Perché è così difficile perdonare?

Aperto da Aspirante Filosofo58, 13 Gennaio 2024, 09:30:12 AM

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bobmax

Citazione di: Koba II il 18 Gennaio 2024, 10:30:25 AMLa capacità di perdonare dipende dal fatto che la propria visione delle cose sia vicina o lontana dal determinismo.
Se l'azione malvagia non è scelta liberamente, ma ha una sua necessità, allora, e solo allora, può esserci autentico perdono.
Se invece si crede che essa sia stata scelta liberamente, allora non può esserci alcun perdono. Di fatto ciò che chiamiamo perdono è solo trasfigurazione dell'evento criminale, è rimozione, negazione, oblio, è elaborazione psichica necessaria a permetterci di andare avanti.
Il punto è che bisogna capire che non esiste soltanto una visione puramente deterministica da una parte, alla Spinoza, e dall'altra una pura concezione centrata sul libero arbitrio.
Ci sono infinite sfumature. Anche all'interno del cristianesimo. Per esempio la fede nei demoni, fede che accomuna tutti gli autori della Patristica, per quanto ai moderni possa sembrare assurdo, introduce un limite notevole al libero arbitrio e alla responsabilità individuale, facilitando il perdono.
Io penso che se è corretta la visione di ZenZero, ovvero di una coscienza che cresce in consapevolezza, e se si ritiene che questa conquista cognitiva debba riguardare non solo la vittima potenziale ma anche in generale tutti quanti, quindi anche l'artefice del male, al contrario di ciò che si penserebbe in modo ottimistico, ovvero un'espansione della capacità di perdonare, si deve concludere in una sempre maggiore incapacità di dare autentico perdono. Un'umanità che cresce in consapevolezza ha sempre meno alibi.
Così il tema del perdono, sempre soggetto alla retorica della riconciliazione, si trasforma nel più realistico problema di come sopravvivere fisicamente e mentalmente al male subito.

Il termine "determinismo" può generare un fraintendimento. Perché lo si contrappone a "indeterminismo". Mentre la questione riguarda la necessità, che può essere deterministica o meno, ma comunque sempre di necessità si tratta.

Un fatto può essere infatti necessario oppure casuale, non vi sono altre possibilità.

La constatazione che ogni fatto avviene necessariamente, rende falsa la colpevolizzazione.
Ma pure l'ipotesi che vi siano davvero pure eventi casuali non permette che vi sia alcun colpevole.
Colpevole chi?

E se di fronte a questa evidenza, mi ostino a considerare comunque qualcuno colpevole... sto mentendo a me stesso.
Questo è in effetti il mio stato attuale.

Tuttavia, se riesco a superare questa mia bugia, anche solo per un breve momento, per ammettere che in definitiva nessuno è colpevole, mi ritrovo non con una risposta, ma con una domanda ancor più dirimente. Che trascende la logica.

Perché se nessuno è colpevole, perché non vi è alcun libero arbitrio individuale, allora in realtà non vi è proprio nessuno.

Epperò c'è il male...

E poi ci sono io, che, chissà come mai, provo adesso compassione. Compassione per tutto il mondo dolente e innocente.

Come mai?

Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Phil

Citazione di: ZenZero il 18 Gennaio 2024, 17:05:09 PMForse noi leghiamo all'idea di colpa, essere colpevoli, al peccato, un giudizio, un costrutto della mente, quale è la differenza tra l'essere responsabili o artefici di qualcosa e l'esserne colpevoli ?
Ciò che accade, dal punto di vista fisico, è una causazione (che già è una lettura categoriale di ciò che accade); la colpa, proprio come il merito, è solo un'interpretazione valoriale (meta-fisica) di tale causazione.
Se siamo in guerra e causo la morte di molte persone, alcuni mi daranno una medaglia al merito, altri mi arresteranno in quanto colpevole della morte dei loro compagni. Tutto dipende da quale "codice" si usa per interpretare la causazione in oggetto; fermo restando che ci sono molti codici: più o meno venerati, più o meno funzionali a determinati scopi, etc. e ognuno reputa migliore quello che si trova a (o ha scelto di) utilizzare per interpretare il mondo.
La difficoltà, secondo me, non è tanto nel perdonare, quanto nel farsi carico consapevolmente della fatica (auto)logorante che comporta il non-perdonare; qualora se ne fosse consapevoli, probabilmente si dedicherebbero le proprie energie e il proprio tempo "altrove" (in modo inversamente proporzionale al grado di "aggressività latente").

Duc in altum!

Citazione di: Aspirante Filosofo58 il 19 Gennaio 2024, 06:24:20 AMPerché prima non era facile come adesso? Che cosa è cambiato?
Prima ero il dio di me stesso, poi ho incontrato la misericordia (il perdono) di Dio.

"Cancella i nostri peccati, come anche noi cancelliamo i peccati degli altri". (cfr. dal Padre Nostro)
Non c'è alternativa (per me), se non ritornare al senza Dio.
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

Pensarbene

siccome il.portar rancore,covar vendetta e odiare fanno male alla salute, è meglio mollarle e lasciar perdere.
Tutto qui.

ZenZero

Citazione di: bobmax il 18 Gennaio 2024, 17:35:47 PMNon so...
Non ho mai provato l'esigenza di perdonare.
Cioè non sento alcun bisogno di perdonare.

Magari sono risentito verso qualcuno, per un torto che penso di aver subito. E così non vorrei più aver a che fare con quel qualcuno.
Addirittura può nascere in me un sentimento di vendetta, di odio.
Ma quando poi pure queste reazioni se ne vanno e non le provo più, non vi è stato un mio perdono.
Più semplicemente, questi sentimenti negativi non hanno più ragion d'essere. Si sono svuotati. Come se già all'origine fossero stati vani, inadeguati alle effettive circostanze.

Questo avviene se prendo consapevolezza, come tu dici.
Però non è  che a causa di questa consapevolezza allora perdono. Più semplicemente, è subentrata la compassione.
Una compassione che, quando ti cattura davvero, ti mostra come tutti, ma proprio tutti, siano innocenti.

Vedi, dice la compassione, son tutti innocenti.
E vien quasi da piangere.

E il bello è, che rimane comunque una eccezione alla innocenza, io non sono innocente!
Che verso me stesso debba proprio aver perdono?
In effetti l'etimologia di perdonare, viene dal latino "per-donare", cioè donare senza condizioni, che poi è ciò che accade nella Compassione. Questo la dice lunga su come, nei secoli, l'uomo alteri il significato delle parole. Perdonare ci indica lo stato in assenza di "nodi" e risentimento, uno stato d'Amore in cui si riesce a dare incodizionatamente, nulla a che fare con la ricerca di colpe o colpevoli, piuttosto uno stato d'Essere.
Non credi che l'odio, il risentimento che provi per qualcuno, siano proprio quegli elementi che impediscono il perdono ?
Siamo sicuri che se un attimo dopo non proviamo più dei sentimenti negativi, essi siano realmente scomparsi ? O dentro di noi sia veramente scomparsa la matrice di questi sentimenti ?

ZenZero

Citazione di: Phil il 19 Gennaio 2024, 15:21:37 PMCiò che accade, dal punto di vista fisico, è una causazione (che già è una lettura categoriale di ciò che accade); la colpa, proprio come il merito, è solo un'interpretazione valoriale (meta-fisica) di tale causazione.
Se siamo in guerra e causo la morte di molte persone, alcuni mi daranno una medaglia al merito, altri mi arresteranno in quanto colpevole della morte dei loro compagni. Tutto dipende da quale "codice" si usa per interpretare la causazione in oggetto; fermo restando che ci sono molti codici: più o meno venerati, più o meno funzionali a determinati scopi, etc. e ognuno reputa migliore quello che si trova a (o ha scelto di) utilizzare per interpretare il mondo.
La difficoltà, secondo me, non è tanto nel perdonare, quanto nel farsi carico consapevolmente della fatica (auto)logorante che comporta il non-perdonare; qualora se ne fosse consapevoli, probabilmente si dedicherebbero le proprie energie e il proprio tempo "altrove" (in modo inversamente proporzionale al grado di "aggressività latente").
Credi dunque che ci sia un "punto" oggettivo, in cui l'interpretazione valoriale cessa di essere soggettiva, e quindi di fatti "un'interpretazione", diventando una percezione di ciò che c'è, realmente condivisibile ?
Dal tuo punto di vista, come mai anche lì dove ci si accorge di star perseguendo una strada di auto-logoramento, ( che sia nel caso del perdono o di altro), si continua a perseguirla? Cosa o chi dentro di noi si oppone ad un cambio rotta ? Rendendo appunto difficile, tale processo ?

ZenZero

Citazione di: green demetr il 18 Gennaio 2024, 20:44:11 PMMi riferisco alle massonerie contemporanee che soffiano per i venti di guerra.
Infatti sta scritto che gli arconti, i dominatori di questo mondo, ricompenseranno questi eroi, poichè il mondo stesso e noi stessi siamo il male.
E dunque distruggere il mondo è bene, poichè il mondo è un prodotto del male.
Le massonerie contemporanee soffiano tramite il dio denaro affinchè la distruzione sia più vasta possibile. Loro si considerano i buoni, ma invece sono i malvagi.
La Gnosi, è letteralmente Conoscenza, nel senso evolutivo del termine, ciò che descrivi non è piuttosto  l'anti-gnosi? Pur sapendo che anche coloro che perseguono le via del male, "maghi neri", devono assumere delle "conoscenze", non credi che alla base vi sia  la più profonda ignoranza dell'Essenza ?  

Aspirante Filosofo58

Citazione di: ZenZero il 22 Gennaio 2024, 07:30:09 AMIn effetti l'etimologia di perdonare, viene dal latino "per-donare", cioè donare senza condizioni, che poi è ciò che accade nella Compassione. Questo la dice lunga su come, nei secoli, l'uomo alteri il significato delle parole. Perdonare ci indica lo stato in assenza di "nodi" e risentimento, uno stato d'Amore in cui si riesce a dare incodizionatamente, nulla a che fare con la ricerca di colpe o colpevoli, piuttosto uno stato d'Essere.
Non credi che l'odio, il risentimento che provi per qualcuno, siano proprio quegli elementi che impediscono il perdono ?
Siamo sicuri che se un attimo dopo non proviamo più dei sentimenti negativi, essi siano realmente scomparsi ? O dentro di noi sia veramente scomparsa la matrice di questi sentimenti ?
Condivido buona parte di ciò che scrivi. Però mi rimane un dubbio, per esempio, io posso perdonare chi mi ha fatto del male, ma credo che il mio perdono abbia effetto su quella persona solamente nel caso in cui la persona mi chieda scusa e si dichiari pentita. O sbaglio? 
La teoria della reincarnazione mi ha dato e mi dà risposte che altre teorie, fedi o religioni non possono, non sanno o non vogliono darmi. Grazie alle risposte ottenute dalla reincarnazione oggi sono sereno e sono sulla mia strada che porterà a casa mia!

bobmax

Citazione di: ZenZero il 22 Gennaio 2024, 07:30:09 AMIn effetti l'etimologia di perdonare, viene dal latino "per-donare", cioè donare senza condizioni, che poi è ciò che accade nella Compassione. Questo la dice lunga su come, nei secoli, l'uomo alteri il significato delle parole. Perdonare ci indica lo stato in assenza di "nodi" e risentimento, uno stato d'Amore in cui si riesce a dare incodizionatamente, nulla a che fare con la ricerca di colpe o colpevoli, piuttosto uno stato d'Essere.
Non credi che l'odio, il risentimento che provi per qualcuno, siano proprio quegli elementi che impediscono il perdono ?
Siamo sicuri che se un attimo dopo non proviamo più dei sentimenti negativi, essi siano realmente scomparsi ? O dentro di noi sia veramente scomparsa la matrice di questi sentimenti ?

Ritengo che ciò che sento esprima ciò che sono.
Così come ogni mia scelta rifletta il mio essere.

Perché non è la conoscenza in se stessa a determinare il mio sentire e neppure le mie scelte. Lo è invece il mio essere.
Non scelgo in funzione di ciò che so, ma di ciò che sono.

La consapevolezza può, forse, nel tempo modificare il mio essere.
Ma se davvero cambio... allora vuol dire che quello che ero non era proprio il mio "essere". Era invece un "non essere".

Il riconoscimento del male agisce su di me causando una metamorfosi. Che dal non essere tende all'essere.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Phil

Citazione di: ZenZero il 22 Gennaio 2024, 07:42:01 AMCredi dunque che ci sia un "punto" oggettivo, in cui l'interpretazione valoriale cessa di essere soggettiva, e quindi di fatti "un'interpretazione", diventando una percezione di ciò che c'è, realmente condivisibile ?
L'intepretazione valoriale, proprio in quanto «interpretazione» e in quanto «valoriale», per me non può mai cessare di essere soggettiva; anche quando diventa condivisa e sociale, rimane "soggettiva", non oggettiva (nel senso forte ed epistemologico del termine «oggettivo»). Affermare che qualcosa è «eticamente oggettivamente giusto», è un non senso, proprio perché la giustizia non ha a che fare con l'oggettività (quella che studia la scienza per intenderci), ma con l'assegnazione umana (arbitraria, prospettica) di valori. Assegnare ad un'etica l'"oggettività" è perlopiù un modo retorico (solitamente autoreferenziale) per esaltarne la valenza; magari in contrasto con altre etiche. Possiamo sostenere che qualcosa è «oggettivamente sbagliato» basandoci su un codice di leggi (votate e approvate), ma tale codice di leggi è oggettivo? No (salvo cadere nell'ossimoro di "oggettività convenzionale e deliberata"), dunque nemmeno ciò che è in base ad esso ritenuto "sbagliato" lo è. C'è necessità di un codice di leggi per vivere in società? Decisamente sì, ma ciò non comporta confondere la soggettività con l'oggettività.
Al riguardo faccio sempre l'esempio del linguaggio (e del solito oggetto): c'è un bisogno sociale di chiamare quella determinata cosa con un nome? Sì. Concordiamo che la nostra comunità la chiama «sedia»? Va bene. Quella cosa si chiama oggettivamente «sedia»? No, perché il dare nomi è arbitrio (e necessità) umana, "soggettiva"; quell'aggregato di atomi non ha oggettivamente un nome proprio (e già chiamarlo «aggregato di atomi» è un'interpretazione "antropocentrica"; parlare di oggettività nella scienza ha i suoi limiti, farlo in campo valoriale è secondo me nettamente "fuori tema").

Citazione di: ZenZero il 22 Gennaio 2024, 07:42:01 AMDal tuo punto di vista, come mai anche lì dove ci si accorge di star perseguendo una strada di auto-logoramento, ( che sia nel caso del perdono o di altro), si continua a perseguirla? Cosa o chi dentro di noi si oppone ad un cambio rotta ? Rendendo appunto difficile, tale processo ?
Qui credo sia difficile rispondere parlando in generale, perché dipende molto dalla psicologia dell'individuo coinvolto. Ci sono persone per loro natura più rancorose, altre più spensierate; altre che con il tempo si sono educate (o sono state educate) al conflitto, mentre altre più alla conciliazione, etc. La consapevolezza dell'autologoramento non sempre comporta di fatto un cambio di strada, come il fumatore che vorrebbe smettere, ma non ce la fa; o chi commette i soliti errori, si pente sinceramente, ma poi ci ricasca.

green demetr

Citazione di: ZenZero il 22 Gennaio 2024, 07:48:40 AMLa Gnosi, è letteralmente Conoscenza, nel senso evolutivo del termine, ciò che descrivi non è piuttosto  l'anti-gnosi? Pur sapendo che anche coloro che perseguono le via del male, "maghi neri", devono assumere delle "conoscenze", non credi che alla base vi sia  la più profonda ignoranza dell'Essenza ? 
Ovvio che sono l'antignosi, la gnosi egizia è altra cosa.
Almeno l'antignosi ebraica non si fa chiamare cabalica ma qbalica.
Purtroppo queste genere di cose "nere" attrae molto, sopratutto la greggia.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

ZenZero

Citazione di: Phil il 22 Gennaio 2024, 11:38:38 AML'intepretazione valoriale, proprio in quanto «interpretazione» e in quanto «valoriale», per me non può mai cessare di essere soggettiva; anche quando diventa condivisa e sociale, rimane "soggettiva", non oggettiva (nel senso forte ed epistemologico del termine «oggettivo»). Affermare che qualcosa è «eticamente oggettivamente giusto», è un non senso, proprio perché la giustizia non ha a che fare con l'oggettività (quella che studia la scienza per intenderci), ma con l'assegnazione umana (arbitraria, prospettica) di valori. Assegnare ad un'etica l'"oggettività" è perlopiù un modo retorico (solitamente autoreferenziale) per esaltarne la valenza; magari in contrasto con altre etiche. Possiamo sostenere che qualcosa è «oggettivamente sbagliato» basandoci su un codice di leggi (votate e approvate), ma tale codice di leggi è oggettivo? No (salvo cadere nell'ossimoro di "oggettività convenzionale e deliberata"), dunque nemmeno ciò che è in base ad esso ritenuto "sbagliato" lo è. C'è necessità di un codice di leggi per vivere in società? Decisamente sì, ma ciò non comporta confondere la soggettività con l'oggettività.
Al riguardo faccio sempre l'esempio del linguaggio (e del solito oggetto): c'è un bisogno sociale di chiamare quella determinata cosa con un nome? Sì. Concordiamo che la nostra comunità la chiama «sedia»? Va bene. Quella cosa si chiama oggettivamente «sedia»? No, perché il dare nomi è arbitrio (e necessità) umana, "soggettiva"; quell'aggregato di atomi non ha oggettivamente un nome proprio (e già chiamarlo «aggregato di atomi» è un'interpretazione "antropocentrica"; parlare di oggettività nella scienza ha i suoi limiti, farlo in campo valoriale è secondo me nettamente "fuori tema").
Chiaro, certamente sul piano dell'etica e morale, sono pienamente d'accordo. La mia domanda verte piuttosto sulla possibilità di "risalire il pendolo", in quel punto in cui non vi è più oscillazione. Secondo te c'è dentro l'essere umano quel "luogo" o stato di Coscienza, in cui i "valori" esterni dati da costumi, società, famiglia,  personalità, ego etc..., che determinano appunto il piano etico e sociale, possano essere trascesi ? Riuscendo a sperimentare un piano differente di Valori ? 

ZenZero


Citazione di: Aspirante Filosofo58 il 22 Gennaio 2024, 07:59:31 AMCondivido buona parte di ciò che scrivi. Però mi rimane un dubbio, per esempio, io posso perdonare chi mi ha fatto del male, ma credo che il mio perdono abbia effetto su quella persona solamente nel caso in cui la persona mi chieda scusa e si dichiari pentita. O sbaglio?
Se riusciamo veramente ad essere in uno stato di per-dono, ossia uno stato d'Amore incondizionato, l'emanazione (per così dire) di ciò che siamo, e le azioni o non azioni conseguenti, investono tutto ciò che ci circonda. Il fatto che la persona che stiamo perdonando se e accorga o meno, è un altro discorso, e non me ne preoccuperei più di tanto; a volte si fa del bene a qualcuno che non saprà mai di averlo ricevuto, ma ciò non toglie valore alle tue azioni.

ZenZero


Citazione di: bobmax il 22 Gennaio 2024, 11:03:15 AMRitengo che ciò che sento esprima ciò che sono.
Così come ogni mia scelta rifletta il mio essere.
Spesso mi sono trovato a discutere su questo punto, è molto interessante; ti sei mai chiesto chi o cosa è dentro di te a sentire ? Può il nostro sentire essere frutto di un condizionamento ? E quindi può esistere un modo per distinguere un sentire "puro" dell'Essere da un sentire condizionato dall'esterno ? Quando parlo di sentire condizionato, mi riferisco a quei casi in cui non riconosciamo immediatamente tale condizionamento, di cui magari le cause risiedono nell'inconscio.
.... forse è off topic come domanda... magari potrei aprire una nuova discussione a riguardo.


Citazione di: bobmax il 22 Gennaio 2024, 11:03:15 AMPerché non è la conoscenza in se stessa a determinare il mio sentire e neppure le mie scelte. Lo è invece il mio essere.
Non scelgo in funzione di ciò che so, ma di ciò che sono.

La consapevolezza può, forse, nel tempo modificare il mio essere.
Ma se davvero cambio... allora vuol dire che quello che ero non era proprio il mio "essere". Era invece un "non essere".

Il riconoscimento del male agisce su di me causando una metamorfosi. Che dal non essere tende all'essere.
C'è una differenza tra "informazione" e "Conoscenza", anche se nel linguaggio corrente spesso hanno la stessa accezione. Quello che scrivi mi sembra si riferisca all'essere informati di qualcosa. 
Che differenza c'è tra Essere e Coscienza ? La facoltà di dire "Io Sono" viene dall'Essere o dalla Coscienza, o da entrambe ?... ammesso che siano due cose differenti ...


Phil

Citazione di: ZenZero il 23 Gennaio 2024, 10:07:13 AMSecondo te c'è dentro l'essere umano quel "luogo" o stato di Coscienza, in cui i "valori" esterni dati da costumi, società, famiglia,  personalità, ego etc..., che determinano appunto il piano etico e sociale, possano essere trascesi ? Riuscendo a sperimentare un piano differente di Valori ?
Spero di non risultare troppo "invadente" sul piano personale, ma se hai scelto di presentarti come ZenZero, ho il sospetto che tu già sappia che non si tratta di "trascendere", ma piuttosto di scendere dalla giostra mondana dei valori e delle interpretazioni, scendere nella propria concentrazione (che non ha intrinsecamente bisogno di valori etici, prima di incontrare il "prossimo"). Per farlo qualcuno ha consigliato "otto scalini" e per chi è sulla giostra risultano in salita, quasi un'ascesa mistica; ma basta farne qualcuno per capire che in realtà sono in discesa: fuori verso la terra, dentro verso la nostra interiorità.

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