione [...].
Almeno questo è quello che ho "sentito nel Silenzio"(!) di cui parla Sariputra

mi ritrovo a gongolare un po' nel sapere che anche chi è più saggio di me ha trattato "l'andare" ed "il silenzio" con un approccio-rapporto simile:

Citazione di: Aniel il 25 Agosto 2016, 10:37:06 AM
Potresti aver tenuto una grande conferenza per due ore:dov'e' andata quando hai finito? e' stata riassorbita nel silenzio in cui l'inizio,la parte centrale e la fine coincidono [...] IL SILENZIO dopo una vita di chiacchiere, e il silenzio dopo una vita di silenzio sono uguali.
[corsivo mio]
Anche qui l'"andare via"(fuor di metafora: il terminare) altera irreversibilmente l'identità (della conferenza), la cui morte è solo un "riassorbimento", quindi un modificarsi (cambiando "stato"), diventando silenzio (ovvero "assenza"), quel silenzio che fa "eloquentemente" da sfondo (e da "cimitero") a ogni episodio-evento e all'accadere in generale (della conferenza o della vita).

Per quanto riguarda la "morte della mente":

Citazione di: Aniel il 25 Agosto 2016, 10:37:06 AMPuoi morire migliaia di volte senza che l'inquietudine della tua mente subisca una battuta di arresto:Oppure puoi conservare il tuo corpo e morire soltanto nella mente. La morte della mente e' l'inizio della saggezza.

Suppongo non si parli di morte cerebrale, ma, con tatto più orientale, di morte di quell'"inquietudine"(cit.) che agita la mente (sotto forma di attaccamento, illusione, etc.); per questo è possibile "conservare il tuo corpo e morire soltanto nella mente"(cit.), senza ritrovarsi zombie o in coma: "la morte della mente e' l'inizio della saggezza" perché la mente che muore, in questo caso, è la mente "ignorante" (induisticamente parlando!) che causa la rinascita del corpo... e che può anche consentire, inversamente, di "morire migliaia di volte senza che l'inquietudine della tua mente subisca una battuta di arresto"(cit.): ovvero la stessa mente si reincarna migliaia di volte e migliaia di volte muore, senza arrestare questo ciclo con il raggiungimento della Saggezza-Illuminazione.

P.s. Ho giocato a fare l'esegesi di un brano tratto da un testo che non ho letto (e che non rappresenta esattamente la mia visione del mondo, soprattutto per quanto riguarda reincarnazione e affini): chiedo a chi l'ha letto se questa mia interpretazione possa essere pertinente...


Sariputra

#69
Il problema , rileggendo il brano riportato da Aniel su Nisargadatta, che ho letto e riletto tanti eoni fa nella traduzione di Grazia Marchianò, è la difficoltà per noi occidentali, influenzati fino al midollo dalla concezione greco-cristiana  dell'esistenza, anche di dare la corretta interpretazione ai termini e alle frasi del vecchio tabaccaio di Bombay. Per es. , come giustamente fa notare e chiede Paul, cosa significa "anima" per Nisargadatta ? Anima è un concetto platonico che il Vedanta non identifica con la stessa esperienza. L'anima , nella nostra visione è "noi stessi". Impensabile vederla come qualcosa di impersonale, privo di ricordi di ciò che è stato e di ciò che ha fatto, pena il decadere stesso della necessità della Rivelazione di Cristo. Nisargadatta invece, coerente con l'idea hindu, non identifica l'anima con l'IO sono e infatti afferma: Io sono...Quello! (Tat tvam Asi-Tu sei Quello).in cui l'Io non gode di natura propria ma è solamente specchio su cui si riflette ...Quello. E' una differenza radicale con la nostra visione filosofica.
E infatti: "L'immortalita' significa liberta' dalla sensazione di esistere,dall' IO SONO' ". Ora mi sembra che la morte sia un problema proprio per quell'IO sono, che ha la consistenza di un sogno, di un'illusione per Nisargadatta, non è certo un problema per l'eventuale  atman impersonale destinato a partecipare dell'assoluto cosciente, pieno di gioia e beatitudine (Satchitananda) il famoso Brahman, anelito eterno della speculazione metafisica induista. Addirittura l'intero "mondo" è illusorio per il tabaccaio indiano ( Maya), c'è solo l'Atman che deve scoprire di essere nient'altro che Brahman stesso. Tralasciando il problema filosofico, evidenziato dai filosofi buddhisti, sul perchè questo Atman, che è l'Assoluto stesso,  nasconda a se stesso la sua stessa natura ( problema a cui Shankara tenterà di dare risposta , secondo me, in maniera non del tutto convincente,e alla fine  quasi accettando il Velo di Maya come un mistero, un gioco , un diletto dell'Assoluto stesso che amerebbe "uscire" ed "entrare" in sé continuamente, se non fosse che  la natura dolorosa  di Maya pone l'interrogativo sul perchè allora l'Assoluto amerebbe soffrire...) il fatto che l'Io sono sia illusorio comporta il suo completo annichilimento, la morte totale, il game over dell'attuale esperienza cosciente. Infatti Nisargadatta afferma, coerentemente con Shankara e tutto l'Advaita Vedanta: "Scompare soltanto la coscienza di se'."
La domanda successiva che mi verrebbe , se fossi l'intervistatore, di porgli sarebbe: Se la coscienza di Sari scompare...di cosa stiamo parlando?
La risposta inevitabile sarebbe: DI Qualcosa di reale che esiste, fuori da ogni tempo, che non è Sari.
Domanda: E allora dov'è andato Sari?
Risposta: Sari è un'illusione di maya, è scomparso, è svanito come un sogno.
E questo non è annichilimento totale  di Sari? A che giova al povero Sari sapere che c'è un principio eterno immortale, privo della sensazione di esistere, anzi , come dice Nisargadatta, "libertà dalla sensazione di esistere", di cui non può fare parte? Quando il povero Sari illusorio deve sprofondare per sempre nel nulla? E' Sari che vuole vivere, l'atman, se esiste, chi lo ha mai visto?
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

davintro

Citazione di: anthonyi il 24 Agosto 2016, 17:35:48 PMRispondo a davintro 45, l'idea di una dialettica tra immanente e trascendente mi convince poco, la dialettica presuppone basi per un linguaggio comunicativo comune e i significati di fondo, tra una rappresentazione immanente e una trascendente (naturalmente pure) del mondo sono differenti. La dialettica può insistere tra individui su contenuti trascendenti se entrambe sono "predisposti". La dialettica su argomenti immanenti è più facile, perché tutti hanno esperienze e contenuti immanenti. Se poi con dialettica si intende il confronto interiore tra esperienze immanenti ed esperienze che si reputano trascendenti allora sono d'accordo. Rispondo a paul11 56, nell'altro thread mi dicevi che qui definivi la tua idea di razionalità. In realtà mi sembra che qui si parli soprattutto di senso, ma chissà forse le due cose si avvicinano. Potremmo differenziare tra un senso immanente ed un senso trascendente. Orrore! Cos'è un senso immanente, posso fare un esempio pratico preso dal thread, dove ci si domandava che senso ha il suicidio, ora se la domanda trovasse una risposta compatibile con la legge evoluzionistica (Cosa problematica, visto che è un comportamento direttamente opposto all'istinto di sopravvivenza), questo ridurrebbe la problematicità di trovare un altro tipo di senso, magari trascendente. Il senso, trattato in questo modo, si avvicina molto all'idea di razionalità, entrambe nascono dallo stesso bisogno umano di "chiudere il cerchio", trovare cioè una spiegazione per tutto (o almeno illudersi di averla trovata).

Quando parlavo di dialettica non la intendevo in senso linguistico-comunicativo, ma in senso logico-argomentativo. La dialettica come forma della razionalità che cerca di trovare collegamenti fra una molteplicità di fenomeni a prescindere dalla necessità di dover comunicare intersoggettivamente le proprie idee. Ma nel momento in cui la dialettica viene identificata con la comunicazione linguistica si crea pregiudizialmente un ostacolo per la possibilità di una conoscenza razionale di tutto ciò che ha a che fare con la dimensione spirituale, compreso dunque il trascendente. Il linguaggio è un sistema di simboli sensibili, udibili, visibili. Dunque mi è tanto più facile comunicare qualcosa quanto più la sensibilità delle parole rispecchia la sensibilità degli oggetti a cui le parole si riferiscono. E se la razionalità coincide con la comunicatività allora una dialettica che riconosca un' ulteriorità rispetto alla conoscenza dell'immanenza sensibile diviene quasi impossibile. Ammettendo invece che i limiti della pensabilità non coincidono con quelli del linguaggio (seppur livelli reciprocamente correlati), allora si riapre per la dialettica lo spazio per un riconoscimento di un sapere spirituale, a cui potremmo pervenire nell'autocoscienza, quanto più la mente si rivolge alla propria interiorità, un sapere non riferito a oggetti sensibili, bensì intelligibili e dunque difficilmente adeguabile e rappresentabile dal linguaggio esteriore, fatto di parole e suoni, cioè di sensibilità, ma non per questo un sapere non dialetticamente e argomentativo valido. Mi rendo conto che tale visione presuppone un'idea di rapporto pensiero-linguaggio improntato al riconoscimento di un certo margine di autonomia del primo termine rispetto al secondo, un'idea controversa, che personalmente condivido anche se per ora preferisco non approfondire (forse sarà per un'altra discussione)

Se non sbaglio Paul11, che ringrazio per gli immeritati complimenti, mi chiedeva di operare una critica al mio post sulla razionalità del collegamento tra fenomeni dell'immanenza e un piano metafisico. Se ho ben capito, un'autocritica. Io direi che un'apparente difficoltà di questo "mio" discorso potrebbe riscontrarsi nel fatto che i fenomeni, in quanto apparenze, sarebbero descrivibili e analizzabili delimitando qualunque loro significato al relativismo di una soggettività il cui sguardo sul mondo è rinchiuso all'interno dei limiti spaziotemporali della prospettiva dei singoli individui, nel senso che i fenomeni che osservo non sono oggetti da cui potrei ricavare un complesso di giudizi universali, autenticamente scientifici, validi non solo dal mio punto di vista. Tuttavia penso che tale difficoltà possa superarsi alla luce dell' approfondimento della nozione di "soggetto". Quando parliamo della coscienza soggettiva che riceve il manifestarsi dei fenomeni parliamo della mia particolare coscienza individuale, costituita da caratteri contingenti e non universalizzabili, ciò che appartiene a me e non ad altri, o dobbiamo considerare la coscienza nelle sue strutture universali, tali a prescindere dalla diversità dei singoli individui, nel senso essenziale intuibile dei suoi vissuti? In sintesi, fondamentale è la distinzione tra "soggetto empirico" e "soggetto trascendentale". Nel secondo dei suoi significati, la soggettività non è chiusa nel relativismo, ma si riconosce come dotata di caratteri universali che permettono di investigare in modo razionale e oggettivo i fondamenti della sua possibilità in generale di fare esperienza del mondo, cioè di ricevere il darsi dei fenomeni. La soggettività resterebbe il contenuto di un sapere la cui forma invece sarebbe invece oggettiva, dunque razionale

paul11

#71
...e una risata mi seppellirà!
Phil,
capisci il pensiero orientale e mi sembri in parte d'accordo e non hai capito cosa ho postato finora?
Quello "stato" che muta è il livello di consapevolezza che l'autocoscienza acquisisce nell'esperienza
Sariputra,
la dialettica nell'antica Grecia dei filosofi era già agli albori in Socrate con l'elenchos.
L'io sono è una constatazione, a mio parere confondi l'Ego con l'autocoscienza
Lambiguità del pensiero orientale è proprio quel "vivere tirandosi fuori", quel "mezzo" vivere etericamente nel mondo.L'anima è personale, renderla impersonale è di nuovo ambiguo,Non c'è assenza se prima non c'è presenza.
L'evoluzione della propria autocoscienza che matura la sua anima passa nella vita dentro le contraddizione.
Il silenzio è la sintesi delle essenze è il sapere che viene dalle conoscenze esperite,è la sintesi che viene dall'analisi.
Diversamente :a che servirebbe allora a vivere , a essere nulla ?

La mia considerazione è che il pensiero orientale ha avuto fortuna da un paio di secoli a questa parte in Occidente (parecchi influenti pensatori hanno avuto in qualche modo una certo ascendente)proprio per sua antitesi al nostro sistema culturale Ma è l'aspirina, non la cura, perchè il vero problema non è nell'ntitesi, ma nel ribaltamento dei paradigmi. Io non sono antitetico al pensieor scientifico moderno e nemmno a quello Oriental, tutt'altro, ma ne vedo chiare le contraddizioni dei paradigmi  perchè qualunque umano a qualunque latitudine dimori e in qualunque tempo viva, dovrà sempre e comunque relazionare e correlazionare gli enti, le cose, i fenomeni e gli eventi, e il suo modo di relazionarli, il suo sistema rappresentativo del mondo, dei domini,dichiarerà anche se lui ritine di definire il vuoto, il silenzio, e l'assenza, come la sua presenza ha significato dentro la propria esistenza.
In altre parole, che sia un monaco certosino di clausura, o sia Obama, uno zen o un sufi, non ha molta importanza, se non come processo di identificazione di una cultura che si è "personalizzata" anche se ritene di essere impersonale, perchè è dentro l'esistenza e da questo nessuno è sottratto per evidente contraddizione logica.

Metaforicamente il slienzio è parte dei suoni, nel rigo musicale ha dei suoi segni e una durata, come la virgola e il punto segnano il ritmo delle proposizioni.

Davintro,
gli uomini sono simili, ma non uguali, nessuno è mai stato uguale ad un altro fisicamente, mentalmente.
la libertà è personale come la responsabilità. l'uomo nasce come particolarità come le contraddizioni delle particolarità nelle apparenze..E'la ragione razionalizzante che correla a livello individuale.
La sofferenza del saggio che tende a isolarsi, è dato dall'inconsapevolezza di troppi individui che si fermano alle apparenze contraddittorie e pensano di sapere solo dalle contraddizioni. la sintesi è l'operazione necessaria fra esperienza e ragione, fra vita e razionalità per ricondurlo ad Uno che è il Tutto,sapendo che ne è parte, ma nello stesso tempo è anche particolare come identità contraddittoria.
Più è alto il livello di consapevolezza dell'autocoscienza e più è metaforicamente silenzio, perchè non esiste una formula universale per arrivare alla sintesi, l'avremmo già tutti eseguita e forse il mondo e noi saremmo migliori.
In questo sta la soggettività, come momento isolato contraddittorio con i propri simili, ma consapevole che lui stesso insieme ai suoi simili sono parti di quell'Uno che è Tutto.Questo processo è soggettivo.
La grande difficoltà a capire la logica dialettica sta nel proprio livello di autocoscienza (che non è solo culturale)
perchè il rapporto di relazione a sua volta fra intellezione/ragione e fra razionalità ed empirismo è un lavoro di sintesi dove ad ogni contraddizione il maestro dovrebbe chiedere al discepolo, non tanto cosa conosce, è sottinteso, ma se ha capito? Per forza entra in gioco l'individuo, perchè il processo di relazione del contraddittorio è personale nella singola esistenza, e la cosa più dificile è condividere esistenze,viverle anche negli altri per capirle e a sua volta aiutare.
I maestri religiosi o spirituali orientali, come nelle arti esoteriche ebree, e in diverse mistiche, il rapporto fra maestro e discepolo è personale, è come se nelle nostre scuole dalle elementari alla laurea ci fosse sempre stato un unico tutor personale che oltre alla conoscenza ci avrebbe aiutato nell'evoluzione della maturità della nostra personalità. Noi invece abbiamo genitori, amici, insegnati che spesso si contraddicono fra loro. Noi già da lì maturiamo con un nostro sistema di relazione,compiamo operazioni dialettiche inconsapevolmente, che è naturale in quanto tutti lo abbiamo, ma è personale nel momento in cui ognuno è unico un suo proprio sistema; che non significa essere opposti ai nostri simili,ma diversi in qualche caratteristica che ci caratterizza.
In questo ritengo la soggettività dentro il processo dialettico della vita, dell'esistenza.

I complimenti sono meritati.
L'autocritica è ancora dialettica, perchè è contendere nella forma dialettica come confronto di diversità.
Io non vivo quindi l'esistenza come competizione egoistca, ma come evoluzione, e in quanto tale non sono quindi ,ripeto, un anti-qualcosa,seguo di tutto,cerco sempre di imparare da qualcosa o qualcuno.
Quindi chiedere i pensieri altrui, è come chiedere a vite altrui personali di dargli qualcosa ,altre essenze che forse non potrebbe esperire.Ecco perchè una buona lettura per ognuna di noi è fonte di riflessione, perchè sentiamo che ci migliora..
Alla fine noi convergiamo tutti in un unico punto originario, le particolarità si ricongiungono come essenze dapprima contraddittorie e poi come razionalità nell'unico disegno che ci comprende.

Phil

Citazione di: paul11 il 25 Agosto 2016, 22:08:34 PM...e una risata mi seppellirà! Phil, capisci il pensiero orientale e mi sembri in parte d'accordo e non hai capito cosa ho postato finora? 
Nel mio piccolo credo, magari sbagliando, di essermi fatto un'idea piuttosto verosimile della tua prospettiva, così come di quella di Nisargadatta, ma non condivido fino in fondo nessuna delle due.
Secondo me, quella che tu chiami autocoscienza (o anima, giusto?), e quella che Nisargadatta chiama "mente che può vivere infinite vite", non vanno da nessuna parte (fino a prova contraria ;) ), semplicemente, si spengono, si disattivano, si arrestano (purtroppo non mi vengono parafrasi migliori per dire "muoiono"). 

Citazione di: paul11 il 25 Agosto 2016, 22:08:34 PMQuello "stato" che muta è il livello di consapevolezza che l'autocoscienza acquisisce nell'esperienza 
La morte è un'esperienza? Non credo sia facile esserne certi... per me la morte è proprio il cessare irreversibile dell'esperienza e dell'autocoscienza.
Ciò che cambia stato, secondo me, è l'identità (vista dall'esterno ovviamente!) di qualcosa/qualcuno che, all'accadere della morte, diventa altro, ovvero qualcosa/qualcuno semplicemente morto (a prescindere da quello che si augurano i suoi cari o che lui sperava da vivo...).

Citazione di: paul11 il 25 Agosto 2016, 22:08:34 PMDiversamente :a che servirebbe allora a vivere , a essere nulla ? 
Il presupposto che la vita debba (necessità!) avere un senso o "servire a qualcosa" è tanto atavico e inconscio che talvolta escludiamo che possa essere diversamente, lo diamo per apodittico e ci preoccupiamo solo di partire per la ricerca che quel presupposto ci indica... tuttavia, se talvolta facciamo fatica a trovare un risultato affidabile, convincente o perlomeno plausibile oltre la congettura, questo potrebbe anche suggerire che, forse, quel presupposto.... ma avrai già capito a cosa alludo... 

Citazione di: paul11 il 25 Agosto 2016, 22:08:34 PMMetaforicamente il silenzio è parte dei suoni, nel rigo musicale ha dei suoi segni e una durata
Vero, ma fuor di metafora, il silenzio è ciò da cui la musica o il suono si afferma (prima di iniziare) e ciò a cui la musica o il suono si "riduce" (appena finisce), oltre a essere lo "sfondo di ogni vuoto" interno alla musica e al suono... dove va il suono quando cessa? Siamo noi a diventare sordi o è il suono e non essere più? Va altrove? Certo, nei nostri ricordi e nelle nostre speranze di risentirlo (se ci è piaciuto), ma questa sua ulteriore vita-esistenza non è davvero "sua" (possessivamente), né davvero "vita" (qualcuno la chiama "traccia"...).

P.s. Non indugio a raccontare la mia prospettiva per fare il pedante, ma solo perché mi hai posto un "ridente quesito" :)

Sariputra

Citazione di: paul11 il 25 Agosto 2016, 22:08:34 PML'io sono è una constatazione, a mio parere confondi l'Ego con l'autocoscienza Lambiguità del pensiero orientale è proprio quel "vivere tirandosi fuori", quel "mezzo" vivere etericamente nel mondo.L'anima è personale, renderla impersonale è di nuovo ambiguo,Non c'è assenza se prima non c'è presenza. L'evoluzione della propria autocoscienza che matura la sua anima passa nella vita dentro le contraddizione. Il silenzio è la sintesi delle essenze è il sapere che viene dalle conoscenze esperite,è la sintesi che viene dall'analisi. Diversamente :a che servirebbe allora a vivere , a essere nulla ?

Io non riesco a vedere separazione tra Autocoscienza ed Ego. Mi sembra di osservare un unico processo in atto. Anche tecnicamente viene definita come "la conoscenza che l'Io ha di se stesso".
Certo che questa terminologia ( Io, Ego, se stesso, me stesso, autocoscienza) rischia di confondere. Preferisco di gran lunga la sintesi che ne fa la teologia cristiana con il semplice termine "anima". 
In effetti, anche nella pratica meditativa, o di introspezione, finanche nella preghiera si nota solo che " il pensiero sente che sta pensando". Se l'anima è formata dal pensiero e da tutte le pulsioni consapevoli e inconsapevoli  della mente è una presenza alquanto "ballerina" e mutevole. Questa autocoscienza come "centro unificatore" dell'essere può avere una valenza psicologica e biologica , ma definirla come un'entità sostanziale che sopravvive al mutare delle cose che si riflettono in essa è un'altra cosa, che a parer mio implica solo un atto di fede.
E' vero che la spiritualità orientale da l'idea di un "volersi tirare fuori" ma questo avviene perchè parte da un presupposto esistenziale per cui la vita viene percepita sostanzialmente come sofferenza e tutto il cammino è rivolto alla liberazione da questa, nell'estinzione del dolore nirvanica o nell'assorbimento nell'Assoluto al di là di ogni illusione dolorosa.
Che tutte le varie forme di spiritualità, sia le abramitiche con il monoteismo, che le orientali abbiano prodotto pochi sostanziali cambiamenti migliorativi nell''uomo è una questione interessante da studiare. Tu definisci le orientali un"aspirina" , ma non la soluzione del problema. Però non c'è ancora nemmeno una diagnosi concorde su qual'è la malattia spirituale dell'uomo. In definitiva non sappiamo ancora cos'è l'uomo. A meno che...non si assuma una particolare fede e ci si dia le risposte in base a quel credo (fede anche nella scienza...).
Resto dell'idea che separare l'autocoscienza dall'ego sia come separare, in un albero, le radici dal fusto.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

paul11

#74
Sariputra,
in effetti quell'aspirina sulla spiritualità orientale stona anche a me; è una mia cialtroneria con una punta di arroganza
che non mi piace e mi scuso anche perchè è vero quello che sostieni e spesso ho scritto nel vecchio forum, le radici sono conuni. E' vero anche quello che scrivi in un precedente post; quando ho approfondito la religione ebraica fino alle radici con la cultura sumerico-accadica, loro non sono platonici, il mondo della natura apparentemente è separato dal sacro, ma intimamente connesso,non c'è ancora la separazione astratta.

Phil e Sariputra,
Bhe Phil, in fondo tutti viviamo fasi interlocutorie,io stesso non posso presentarmi come colui che ha la verità,ci vivo anch'io nella contraddizione.
E' vero che è difficile definire oggetti ontologici della filosofia , confonderli con la psicanalisi e psicologia e di nuovo con il cognitivsimo e le neuroscienze.
Il problema è la complessità umana della mente(L'io, l'Ego, il Sè, la coscienza,ecc) ,delle forme del processo della nostra conoscenza(intuitiva, induttiva, deduttiva,ecc) e delle diverse forme conoscitive (razionale, empirico,ecc).

La direi così, ed è ribadisco personale, perchè il focus sul movimento e modo operandi dei processi conoscitiva mio parere è fondamentale, fa la differenza e le caratteristiche sull'ontologia, fenomenologia, epistemologia.,
Se non siamo computer e difficilmente inquadrabili come sistema, dimostra che l'uomo è già un universo in sè come complessità e qualità.
Lo spirito è l'Essere filosofico e a mio parere non entra nel mondo fisico.E' l'anima che fa da mediatore fra spirito e corpo umano fisico. L'anima non è inerte, suggerisce alla ragione con l'intuito anche se non è proprio intuito e si rivela nell'autocoscienza, ma non è l'autocoscienza che a sua volta si relaziona alla ragione che è in sè complessa per le sue diverse forme, intellezione, razionalità. L'ego è più legato all'istinto di sopravvivenza, nasce come animalità è più relato alla psiche. Se è già difficile definire chiaramente gli oggetti , la cosa ancor più difficile è come interagiscono fra loro, perchè non sono a loro volta separati, ma possono evolvere o decadere a seconda di chi prevale.
La ragione ad esempio interagisce con l'ego, l'evolve se la educa, decade se diventa egoismo ,vale a dire se la ragione si piega alla volontà animale per cui il cinismo e scaltrezza, astuzia strategica dell'egoismo ne è il risultato.
Noi non possiamo fare a meno dell'istinto di sopravvivenza, dell'ego, il problema è come la ragione lo armonizza nella razionalità, ovvero di come la stessa ragione si muove in rapporto al mondo contraddittorio dove prevarrebbe l'ego, ma dove l'autocoscienza invece si muove in senso contrario.La ragione è mediatore quindi fra ego da una parte e autocoscienza dall'altra, il chi e come si risolve la contesa che definirei l'autocontraddizione della lotta interiore umana è quanto è riuscita la stessa ragione a capire fra i due rappresentanti dell'ego del mondo naturale e di se stesso del dominio metafisico. Quì è fondamentale il segno, significazione, simbolo e senso.Il senso è il ragionamento razionale che attraverso le contraddizioni delle apparenze nel mondo fisco, compresa la morte com-prende,, fa sua la contraddizione e la porta dentro la riflessione dell'autocontraddittorio personale; se riesce a coniugare, a "far filare liscio "( la metto sul semplice e banale) il momento razionale., allora si ha un senso coerente e completo del sistema.
Quel cambiamento di stato Phil è l'autocoscienza che media dalla ragione razionale attraverso il concetto,che  ha trovato il senso dalla contraddizione del negativo(la realtà del mondo delle apparenze) al posiitvo dell'Uno o Tutto. Questo positivo è l'indimostrabile scientifico e in quanto tale per la scienza è l'irrazionalità; ma  senza questo processo  noi viviamo costantemente la fase interlocutoria, perchè la ragione prende dalle percezioni sensoriali il mondo e la ragione cerca il momento razionale dentro le apparenze, illudendosi di trovare verità.
Io non credo davvero alla morte, lo è certamente biologicamente, ma al bios è superiore l'anima mediatrice.
L'autocoscienza deposita a sua volta il sapere della propria essenza esistente all'anima e dopo la morte l'anima porta allo spirito l'essenza di quella persona al proprio essere eterno ,preesitente, lo spirito.
Non chiedetemi come e dove sia lo spirito, il paradiso, ecc. in questo la penso come la teologia negativa, simile alla spiritualità orientale.Noi quì nel divenire non possiamo dire degli eterni come concetto esistenziale, non è esperibile ,sarebbe davvero solo fantasticare privo di una razionalità.
Il perchè siamo al mondo, perchè uno spirito eterno decide di incarnarsi nel divenire del finito è un'altrettanta sola constatazione. Ma è altrettanto vero,come dici Sariputra che le fedi e le spiritualità hanno decido spesso che la vita corporea sia negazione nella sofferenza e lo spirito il positivo.Nietzsche ne ha fatto un 'intera operazione del pensiero,Ha ragione perchè il processo, ma vedete che appunto la filosofia dialettica ricalca il momento negativo e positivo,,del come viene interpretata e razionalizzata la vita nell'esistenza decide le motivazioni e gli atteggiamenti umani nella propri vita, ovvero può condizionarlo positivamente o negativamente, può evolvere o mortificarlo.
Quindi come le metafisiche , religioni, spiritualità culture decidono di relazionare i momenti conoscitivi fra mondo fisco e mondo del sacro o dell'essere con gli enti o essenti è fondamentale nei processi culturali più di quanto possiamo pensare perchè è il vero modello che sovrasta anche quello delle scienze che per loro natura non operano oltre la determinazione del finito osservabile e quindi dimostrabile e la logica formale sul particolare dei fenomeni.

Allora le contraddizioni, ambiguità, crisi, non le vedo più come fattore negativo in sè e per sè, ma come momento necessario per l'autocoscienza che con la ragione li raccoglie e li correla per cercarvi quel senso.Questo è per me il vero senso dell'esistenza, dipanare dalle moltitudini degli eventi, fenomeni, relazioni personali che scorrono nell''esistenza i significati districandoli nel contraddittorio della riflessione dentro l'autocoscienza.

La nostra cultura attuale invece li formalizza come errori e compie la sepoltura dell'autocoscienza mortificando l'anima.La crisi ad esempio è come il rito d'iniziazione delle età umane, i processi di maturazione,Sono necessarie per evolvere.Invece questa cultura le fugge ed ecco spuntare gli immaturi a vita.

Il problema penso Davintro è che il momento oggettivo e soggettivo è un errore di metodo delle scienze che costruiscono finte complessità.
Non è scomponendo in parti un corpus i particolari eil Tutto, che si trovano soluzioni.
Non è studiando il fegato da solo e il cuore da solo e pensando di ricomporlo come sommatorie dei particolari  che ho capito il corpo .
Il momento soggettivo rimane per forza, il problema è razionalizzarlo nel concetto

Chi  vuole faccia pure critiche, sono le benvenute.

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