Perche si ha paura di morire?

Aperto da acquario69, 16 Agosto 2016, 06:45:00 AM

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acquario69

il titolo di questo argomento non e' forse dei migliori,mi sembra tuttavia,che parecchie persone abbiano l'angoscia di dover morire un giorno.
sicuramente saro' strano io ma francamente non riesco a capirlo.

ma che cose' che spaventa così tanto,forse l'idea che dopo non vi sarà altro che il nulla?!
ma se vi fosse il nulla assoluto come potrebbe esserci qualcosa?...non può certo venire dal nulla,o tornarci!
quindi e' evidente che il nulla non può esistere (il che già dire che esiste il nulla,la dice lunga sull'enorme contraddizione) 


possibile che non si riesce ad andare,non dico tanto,ma almeno un briciolo,oltre i nostri sensi fisici e mentali? 

paul11

Perchè i sensi negano, ma la ragione no.
La morte ci appare assurda come contraddizione per antonomasia.
Ma come, sono quì, nato in uno spazio tempo, relaziono con genitori, insegnanti, amici, parenti, figli,gioisco e mi addoloro e alla fine la morte mi appare nelle spoglie mortali di qualcuno che conosco, con cui ho condiviso pensieri
e sentimenti che credeva,s'innamorava e ora tutto finisce dissolto .Pensieri, sentimenti, vissuti diventano pagine per ogni individuo che pian piano ingialliscono fino a sparire dal'orizzonte del mondo, 
Dimenticati nell'oblio, quando l'attimo per attimo invece era intriso di fiducie, speranze, ansie, felicità

Oltre alla paura fisica che l'istinto di sopravvivenza chiama a resistere con la nostra vitalità è l'assurdo del 
contraddittorio fra ragione attraverso i sensi nel dominio del sensibile e ragione del pensiero concettuale.

Anche se sulla morte, una mia considerazione è che alla fine lasciamo la presa mentalmente, stanchi di vivere,per mille motivi. Perchè ci sentiamo di peso, perchè la mente si stacca dal corpo non è più unita al medesimo intento istinto di sopravvivenza e ragione di vivere.ma queste forse sono altre considerazioni.ma spesso siamo noi umani
che molliamo la presa. E' l'ultimo atto contraddittorio fra corpo fisico e anima spirituale e finalmente l'essenza del corpo che è la sua esperienza del vissuto si riconduce a tutto il senso della propria esistenza che sono le relazioni,Sono gli affetti soprattutto, i nostri pensieri reconditi che tornano allo spirito che iniziò la propria esistenza incarnandosi in un corpo fisico, vale a dire l'inizio della contraddizione fra spirito eterno e corpo in divenire, fra il finito e determinato e l'eterno spirtuale. Ma dobbiamo compierlo perchè questo è l'orizzonte definito destino.
Quindi è giusta quella paura è giusta la contraddizione, affinchè il viatico della propria esistenza raccolga essenze dal mondo sensibile e i sensi dal mondo spirituale e li riunisca.
Noi siamo l'incarnazione di una contraddizione in termini e la morte è l'assurdo che ci appare.

Sariputra

La paura di morire è legata all'istinto naturale, allo spirito della bestia ;D che ci compone, si potrebbe dire che è sovrapersonale, che ci accomuna a tutte le specie viventi. Non appena però la sofferenza fisica ( o morale) diventa insopportabile questo legaccio si allenta e allora l'oblio non appare più come un pozzo nero che ci inghiotterà,ma piuttosto una "porta d'uscita" dal dolore, divenuto ora intollerabile; la porta d'uscita verso una dimensione ( qualunque essa sia , anche il non esserci più) che ci sottrae finalmente a questo. Il desiderio di vivere è legato molto allo stato di salute e, se il dolore fisico è insopportabile, questo anelito si affievolisce, per infine sparire. Ricordo la mia povera nonna che, al mattino, dopo una terribile notte passata tra i tormenti, mi disse:- Sari ( :) ) non mi importa dove andrò ma...voglio morire prima di sera, non posso sopportare un'altra notte simile. non ce la faccio,,,- ( è poi deceduta nel primo pomeriggio).
Se parliamo di oblio poi, dobbiamo considerarlo come un'esperienza costante del nostro vivere. Tutti i giorni e tutte le notti facciamo esperienza di stati d'oblio. Oblio temporaneo certo , ma pur sempre oblio. Nel sonno profondo senza sogni, nei ricordi che dimentichiamo, in tutti quei momenti in cui non ci siamo, non possiamo ricordarci di noi, non abbiamo coscienza di esser-ci.
Sappiamo che non è uno stato doloroso. Sappiamo che tutto prosegue anche se non ci siamo con la coscienza. Sappiamo che il nostro corpo continua a trasformarsi anche nell'oblio di sè. Sappiamo che anche dopo la fine delle funzioni vitali, questo stesso corpo continuerà a trasformarsi ( in humus, gas, ecc.), che la morte è una parola che riguarda solamente il pensiero.
E' l'Io che vuole durare in eterno, La faccenda non riguarda il corpo che prosegue tranquillo la sua corsa di trasformazione. Tra l'altro al corpo sembra che non importi nulla di quanta sofferenza può arrecare all'ospite che lo abita , il signor Io. Il problema è che il signor Io è una personalità alquanto confusa: non sa quello che vuole, non sa da dove viene, non sa dove finirà e allora se lo immagina in mille modi fantasiosi,non sa se è dentro il corpo o se è fuori ( si accorge che è dentro  perchè finisce per desiderare sempre di soddisfare il suo vettore, gli sembra di essere fuori quando usa la ragione per darsi una spiegazione di quello che vede intorno). Mi sembra che, come un fabbro monco non può battere il martello sull'incudine, così il Signor Io non può sperare di continuare ad esserci quando quello che lo compone, il ricordo, se ne andrà con la trasformazione chiamata vecchiaia e infine con la traformazione in concime del proprio cervello. Se qualcosa di eterno è in noi e sopravviverà alla trasformazione, non sarà il povero signor Io e con lui, nel non-doloroso e non-piacevole oblio, se ne andranno i suoi ricordi, le sue gioie , i suoi tormenti.
Se, per fede e solo per fede, qualcuno ritiene che proprio il signor Io, questo irresponsabile vanesio e pasticcione, sia in grado di vivere " in eterno" con tutti i suoi ricordi, dovrebbe porsi la domanda: -Ma lo voglio davvero?-
Se invece si  pensa a cose come anima, atman, Super-Io, anima del mondo, energie cosmiche eterne e chi più ne ha più ne metta...beh mi sembra che stiamo parlando di un'altra cosa che poco  ha a che fare con il signor Io, che esiste finchè esistono i suoi ricordi e poi...sprofonda per sempre nell'oblio! Perchè i ricordi sono come le nuvole in cielo: oggi ci sono e domani son sparite ( e non è per nulla scontato che questo sia un male, perchè molti, molti ricordi son troppo dolorosi e volentieri li lasciamo dileguarsi all'orizzonte...).
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

acquario69

Citazionepaul scrive:
sono quì, nato in uno spazio tempo.

ed e' proprio perché siamo gettati in tale dimensione temporale che si prefigura la morte...nascita e morte,ma non ce nell'una e nell'altra,sono credo solo tras-formazioni e noi nel limite implicito di questa dimensione possiamo esperire (con i sensi) quelle.


Citazionepaul scrive:
Perchè i sensi negano,ma la ragione no.

Citazionepaul scrive:
Noi siamo l'incarnazione di una contraddizione in termini

sono d'accordo!..il punto e' (secondo me) che i sensi sono illusione,ma la ragione no,perché questa e' "collegata" all'essenza eterna ed immutabile ed e' per questo che la morte non dovrebbe far paura.

CitazioneSariputra scrive:
Se invece si  pensa a cose come anima, atman, Super-Io, anima del mondo, energie cosmiche eterne e chi più ne ha più ne metta...beh mi sembra che stiamo parlando di un'altra cosa che poco  ha a che fare con il signor Io, che esiste finchè esistono i suoi ricordi e poi...sprofonda per sempre nell'oblio!

e ti pare poco?!...finalmente (io dico) che l'IO sparisca per sempre nell'oblio!...MA e ad ogni modo,come già detto da prima,il nulla non può esistere...


----------------

io avrei anche un altra curiosità...mi sembra che per i cristiani la vita sia un dono...ma cosa ne pensano davvero i cristiani?..(se ancora ci sono)

anthonyi

 :D
A me questo titolo fa pensare all'esperienza della vita a tempo, quando la sentenza di un medico ti dice: "Lei ha x mesi di vita." Allora hai tempo per riflettere sul tuo passato, perché pensi di non avere più un futuro. Negli altri casi, invece, la morte arriva senza preavviso, per cui non puoi aver paura di morire, e se ce l'hai vuol dire che c'è qualcosa di anomalo che ruota nella testa.
Tutti abbiamo la certezza che un giorno moriremo, ma l'incertezza istantanea ci permette di relegare il pensiero nello sgabuzzino della mente, soprattutto se siamo felici. Se invece siamo infelici, sofferenti, allora il pensiero della morte sopravviene, magari come una potenziale liberazione, in particolare per le sofferenze psichiche, quelle che ti prendono nel profondo.

Duc in altum!

**  scritto da acquario69:

Citazioneio avrei anche un altra curiosità...mi sembra che per i cristiani la vita sia un dono...ma cosa ne pensano davvero i cristiani?..
Non solo la vita è una grazia, ma il senso della vita è donarla (a nostra volta!).

Per quel che riguarda la paura di morire, da cattolico, preferisco rispondere così: "Nell'amore non c'è timore, al contrario l'amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell'amore". (1Gv 4, 18)
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

Mariano

Ritengo impossibile dare una risposta a questa domanda ed anche difficile dire se sia un tema religioso, filosofico o psicologico.
Ciascun essere può avere le proprie motivazioni o addirittura non aver paura di morire.

Sariputra

#7
Citazione di: acquario69 il 16 Agosto 2016, 13:38:56 PMe ti pare poco?!...finalmente (io dico) che l'IO sparisca per sempre nell'oblio!...MA e ad ogni modo,come già detto da prima,il nulla non può esistere... ---------------- io avrei anche un altra curiosità...mi sembra che per i cristiani la vita sia un dono...ma cosa ne pensano davvero i cristiani?..(se ancora ci sono)

Infatti è un errore equiparare l'oblio con il nulla. L'oblio, come cita il dizionario, è Dimenticanza (non come fatto momentaneo, per distrazione o per difetto di memoria, ma come stato più o meno duraturo, come scomparsa o sospensione dal ricordo). L'oblio dei ricordi determina lo svanire del signor Io , che è sostanziato di ricordi, ma non il nulla, infatti la vita prosegue indifferente nel suo processo continuo di trasformazione. Però attento acquario che ,  quando affermi "finalmente (io dico) che l'Io sparisca per sempre nell'oblio", è lo stesso Io ad auspicarselo, per sostituirlo con un altro Io, più raffinato e difficile da localizzare... ;D  Vedi cosa siamo costretti a dire? IO spero che IO finisca finalmente!... Viviamo la contraddizione dell'osservatore che si sforza di osservarsi. Eppure è proprio questo, mi sembra, il punto nodale, l'inghippo. L'osservazione è il cuore della ricerca spirituale e si impara tanto dall'osservarsi...se tentiamo di farlo senza pre-concetti e pre-giudizi.
Quello che noi chiamiamo convenzionalmente persona, e che pensiamo sia qualcosa di ben definito e sostanziale, non è altro che il mutevole e illusorio signor Io, in sella ai suoi ricordi, fatto da questi, che si identifica con questi. Quando questo cavallo...pardon ricordo, si sfianca nella corsa  e cede, nell'avvenuta trasformazione chiamata vecchiaia o malattia, e se ne va, svanisce, allora anche il signor Io, senza nemmeno accorgersene, lo segue nell'oblio.
E questo è un fatto comune, osservabile, sperimentabile da chiunque. La mia mamma che tanto teneramente mi amava ( volutamente al passato) adesso trema e sussulta al mio apparire, come fossi il peggior e più ostile estraneo. Il reset provocato dalla demenza ha nuovamente trasformato il suo  signor Io in qualcos'altro, certo non è più l'Io di quella che chiamavo ( e ancora chiamo convenzionalmente) mamma. Quando parliamo di auto-coscienza la pensiamo "indipendentemente" dai ricordi? La pensiamo indipendente dal pensiero? E quando i ricordi e il pensiero se ne vanno...dove va l'autocoscienza?
Senti cosa ne dice il Tasso: Ma 'l sonnoche de' miseri mortali È co 'l suo dolce oblio posa e quieteSopì co' sensi i suoi dolori.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Phil

Considerazioni in ordine sparso:

- Non si può conoscere (tantomeno esperire) la morte al punto da averne paura: la paura della morte è dunque la paura dell'Ignoto per eccellenza... una paura infondata (non si conosce davvero ciò che si teme), istintiva e, in fondo, ingenua (non è detto che la morte non sia un buon affare, soprattutto per i credenti...  ;)).

- Che rapporto ha la morte con il nulla? Secondo me, solo il fatto di non poterne sapere nulla  ;D
Quando parliamo di "finire nell'oblio" è perché non accettiamo davvero la morte di ciò che muore e dobbiamo/vogliamo mandarlo da qualche parte... ed ecco che, non potendo lasciarlo nel mondo, non volendo sbilanciarci in paradisi, inferni o universi paralleli, allora lo mandiamo nell'oblio (che è poco più di un'immagine poetica...).
E se invece non andasse da nessuna parte, proprio perché è morto e, quindi, non c'è nulla/nessuno che debba spostarsi o viaggiare?

- Il nulla è contraddittorio? Direi che anche l'eternità lo è, ma è molto più rassicurante, quindi ci sta simpatica e facciamo finta che sia perfettamente logica (se è un paradosso che il nulla "generi" qualcosa, non è anche altrettanto paradossale che qualcosa esista senza essere generato? Il vantaggio è che a questo qualcosa possiamo assegnare un'identità, mentre al nulla non possiamo darla, e sappiamo come logicamente l'uomo non possa prescindere dal concetto e dal principio di identità...).

- La morte come contraddizione? Se fosse davvero contraddittoria potrebbe realizzarsi costantemente, regolarmente e infallibilmente sin dall'alba dei tempi? Non sarebbe come ritenere contraddittorio che il sole sorga ad est e tramonti ad ovest... Talvolta rischiamo di scambiare per "contraddittorio" o "assurdo" solo ciò che non vogliamo/possiamo accettare, ma che, in sé, è estremamente verificabile ed affidabile: la morte degli altri esseri viventi dovrebbe essere differente dalla nostra solo perché siamo eretti e con il cervello grande? Intanto possiamo star certi che ci spegneremo come loro, nonostante le nostre conquiste, la nostra autocoscienza e la nostra fede... poi se c'è un "resto" dopo aver pagato il "conto" alla natura (anche qui nessuna contraddizione), lo vedremo quando toccherà a noi... per ora restiamo in fila alla "cassa" e cerchiamo di non litigare, che prima o poi tocca a tutti...

P.s. In breve: cosa c'è di contraddittorio o pauroso in un cambiamento di stato-condizione che non può essere esperito perché, plausibilmente, è lo "spegnersi" dell'esperire stesso?

doxa

Nei post di questo topic non appare il sostantivo "escatologia". Mi sembra che sia il contenitore adatto per le riflession i in merito.

acquario69

CitazioneSariputra:
L'oblio dei ricordi determina lo svanire del signor Io , che è sostanziato di ricordi, ma non il nulla, infatti la vita prosegue indifferente nel suo processo continuo di trasformazione. Però attento acquario che ,  quando affermi "finalmente (io dico) che l'Io sparisca per sempre nell'oblio", è lo stesso Io ad auspicarselo, per sostituirlo con un altro Io, più raffinato e difficile da localizzare... ;D  Vedi cosa siamo costretti a dire? IO spero che IO finisca finalmente!... Viviamo la contraddizione dell'osservatore che si sforza di osservarsi. Eppure è proprio questo, mi sembra, il punto nodale, l'inghippo. L'osservazione è il cuore della ricerca spirituale e si impara tanto dall'osservarsi...se tentiamo di farlo senza pre-concetti e pre-giudizi.

Quello che noi chiamiamo convenzionalmente persona, e che pensiamo sia qualcosa di ben definito e sostanziale, non è altro che il mutevole e illusorio signor Io, in sella ai suoi ricordi, fatto da questi, che si identifica con questi. Quando questo cavallo...pardon ricordo, si sfianca nella corsa  e cede, nell'avvenuta trasformazione chiamata vecchiaia o malattia, e se ne va, svanisce, allora anche il signor Io, senza nemmeno accorgersene, lo segue nell'oblio.

E questo è un fatto comune, osservabile, sperimentabile da chiunque. La mia mamma che tanto teneramente mi amava ( volutamente al passato) adesso trema e sussulta al mio apparire, come fossi il peggior e più ostile estraneo. Il reset provocato dalla demenza ha nuovamente trasformato il suo  signor Io in qualcos'altro, certo non è più l'Io di quella che chiamavo ( e ancora chiamo convenzionalmente) mamma. Quando parliamo di auto-coscienza la pensiamo "indipendentemente" dai ricordi? La pensiamo indipendente dal pensiero? E quando i ricordi e il pensiero se ne vanno...dove va l'autocoscienza?

e se anche non avessi rimarcato quell' (io dico) non sarebbe stato pur sempre e inevitabilmente sottointeso?  
non penso che l'identità si possa negare e credo che sia una condizione imprescindibile 
io credo che abbiamo un autocoscienza individuale ma al tempo stesso una coscienza universale o in termini più semplici l'io non e' qualcosa di isolato e separato,perché se fosse così non ci sarebbe nemmeno un io
la prima e' passeggera,una modalità dell'essere che si manifesta,la seconda va oltre qualsiasi identificazione (prima,dopo,dentro,fuori,nascita e morte...) ma che comunque e' eternamente presente già in noi.

CitazionePhil:
se è un paradosso che il nulla "generi" qualcosa, non è anche altrettanto paradossale che qualcosa esista senza essere generato? 

secondo me invece e' logicamente coerente considerare che dal nulla non possa generarsi qualcosa di conseguenza e' altrettanto logico che Tutto esiste già di per se stesso,in termini diciamo simultanei...probabilmente e' la nostra mente che considera le cose in successione temporale (inizio,fine,nascita e morte) ed e' per questo che finiamo per avvertirlo in maniera paradossale

CitazioneDuc:
Non solo la vita è una grazia, ma il senso della vita è donarla (a nostra volta!).

Grazie per la tua risposta

Sariputra

Citazione di: acquario69 il 17 Agosto 2016, 03:55:28 AM
CitazioneSariputra: L'oblio dei ricordi determina lo svanire del signor Io , che è sostanziato di ricordi, ma non il nulla, infatti la vita prosegue indifferente nel suo processo continuo di trasformazione. Però attento acquario che , quando affermi "finalmente (io dico) che l'Io sparisca per sempre nell'oblio", è lo stesso Io ad auspicarselo, per sostituirlo con un altro Io, più raffinato e difficile da localizzare... ;D Vedi cosa siamo costretti a dire? IO spero che IO finisca finalmente!... Viviamo la contraddizione dell'osservatore che si sforza di osservarsi. Eppure è proprio questo, mi sembra, il punto nodale, l'inghippo. L'osservazione è il cuore della ricerca spirituale e si impara tanto dall'osservarsi...se tentiamo di farlo senza pre-concetti e pre-giudizi. Quello che noi chiamiamo convenzionalmente persona, e che pensiamo sia qualcosa di ben definito e sostanziale, non è altro che il mutevole e illusorio signor Io, in sella ai suoi ricordi, fatto da questi, che si identifica con questi. Quando questo cavallo...pardon ricordo, si sfianca nella corsa e cede, nell'avvenuta trasformazione chiamata vecchiaia o malattia, e se ne va, svanisce, allora anche il signor Io, senza nemmeno accorgersene, lo segue nell'oblio. E questo è un fatto comune, osservabile, sperimentabile da chiunque. La mia mamma che tanto teneramente mi amava ( volutamente al passato) adesso trema e sussulta al mio apparire, come fossi il peggior e più ostile estraneo. Il reset provocato dalla demenza ha nuovamente trasformato il suo signor Io in qualcos'altro, certo non è più l'Io di quella che chiamavo ( e ancora chiamo convenzionalmente) mamma. Quando parliamo di auto-coscienza la pensiamo "indipendentemente" dai ricordi? La pensiamo indipendente dal pensiero? E quando i ricordi e il pensiero se ne vanno...dove va l'autocoscienza?
e se anche non avessi rimarcato quell' (io dico) non sarebbe stato pur sempre e inevitabilmente sottointeso? non penso che l'identità si possa negare e credo che sia una condizione imprescindibile io credo che abbiamo un autocoscienza individuale ma al tempo stesso una coscienza universale o in termini più semplici l'io non e' qualcosa di isolato e separato,perché se fosse così non ci sarebbe nemmeno un io la prima e' passeggera,una modalità dell'essere che si manifesta,la seconda va oltre qualsiasi identificazione (prima,dopo,dentro,fuori,nascita e morte...) ma che comunque e' eternamente presente già in noi.
CitazionePhil: se è un paradosso che il nulla "generi" qualcosa, non è anche altrettanto paradossale che qualcosa esista senza essere generato?
secondo me invece e' logicamente coerente considerare che dal nulla non possa generarsi qualcosa di conseguenza e' altrettanto logico che Tutto esiste già di per se stesso,in termini diciamo simultanei...probabilmente e' la nostra mente che considera le cose in successione temporale (inizio,fine,nascita e morte) ed e' per questo che finiamo per avvertirlo in maniera paradossale
CitazioneDuc: Non solo la vita è una grazia, ma il senso della vita è donarla (a nostra volta!).
Grazie per la tua risposta

Nell'affermare che il signor Io è illusorio non si intende che non esiste identità. L'identità esiste , ma non è eterna. E' semplicemente una cosa che nasce, muta, cambia e muore. Ossia è insostanziale e impermanente. Esiste in senso convenzionale ma non in senso ultimo. Può esistere ( o non esistere) un Io universale, eterno, anima del mondo, ecc. ma questo non cambia la storia, e la fine, del piccolo signor Io personale. Comunque acquario qui si scontrano due posizioni speculative che si fronteggiano da almeno 2500 anni. Usando la terminologia hindu possiamo definirle come la visione atta e all'opposto quella anatta dell'esistenza. La posizione atta  (maggioritaria, religioni abramitiche, induismo, animismo, ecc.)  vede l'Io come sostanziale, duraturo, autonomo. L'anatta (minoritaria, buddhismo e poco altro) lo vede transitorio, impermanente, insostanziale e interdipendente. Il mio Io convenzionale propende decisamente ( ma penso si sia capito...) per la minoritaria. Non per atto di fede ma bensì perchè mi sembra più vicina all'esperienza concreta della mia vita passata e  presente. Ossia l'insostanzialità ultima delle cose e dell'Io, prima l'ho osservata e verificata in me stesso e poi sono andato ad approfondirla leggendo, riflettendo sui testi, ecc. Altrimenti perchè avrei scelto come nickname quello di Sariputra?  :D :D
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

donquixote

Citazione di: Sariputra il 17 Agosto 2016, 09:25:21 AMNell'affermare che il signor Io è illusorio non si intende che non esiste identità. L'identità esiste , ma non è eterna. E' semplicemente una cosa che nasce, muta, cambia e muore. Ossia è insostanziale e impermanente. Esiste in senso convenzionale ma non in senso ultimo. Può esistere ( o non esistere) un Io universale, eterno, anima del mondo, ecc. ma questo non cambia la storia, e la fine, del piccolo signor Io personale. Comunque acquario qui si scontrano due posizioni speculative che si fronteggiano da almeno 2500 anni. Usando la terminologia hindu possiamo definirle come la visione atta e all'opposto quella anatta dell'esistenza. La posizione atta (maggioritaria, religioni abramitiche, induismo, animismo, ecc.) vede l'Io come sostanziale, duraturo, autonomo. L'anatta (minoritaria, buddhismo e poco altro) lo vede transitorio, impermanente, insostanziale e interdipendente. Il mio Io convenzionale propende decisamente ( ma penso si sia capito...) per la minoritaria. Non per atto di fede ma bensì perchè mi sembra più vicina all'esperienza concreta della mia vita passata e presente. Ossia l'insostanzialità ultima delle cose e dell'Io, prima l'ho osservata e verificata in me stesso e poi sono andato ad approfondirla leggendo, riflettendo sui testi, ecc. Altrimenti perchè avrei scelto come nickname quello di Sariputra? :D :D

L'induismo fa la differenza fra atman (l'io eterno, ovvero l' "anima spirituale" individuale di altre religioni) e jivatman che è l'io cosciente ma anche inconscio (la "psiche" come si intende più o meno oggi) e questa differenza è assolutamente sensata e sussistente. l'Io cosciente è la somma delle nostre esperienze, dei nostri desideri, delle nostre passioni e insomma di tutto ciò che viene elencato come origine della sofferenza nella "seconda nobile verità", mentre atman è ciò che individualmente ci ricollega al "Sé" universale (Brahman). Se appare evidente alla coscienza che noi ci riconosciamo attraverso la consapevolezza dell'ego e di tutto ciò che in esso è contenuto e possiamo inoltre indagare la nostra psiche per trovare in essa quanto vi è di inconsapevole, non si può prescindere dal fatto, a quanto pare meno comprensibile, che se possiamo fare tutto ciò è perchè "qualcosa" si occupa di consentircelo. Questo qualcosa è la connessione costante (attraverso l'atman) con ciò che consente la vita dell'universo di cui noi siamo un frammento indivisibile che se si rendesse indipendente da questo non potrebbe semplicemente esistere, e che gli induisti chiamano appunto Brahman. Se dunque Jivatman è sussistente finchè la creatura vive nella dimensione spazio-temporale (ed è quello che ci si occupa di limitare attraverso la consapevolezza conseguita nel percorso del nobile ottuplice sentiero che altro non è che un metodo psicologico come ad esempio lo Yoga), atman sussiste invece eternamente (ovvero al di fuori della dimensione spazio-tempo). Il concetto di anima nel cristianesimo è attualmente assai confuso poichè si è persa da secoli la distinzione fra "anima" e "spirito" che sarebbero gli equivalenti rispettivamente di jivatman e atman, tanto che qualche mistico occidentale parla di "fondo dell'anima" o di "punta dell'anima" per intendere l'atman senza negare la singolarità della stessa.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

Sariputra

Citazione di: donquixote il 17 Agosto 2016, 11:20:00 AML'induismo fa la differenza fra atman (l'io eterno, ovvero l' "anima spirituale" individuale di altre religioni) e jivatman che è l'io cosciente ma anche inconscio (la "psiche" come si intende più o meno oggi) e questa differenza è assolutamente sensata e sussistente. l'Io cosciente è la somma delle nostre esperienze, dei nostri desideri, delle nostre passioni e insomma di tutto ciò che viene elencato come origine della sofferenza nella "seconda nobile verità", mentre atman è ciò che individualmente ci ricollega al "Sé" universale (Brahman). Se appare evidente alla coscienza che noi ci riconosciamo attraverso la consapevolezza dell'ego e di tutto ciò che in esso è contenuto e possiamo inoltre indagare la nostra psiche per trovare in essa quanto vi è di inconsapevole, non si può prescindere dal fatto, a quanto pare meno comprensibile, che se possiamo fare tutto ciò è perchè "qualcosa" si occupa di consentircelo. Questo qualcosa è la connessione costante (attraverso l'atman) con ciò che consente la vita dell'universo di cui noi siamo un frammento indivisibile che se si rendesse indipendente da questo non potrebbe semplicemente esistere, e che gli induisti chiamano appunto Brahman. Se dunque Jivatman è sussistente finchè la creatura vive nella dimensione spazio-temporale (ed è quello che ci si occupa di limitare attraverso la consapevolezza conseguita nel percorso del nobile ottuplice sentiero che altro non è che un metodo psicologico come ad esempio lo Yoga), atman sussiste invece eternamente (ovvero al di fuori della dimensione spazio-tempo). Il concetto di anima nel cristianesimo è attualmente assai confuso poichè si è persa da secoli la distinzione fra "anima" e "spirito" che sarebbero gli equivalenti rispettivamente di jivatman e atman, tanto che qualche mistico occidentale parla di "fondo dell'anima" o di "punta dell'anima" per intendere l'atman senza negare la singolarità della stessa.

 Al di là della posizione e differenza fondamentale tra visione atta e anatta dell'esistenza, restando nel tema della discussione, cioè la paura della morte, non ci si può illudere che si sfugga a questa con la credenza in un Sè immortale che, dissolto il suo aspetto empirico di Jiva-atman, si fonde con il brahaman universale. Perchè è proprio la natura di jiva-atman a temere, per se stessa, la fine, o più poeticamente l'oblio, e se indaghiamo in profondità questa paura notiamo come costituisca in parte la natura stessa del jiva-atman, o Sè personale, illusorio,ecc.
La teoria dell'atman viene rifiutata dal Buddha perchè rientra nella concezione erronea della realtà che viene definita eternalismo. Questo consiste nel credere in una sostanza o entità permanente, concepita come identità individuali o molteplici anime, create o meno, oppure come una monistica anima del mondo, o come una divinità di qualsiasi tipo, o una salsa di queste nozioni.

Questo mondo, Kaccana, solitamente dipende da un dualismo: dal credere nell'esistenza o non-esistenza...Evitando questi due estremi, il Perfetto espone la dottrina di mezzo: le formazioni kammiche dipendono dall'ignoranza...Al cessare dell'ignoranza, le formazioni kammiche cessano...
(Samyutta Nikaya, 12:15)

La dualità è tra eternalismo e nichilismo. Tra idea di durata eterna e quella di totale distruzione. Questi due punti di vista, che spesso convivono contradditoriamente in noi, si trovano d'accordo nel presumere qualcosa di fisso, di statico, che può essere permanente ( eternalismo) o impermanente (nichilismo). Questi due estremi peccano nel non vedere la vita come un flusso costante di processi materiali e mentali che si manifestano a causa di condizioni appropriate, un processo che può cessare solo al venir meno di queste condizioni.La meditazione diventa proprio la consapevolezza di questo flusso costante in noi e fuori di noi. Questo pensare in termini di contrapposizione concettuale tre esistenza e inesistenza ha un forte ascendente sull'uomo. Ha molte forti e robuste radici dentro di noi che affondano profondamente nella mente umana. La radice più forte è proprio quella di credere praticamente e teoricamente nell'esistenza del signor Io.. Alla base di tutte le numerose credenze eternalistiche c'è il potentissimo desiderio di preservare e perpetuare la personalità, in versione più o meno raffinata ( grossolana jiva-atman, raffinata atman). Perfino per  le persone che hanno abbandonato il credo eternalistico ,il credere istintivamente all'unicità e all'importanza della propria personalità individuale è ancora così forte che esse ritengono che la morte, ovvero la fine della personalità, significhi un completo annullamento, ossia l'inesistenza. C'è poi la radice del linguaggio che alimenta queste due nozioni di esistenza e inesistenza, che è stettamente legata alla radice principale della credenza nel signor Io. La struttura del linguaggio umano   ( soggetto e predicato, nome e aggettivo) tende a semplificare le frasi affermative e negative per rendere più facile la comunicazione e l'orientamento. Queste semplificazioni hanno esercitato una grande influenza ( molto sottile pure...) sul nostro modo di pensare,  rendendoci predisposti a credere che "l'esistenza di una parola determina l'esistenza della cosa da essa definita" (N.Thera).
E finisco il pistolotto citando ancora ( sperando di non annoiare troppo...)il principe Siddharta:

Una volta che un certo Monaco avvicinò il Beato, gli chiese: "Venerabile Signore, cosa si dovrebbe conoscere e sperimentare, per abbandonare una visione errata, per eliminare ogni falsa idea di un Sé permanente, per superare tutti i processi creati dall'Io? - Bhikkhu, quando si conosce e si sperimenta che ogni contatto visivo dell'occhio con le forme è impermanente, che le sensazioni che sorgono dal contatto visivo sono impermanenti, si capisce l'idea che "Questo è mio", "Questo sono io" deve essere superata, eliminata e abbandonata completamente.

All'obiezione immediata che vien da fare: -Chi è che abbandona l'idea "questo è mio", "Questo sono io"? Che si sottintende osservi tutto il processo ( e qui siam tutti pronti a urlare:"E' l'anima, l'atman eterno...) si dovrebbe, secondo me , rispondere: " Al cessare dell'ignoranza, le formazioni karmiche cessano e appare prajna ( la saggezza o l'intelligenza, la conoscenza).
Ma  stiamo attenti, chè il signor Io, sempre molto presuntuoso, proverà a dirci ancora: "...Psss...psss. ascolta, sono Io la prajna e...sono eterno, o forse no, ma intanto ci sono... ::) ::) ::)  
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Freedom

La morte fa paura perché noi vogliamo vivere, vivere e ancora vivere. E' questione di DNA e non solo di DNA. E cosa è vivere? Vivere è aver coscienza delle cose. E, allo stato attuale, la morte promette l'annientamento dell'io cioè dell'aver coscienza delle cose.

A noi non ci turberebbe più di tanto un passaggio di stato. Non so, risvegliarsi in chissà quale consapevolezza e cominciare a pensare: "caspita non sento più il freddo e il caldo." "Non vedo più, non sento ma....non so come mai ma percepisco!" E via così alla scoperta del nuovo stato........

Se viceversa si ipotizza la disintegrazione di ogni nostro stato e si ha il coraggio di spingere la fantasia, il pensiero in profondità, allora si avvertirà una sorta di pazzia. Nel senso della furiosa ribellione a questa ipotesi e della non accettazione di questa possibilità. Per il semplice fatto che siamo destinati alla vita, alla gioia.

E per non lasciarvi con la morte nel cuore :P  :o  8)  ;) vi suggerisco questo argomento di riflessione: se ho sete c'è l'acqua; se ho fame c'è il cibo, se ho bisogno di dormire c'è il sonno, se ho bisogno di eternità.......
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

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