Perche si ha paura di morire?

Aperto da acquario69, 16 Agosto 2016, 06:45:00 AM

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paul11

Sariputra,
 considero l'astrazione diversamente dalla trascendenza, tant' che Severino che applica la logica dialettica divide il concreto dall'astratto, ma non vorrei quì creare confusioni terminologiche, per cui direi che l'astratto è Parmenide che crede al solo dominio metafisco dell'essere e oltre non va perchè si blocca al momento identitario non riconoscendo la contraddizione esistenziale del divenire .
Insomma è come se io parlassi solo di Dio negando il mondo.
Ma l'errore è viceversa è negare il dominio metafisico accettando solo il dominio naturale della realtà delle apparenze.
Per rimanere in tema, il "solo" metafisico negherebbe totalmente la morte, mentre il "solo" empirico che crede che solo la natura possa essere vera in quanto dimostrazione nelle apparenze del finito direbbe che è una verità incofutabile.
Entrambi compiono il momento astratto perchè l'autocoscienza fa da ponte fra i due domini è la legge della ragion razionale che non  può bloccarsi a un solo dominio, perchè l'esistenza nel divenire chiede alla ragione di procedere autocoscientemente fino all'essere che necessariamente è eterno  e allora l'astratto svanisce e si apre il trascendente, ovvero il passaggio fra i due domini.

Non confondiamo memoria e identità,E' come dire che chi ha perso momentaneamente la memoria non è più se stesso, ma altro da sè e poi ritorna in sè ricostruendo l'identità?
Saremmo di nuovo al paradosso logico descritto dalla fisica?

acquario69

#106
Citazione di: Sariputra il 28 Agosto 2016, 20:03:50 PM
perchè invece desumiano che tutto questo processo sia l'esperienza di un'anima eterna ? Se quello è così anche questo deve essere necessariamente così, perchè ci dovrebbero essere due realtà separate? Una spirituale e una materiale?

secondo me sei tu che le interpreti separate (sempre in riferimento alle spiegazioni di davintro,ma anche le mie e quelle di paul,magari cambiando inevitabilmente la forma,ma non la sostanza dei relativi ragionamenti...ed e' questo il nodo centrale)

e' la nostra prospettiva umana che in apparenza ce le fa sembrare separate,ma non lo sono,esattamente come il tempo,per cui per noi ce sempre un inizio ed una fine ma non ce ne l'uno e nell'altro.

penso che quando spieghi il divenire come realtà,ti limiteresti a considerare solo l'aspetto della manifestazione che si traduce nel duale,(ying e yang),anche se considerati in maniera complementare come unita...ma cio che a mio avviso "non vedi" e' cio che li produce,ossia l'Uno,che a sua volta e' il riflesso del Tao (non manifesto)

"Il Tao produce l'Uno, l'Uno produce il Due, il Due produce il Tre, il Tre produce tutti gli esseri "

Aniel

Ieri ho visto un film, il titolo e' OLTRE LA VITA-UNA STORIA VERA l'ho trovato su you tube per caso,in realta' stavo cercando Resort,l'ultimo film,uscito nel marzo di quest'anno che parla dei fatti storici relativi alla resurezione del Cristo, quest'ultimo dall'anteprima mi e' parso un film che vale la pena di vedere. Ma torniamo al film in questione,OLTRE LA VITA : il protagonista e' un uomo piuttosto violento, la parte peggiore che e' in lui stranamente nel momento in cui affronta quella esperienza di pre-morte si mette da parte e incontra invece un'esperienza di amore che,al momento del ritorno sulla terra gli fa cambiare rotta e prospettiva di vita, comprendendo che solo l'amore per il prossimo conta, tutto il resto e' solo fatica di vivere, fatica di morire, perche' si ha paura....praticamente l'amore e' la soluzione...
La trama e' talmente banale che ti viene da dire:'che bella scoperta!' pero' la storia e' vera e insegna qualcosa di molto scontato ma non sempre vissuto fino in fondo.
Stamattina mi sono svegliata con un pensiero in mente: ma se il sogno, la morte e la vita sono tre aspetti della stessa 'illusione' a cosa serve tutta questa manifestazione??, la domanda c'era ma 'esigenza della risposta no,forse e' per questo che mi sento cosi' bene a questo inizio di giornata,.
Sara' questo il TAO? lo O prima dell'uno? lo 0 e' rotondo simboleggia il cerchio, il serpente che si morde la coda,il non-finito...poi viene l'Uno , quello che tutto comprende, il due, l'aspetto duale di ogni cosa, con il due nasce anche la manifestazione, ne e' la sua qualita':bene male -luce ombra - yin yang -alto basso ...e con la manifestazione che nasce la multiplicita': tutti gli altri numeri, che non finiscono mai...
Ma torniamo all'amore e fermiamoci li' ad assaporarne l'essenza senza tempo, la qualita' infinita dell'amore...e' un sentire,,,una fede che non ha niente a che fare con la razionalita',una non-paura. Dicono che del TAO chi lo conosce non ne puo' parlare. Buona giornata allora.

Sariputra

#108
Rispondo brevemente alle varie osservazioni, ben consapevole dei limiti del linguaggio e dell'estrema difficoltà di mettere in parole un'esperienza.
Paul sostiene che la memoria non è identità. Su questo non sono d'accordo. La memoria del proprio vissuto è l'identità di una persona. Certo, se la perdita è momentanea, poi si ritrova, magari rielaborato, il proprio precedente vissuto, ma quando la perdita è definitiva e totale , l'identità precedente dove possiamo trovarla? Viene custodita "da qualche parte", in attesa che, dopo la morte fisica, questi ricordi magicamente ritornino perchè custoditi da un ipotetico "spirito"? Questa è pura metafisica...Ciò non impedisce a questo essere smemorato di continuare a vivere e compiere scelte , avere pensieri, ancorchè completamente distorti, ecc. ma potremmo identificare questo vissuto con il precedente?
Il  termine  Identità ha comunque tanti significati. Nello specifico lo intendo come identità psicologica.
Acquario sostiene che sono io che interpreto come una dualità l'esistente. Non posso che riportare l' esempio della moneta con le due facce. Sostengo un'unità indissolubile di coscienza e forme del divenire. Ossia questo non può essere senza quello...
Quando affermo che si tratta di una catena ininterrotta, è implicito che non c'è un primo anello ( un UNO che ha generato il due, il tre, ecc.). E' una catena senza inizio e senza fine. Una catena di produzione condizionata. Il principio del Tao è inconoscibile dalla ragione e giustamente si pone l'accento sul Silenzio. Il Tao è un'esperienza del reale, non una riflessione sul reale. Quando invece i pensatori taosti introducono categorie del pensiero ( Yin Yang, maschile e femminile, ecc.) ricadono nel groviglio del teorizzare. Questo non è più il vero Tao...
Bellissima questa frase di Aniel:
la domanda c'era ma 'esigenza della risposta no,forse e' per questo che mi sento cosi' bene a questo inizio di giornata,.
Questo io lo chiamo " stare con con le cose".

P.S. Ma tutte le obiezioni che portate , per ritornare in tema, siete sicuri che non nascondano il vostro potentissimo desiderio di vivere in eterno?  :) :) :)   
      Non è detto che sia poi un affare.... :'( :'(
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

acquario69

#109
Citazione di: Sariputra il 29 Agosto 2016, 09:03:10 AM
Acquario sostiene che sono io che interpreto come una dualità l'esistente. Non posso che riportare l' esempio della moneta con le due facce. Sostengo un'unità indissolubile di coscienza e forme del divenire. Ossia questo non può essere senza quello...
Quando affermo che si tratta di una catena ininterrotta, è implicito che non c'è un primo anello ( un UNO che ha generato il due, il tre, ecc.). E' una catena senza inizio e senza fine. Una catena di produzione condizionata. Il principio del Tao è inconoscibile dalla ragione e giustamente si pone l'accento sul Silenzio. Il Tao è un'esperienza del reale, non una riflessione sul reale. Quando invece i pensatori taosti introducono categorie del pensiero ( Yin Yang, maschile e femminile, ecc.) ricadono nel groviglio del teorizzare. Questo non è più il vero Tao...
Bellissima questa frase di Aniel:
la domanda c'era ma 'esigenza della risposta no,forse e' per questo che mi sento cosi' bene a questo inizio di giornata,.
Questo io lo chiamo " stare con con le cose".

P.S. Ma tutte le obiezioni che portate , per ritornare in tema, siete sicuri che non nascondano il vostro potentissimo desiderio di vivere in eterno?  :) :) :)  
     Non è detto che sia poi un affare.... :'( :'(


infatti io ho detto : ti limiteresti a considerare solo l'aspetto della manifestazione che si traduce nel duale,(ying e yang),anche se considerati in maniera complementare come unita'....quindi credo sia lo stesso senso nell'esempio che fai anche tu della moneta con due facce. (complementari di una stessa unita')

quello che dal mio punto di vista (ma che non rientra nel tuo) e' il fatto che per te non esiste cio che viene prima e da cui tutto trae la sua origine.

il Tao e' infatti inconoscibile alla ragione,ma come già detto in altre occasioni la ragione da sola non e' infatti sufficiente per "vedere" al di la dei sensi stessi e dell'umana comprensione,perché rientra nel manifesto...

penso che il discorso che abbiamo fatto finora non può che arrestarsi su questo punto..

CitazioneMa tutte le obiezioni che portate , per ritornare in tema, siete sicuri che non nascondano il vostro potentissimo desiderio di vivere in eterno?

per quello che posso dire io non si tratta affatto di desiderio ma di aver semplicemente svelato il Reale,e credimi,in questo non ce nessuna volontà di potenza anche se so benissimo che può dare questa impressione,ma e' invece esattamente il contrario.

PS: naturalmente,rimango con tutti i difetti e tutti i limiti di una qualsiasi persona 

paul11

#110
Citazione di: Sariputra il 29 Agosto 2016, 09:03:10 AMRispondo brevemente alle varie osservazioni, ben consapevole dei limiti del linguaggio e dell'estrema difficoltà di mettere in parole un'esperienza. Paul sostiene che la memoria non è identità. Su questo non sono d'accordo. La memoria del proprio vissuto è l'identità di una persona. Certo, se la perdita è momentanea, poi si ritrova, magari rielaborato, il proprio precedente vissuto, ma quando la perdita è definitiva e totale , l'identità precedente dove possiamo trovarla? Viene custodita "da qualche parte", in attesa che, dopo la morte fisica, questi ricordi magicamente ritornino perchè custoditi da un ipotetico "spirito"? Questa è pura metafisica...Ciò non impedisce a questo essere smemorato di continuare a vivere e compiere scelte , avere pensieri, ancorchè completamente distorti, ecc. ma potremmo identificare questo vissuto con il precedente? Il termine Identità ha comunque tanti significati. Nello specifico lo intendo come identità psicologica. Acquario sostiene che sono io che interpreto come una dualità l'esistente. Non posso che riportare l' esempio della moneta con le due facce. Sostengo un'unità indissolubile di coscienza e forme del divenire. Ossia questo non può essere senza quello... Quando affermo che si tratta di una catena ininterrotta, è implicito che non c'è un primo anello ( un UNO che ha generato il due, il tre, ecc.). E' una catena senza inizio e senza fine. Una catena di produzione condizionata. Il principio del Tao è inconoscibile dalla ragione e giustamente si pone l'accento sul Silenzio. Il Tao è un'esperienza del reale, non una riflessione sul reale. Quando invece i pensatori taosti introducono categorie del pensiero ( Yin Yang, maschile e femminile, ecc.) ricadono nel groviglio del teorizzare. Questo non è più il vero Tao... Bellissima questa frase di Aniel: la domanda c'era ma 'esigenza della risposta no,forse e' per questo che mi sento cosi' bene a questo inizio di giornata,. Questo io lo chiamo " stare con con le cose". P.S. Ma tutte le obiezioni che portate , per ritornare in tema, siete sicuri che non nascondano il vostro potentissimo desiderio di vivere in eterno? :) :) :) Non è detto che sia poi un affare.... :'( :'(

Sariputra
se la coscienza sparisce come le apparenze del divenire, a cosa serve la coscienza?
Di nuovo , se esiste una coerenza logica e se fossimo davvero nella verità del finito, allora coerentemente era meglio nascere animali, ucciderci e competere da animali e ragionare in finalità di violenza.quella coscienza e morale che ne deriverebbe  davvero sarebbe solo un orpello ai fini di utilità e finalità egoistiche individuali.Non lamentiiamoci, di nuovo coerentemente, se la regola della natura è apparire e sparire ,perchè la felicità passerebbe sulla infelicità del prossimo.

Stai ponendo molte problematiche di tipo egoistiche, come dire che chi crede alla metafisica e/o Dio implicitamente compie un atto di superbia?

Non ha ancora capito che la nosra cultura  contemporanea è fondata sulle apparenze dove se la morte è verità allora la vita è relativa e conta poco sull'altare della competizione  e della finalità dell'utile e funzionale? Non esistono morali.

il primo passo è capire i paradigmi logici di questa nostra cultura che tengono in piedi contraddizioni fondative.
se non si fa questo è inutile discutere di filosofia e logica dialettica.
L'eternità non è di nuovo una scelta egoistica, diventa una necessità logica razionale a prescindere dall'agente conosocitivo che lo compie.

Sariputra

#111
Citazione di: paul11 il 29 Agosto 2016, 12:54:11 PM
Citazione di: Sariputra il 29 Agosto 2016, 09:03:10 AM(
Sariputra se la coscienza sparisce come le apparenze del divenire, a cosa serve la coscienza? Di nuovo , se esiste una coerenza logica e se fossimo davvero nella verità del finito, allora coerentemente era meglio nascere animali, ucciderci e competere da animali e ragionare in finalità di violenza.quella coscienza e morale che ne deriverebbe davvero sarebbe solo un orpello ai fini di utilità e finalità egoistiche individuali.Non lamentiiamoci, di nuovo coerentemente, se la regola della natura è apparire e sparire ,perchè la felicità passerebbe sulla infelicità del prossimo. Stai ponendo molte problematiche di tipo egoistiche, come dire che chi crede alla metafisica e/o Dio implicitamente compie un atto di superbia? Non ha ancora capito che la nosra cultura contemporanea è fondata sulle apparenze dove se la morte è verità allora la vita è relativa e conta poco sull'altare della competizione e della finalità dell'utile e funzionale? Non esistono morali. il primo passo è capire i paradigmi logici di questa nostra cultura che tengono in piedi contraddizioni fondative. se non si fa questo è inutile discutere di filosofia e logica dialettica. L'eternità non è di nuovo una scelta egoistica, diventa una necessità logica razionale a prescindere dall'agente conosocitivo che lo compie.

A cosa serve la coscienza domandi ? Ad essere coscienti ed è parte della nostra natura. Sembra una facile battuta , ma mi sforzo di calarmi nell'esser-ci dell'esistenza. Il pensare che abbia una finalità altra dal semplice processo di essere presenti a se stessi è , di nuovo, scusa se mi ripeto, un cadere nella metafisica. Non riesco a vedere la coscienza come indipendente dalle forme del divenire. Anche solo per definirne le qualità dobbiamo servirci delle forme stesse.
Sono anch'io assolutamente convinto che la società attuale vive sulle apparenze. L'obiezione che poni, cioè che se esiste solo il divenire, tanto vale, anzi molto meglio, esser nati animali e goderci la vita come meglio possiamo. A questo obietto che siamo coscienti che il divenire è anche doloroso e che cause buone producono Bene e cause malvagie producono Male, in ragione del fatto che il Divenire sottostà ad una logica e coerenza interna, ossia poggia su cause e condizioni e le cui sembianze sono le forme che appaiono alla nostra coscienza.
In più l'elemento coscienza presente nel movimento stesso del divenire permette la percezione della Bellezza del divenire stesso, il godimento interiore di questa eterna Bellezza, l'Amore privo di attaccamento che ne scaturisce spontaneamente. Quindi la ricompensa del seguire le cause positive dell'agire  sorpassa ampiamente  i frutti  del seguire le cause negative dell'agire stesso.
In poche parole la condotta morale è ricompensa a se stessa.
Non sono un filosofo...mi ispiro all'Insegnamento di Siddharta Gotama, cerco di comprenderlo e renderlo vivo nella mia vita, e naturalmente lo sviluppo filosofico che ha portato alla scuola Madhyamika di Nagarjuna
« Il saṃsara è in nulla differente dal nirvāna. Il nirvāna è in nulla differente dal saṃsara. I confini del nirvāna sono i confini del saṃsara. »
(Nāgārjuna)

P.s. Volevo aggiungere che il credere in una sostanza eterna non è negativo, se questo comporta un agire secondo le cause positive. I frutti che si possono assaporare sono esattamente gli stessi. Purchè il credere non comporti divisione e conflitto ( e queste sono cause negative dell'agire). In sostanza non è credere o no nell'esistenza di un'anima, ma seguire il Bene che ci nobilita, che fa la differenza tra vivere come un essere umano  e vivere per appagare semplicemente il nostro Ego...
Sulla strada del bosco
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Trattiene rondini nei capelli.

paul11

#112
Sariputra,
con tutto il rispetto  che ho anche per il buddismo, il nirvana a mio modesto, parere equivale al nulla, per questo il buddismo non è una religione e solo una tecnica per vivere e indirettamente una filosofia, una visione del mondo,, non ha neppure risvolti sociali e infatti è una forma egoica di gestione del sè, costruita in maniera mirabile:  ma  autocontraddittoria.

Il termine coscienza che si utilizza nel linguaggio comune equivale alla volontà, " quella persona è cosciente, o incosciente...." o termine morrale, ecc. E' purtroppo un altro termine ambiguo. Personalmente, utilizzo l'autocoscienza come pensiero che riflette se stesso in relazioni con la ragione, e sta in rapporto fra anima e appunto ragione.
In effetti  ho scritto una fesseria. E' l'anima che torna allo spirito dopo la morte e non l'autocoscienza.

Riflettendo sull'eternità, non tanto dal punto di vista filosofico o teologico, ma egoistico, trovo che siano proprio coloro che temono la morte che cercheranno l'eternità.
Quando le scienze gli daranno cellule staminali, organi ricostruiti , vedranno vivere degli zombie .

Personalmente e con tutta sincerità, l'eternità è un concetto, se poi qualcuno ci vede fiumi di latte e miele o pensa di portarci i desideri reconditi di questa esistenza di nuovo ricade in contraddizione.
 Io non so pensarmi dentro l'eternità perchè non so pensare nemmeno il "volto" di Dio, metaforicamente scrivendo.

Sariputra

Citazione di: paul11 il 29 Agosto 2016, 15:03:57 PMSariputra, con tutto il rispetto che ho anche per il buddismo, il nirvana a mio modesto, parere equivale al nulla, per questo il buddismo non è una religione e solo una tecnica per vivere e indirettamente una filosofia, una visione del mondo,, non ha neppure risvolti sociali e infatti è una forma egoica di gestione del sè, costruita in maniera mirabile: ma autocontraddittoria. Il termine coscienza che si utilizza nel linguaggio comune equivale alla volontà, " quella persona è cosciente, o incosciente...." o termine morrale, ecc. E' purtroppo un altro termine ambiguo. Personalmente, utilizzo l'autocoscienza come pensiero che riflette se stesso in relazioni con la ragione, e sta in rapporto fra anima e appunto ragione. In effetti ho scritto una fesseria. E' l'anima che torna allo spirito dopo la morte e non l'autocoscienza. Riflettendo sull'eternità, non tanto dal punto di vista filosofico o teologico, ma egoistico, trovo che siano proprio coloro che temono la morte che cercheranno l'eternità. Quando le scienze gli daranno cellule staminali, organi ricostruiti , vedranno vivere degli zombie . Personalmente e con tutta sincerità, l'eternità è un concetto, se poi qualcuno ci vede fiumi di latte e miele o pensa di portarci i desideri reconditi di questa esistenza di nuovo ricade in contraddizione. Io non so pensarmi dentro l'eternità perchè non so pensare nemmeno il "volto" di Dio, metaforicamente scrivendo.

Ovviamente non condivido la tua rispettabilissima opinione sul buddhismo, ma questo va accettato. Ognuno ha il suo sentire...
Ricordo solo che, quando a 16 anni lessi per la prima volta qualcosa sull'insegnamento, ogni cosa mi sembrava assumere una sua logica e coerenza. Quindi per me fu esattamente il contrario dell'autocontraddizione che invece ravvisavo nell'insegnamento cristiano-cattolico che mi era stato impartito. Questo sì che lo sentivo molto lontano dall'esperienza del mio vivere...
Ti ringrazio dei tantissimi spunti di riflessione.

P.s: A proposito... tu ci sai fare con la vernice e gli infissi? Non ne posso più... :o :o :o   
      Scherzo naturalmente...sono pur sempre un buffone inadeguato, no? ;D
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Jean

Cit. Sariputra:  In poche parole la condotta morale è ricompensa a se stessa.
Non sono un filosofo... mi ispiro all'Insegnamento di Siddharta Gotama, cerco di comprenderlo e renderlo vivo nella mia vita, e naturalmente lo sviluppo filosofico che ha portato alla scuola Madhyamika di Nagarjuna









« Il saṃsara è in nulla differente dal nirvāna. Il nirvāna è in nulla differente dal saṃsara. I confini del nirvāna sono i confini del saṃsara. »

(Nāgārjuna)
 
 

Non raramente riproponiamo i nostri pensieri e le nostre scritture, e talvolta, quando ne  ritroviamo i fili ne abbiamo una sensazione come di rincontrar un vecchio amico. 
Nel mio caso il tuo post me ne ricordato uno mio del vecchio forum (Buddha bar post 6) che ricopio qui sotto, non avendo al tempo ricevuto risposta al quesito. Le domande son sempre (più o meno) le stesse, ma le risposte, chi le conosce davvero?


...Certamente ci si deve adoperar con fatica per ottener una qualsiasi cosa (anticamente e purtroppo odiernamente anche per il solo sopravvivere quotidiano) ma gli affanni a volte son ripagati, come ben conoscono gli artisti al completar l'opera cui furon dediti... nel contemplarla, sentendo che non v'è più nulla d'aggiungere o da togliere e che quello è il massimo che han potuto ottenere... forse alfine svuotati da quell'energia che fece dimenticar loro sonno e cibo per dedicarcisi appieno, rimangon lì, a volte lor stessi increduli del risultato (...perché non parli..?) per un tempo senza tempo, e in quel momento la pienezza recata da tal raggiungimento li farebbe accettar anche di naufragar, dolcemente, in qualche mare infinito. 

Io che ammiro le loro opere sento che hanno un senso e anche se diverranno (forse, non è completamente sicuro) polvere nel nulla pur quel nulla tuttavia dovrà accoglierle... e se dal nulla qualcosa si crea e vi ritorna, fosse anche la minima cosa, il più piccolo suono, allor non può esser nulla.

Il nulla con cui abbiamo a che fare, procedendo il concetto da un pensiero, è relativo a quello ed esiste solo in quello. 


Dir "per nulla differente" è lo stesso che dir "uguale"? 


"Il samsara è in nulla differente dal nirvāna. Il nirvāna è in nulla differente dal sasara. I confini del nirvāna sono i confini del sasara. "

(Nāgārjuna, Mūla-madhyamaka-kārikā)

 

 

Cordialmente


Jean

Sariputra

#115
Citazione di: Jean il 29 Agosto 2016, 17:23:39 PMCit. Sariputra: Il nulla con cui abbiamo a che fare, procedendo il concetto da un pensiero, è relativo a quello ed esiste solo in quello. Dir "per nulla differente" è lo stesso che dir "uguale"? [/color] "Il samsara è in nulla differente dal nirvāna. Il nirvāna è in nulla differente dal sasara. I confini del nirvāna sono i confini del sasara. " (Nāgārjuna, Mūla-madhyamaka-kārikā)   Cordialmente Jean

Una domanda più facile no..eh? ;D  Se pensi che Chandrakirti ci ha scritto dei commentari sopra...
Però, visto che sono un impavido, non voglio sottrarmi all'impegno, tenendo come punto focale che non sono un filosofo buddhista  e neanche un semplice bhikkhu (monaco)...
Parto dalla concezione assolutistica del Divenire in cui Tutto trova la sua Natura.  Il termine samsara , in questo contesto, non è tanto riferito all'aspetto del mutamento  ma all'attaccamento alle false concezioni su di esso. La mente che non comprende la Natura del reale è immersa nel samsara, nell'attaccamento alle forme  e alle sensazioni mutevoli che danno piacere o dolore. Qualunque forma di attaccamento è samsara, anche l'attaccamento all'idea di un dio o a quella dell'annientamento totale (il Nulla). Il termine Nirvana si riferisce letteralmente all'estinzione di questo attaccamento, non all'estinzione del Divenire della Natura ( il che sarebbe assurdo). Se paragoniamo l'attaccamento (samsara) alle forme del divenire  alla fiammella di una candela e il Nirvana all'estinzione, spegnimento di questa fiammella e l'insegnamento del Buddha ( Dharma) al metodo per togliere via via cera alla candela , togliendo perciò alimento alla fiammella, possiamo immaginare una similitudine.
Ora è possibile avere Estinzione ( Nirvana) della fiammella senza che ci sia una fiammella? Evidentemente no. Pertanto ipotizzare il Nirvana come altro dalla fiammella è illogico. E'semplicemente uno stato di assenza della fiammella.Ma la fiammella ha natura sostanziale o esiste unicamente in virtù di ciò che la alimenta (cera, ossigeno,ecc.) ? La fiammella (samsara) non dispone di natura sostanziale e perciò è composta da molteplici elementi di non-fiammella ( in questa caso l'attaccamento è composto da molteplici elementi: percezioni, desideri, ecc.). Ora come si può definire assente una cosa che non è presente come realtà in sé, come sostanziale? Ed essendo priva di realtà autonoma, sostanziale, ma sostenuta solo come realtà ordinaria, apparente, come designazione mentale di uno stato composto non è della stessa natura della sua assenza (Nirvana)? Il problema è che noi intendiamo il Nirvana come uno stato sensibile, di beatitudine, di gioia, ecc. mentre il Nirvana, nella sua originaria formulazione, è semplicemente lo stato di assenza dell'attaccamento ( o sete di esistere) della mente verso le sue stesse designazioni.
Le cose di questo mondo sono semplici convenzioni di nostra creazione. Dopo averle stabilite, ci perdiamo in esse e non vogliamo mollare la presa, dando il via all'attaccamento alle nostre idee e opinioni personali. Questo tipo di attaccamento non ha mai fine, è il samsara, interminabile.
Questo attaccamento che natura ha? Non è semplicemente vuoto di esistenza autonoma, intrinseca? E il Nirvana non è semplicemente Vuoto ( shunyata) dall'attaccamento stesso ?
Affermando che samsara e Nirvana non sono in nulla differenti, ritengo si intenda mettere la vacuità come caratteristica fondamentale di ogni aspetto dell'esistenza. Vacuità non intesa come Nulla , ma bensì semplicemente come insostanzialità di ogni fenomeno, come interdipendenza sia esteriore che interiore.
Se la natura del samsara è vacuità e noi cerchiamo il vuoto (vacuità) dal samsara (Nirvana) , non cerchiamo illusoriamente qualcosa che già abbiamo?
Per questo  Nagarjuna, secondo me, spinge a vedere la sostanziale vacuità di esistenza intrinseca di tutti i fenomeni designati dalla mente per vedere la loro natura di Nirvana.
Bisogna sempre considerare poi che , in particolare nel buddhismo, le enunciazioni filosofiche hanno sempre uno sfondo pratico. Questa frase celebre aiuta i praticanti a liberarsi dal falso concetto che il Nirvana sia trascendente il reale e sia sostanziale ( una sorta di paradiso in Terra per intenderci...).
La libertà dal samsara ( che è il Nibbana) non va cercata al di fuori del samsara ma è nel samsara stesso ( Sari 2016 :)) )

Una storiella per conciliare il sonno:
Un monaco, che si trovava in Cina  e si recava a Long Dam per visitare un maestro si fermò in una locanda condotta da un'anziana signora. Il monaco si presentò tenendo in mano una copia del Sutra del Diamante e l'anziana signora, che conosceva bene il testo, se ne accorse.
Dopo una notte di riposo, il monaco disse:" Buon giorno, signora. Posso avere qualcosa per aguzzare la mia mente?" (""aguzzare la mente" è un'espressione cinese che sottintende la prima colazione).
La donna per contro domandò: "Quale tipo di mente vuoi aguzzare: quella del passato, quella del presente o quella del futuro?"
Il monaco non fu in grado di rispondere. Vergognandosi , abbandonò l'idea di visitare il maestro e ritornò a casa.
Se la donna mi avesse posto la stessa domanda , avrei risposto: "Non ho bisogno della mente del passato, né di quella del presente o di quella del futuro. Ho fame e non desidero altro che qualcosa da mangiare". L'idea che la mente del passato, quella del presente e quella del futuro non possano essere afferrate è eccellente, comunque è soltanto un'idea. Abbiamo bisogno di mangiare. Questa è una realtà viva. Quando si ha fame, si fa colazione. Perchè ci si dovrebbe lasciare impressionare da una locandiera chiacchierona?
(THich Nhat Hanh)
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Trattiene rondini nei capelli.

davintro

Dire che memoria e identità sono la stessa cosa, prendendo l'espressione alla lettera, rischia di essere fuorviante, perchè presupporrebbe l'identificazione idealistica tra pensiero e realtà, e si dovrebbe cadere in una sorta di relativismo per cui il fatto di avere un'identità personale, un elemento di continuità sarebbe determinato dal nostro sentire soggettivo e dalle nostre opinioni sempre variabili a seconda degli individui. Certo dovremmo star lontani dall'errore opposto, il realismo ingenuo, che vorrebbe separare in modo troppo radicale i nostri vissuti delle cose, dalle cose stesse, fenomeno e noumeno. La memoria è un vissuto e come tutti i vissuti della nostra coscienza vanno descritti e analizzati nel modo più oggettivo possibile per  mostrare le implicazioni ontologiche (riferibili alla realtà oggettiva) legate alla possibilità di manifestazione di tali fenomeni. Quindi il problema è rilevare come sia possibile far scaturire dal vissuto della memoria il riconoscimento di un reale aspetto di permanenza del soggetto che renda ragione della capaictà dell'Io di trascendere la successione temporale che appare divorare istante dopo istante la nostra esistenza per trattenere nei ricordi il nostro passato. Quindi si può dire non che la memoria sia l'identità, ma che potrebbe presupporla. Inoltre limitandoci a considerare la memoria si rischierebbe di fermare l'analisi della continuità della persona alla dinamica presente-passato ignorando la dimensione del futuro. Quindi accanto alla memoria occorrerebbe considerare l'immaginazione e l'aspettativa, vissuti nei quali l'Io si protende verso il futuro, il non-essere-ancora, così come la memoria era il vissuto che apriva al passato. Anzi considerando il tema della discussione, paura della morte e, aggiungo io, speranza della vita eterna, direi che più decisivo sia il rapporto della coscienza con il futuro con tutte le implicazione conseguenti!

necessita la memoria di un'anima, di una sostanza trascendente? Ecco qua la qualifica di trascendente intesa in un certo modo può portare fuori strada. Che si intenderebbe con "trascendente"? Se la trascendenza dell'anima dal corpo la si intende come la intendeva il rigido dualismo cartesiano res cogitans-res extensa, io potrei essere d'accordo con chi nega che la memoria o qualunque altra funzione psichica giustifichi il ricorso a una causa trascendente separata (tale dualismo comprometteva tanto pesantemente l'unità della persona che per mantenerla tale occorreva l'ipotesi fantasiosa di una "ghiandola pineale" che tra l'altro nel collegare l'anima al corpo finiva perfino con lo spazializzare l'anima, che finiva con l'essere materializzata nell'essere collegata a qualcosa di fisico come una ghiandola, paradossalmente anche il dualismo esasperato porta a conclusioni materialiste!). Totalmente diverso il discorso se si considera l'anima nell'accezione aristotelica e tomista di "forma" del corpo", l'anima come causa formale che rende il corpo un corpo umano, portatore di una vita razionale. Non va negata l'ovvia dipendenza delle funzioni psichiche come la memoria dal corpo, dal cervello, un cervello sano, ma il punto è: cosa rende il cervello sano un "cervello sano", e non un ammasso di atomi materiali inadatti a sostenere qualunque processo mentale. Cosa rende il corpo vivente "vivente" e non una cadavere? Qui entra in gioco l'anima, la causa formale che plasma la materia e la rende materia organizzata a sostenere attività psichiche, materia cerebrale vivente. L'anima è fonte di vita del corpo. Certamente, considerando la situazione dell'uomo, unità di forma e materia, anima e corpo, l'anima non potrebbe agire se non all'interno dei limiti imposti dalla materia. Ma escludere a livello assoluto una condizione in cui una volta slegata da una certa materia, la forma, di per sè non delimitata spazialmente, possa trovare una nuova materia da configuare come "vita", predisposta a certe funzioni differenti da quelle a cui è predisposta la materia che conosciamo ora (il nostro corpo così come è ora) vorrebbe dire ammettere che la vita umana è possibile solo nella misura in cui si realizza nel nostro mondo immanente, mondo immanente che in questo modo verrebbe assolutizzato, essendo posto come l'unico possibile già all'inizio del discorso. Il rischio è quello di un circolo argomentativo vizioso, nel quale ciò che si vorrebbe dimostrare, l'intrascendibilità dell'immanenza, è posta già come premessa, l'idea che l'unica spiritualità possibile sia quella umana, cioè la spiritualità di un'anima dipendente dalla materia, escludendo a priori  di considerare, a livello ipotetico, la nozione di "spirito" considerato indipendentemente dal resto per poi mostrare delle implicazioni conseguenti a tale considerazione

p.s.
Grazie a tutti per gli auguri!

paul11

Quello che ho notato storicamente è che le scienze antiche  traslavano il concetto nelle persone e il senso e i significati entravano nelle relazioni fra dei, semidei, umani. Quindi i concetti sono portati, incarnati nelle persone, il concetto è antropomorfo.
La separazione avviene con la filosofia greca, il concetto diventa per sè stesso separato dall'uomo.
La terza fase è quella dei pensatori in qualche modo critici prima con l'Illuminismo poi con i concetti di modernità, è quì che riapparare
nell'esistenzialismo in modo eclatante il rapporto uomo/filosofia, spesso rivisita l'intero percorso storico del pensiero filosofico, ma sempre con il tentativo di riconciliare l'Essere e l'uomo.

Davintro, 
sono ancora d'accordo sulla tua prima parte nella relazione memoria/identità e sul fare attenzione a  non cadere nel realismo ingenuo.
Mi piace l'acuta osservazione sulla problematizzazione dell'anima come forma e sostanza. Io credo a entrambi, ma proprio perchè noi siamo ponte fra empirico e metafisico , noi siamo natura e cultura, noi siamo razionale e irrazionale, siamo noi stessi incarnazione del contraddittorio duale che metaforizza nei miti, nei romanzi, nell'arte e nella filosofia 
L'anima è il "traghettatore" dello e allo spirito,  in quanto ponte dei domini dell'empirico e del metafisico e che razionalizza attraverso la ragione, la deduzione e l'induzione, ovvero armonizza i due domini costruendo un unico senso che li attraversi: questo è il trascendente dall'empirico al metafisico e pongo l'agente razionalizzante, vale a dire l'essere umano come centrale nel processo epistemologico.

Lo spirito puro non può entrare direttamente nella  materia , è una questione di energia, deve incarnarsi, deve diventare materia  soggetta alle regole della realtà dell'universo, ma questo è più esoterismo che filosofia

La vita ha il profondo significato di sciogliere la negazione del contraddittorio, ovvero le differenze ne ll divenire enl finito, sintetizzarle autocoscientemente con la ragione e trascenderli verso L'uno.Quindi il percorso umano è dal molteplice all'Uno che è identità assoluta e universale . Ma la stessa autocoscienza ,per no illudersi, deve di nuovo costantemente agire nei due movimenti dal metafisico all'empirico e viceversa affichè quella trascendenza non divenga astrazione e riappaiono le negazioni del contraddittorio che frammenterebbe di nuovo  e in cui riapparirebbe nella negazione il suo signore assoluto.la morte nel divenire.

Il conoscere nella vita ,allora diventa il percorso del conoscere per evolvere la propria autocoscienza.Il ruolo dell'apparire e del nascondimento è il luogo in cui l'uomo attraversa l'orizzonte delle proprie esperienze  in cui costantemente rielabora il contraddittorio
 confrontando l'Uno e il molteplice, l'identità e la contraddizione identitaria della frammentazione.

Jean

Caro Sari,

oggi abbiamo risposto, tu per primo, al nuovo giovane utente "Sogni e Pensieri" (ho apprezzato i tuoi consigli) che evidenziava una caratteristica (tra le più importanti ) della mente, quella di aderire agli oggetti/pensieri/enti ecc. che incontra, sia da desta che in sogno. 

Non fosse che nel percorso tra percezione e reazione/risposta sia coinvolto un piccolissimo lasso temporale (forse dovuto a caratteristiche biologiche o forse no...) che permette l'esperienza/sensazione  dell' "osservatore", non avremmo scampo, saremmo quello che percepiamo e risponderemmo in funzione di quello che abbiamo immagazzinato e/o avuto in eredità nella memoria individuale e collettiva.  

Non raramente sfugge l'importanza di quel piccolo intervallo temporale, eppure la condizione umana si origina da lì (differentemente dagli animali). 
Il divenire presuppone il tempo e vorrei suggerirti di considerare quel piccolo intervallo temporale...

Poiché come dici qualunque forma di attaccamento è samsara e la mente non si può cambiare/trasformare/sopprimere ecc., lo stato di "assenza dall'attaccamento"  o della caratteristica della mente di aderire, si ha quando quel piccolo intervallo temporale per un qualche motivo non entri in gioco, come mi par possa avvenire a seguito delle pratiche zen, ad esempio del tiro con l'arco.

Ho dei dubbi che "le cose di questo mondo sono semplici convenzioni di nostra creazione. Dopo averle stabilite, ci perdiamo in esse e non vogliamo mollare la presa, dando il via all'attaccamento alle nostre idee e opinioni personali." nel senso che la nostra attività pensante, e ancor più quella "creatrice", ci "accadono" più che esser noi a produrle. 
Ma naturalmente ognuno ha le sue opinioni in merito, anche se nel secondo caso dovrebbe esser possibile (avendole prodotte) intervenirci... cosa alquanto  difficile... nella quasi totalità vengono "sostituite" con altre...

Sono del tutto d'accordo  che "questo tipo di attaccamento non ha mai fine, è il samsara, interminabile." , ma da questo punto trovo semplicistica l'affermazione che l'attaccamento abbia una natura intrinsecamente vuota come lo sia il nirvana rispetto ad esso. 
Mancano dei passaggi, è un salto troppo lungo, fuor di parametri, c'è qualcosa di inappropriato nell'usare il termine "vuoto", forse c'è una questione semantica (son solo mie opinioni, naturalmente).

Vediamola in un altro modo... che sono quei "confini" che delimitano sia il samsara che il nirvana?

Ammettere un confine è ammettere anche un limite... ricordo che usi parlar delle due facce della stessa medaglia, eccole qui, da una parte il samsara e dall'altra il nirvana. 
E un percorso nella mente/moneta della percezione su una faccia e la risposta nell'altra (a causa di quel piccolo lasso di tempo, quel provvidenziale e miracoloso stratagemma...). 
In quest'accezione il nirvana non è la risposta ma la permette. 

Le due facce esprimono il perfetto equilibrio della mente/moneta, qualcosa entra e qualcosa esce... se la direzione sia una meta "per nulla differente"  è quanto rimane da scoprire...


Nel mio modo d'indagare, riposti i libri d'un tempo, interpreto con quel poco che l'esperienza mia ha insegnato i confini della vita e dove/quanto dedicarci il tempo che mi resta, scusandomi della limitata partecipazione.  
 


Cordialmente

Jean

Sariputra

Caro Jean
La parola "vuoto", per noi occidentale così indigesta, istintivamente ripugnante quasi, in sanscrito era usata come aggettivo e si riferiva di solito ai luoghi tranquilli in cui i monaci potevano meditare con profitto. I luoghi quieti, pacifici, non disturbanti. Per questo non s'intende il vuoto come un assoluto, una cosa in Sè, ma semplicemente e sempre  in riferimento alle cose (dhamma) e agli oggetti mentali che continuamente affollano la mente ( pensieri, sensazioni, sogni,ecc.). Quando la mente sperimenta lo stato di non-attaccamento a tutto questo si definisce "mente vuota dall'attaccamento". Il Nirvana è proprio questa possibilità , questa qualità di esistere della mente. La natura dei dhamma che continuamente sperimentiamo è definita vuota non nel senso che non esistono , ma invece , anche qui, come "vuoti di esistenza intrinseca", ossia interdipendenti, soggetti all'insorgere e allo svanire ( a volte questo insorgere e svanire è rapidissimo, tanto che la mente non riesce normalmente a definirli, appaiono come un lampo all'osservazione della coscienza). La mente quindi viene intesa come "creatrice del mondo" perchè opera una designazione di questi dhamma passeggeri, fluidi, in continuo cambiamento. Assegna loro forma e identità e comincia a maturare un'opinione su quello che lei stessa ha definito, normalmente aggrappandocisi. Al di fuori di questo lavoro incessante, continuo della nostra testa, la Realtà esiste, fluisce, nasce e muore...
Non so dirti se, quell'intervallo di tempo di cui parli, quello che passa tra la sensazione dovuta dal contatto dei sensi con i dhamma esterni e dell'elemento coscienza con quelli interni, sia semplicemente il tempo che serve alla ragione per ricondurre l'evento al riconoscimento, tramite la memoria, dello stesso e la sua catalogazione e interpretazione. Un tempo "tecnico", biologico di reazione.
Spesso in questo tempo abita l'angoscia esistenziale, in questo "luogo" si annida la consapevolezza dell'impermanenza di tutte le cose, la sensazione di non avere risposte, appunto il "vuoto" di esserci della nostra condizione. E' un luogo che la coscienza sembra non registrare, ma è vivo e pieno di dolore ( dukkha). Nell'arte del primo novecento abbiamo avuto dei grandi artisti che hanno scavato in questo luogo/non-luogo della mente (Kafka, E.Munch, G.Morandi,ecc.) mettendo a nudo il dramma esistenziale dell'uomo. Non possiamo fondarci in niente e allora irrompe la sensazione del nulla.
Il Buddha partiva dalla consapevolezza della sconfitta della ragione e di ogni metafisica e nella loro incapacità di trovare risposta all'irrisolvibile questione del Perchè, del "Perchè una Causa ( un essente) e non il nulla?" Siddharta invita alla realizzazione del Shunyata come soluzione, superamento di questo dolore . La disciplina della mente diventa fondamentale per calarci nell'esperienza del mistero dell'esistenza e trovare nella stessa "sostanza" della disperazione esistenziale la via dell'Illuminazione (Nirvana). 
L'approdo, a parer mio ovviamente.è la consapevolezza che la Realtà è una corrente in continuo movimento e che c'è un luogo di pace dentro di noi che si realizza solo  con il distacco dall'attaccamento ad essa, causa della nostra disperazione esistenziale. Di questo luogo di pace nulla si può dire con il linguaggio. E' un'esperienza.
Un saluto dal pittore...di infissi!! :D :D 
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

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