Perche si ha paura di morire?

Aperto da acquario69, 16 Agosto 2016, 06:45:00 AM

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davintro

#15
Peculiarità dell'uomo è che la paura della morte e, correlativamente, l'attaccamento alla vita, non è mai per lui un'esigenza assoluta ma condizionata. A nessuno di noi basta vivere, cerchiamo anche delle ragioni per vivere. Esiste anche per noi l'istinto di sopravvivenza ma non ci riduciamo a questo. Se così non fosse come spiegare il suicidio? Ecco, potremmo dire che l'uomo è l'unico animale che si suicida. E quindi l'intensità con cui la morte è prospettiva angosciosa e la vita reputata degna di essere vissuta è determinata da condizioni stabilite individualmente. Ciascuno di noi riconosce un complesso di significati differente tra individuo e individuo in base a cui attribuire un valore alla vita, significati identificabili con gli affetti familiari, le amicizie, il successo professionale, lo studio, la militanza politica, religiosa... senza questi significati il nulla diviene quasi una prospettiva se non piacevole quantomeno confortante nei confronti di una fatica dI un vivere insensato (sto ipotizzando, fortunatamente per ora non mi sono mai trovato in una condizione esistenziale così estrema...). Comunque, all'uomo non è sufficiente vivere per il vivere, ha bisogno di valorizzare la sua vita con dei significati, e questa cosa la chiamo "spiritualità". Riguardo alla differenza tra "anima" e "spirito" chi in questa discussione è stata accennata, direi che mentre in ogni forma di vita c'è anima, anche nelle piante e negli animali, nell'uomo quest'anima si configura come anima propriamente spirituale. In questo senso, lo spirito trascende l'istinto di autoconservazione, pone condizioni ad esso.

Ora, se da un lato questa richiesta di senso che lo spirito pone alla vita presuppone che tale spirito conduca l'Io al di là del proprio particolarismo individuale conducendolo a riconoscere una sfera di valori universali che utilizziamo per giudicare il nostro benessere esistenziale , definire una gerarchia tra i valori che ho citato prima (la famiglia, l'amicizia, la conoscenza, il lavoro, la bellezza, la giustizia sociale ecc) e il livello di coerenza della nostra vita rispetto a tale gerarchia dall'altro è anche vero che tale porre condizioni alla vita esalta la personalità individuale e l'unicità del singolo: mentre l'istinto di sopravvivenza è qualcosa che accomuna ogni esistenza, le condizioni valoriali per le quali la vita ha un valore le stabilisce liberamente l'Io individuale: ciò che rende per me la vita degna d'essere vissuta non è lo stesso per altri. Quindi non riesco a vedere la spiritualità come qualcosa di impersonale, una totalità informale dove il così tanto ingiustamente vituperato Io dovrebbe annullarsi, ma trovo che proprio quanto più l'Io appartiene a sè stesso quanto più si spiritualizza, nella mistica, nell'introspezione, nelle situazioni in cui l'Io abbandona il dispersersi nell'esteriorità e, agostinianamente, "rientra in sè stesso" e arriva a una conoscenza più profonda  della propria identità soggettiva e da questo fondo della propria anima sa riemergere con più consapevolezza dei valori che per lui sono più importanti per dare un significato all propria vita ed effettuare scelte coerenti. Lo spirito ci porta verso l'universalità, ma questa è universalità è formale, una forma che si riempie di un contenuto dato dalla differenti personalità dei singoli individui. Dico, un pò provocatoriamente: ha poco senso chiedersi perchè l'uomo, inteso nella sua generalità ha paura di morire, più che altro ha senso chiedere perchè QUEST'uomo, diverso dagli altri, ha paura di morire, cos'è che lo porta a ritenere la sua vita degna di essere vissuta?

Sariputra

Citazione di: Freedom il 17 Agosto 2016, 22:34:32 PMLa morte fa paura perché noi vogliamo vivere, vivere e ancora vivere. E' questione di DNA e non solo di DNA. E cosa è vivere? Vivere è aver coscienza delle cose. E, allo stato attuale, la morte promette l'annientamento dell'io cioè dell'aver coscienza delle cose. A noi non ci turberebbe più di tanto un passaggio di stato. Non so, risvegliarsi in chissà quale consapevolezza e cominciare a pensare: "caspita non sento più il freddo e il caldo." "Non vedo più, non sento ma....non so come mai ma percepisco!" E via così alla scoperta del nuovo stato........ Se viceversa si ipotizza la disintegrazione di ogni nostro stato e si ha il coraggio di spingere la fantasia, il pensiero in profondità, allora si avvertirà una sorta di pazzia. Nel senso della furiosa ribellione a questa ipotesi e della non accettazione di questa possibilità. Per il semplice fatto che siamo destinati alla vita, alla gioia. E per non lasciarvi con la morte nel cuore :P :o 8) ;) vi suggerisco questo argomento di riflessione: se ho sete c'è l'acqua; se ho fame c'è il cibo, se ho bisogno di dormire c'è il sonno, se ho bisogno di eternità.......

Eh...caro Freedom, che "siamo destinati alla vita e alla gioia" se lo dice sempre il signor Io, mica lo dice la vita stessa che anzi, mi sembra ci dica tutto il contrario. Il fatto che l'Io non apprezzi per niente l'idea di dover scomparire non è una prova che sicuramente non scomparirà. Il ragazzo, per così dire, " se le suona e se le canta",e lo deve fare di necessità, perchè è proprio convincendosi di questo che si alimenta  e alimenta l'illusoria idea di esistere come una cosa sostanziale e autonoma. La furiosa ribellione che proviamo dimostra solo che il signor Io teme come la peste solo l'idea stessa di scomparire ( e la cosa è perfettamente naturale direi...e assai poco mistica visto che l'energia che alimenta questa ribellione non è altro che la Paura). E per lasciarvi proprio con la morte nel cuore ( anzi nell'Io...) capovolgo la tua riflessione e la metto così:  se ho sete non sempre trovo l'acqua; se ho fame spesso il cibo scarseggia e devo combattere con altri per guadagnarmelo; se ho bisogno di dormire l'insonnia mi agita o i dolori non mi lasciano riposare, se ho bisogno di eternità...c'è il signor Io che mi convince a posticiparla il più possibile  ;D  ;D  ;D  perchè anche il ragazzo è tormentato dai dubbi...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

acquario69

#17
Citazione di: davintro il 17 Agosto 2016, 23:00:07 PM
Quindi non riesco a vedere la spiritualità come qualcosa di impersonale, una totalità informale...

Lo spirito ci porta verso l'universalità, ma questa è universalità è formale, una forma che si riempie di un contenuto dato dalla differenti personalità dei singoli individui.

credo innanzitutto che non sia corretto dire che lo spirito "ci porta" (come ad intendere un movimento direzionale) perché lo spirito trascende (il concetto stesso) di spazio-tempo

inoltre, lo spirito al pari dell'universo,come puo avere una forma?

l'universo (uni-verso) essendo uno,non puo avere parti,essendo queste cio che costituisce la forma,e del resto va da se che non si può nemmeno de-finire,essendo infinito (cioè senza forme)

usando i tuoi stessi termini..se..come dici tu,il contenuto (che mi pare indichi come spirito) riempie la forma (cioè l'individuo) allora e' l'individuo ad essere formale ma non lo spirito,percio tutte le differenti forme avranno la stessa,unica ed identica essenza (cioè lo spirito) che come detto all'inizio e' UNO/Tutto (e in un certo senso -analogico- si puo percio dire che non e' lo spirito ad essere contenuto in un corpo,ma il contrario)
...anche se,ed indipendentemente dal fatto che,molti o se lo negano,o non se ne accorgono nemmeno

Duc in altum!

#18
**  scritto da Freedom:
CitazioneLa morte fa paura perché noi vogliamo vivere, vivere e ancora vivere. E' questione di DNA e non solo di DNA. E cosa è vivere? Vivere è aver coscienza delle cose. E, allo stato attuale, la morte promette l'annientamento dell'io cioè dell'aver coscienza delle cose.
Certo, forse la paura di morire è quell'intima consapevolezza di non avere più coscienza, ma, in tanti, proprio in virtù di non aver osato il distacco dalla religiosità alla spiritualità, credo che abbiano paura di morire per un eventuale giudizio posteriore, il quale, se seguisse i canoni, li incontrerebbe più che condannabili; e quest'ultimo è il principio che genera questa riflessione: "Chi non segue Gesù per timore di soffrire come lui, allo stesso modo non vivrà (sopravvivrà aggiungo io) per paura di morire". (Quindi senza accorgersene si è già morti, già si esiste con tanta paura)
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

davintro

Citazione di: acquario69 il 18 Agosto 2016, 07:15:52 AM
Citazione di: davintro il 17 Agosto 2016, 23:00:07 PMQuindi non riesco a vedere la spiritualità come qualcosa di impersonale, una totalità informale... Lo spirito ci porta verso l'universalità, ma questa è universalità è formale, una forma che si riempie di un contenuto dato dalla differenti personalità dei singoli individui.
credo innanzitutto che non sia corretto dire che lo spirito "ci porta" (come ad intendere un movimento direzionale) perché lo spirito trascende (il concetto stesso) di spazio-tempo inoltre, lo spirito al pari dell'universo,come puo avere una forma? l'universo (uni-verso) essendo uno,non puo avere parti,essendo queste cio che costituisce la forma,e del resto va da se che non si può nemmeno de-finire,essendo infinito (cioè senza forme) usando i tuoi stessi termini..se..come dici tu,il contenuto (che mi pare indichi come spirito) riempie la forma (cioè l'individuo) allora e' l'individuo ad essere formale ma non lo spirito,percio tutte le differenti forme avranno la stessa,unica ed identica essenza (cioè lo spirito) che come detto all'inizio e' UNO/Tutto (e in un certo senso -analogico- si puo percio dire che non e' lo spirito ad essere contenuto in un corpo,ma il contrario) ...anche se,ed indipendentemente dal fatto che,molti o se lo negano,o non se ne accorgono nemmeno

Ci sono alcuni equivoci che provo a chiarire, colpa mia, non sono stato abbastanza chiaro...

L'idea che lo spirito ci "porti" da qualche parte va inteso in senso metaforico, non letterale. Come dici giustamente lo spirito trascende lo spazio e il tempo, perchè non è una realtà fisica che come un treno o un autobus ci trasporta verso qualche luogo fisico.. Il portare va visto come una "spinta" motivazionale attraverso cui la persona orienta il suo pensiero e la sua azione concreta verso degli oggetti. Poi è anche vero che lo spirito umano si riferisce ad una realtà che ha anche un corpo e dunque è interno a una spaziotemporalità. Quindi lo spirito nel determinare le mie azioni favorisce necessariamente anche un movimento nello spazio. Non mi riferivo all'universo nel senso comune del termine, parlavo di universalità, non di universo... Questa universalità la vedo come una forma, una modalità d'essere. In quanto soggetto spirituale elaboriamo dei riferimenti valoriali in base a cui attribuiamo un senso alla vita e compiamo delle scelte coerenti. L'universalità è forma perchè non mi dice di per sè nulla in cosa consistono questi riferimenti. Ogni singolo individuo stabilisce il loro quid, i valori personali che per esso sono più importanti, la famiglia, il lavoro, l'amicizia ecc. ma una volta stabiliti questi valori divengono universali perchè sono criteri che ciascuno assume come validi per tutte le situazioni, criteri regolativi delle nostre valutazioni morali. Se per uno il valore in assoluto più importante sarà la famiglia questo valore diverrà il criterio universale, cioè assoluto in base a cui agire e riconoscere un senso alla propria esistenza ma è lui in quanto singolo ad aver stabilito così. Forma e contenuto non vanno intesi in senso letteralmente spaziale, non è che gli individui "riempiono" una totalità fisica come l'universo (o meglio non è a questo che mi riferivo) ma come una distinzione concettuale. L'universalità è la forma, il modo con cui intendo i valori per me più importanti  della vita, ma in cosa concretamente consisitono (il contenuto) questi valori lo stabilisce l'individuo, l'individuo riconosce come valido universalmente qualcosa che lui a partire dalla sua particolarità personale stabilisce come punti di riferimento esistenziale. Lo spirito non è solo forma e non è solo contenuto, è la dinamica che porta la persona a rapportarsi in questo modo all'esistenza

acquario69

#20
Citazione di: davintro il 18 Agosto 2016, 15:45:13 PM
Ci sono alcuni equivoci che provo a chiarire, colpa mia, non sono stato abbastanza chiaro...

L'idea che lo spirito ci "porti" da qualche parte va inteso in senso metaforico, non letterale. Come dici giustamente lo spirito trascende lo spazio e il tempo, perchè non è una realtà fisica che come un treno o un autobus ci trasporta verso qualche luogo fisico.. Il portare va visto come una "spinta" motivazionale attraverso cui la persona orienta il suo pensiero e la sua azione concreta verso degli oggetti. Poi è anche vero che lo spirito umano si riferisce ad una realtà che ha anche un corpo e dunque è interno a una spaziotemporalità. Quindi lo spirito nel determinare le mie azioni favorisce necessariamente anche un movimento nello spazio. Non mi riferivo all'universo nel senso comune del termine, parlavo di universalità, non di universo... Questa universalità la vedo come una forma, una modalità d'essere. In quanto soggetto spirituale elaboriamo dei riferimenti valoriali in base a cui attribuiamo un senso alla vita e compiamo delle scelte coerenti. L'universalità è forma perchè non mi dice di per sè nulla in cosa consistono questi riferimenti. Ogni singolo individuo stabilisce il loro quid, i valori personali che per esso sono più importanti, la famiglia, il lavoro, l'amicizia ecc. ma una volta stabiliti questi valori divengono universali perchè sono criteri che ciascuno assume come validi per tutte le situazioni, criteri regolativi delle nostre valutazioni morali. Se per uno il valore in assoluto più importante sarà la famiglia questo valore diverrà il criterio universale, cioè assoluto in base a cui agire e riconoscere un senso alla propria esistenza ma è lui in quanto singolo ad aver stabilito così. Forma e contenuto non vanno intesi in senso letteralmente spaziale, non è che gli individui "riempiono" una totalità fisica come l'universo (o meglio non è a questo che mi riferivo) ma come una distinzione concettuale. L'universalità è la forma, il modo con cui intendo i valori per me più importanti  della vita, ma in cosa concretamente consisitono (il contenuto) questi valori lo stabilisce l'individuo, l'individuo riconosce come valido universalmente qualcosa che lui a partire dalla sua particolarità personale stabilisce come punti di riferimento esistenziale. Lo spirito non è solo forma e non è solo contenuto, è la dinamica che porta la persona a rapportarsi in questo modo all'esistenza

grazie per averlo chiarito,e' evidente che l'equivoco e' stato anche il mio.

sui valori ritengo che si debba partire sempre da un principio fondante (essenziale Ed unico)  che poi regolerebbe e si rifletterebbe su quelli individuali,se pure nelle sue diverse forme,allora credo che anche la morte stessa ritroverebbe il suo "posto" e il senso senza suscitare particolare paura.

e secondo me da qui il discorso potrebbe proseguire ma e' chiaro che tutto cio e' pressoché agli antipodi per come viene considerato attualmente

Aniel

Buon giorno a tutti, abbiamo cosi' paura della morte perche' non la conosciamo, ci sono stati dati molti insegnamenti ma non abbiamo nessun tipo di esperienza al riguardo, se non nelle vite passate.
Come saremo in grado di affrontare la morte, secondo me, dipende dal 'lavoro' su noi stessi che abbiamo fatto in vita,una ricerca spirituale che riguarda vita-morte come processi indissolubili.
Anch'io penso che solo iniziando a morire a noi stessi, al nostro EGO -personalita' ,attraverso l'introspezione, frantumiamo a poco a poco ogni identificazione con i vari personaggi che interpretiamo nella vita,
quando si entra in questo tipo di ricerca e' necessario creare un 'Testimone' , come se osservassimo noi stessi da 'fuori', questo testimone e' necessario perche' crea un supporto a cui fare riferimento quando non c'e' piu' un riferimento egoico , e' il rifugio nella verita', nell'amore per il tutto che ci permette di non venire assorbiti da ogni energia che passa..... Cosi' sei come il fiore di loto, non piu' condizionato dalla realta' fenomenica. Gli insegnamenti dicono che solo cosi' puoi vincere la morte, perche' se la morte e' trasformazione, a questo punto non hai piu' niente in cui trasformarti,ed essendo in pace non hai piu' paura. Hai vinto te stesso e hai vinto la morte, sei gia' morto a te stesso prima di morire!!!
Questo insegna il Buddhismo e infondo anche il Cristianesimo nella sua essenza. Cristo dice: 'Io e il Padre siamo UNO' .
Per quanto riguarda la mia esperienza personale di contatto con persone morenti, per lavoro fin da giovane ho avuto possibilita di fare esperienza al riguardo, ho notato che il processo del morire cambia a seconda del cammino spirituale di ognuno, indipendentemente da tipo di morte che ad ognuno e' designato dal destino.Quando il corpo fisico muore l'ambiente e' permeato di energie estremamente 'sottili' ma che si percepiscono in modo tangibile e per molto tempo, e' una continuita' tra il morente e chi resta che non ha a che fare con il 'ricordo' ma con energie 'presenti'. La pace del morente che non ha paura, che e' sereno e' tangibile come un 'dono',  una potente energia che supera la paura.
Che dire poi, sempre nella tradizione Buddhista del LIBRO TIBETANO DEI MORTI dove e' spiegato dettagliatamente il processo del morire e gli 'stati' che si devono attraversare nell'aldila' e dove sono determinanti le preghiere di chi assiste il morente nell'accompagnarlo verso il BARDO (bardo=divenire, processo di trasformazione) , o delle visioni di Dante nella DIVINA COMMEDIA!
Esistono nella tradizione Drochen boddhista , esempi di monaci, con alte capacita' di realizzazioni, che hanno esperienze e  segni particolari che avvengono al momento della loro morte:
-Come lo spazio: il corpo grossolano si dissolve completamente in particelle e si unisce allo spazio assoluto.
-Lo yogi dissolve il corpo grossolano i un corpo di 'luce' che rimane visibile agli esseri per aiutarli.  In questo trovo molta analogia con la Resurrezione del Cristo ,e al fenomeno di 'impregnazione di  energia sul lino della SACRA SINDONE.
-e' pure capitato che i monaci alla loro morte dissolvono parzialmente il corpo, il quale rimpicciolisce.
Sono solo fenomeni che si svolgono nel campo fenomenico della manifestazione ma che rappresentano come le 'realizzazioni' spirituali ' di molti Santi possano indurci a non avere piu' paura, certo e' anche una questione di fede... lascio questo frammento di scritto che puo' essere  utile, la morte come fine indubbiamente non esiste...cerchiamo di indagare, ogni giorno della ns. vita e cosi' forse riusciremo a vincere quella paura cosi' comune a tutti noi.

'Si dice che il corpo di qualche iniziato defunto non sia stato trovato nella tomba. -E' vero?
-verissimo
.
-Quale legge ha potuto applicare l'adepto per fare sparire il corpo?
La legge di EINSTEIN, la quale esiste da quando il mondo e' nato. In altri termini ha risolto la massa in energia.
-Che cosa determina quella trasformazione lungo il ritiro dal fisico solido al pranico e al monaisico?
Sappiamo dalla scienza che tutti i prodotti metallici e chimici si compongono e si scompongono, le molecole si aggregano e si disgregano per cui la materia e' in continua trasmutazione.
...il fuoco dei filosofi, a quel fuoco che e' invisibile, che e' pur attivo, avvolgente, penetrante e risolvente. 

DI LA' DEL DUBBIO - ACCOSTAMENTI ALLA NO-DUALITA' SEPARAZIONE   pagg. 154-155    RAPHAEL ED. ASRAVI-VIDYA.

giona2068

La verità rende l'uomo libero come figlio del Signore Dio, è stato detto.
Chi teme la morte non conosce la verità soggettiva e per questo ha paura della morte stessa.
Il Signore Dio creò l'uomo a Sua immagine e somiglianza.
Con il peccato di Adamo ed Eva, che siamo noi, abbiamo perso il corpo incorruttibile che ci era stato dato.
Era un corpo che non aveva limiti né di spazio né di tempo, esattamente come quello del Signore Gesù che dopo la Sua resurrezione che passa attraverso i muri per entrare nella stanza dove erano riuniti gli apostoli a porte chiuse ed una volta dentro chiede da mangiare e gli danno pane e pesci.
Questo corpo, il nostro originario, si chiama corpo glorificato.
E un corpo materiale spiritualizzato e/o un corpo spirituale materializzato.
La morte serve a restituire, a chi risorge, questo corpo privandolo di quello nel quale siamo attualmente incastrati.
La prova che il corpo carnale non è quello con il quale siamo stati creati è che solo gli uomini hanno bisogno di vestiti in quanto il corpo che portiamo non è adeguato alle condizioni climatiche, mentre gli animali sono predisposti per superare ogni tipo di intemperia.
Quello che diciamo è supportato dal fatto che il mondo tutto fu creato per la comparsa dell'uomo e sarebbe quindi  inconcepibile se fosse l'unico ad essere stato creato inadatto  a vivere sulla terra.
La morte è per questo una grazia perché ci fa ritornare come eravamo all'origine e può essere intesa anche come cambio del proprio corpo.
Noi non siamo corpo, viviamo in un corpo ma siamo anima, quindi l'uomo non muore mai ma muore il suo copro in attesa di ritornare al corpo glorificato - Adamo prima della caduta - il Signore Gesù dopo la resurrezione.
Il tempo che ci vien dato di vivere nel corpo - la vita sul piano vegetale - è il tempo necessario per noi affinché saremo pronti per il passaggio.
Per questo il Signore Dio dice di uccidere, ma Lui stesso manda le persone in cimitero. La ragione è che solo Lui sa quando siamo pronti.

Sembra tutto bello è lo è, ma non per tutti perché occorre meritarsi la resurrezione.
Chi non risorge non solo non ritrova il corpo glorificato ma viene inviato in un posto di incredibile sofferenza per l'eterno, la seconda morte.
Purtroppo non vivendo nella verità abbiamo paura della morte carnale e non della seconda morte.
Beati coloro che temono la seconda morte perché vivranno per  l'eterno.
Il Signore Gesù è venuto proprio per rivelarci questa verità e San Paolo ci ha ammonito dicendoci che se non crediamo nella resurrezione la nostra fede è vana.
Ringraziamo il Signore che ci ha dato questa speranza e chiediamo perdono per la nostra poca fede.

Duc in altum!

**  scritto da Aniel:
CitazioneBuon giorno a tutti, abbiamo cosi' paura della morte perche' non la conosciamo, ci sono stati dati molti insegnamenti ma non abbiamo nessun tipo di esperienza al riguardo, se non nelle vite passate.
Beh, più che esperienza empirica, quella delle "esistenze" passate è possibile considerarla soltanto come ragione di fede, dunque la paura della morte, anche in questo caso, svanisce o diminuisce per fiducia in una dimensione trascendentale enigmatica, forse anche eterna.


CitazioneGli insegnamenti dicono che solo cosi' puoi vincere la morte, perche' se la morte e' trasformazione, a questo punto non hai piu' niente in cui trasformarti,ed essendo in pace non hai piu' paura. Hai vinto te stesso e hai vinto la morte, sei gia' morto a te stesso prima di morire!!!
Questo insegna il Buddhismo e infondo anche il Cristianesimo nella sua essenza. Cristo dice: 'Io e il Padre siamo UNO' .

Secondo il cristianesimo la morte non è qualcosa che si può vincere, giacché è Cristo/Dio che l'ha sconfitta e non l'uomo. Ciò che però può renderci partecipi, "coeredi", di questo evento glorioso, è solo la rinascita in vita (unica poiché sottoposta a giudizio divino), smettendo di opporci allo Spirito Santo che agisce in tutti ed in tutto.
Ulteriore differenza tra buddhismo e cristianesimo è nella trasformazione ultima, il cristianesimo non concede metodi per chiudere l'utero (è ciò che ricordo da quel che ho letto nel Libro dei Morti Tibetano, non ce l'ho fatta a finirlo, troppi passaggi, troppi marchingegni da provocare od evitare, troppo difficile, adesso, per me ) ed evitare di reincarnarsi. Con la morte, paura o meno, la trasformazione è per sempre ed in virtù del nostro libero arbitrio.
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

davintro

#24
Io credo che l'unica possibilità di vincere la paura della morte sia quella di non considerare più la vita come valore... è evidente che potrei disfarmi senza rimpianti e serenamente solo di qualcosa che per me non ha importanza, qualcosa la cui presenza mi lascerebbe indifferente. Ma chi ama la vita, o almeno la sua vita, come potrebbe restare sereno e distaccato di fronte all'ipotesi di perderla? In questo senso direi che la paura della morte è una "sana paura", il segno che per noi la vita che viviamo è piacevole, sensata, rappresentativa del nostro essere. Io mi preoccuperei se un'altra persona o anche me stesso cominciasse a smettere di aver paura di morire, vuol dire che la vita non ha più valore!

E per chi ama la vita non è sufficiente l'idea secondo cui la morte è il destino universale e inevitabile di ciascuno. A prescindere ora dalle forme con cui le religioni e le filosofie ipotizzano un Aldilà, l'idea che prima o dopo tutti si muore non può mai produrre serena rassegnazione perchè anche se sappiamo che prima o poi accadrà speriamo sempre di allontanare, rimandare il momento, cerchiamo e speriamo di vivere il più a lungo possibile, e non solo per un semplice animalesco principio di autoconservazione o sopravvivenza, ma per un'insoddisfazione costitutiva del nostro essere che ci porta a non poter essere mai appagati da ciò che di fatto nella nostra vita si è già realizzato. Siamo sempre spinti a desiderare di fare di più e meglio, ad adeguare sempre più ciò che siamo, ciò che facciamo realmente a un ideale regolativo di ciò che dovremmo essere, di ciò che dovremmo fare. La morte, intesa come andare nel Nulla, è l'interruzione di ogni possibilità di adeguamento dell'essere reale al "dover essere" ideale. In nome di tale condizione umana ontologica, ogni morte è prematura, o meglio ogni morte non può che essere percepita come prematura

Duc in altum!

**  scritto da davintro:
CitazioneLa morte, intesa come andare nel Nulla, è l'interruzione di ogni possibilità di adeguamento dell'essere reale al "dover essere" ideale. In nome di tale condizione umana ontologica, ogni morte è prematura, o meglio ogni morte non può che essere percepita come prematura.
Ecco perché in tanti non intendiamo la morte come andare nel Nulla, ma quale esperienza ontologica per far parte, definitivamente e per sempre, del Tutto.
Solo allora la morte diventa il valore attraverso il quale si distingue il dover essere, reale ed ideale, se stessi. Dimensione (l'essere se stessi) che annulla la facoltà di avere paura di morire, giacché la morte (ossia l'interruzione di ogni possibilità di adeguarsi al Tutto) non fa parte del Tutto.

Anni fa mi struggevo nel cercare il perché un mio amico fosse morte prematuramente ed invece io avevo avuto un'altra possibilità, poi un giorno, confessando questa mia inquietudine, qualcuno mi disse: "...e come puoi essere certo che il tuo amico non abbia avuto già un'altra possibilità?!?!...".
Da allora avverto, intuitivamente, per fede, che non è morto invano e neanche prematuramente.
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

davintro

Citazione di: Duc in altum! il 20 Agosto 2016, 17:29:40 PM** scritto da davintro:
CitazioneLa morte, intesa come andare nel Nulla, è l'interruzione di ogni possibilità di adeguamento dell'essere reale al "dover essere" ideale. In nome di tale condizione umana ontologica, ogni morte è prematura, o meglio ogni morte non può che essere percepita come prematura.
Ecco perché in tanti non intendiamo la morte come andare nel Nulla, ma quale esperienza ontologica per far parte, definitivamente e per sempre, del Tutto. Solo allora la morte diventa il valore attraverso il quale si distingue il dover essere, reale ed ideale, se stessi. Dimensione (l'essere se stessi) che annulla la facoltà di avere paura di morire, giacché la morte (ossia l'interruzione di ogni possibilità di adeguarsi al Tutto) non fa parte del Tutto. Anni fa mi struggevo nel cercare il perché un mio amico fosse morte prematuramente ed invece io avevo avuto un'altra possibilità, poi un giorno, confessando questa mia inquietudine, qualcuno mi disse: "...e come puoi essere certo che il tuo amico non abbia avuto già un'altra possibilità?!?!...". Da allora avverto, intuitivamente, per fede, che non è morto invano e neanche prematuramente.

A questo punto andrebbe fatta una distinzione fondamentale. Si parla della paura della nostra morte e della morte degli altri?

Nel primo caso, dal punto di vista dell'Io non avrebbe senso parlare di una paura della "morte in sè", ma di ciò che ci sarebbe eventualmente dopo cioè il Nulla (credo che anche l'inferno al di là delle varie letterarie rappresentazioni figurative, le fiamme, il diavolo con le corna e il forcone, sia identificabile teologicamente con questo Nulla, la dimensione di annicchilimento nel quale la persona perde il contatto con l'Essere perchè si è definitivamente allontanato dalla sorgente dell'Essere e fondamento del suo esistere, Dio). Quindi riferendosi a se stesso l'Io sarebbe certamente sollevato da ogni timore nella misura in cui crede che giungerà ad un'eterna e paradisiaca beatitudine.

Diverso è il caso della paura della morte degli altri, dei nostri cari. Qui il timore riguarda non solo e non tanto il "dopo", ma la morte come evento considerato in se stesso. Infatti la consolazione che porterebbe il pensiero che i nostri cari godranno di una beatitudine eterna di fatto è piuttosto relativa e parziale rispetto all'angoscia del pensiero di non poterli avere più vicino, vederli in carne ossa, comunicarci ecc. In fondo ci farebbe molto più piacere che essi continuino a godere di una felicità imperfetta e finita in questo mondo imperfetto e finito, ma restando fisicamente vicino a noi piuttosto che saperli eternamente felici ma in una dimensione a noi sconosciuta e incomunicabile. Si può dire che questo è un pensiero piuttosto "egoistico", anche se si tratterebbe di un egoismo assolutamente comprensibile e umano, un egoismo da scrivere tra virgolette. Immagino che il superamento di questa visione "egoista" presupporrebbe da parte di ciascuno una forza, un'energia spirituale di un'intensità quasi sovrumana (la santità forse?) che pochissimi potrebbero avere.

In sintesi, il conforto dell'idea di Aldilà che le religioni e le metafisiche ci propogono è psicologicamente molto più efficace e forte  nel caso della nostra morte rispetta che per ciò che riguarda la morte altrui

paul11

#27
Davintro,
è perchè ce ne andiamo dal mondo senza sapere la verità, per cui l'ora e adesso viene spostato al domani.
Ma è sostanzialmente diverso il modo di vedere la morte fra un credente e la culturale attuale.
Quest'ultima non solo è relativista e pensa che la conoscenza si esaurisca nell'apparire, perchè il pragmatismo americano ha dato al tempo un valore ancora più importante ed è la sostanziale differenza per cui il tempo in Occidente è stress e in oriente è " un lasciar passare, scorrere...".
Noi pianifichiamo, programmiamo, persino l'economia del debito, le scadenze mensili, tutto quanto è ritmato dal tempo sul futuro.Tutto questo brucia l'oggi e dimentica il ieri.
La morte è quindi sempre inopportuna e sempre fuori dalle mura di casa.
Un tempo, alcuni decenni fa, il morto era in casa, psicologicamente fin da bambini il volto della morte ritornava alla riflessione, l'elaborazione del lutto, come lo chiamano gli psicologi, permetteva già ai bambini una forma direi di convivenza, di possibliità .Oggi vedo anziani bambini, nessuno sa più vivere il proprio tempo per cui la morte è continuamente rimossa, inaccettabile come invecchiare. Eppure un tempo il vecchio era il saggio, ora è un peso.
Oggi la morte è anonima come l'ospedale,e quest'ultima è simile allo stile di una caserma ,di una scuola come diceva Foucoult

Questi esempi, indicano il capovolgimento di stili di vita, di pensiero, di cultura che hanno perso in poco tempo  tradizione con essa identità, spasmodicamente il tempo del futuro spezza la possiblità che la riflessione decanti indentità, vale a dire il tempo di evolversi, di maturare di pensarsi in questo mondo impazzito che ci fa pensare pazzi a nostra volta.

Se la morte cede sul piano psichico allora sì,Sariputra ,che emrege solo l'Io come Ego e non l'autocoscienza.
Questo mondo è egoistico proprio perchè è fermo all'ego dell'IO che ovviamente oblia il tempo che corre velocemente in cui l'immagine diventa più importante della parola, siamo immersi nella cultura dell'immagine .
Ma l'oblio che intendo è il credere che le apparenze siano verità,vale adire l'oblio dell'oblio e la morte non èpiù paura solo istintiva, ma anche cultura. Se la morte diventa apparenza e immagine, diventa paradossalmente facile anche uccidere. Per quanto l'IO egoistico possa perdersi nel tempo del parossismo, del dover essere sempre aitanti e pronti a qualcosa, del programmare e pianificare, non è che perdiamo completamente l'autocoscienza.
E' quest'ultima che da qualche parte ,in qualche tempo ,ci fa comprendere con il disagio esistenziale che c'è qualcosa che non funziona dentro di noi e fuori di noi.Non siamo robot.

Non è questione di un aldilà, Davintro, è questione di razionalità vera, ovvero di capire che è impossibile che le apparenze siano coerenti con un origine eterna.
Se la cultura ha spostato alla rovescia il trascendente dentro l'empirico divenire, l'altrettanto errore di metodo è quando pensiamo ad una razionalità metafisica che comprenda vita e morte, eterno e divenire spostando la metodica scientifica dentro il razionalismo, noi allora sbagliamo fra l'intellegibile e il concetto razionale.
Il razionalista che vive questo tempo postmoderno ,intriso da secoli nella modernità, spera falsamente di trovare una spiegazione tangibile, una prova scientifica :ecco l'errore di metodo alla rovescia, ovvero sposare la tesi scientifica da applicare alla metafisica e alla religione. Era già chiaro ai greci dove stavano i paradossi e le contraddizioni logiche.Se diamo forza alla percezione empirica, non possiamo esercitare il recupero delle essenze nella vita, nei significati dell'esistenza e raccoglierli nell'anima e nello spirito se l'autocoscienza come luogo della contraddizione e della volontà sceglie dove focalizzare o il desiderio o lo spirtio.
Allora la vita apparire vana se la morte è l'oblio, la dimenticanza nella sparizione verso il nulla di tutto ciò che noi abbiamo raccolto come significati e correlati in un senso.
L'empirista si salva pensando ai figli come propria continuazione, e di nuovo si contraddice, perchè di figlio in figlio, di generazione in genereazione l'autocoscienza si sposta nella vanità.

acquario69

a mio modo di vedere,l'idea della morte non e' rassegnazione (ed anzi il contrario) o magari di una vita che non ha più valore o anche il prefigurarsi già da "qui" un immaginario paradiso al di la di questa e non credo neanche che sia solo un paravento psicologico alla possibile sofferenza come nel caso di una perdita di una persona cara.
certo e' comprensibilissimo il dispiacere (umano) della perdita ma e' pur sempre umano e appunto mentale e più specificatamente psicologico.

il punto secondo me e' che la vita non e' qualcosa che rimane "isolata" nei suoi confini tra nascita e morte,questa semmai e' la nostra rappresentazione,e' il "punto di vista" a noi accessibile attraverso i sensi,superati i quali pero subentrerebbe un altro punto di vista,che chiarirebbe una volta per tutte le cose e ce le fa apparire per quello che sono effettivamente.

il mentale "chiude" e separa,ed e' da questo che scaturisce l'idea della morte come un confine insuperabile,ma sarebbe appunto solo una nostra immaginaria rappresentazione poiché il Reale e' al di la di tutto questo e non può avere limiti. 

in un certo senso e' percio vero che si tratta di qualcosa di sovrumano ma non andrebbe inteso come qualcosa di inaccessibile ed alieno a noi stessi,(da cui scaturisce il pregiudizio) poiché e' già insita nella nostra stessa,diciamo intima natura

Duc in altum!

**  scritto da davintro:
CitazioneA questo punto andrebbe fatta una distinzione fondamentale. Si parla della paura della nostra morte e della morte degli altri?
Della paura personale, il riferimento al decesso del mio amico era solo uno spunto di riflessione che non esiste morte prematura, tranne che nel suicidio.


CitazioneNel primo caso, dal punto di vista dell'Io non avrebbe senso parlare di una paura della "morte in sè", ma di ciò che ci sarebbe eventualmente dopo cioè il Nulla (credo che anche l'inferno al di là delle varie letterarie rappresentazioni figurative, le fiamme, il diavolo con le corna e il forcone, sia identificabile teologicamente con questo Nulla, la dimensione di annicchilimento nel quale la persona perde il contatto con l'Essere perchè si è definitivamente allontanato dalla sorgente dell'Essere e fondamento del suo esistere, Dio). Quindi riferendosi a se stesso l'Io sarebbe certamente sollevato da ogni timore nella misura in cui crede che giungerà ad un'eterna e paradisiaca beatitudine.
Esatto, la paura della morte in sé è più facile da sconfiggere, dacché essa è un fattore inevitabile dell'uomo, come il mangiare, il dormire, ecc. ecc., ci si abitua un po' all'idea. La cosa si complica quando si riflette sul cosa c'è dopo la morte, e se c'è qualcosa dopo essere morti.
Certamente, dal punto di vista cristiano il nulla non è l'inferno, il nulla non concede alla coscienza di continuare ad esistere, l'inferno invece sì. Il nulla non concerne un merito particolare alle gesta personali in vita, l'inferno sì. Forse è questa eventualità che infonde paura.
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

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