pentimento ed espiazione

Aperto da sgiombo, 10 Luglio 2016, 18:52:28 PM

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Phil

Citazione di: Duc in altum! il 11 Luglio 2016, 23:08:20 PM** scritto da Phil:
CitazioneCredo capiti anche in altre tradizioni, ma sicuramente la Genesi fa nascere l'umanità da un gesto iniquo per mancanza di fede e grazie all'intervento di un personaggio ben più esecrabile di Giuda... e personalmente non la trovo affatto una tappa insensata, anzi, è simbolicamente piuttosto possente...
Scusa Phil ma la Genesi fa nascere l'umanità (Adamo ed Eva) per amore del Creatore verso le sue creature, forse intendevi che da un gesto iniquo per mancanza di fede è nato l'Inferno ...ma questa è tutt'altra cosa.
Scusami, non sono stato chiaro nella citazione, intendevo l'umanità come progenie, quindi mi riferivo al peccato originale, al tradimento della fiducia di Dio ed allo strisciante cattivo di turno che ha innescato indirettamente la proliferazione del genere umano... 

Jacopus

CitazioneL'uomo è, diceva Aristotele, un "animale politico" (o, se vuoi, un "animale sociale"), e quindi non si può distinguere il suo ruolo disgiungendolo dalla società di cui fa parte (se escludiamo il caso degli asceti o degli eremiti che in quanto solitari non hanno leggi alle quali dover rispondere con tutto quel che ne consegue). Dunque è ovvio che una violazione (sul modello di quella di Socrate) delle leggi della società in cui uno vive (sempre ammesso che sia fatta in buona fede e secondo giustizia) deve comportare l'assunzione totale di responsabilità e quindi anche della pena che la società intende infliggergli secondo le proprie leggi. Questa assunzione di responsabilità può anche trasformarsi in un insegnamento per i propri concittadini, ma non è una conseguenza necessaria perchè l'onore e la dignità di un uomo non si misurano in base alla considerazione che di lui hanno gli altri, ma in base a quella che lui ha di se stesso: solo un vigliacco cerca di sfuggire alle conseguenze delle proprie azioni, una persona  degna ne rivendica il merito, qualunque esse siano (vedi come esempio Renato Vallanzasca).
Per come la vedo io non si può "sbagliare" in buonafede: lo sbaglio è  in malafede oppure lo è solo dal punto di vista "utilitaristico",  delle conseguenze che si pensava di trarre dalle proprie azioni; se uno compie un furto pensando di trarne dei vantaggi e poi questi non si verificano allora ha "sbagliato", ma se invece gli riesce e la fa pure franca allora dove sta l'errore? Non puoi dire di aver sbagliato quando ti hanno beccato perchè altrimenti non sei "pentito" ma solo un ipocrita. Se uno fa "la cosa giusta" quando mai dovrebbe sbagliare? Che poi la cosa giusta sia illegale o meno è un'altra questione. Poi uno con l'esperienza si può rendere consapevole che la "cosa giusta" era magari un'altra, ma nel momento in cui l'ha fatta la sua convinzione era tutto quello che contava: e dunque di cosa dovrebbe mai pentirsi? di aver fatto una cosa che nelle medesime condizioni rifarebbe mille volte? E se uno è convinto di aver fatto la cosa giusta quale punizione dovrebbe mai autoinfliggersi? Considero anche il fatto che per "cosa giusta" si possa intendere anche l'asservimento di un proprio istinto, di una propria tentazione: se però si sapeva anche prima che tale cedimento avrebbe comportato un'azione malvagia o ingiusta allora si ritorna al caso della malafede: e se uno agisce in malafede come potrà mai pentirsi o addirittura autoinfliggersi delle punizioni se non per "compiacere" la vittima o la società in termini di "captatio benevolentiae"? Sarebbe solo un comportamento doppiamente ipocrita e non certo da elogiare.
Mi soffermo su questo frammento della discussione, perchè tocca un punto essenziale. Il pentimento e l'espiazione sono nello stesso rapporto esistente fra teoria e prassi. Ci si può teoricamente pentire, rimuginare sul fatto che abbiamo fatto qualcosa di "malevolo", evitare di ripetere l'errore in futuro oppure agire affinchè quel senso di colpa che ci perseguita si attenui o scompaia (espi-azione).
Questo processo è però dinamico e se quello che ho fatto ieri oggi non mi sembra più giusto allora è inevitabile che mi penta. Proprio perchè siamo animali sociali, siamo in grado di capire che le nostre azioni hanno conseguenze che non si fermano all'atto compiuto ma si riversano nel futuro fino a conseguenze che non siamo in grado di seguire. Voglio dire: le persone cambiano, ma in quel cambiamento inevitabilmente si portano il fardello di quello che erano precedentemente e il pentimento non è altro che l'anello di congiunzione fra il passato e il presente di quell'uomo cambiato. Senza questa premessa inevitabilmente le persone sarebbero irrigidite nelle loro convinzioni e incapaci di giudicare criticamente i propri atti. Altro discorso è invece quello di saper distinguere fra pentimento ipocrita e pentimento non ipocrita, tenendo ovviamente conto del fatto che, proprio per non essere ipocriti, bisogna riconoscere che gran parte delle relazioni sociali ha una evidente patina di ipocrisia che ci preserva dalla santità ma anche dalla follia.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

sgiombo

Citazione di: Phil il 11 Luglio 2016, 22:11:38 PM
Citazione di: sgiombo il 11 Luglio 2016, 21:16:05 PMespiare una colpa significa infliggersi sofferenze come mezzo per lo scopo di soddisfare il (proprio innanzitutto; e secondariamente anche altrui) più che fisiologico desiderio di giustizia: il desiderio primario di giustizia, cioé -fra l' altro- il desiderio che chi fa del male meritatamente soffra
Questo rapporto fra sofferenza e giustizia, secondo me, porta la giustizia indietro di molti secoli, all'ordalia, alla legge del taglione, alle punizioni corporali, ai lavori forzati... non che sia deprecabile avere un'idea di giustizia che contempli queste pratiche (ognuno può idealizzare liberamente), ma mi sembra che buona parte del mondo occidentale stia andando nella direzione opposta: disinnescare i pericoli sociali, ma senza torcergli un capello (la stessa pena di morte credo non goda di buona reputazione...).

Premesso ciò, non confonderei il "fisiologico desiderio di giustizia" con il "desiderio di giustizia fisiologica" (dove c'è sadismo o masochismo): far soffrire chi (ci) ha fatto del male è un desiderio istintivamente "grezzo" di vendetta, non di giustizia... quel "desiderio che chi fa del male meritatamente soffra"(cit.) cela nel "meritatamente" una auto-assoluzione per il proprio istinto di vendetta (azione che, se non erro, viene condannata sia dal diritto che da gran parte delle religioni...).

Se questa vendetta viene poi rivolta contro se stessi, nella convinzione che sia un modo per espiare le proprie colpe, direi che siamo ben oltre il pentimento che, come accennavo a Sariputra, secondo me è uno di quei sentimenti "introversi" (scusa se vado sul personale, ovviamente puoi non rispondere, ma tu davvero non ti ritieni pentito finché non hai espiato con qualche sofferenza una tua colpa?).
CitazioneDavvero (e nessun problema circa l' andare sul personale).


Ci sono anche tante altre cose della realtà odierna che ritengo gravemente regressive e per le quali reputo che sarebbe preferibile "fare passi indietro" (per sempio l' esistenza dello "stato sociale" da noi, la buona coesistenza di popoli e religioni diverse in Yugoslavia e in quella che fu l' URSS anziché le guerre civili sanguinosissime, le "pilizie etniche", i rarazzismi che vi sono succeduti e ancora imperversano e tante altre cose).
La storia non é una trionfale marcia in avanti ininterrotta della civiltà e del progresso: esistono anche fasi di reazione e decadenza (come l' attuale).
Dunque non tutto del passato é necessariamente da gettar via, anzi!



sgiombo

#33
Citazione di: donquixote il 11 Luglio 2016, 22:40:18 PM
Citazione di: sgiombo il 11 Luglio 2016, 19:17:23 PMConcordo che si da il caso dell' obiezione di coscienza e dunque che la rettitudine morale può imporre di contravvenire una legge ingiusta, pagandone le conseguenze (ma eventualmente anche "facendola franca se possibile": non credo sia eticamente doveroso accettare pene ingiuste da leggi ingiuste). E anche Socrate forse ha accettato l' ingiusta condanna a morte non tanto per un feticistico e acritico attaccamento alla legge ad ogni costo ma piuttosto perché di fatto riteneva che sottrandovisi avrebbe inficiato gli insegnamenti impartiti ai concittadini (ma potrei sbagliarmi: non sono certo un buon esegeta di Platone e degli insegnamenti socratici). Non trovo invece differenze fra "pentimento" e "ravvedimento" (per come ne parli tu). Secondo me tutti si può sbagliare e anche compiere azioni malvagie (nessuno é perfetto!), e dirsi "ho fatto questa cosa e ora non la rifarei perchè ho capito che è sbagliata" (lo sapevo anche prima ma non ho avuto la forza d' animo di resistere alla tentazione, cosa che vorrei non aver fatto), cercare di rimediarvi se e per quanto possibile e infliggersi meritate e "proporzionate" punizioni consente di "riabilitarsi moralmente" innanzitutto di fronte a se stessi, e poi di fronte agli altri.

L'uomo è, diceva Aristotele, un "animale politico" (o, se vuoi, un "animale sociale"), e quindi non si può distinguere il suo ruolo disgiungendolo dalla società di cui fa parte (se escludiamo il caso degli asceti o degli eremiti che in quanto solitari non hanno leggi alle quali dover rispondere con tutto quel che ne consegue). Dunque è ovvio che una violazione (sul modello di quella di Socrate) delle leggi della società in cui uno vive (sempre ammesso che sia fatta in buona fede e secondo giustizia) deve comportare l'assunzione totale di responsabilità e quindi anche della pena che la società intende infliggergli secondo le proprie leggi. Questa assunzione di responsabilità può anche trasformarsi in un insegnamento per i propri concittadini, ma non è una conseguenza necessaria perchè l'onore e la dignità di un uomo non si misurano in base alla considerazione che di lui hanno gli altri, ma in base a quella che lui ha di se stesso: solo un vigliacco cerca di sfuggire alle conseguenze delle proprie azioni, una persona  degna ne rivendica il merito, qualunque esse siano (vedi come esempio Renato Vallanzasca).
Per come la vedo io non si può "sbagliare" in buonafede: lo sbaglio è  in malafede oppure lo è solo dal punto di vista "utilitaristico",  delle conseguenze che si pensava di trarre dalle proprie azioni; se uno compie un furto pensando di trarne dei vantaggi e poi questi non si verificano allora ha "sbagliato", ma se invece gli riesce e la fa pure franca allora dove sta l'errore? Non puoi dire di aver sbagliato quando ti hanno beccato perchè altrimenti non sei "pentito" ma solo un ipocrita. Se uno fa "la cosa giusta" quando mai dovrebbe sbagliare? Che poi la cosa giusta sia illegale o meno è un'altra questione. Poi uno con l'esperienza si può rendere consapevole che la "cosa giusta" era magari un'altra, ma nel momento in cui l'ha fatta la sua convinzione era tutto quello che contava: e dunque di cosa dovrebbe mai pentirsi? di aver fatto una cosa che nelle medesime condizioni rifarebbe mille volte? E se uno è convinto di aver fatto la cosa giusta quale punizione dovrebbe mai autoinfliggersi? Considero anche il fatto che per "cosa giusta" si possa intendere anche l'asservimento di un proprio istinto, di una propria tentazione: se però si sapeva anche prima che tale cedimento avrebbe comportato un'azione malvagia o ingiusta allora si ritorna al caso della malafede: e se uno agisce in malafede come potrà mai pentirsi o addirittura autoinfliggersi delle punizioni se non per "compiacere" la vittima o la società in termini di "captatio benevolentiae"? Sarebbe solo un comportamento doppiamente ipocrita e non certo da elogiare.
Citazione
Intanto Renato Vallanzasca mi sembra un (pessimo) esempio di criminale efferato che l' ha fatta in gran parte franca, riuscendo a sottrarsi al carcere a vita (e duro!) che avrebbe ampiamente meritato (invece in uno stato che seguisse i tuoi principi non l' avrebbe certamente fatta franca perché sarebbe stato condannato a morte).
Oltre che malvagio e moralmente spregevole si é inoltre rivelato grettissimo, meschinissimo e maldestrissimo (un preteso "superuomo" che, armato di tutto punto, uccide spietatamente persone inermi -capirai la difficoltà dell' "impresa"!-,ma "ad armi pari" non é nemmeno capace di rapinare un supermercato di periferia!
Un miserabile, malvagio omuncolo, fra l' alto (oltre al peggio!) molto più meschino di un ladro di polli!

Inoltre non vedo alcuna malafede nel pentirsi di avere ceduto alla tentazione di fare il male e nel cercare di rimediarvi per quanto possibile ed autopunirsi.
Malafede sarebbe casomai fingere di pentirsi per alleggerire le condanne penali.

Citazione di: sgiombo il 11 Luglio 2016, 19:17:23 PMPerò la giustizia può sbagliare; e comminando la pena di morte si metterebbe nelle condizioni, per me inaccettabili, di potere sbagliare gravissimamente (di compiere un' efferato delitto) senza possibilità di rimedio.

La giustizia può sbagliare anche nel senso inverso, ovvero mandando assolto un colpevole che magari reitera i propri delitti. Bisogna mettere in conto che questi errori esistono, ma bisogna innanzitutto considerare se è più importante la salvaguardia della società nel suo complesso (e quindi di tutti i suoi componenti) a scapito eventualmente di un singolo oppure se è più importante ogni singolo individuo e si può quindi sacrificare a suo "beneficio" il benessere e l'equilibrio di tutti gli altri.
CitazioneLa giustizia può sbagliare in molti modi, ma ritengo che fra il rischiare di uccidere un innocente e assolvere un colpevole di regola sia preferibile scegliere la seconda possibilità di sbagliare.

Concordo che sia più importante la salvaguardia degli interessi collettivi della società nel suo complesso a scapito eventualmente di un singolo (se inevitabile) e che non sia più importante ogni singolo individuo e non si possa quindi sacrificare a suo "beneficio" il benessere e l'equilibrio di tutti gli altri.
Ma secondo me rischiare di sbagliare uccidendo un innocente nell' interesse sociale complessivo si può ammettere solo in condizioni eccezionali e drammaticissime (vedi i rari casi di condannati innocenti per tradimento nella Resistenza antinazifascista).

sgiombo

Citazione di: Duc in altum! il 11 Luglio 2016, 23:08:20 PM
** scritto da sgiombo:
Citazioneil desiderio primario di giustizia, cioé -fra l' altro- il desiderio che chi fa del male meritatamente soffra e chi fa del bene meritatamente sia felice
Concordo con Phil nel sostenere che questo non è un sentimento di giustizia, ma di vendetta. Desiderio vitale e fondante del dogma della retribuzione ebraica (se io faccio del bene sono ricompensato per il bene che faccio; se faccio del male avrò la mia punizione), teoria prima sconcertata e rovesciata da Giobbe e Qoelet (il dolore e la sofferenza dei giusti mentre gli empi godono di felice beatitudine), e poi rinnovata in Cristo con l'ingresso nel Paradiso del ladrone Disma, senza essere passato, manco in veste turistica, nemmeno per il Purgatorio.
CitazioneInfatti non sono cristiano anche perché ritengo profondamente errato il "rovesciamento" della concezione della giustizia come premio e/o punizione per l' operato di ciascuno (se e quado la giustizia viene realizzata).

cvc

Citazione di: sgiombo il 12 Luglio 2016, 08:39:55 AM
2]


Ci sono anche tante altre cose della realtà odierna che ritengo gravemente regressive e per le quali reputo che sarebbe preferibile "fare passi indietro" (per sempio l' esistenza dello "stato sociale" da noi, la buona coesistenza di popoli e religioni diverse in Yugoslavia e in quella che fu l' URSS anziché le guerre civili sanguinosissime, le "pilizie etniche", i rarazzismi che vi sono succeduti e ancora imperversano e tante altre cose).
La storia non é una trionfale marcia in avanti ininterrotta della civiltà e del progresso: esistono anche fasi di reazione e decadenza (come l' attuale).
Dunque non tutto del passato é necessariamente da gettar via, anzi!


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Non posso che condividere dato che questo pensiero rispecchia molto il mio modo di vedere. Tanto più in quanto viene da uno che si interessa anche di teoria evolutiva. Il cammino dell'evoluzione non è una linea retta, se ci si accorge di aver buttato il bambino assieme all'acqua sporca, si dovrà pure fare un passo indietro per riprenderlo, sarà sempre meglio che sacrificarlo per zelante ortodossia. Personalmente vedo una tendenza involutiva anche nei costumi, tatuaggi e piercing sembrano un voler tornare ad una sorta di tribalismo, voler impressionare l'interlocutore col proprio aspetto ancor prima che con la ragione. Sul piano politico, credo che storicamente questa sarà ricordata dai posteri come l'era della tecnocrazia, dove si pensa che per governare i popoli non siano necessarie doti umane (come il carisma, l'autorevolezza, il polso, la preveggenza), basta una buona squadra di tecnici. Però, contraddittoriamente, questo mondo tecnoburocratico, è orientato, ad occidente, all'individualismo. Così nella questione della giustizia, per rientrare nella discussione, ci si dimentica che ci sono due punti di vista: quello del singolo ma anche quello della comunità. Invece sembra che ci si preoccupi sempre più del primo.  Se c'è in giro un serial killer, cosa deve importarci di più? Che sia messa al sicuro la comunità o che il killer si penta e salvi la propria anima? E dato che siamo in mano ai tecnici, quante sono le probabilità che il cattivo diventi buono? Si d'accordo, bisogna dargli una possibilità, ma, sempre in termini di possibilità, egli ha ucciso persone (magari buone) che potevano mettere al mondo altri buoni, ed altre si rischia di ucciderne per dare la possibilità ad un solo uomo.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

Duc in altum!

**  scritto da sgiombo:
CitazioneInfatti non sono cristiano anche perché ritengo profondamente errato il "rovesciamento" della concezione della giustizia come premio e/o punizione per l' operato di ciascuno (se e quado la giustizia viene realizzata).
Il rovesciamento non è un cambio delle regole (se Dio esiste solo lui può concedere l'espiazione della colpa - anche vivendo da ergastolano o morendo sulla sedia elettrica - dopo un sincero pentimento, né magistrato, né legge, né carcere, né giustizia umana), ma un richiamo all'ordine iniziale dove nessuno è degno di premio, giacché tutti siamo colpevoli (tranne l'uomo Cristo), quindi meritevoli solo di punizione.

Lo stesso concetto è applicabile alla riflessione di @cvc:
CitazioneSe c'è in giro un serial killer, cosa deve importarci di più? Che sia messa al sicuro la comunità o che il killer si penta e salvi la propria anima? E dato che siamo in mano ai tecnici, quante sono le probabilità che il cattivo diventi buono? Si d'accordo, bisogna dargli una possibilità, ma, sempre in termini di possibilità, egli ha ucciso persone (magari buone) che potevano mettere al mondo altri buoni, ed altre si rischia di ucciderne per dare la possibilità ad un solo uomo.
...dove, se Dio esiste, è sempre il sabato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato!
Quindi va sempre fatto il tentativo di riabilitare il killer, anche se qualcuno storce il naso perché è domenica e si va al mare.
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

cvc

Citazione di: Duc in altum! il 12 Luglio 2016, 09:52:27 AM
**  scritto da sgiombo:
CitazioneInfatti non sono cristiano anche perché ritengo profondamente errato il "rovesciamento" della concezione della giustizia come premio e/o punizione per l' operato di ciascuno (se e quado la giustizia viene realizzata).
Il rovesciamento non è un cambio delle regole (se Dio esiste solo lui può concedere l'espiazione della colpa - anche vivendo da ergastolano o morendo sulla sedia elettrica - dopo un sincero pentimento, né magistrato, né legge, né carcere, né giustizia umana), ma un richiamo all'ordine iniziale dove nessuno è degno di premio, giacché tutti siamo colpevoli (tranne l'uomo Cristo), quindi meritevoli solo di punizione.

Lo stesso concetto è applicabile alla riflessione di @cvc:
CitazioneSe c'è in giro un serial killer, cosa deve importarci di più? Che sia messa al sicuro la comunità o che il killer si penta e salvi la propria anima? E dato che siamo in mano ai tecnici, quante sono le probabilità che il cattivo diventi buono? Si d'accordo, bisogna dargli una possibilità, ma, sempre in termini di possibilità, egli ha ucciso persone (magari buone) che potevano mettere al mondo altri buoni, ed altre si rischia di ucciderne per dare la possibilità ad un solo uomo.
...dove, se Dio esiste, è sempre il sabato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato!
Quindi va sempre fatto il tentativo di riabilitare il killer, anche se qualcuno storce il naso perché è domenica e si va al mare.
A parte che spesso e malvolentieri lavoro anche il sabato e la domenica, credo che la questione sia analoga a quella del matrimonio. Ovvero, ci si giura solennemente eterna fedeltà, ma poi però si può sempre divorziare... Così, nell'ottica della conquista del paradiso, si può anche uccidere, purché ci si penta. Allora possiamo benissimo mandare sulla forca l'assassino e poi, magari, pentircene.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

Duc in altum!

**  scritto da cvc:
CitazioneA parte che spesso e malvolentieri lavoro anche il sabato e la domenica, credo che la questione sia analoga a quella del matrimonio. Ovvero, ci si giura solennemente eterna fedeltà, ma poi però si può sempre divorziare... Così, nell'ottica della conquista del paradiso, si può anche uccidere, purché ci si penta. Allora possiamo benissimo mandare sulla forca l'assassino e poi, magari, pentircene.
Beh, se il pentimento sarà sincero ed espiatorio lo può verificare solo Dio, auspico che così sia per i boia e per i loro mandanti. Per quel che riguarda il matrimonio, se uno pensa: "...tanto che importa, posso sempre divorziare...", il sacramento è viziato dall'origine, così come per la confessione sacramentale incompleta o senza sincero pentimento, quindi c'è un'assenza di fede, una mancanza di amore, e le conseguenze sono nell'intimo del reo, né più  né meno del killer, e se la vedrà con la sua coscienza.
Forse, in risposta a questa tua considerazione, le parole di Sant'Agostino possono assistere la nostra riflessione:
"Il demonio inganna gli uomini in due modi: con la disperazione e con la speranza. Dopo il peccato, tenta il peccatore alla disperazione con il terrore della divina giustizia; ma prima di peccare spinge l'anima al peccato con la speranza nella divina misericordia. Perciò il Santo ammonisce: «Dopo il peccato, spera nella misericordia, prima del peccato, abbi timore della giustizia». Infatti non merita misericordia chi si serve della misericordia di Dio per offenderlo. Dio usa misericordia con chi lo teme, non con chi si serve di essa per non temerlo".
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

cvc

Citazione di: Duc in altum! il 12 Luglio 2016, 10:48:32 AM
**  scritto da cvc:
CitazioneA parte che spesso e malvolentieri lavoro anche il sabato e la domenica, credo che la questione sia analoga a quella del matrimonio. Ovvero, ci si giura solennemente eterna fedeltà, ma poi però si può sempre divorziare... Così, nell'ottica della conquista del paradiso, si può anche uccidere, purché ci si penta. Allora possiamo benissimo mandare sulla forca l'assassino e poi, magari, pentircene.
Beh, se il pentimento sarà sincero ed espiatorio lo può verificare solo Dio, auspico che così sia per i boia e per i loro mandanti. Per quel che riguarda il matrimonio, se uno pensa: "...tanto che importa, posso sempre divorziare...", il sacramento è viziato dall'origine, così come per la confessione sacramentale incompleta o senza sincero pentimento, quindi c'è un'assenza di fede, una mancanza di amore, e le conseguenze sono nell'intimo del reo, né più  né meno del killer, e se la vedrà con la sua coscienza.
Forse, in risposta a questa tua considerazione, le parole di Sant'Agostino possono assistere la nostra riflessione:
"Il demonio inganna gli uomini in due modi: con la disperazione e con la speranza. Dopo il peccato, tenta il peccatore alla disperazione con il terrore della divina giustizia; ma prima di peccare spinge l'anima al peccato con la speranza nella divina misericordia. Perciò il Santo ammonisce: «Dopo il peccato, spera nella misericordia, prima del peccato, abbi timore della giustizia». Infatti non merita misericordia chi si serve della misericordia di Dio per offenderlo. Dio usa misericordia con chi lo teme, non con chi si serve di essa per non temerlo".
Se bastasse il timore di Dio ad impedire i delitti, allora sarebbe perfetto. Ma stiamo assistendo a crimini commessi anche in nome di Dio, e non è certo la prima volta nella storia che avviene. Ciò che dice Agostino può andar bene per la lotta interiore all'individuo fra bene e male. Ma l'individuo per sopravvivere ha bisogno di chi lo difenda da chi uccide gli altri individui. Il pentimento oramai è diventato una tappa della carriera criminale. Infatti ci si pente più spesso per vantaggi personali che per reale ravvedimento. Il pentimento riguarda l'individuo e l'assoluzione Dio. Chi dice che il condannato a morte non trovi pentimento e redenzione dei peccati proprio davanti al capestro? Ciò potrebbe forse impedirgli di raggiungere il regno dei cieli? La possibilità di espiazione e redenzione riguardano solo Dio, è ridicolo che l'uomo si attribuisca il ruolo di esserne lui il dispensatore.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

donquixote

Citazione di: sgiombo il 12 Luglio 2016, 09:05:25 AMIntanto Renato Vallanzasca mi sembra un (pessimo) esempio di criminale efferato che l' ha fatta in gran parte franca, riuscendo a sottrarsi al carcere a vita (e duro!) che avrebbe ampiamente meritato (invece in uno stato che seguisse i tuoi principi non l' avrebbe certamente fatta franca perché sarebbe stato condannato a morte). Oltre che malvagio e moralmente spregevole si é inoltre rivelato grettissimo, meschinissimo e maldestrissimo (un preteso "superuomo" che, armato di tutto punto, uccide spietatamente persone inermi -capirai la difficoltà dell' "impresa"!-,ma "ad armi pari" non é nemmeno capace di rapinare un supermercato di periferia! Un miserabile, malvagio omuncolo, fra l' alto (oltre al peggio!) molto più meschino di un ladro di polli! Inoltre non vedo alcuna malafede nel pentirsi di avere ceduto alla tentazione di fare il male e nel cercare di rimediarvi per quanto possibile ed autopunirsi. Malafede sarebbe casomai fingere di pentirsi per alleggerire le condanne penali.


Intanto non capisco questo tuo astio nei confronti di Vallanzasca che nel caso di specie è totalmente ingiustificato e fuori tema considerando che si sta parlando di questioni di principio e non di casi personali. Visto che più volte ti sei autodefinito un "filosofo" dovresti poter concettualizzare e razionalizzare gli esempi proposti e non giudicarli secondo un metro che pare più "sentimentale" che razionale. Comunque il punto non è se Vallanzasca sia o non un criminale, certo che lo è (e sarebbe stato opportuno che a suo tempo fosse stato eliminato dal consesso sociale e non mantenuto a nostre spese per oltre 40 anni) ma che questo criminale si è assunto la responsabilità delle proprie azioni, non si è mai dichiarato in qualche modo "vittima", non ha negoziato veri o falsi pentimenti per riceverne qualche beneficio e ha accettato la pena (o le pene) che lo stato ha ritenuto di infliggergli, al contrario di molti altri che per motivi di convenienza fanno finta di "pentirsi" per lucrare benefici di un qualche genere.
All'inizio del topic hai citato le "sedicenti" Brigate Rosse: proprio costoro, che non erano meno criminali di Vallanzasca, hanno voluto scendere a patti addirittura con uno stato che non riconoscevano, a cui avevano dichiarato guerra. Se dichiari guerra a qualcuno e poi la perdi devi concedere al vincitore di poter fare di te quello che vuole, è sempre stato così. Se invece quando ti beccano ti dichiari "prigioniero politico" negando di fatto il diritto del vincitore a disporre del vinto e poi fai finta di pentirti negoziando con uno stato di cui dichiari di non riconoscere l'autorità una sorta di "collaborazione" in cambio di qualche sconto di pena o permesso premio allora non sei un uomo, ma come diceva Totò sei solo un quaquaraquà. Qui non sono in questione valutazioni morali (visto che la morale da queste parti manco più esiste) ma solo attributi che fanno di un uomo (anche un criminale, perchè essere criminale o meno dipende dalle leggi del paese in cui ti trovi, vedi Socrate) una persona in qualche modo rispettabile oppure solo un vigliacco. La rispettabilità di Socrate (come quella di Vallanzasca) non dipende da quello che uno ha fatto, ma da quello che uno è, e dalla capacità di ognuno di assumersi interamente la responsabilità delle azioni che compie.


Citazione di: sgiombo il 11 Luglio 2016, 19:17:23 PMLa giustizia può sbagliare in molti modi, ma ritengo che fra il rischiare di uccidere un innocente e assolvere un colpevole di regola sia preferibile scegliere la seconda possibilità di sbagliare. Concordo che sia più importante la salvaguardia degli interessi collettivi della società nel suo complesso a scapito eventualmente di un singolo (se inevitabile) e che non sia più importante ogni singolo individuo e non si possa quindi sacrificare a suo "beneficio" il benessere e l'equilibrio di tutti gli altri. Ma secondo me rischiare di sbagliare uccidendo un innocente nell' interesse sociale complessivo si può ammettere solo in condizioni eccezionali e drammaticissime (vedi i rari casi di condannati innocenti per tradimento nella Resistenza antinazifascista).


Per quanto riguarda la prima frase non è che si può scegliere se sbagliare in un verso o nell'altro, perchè appare ovvio che si cerca per quanto possibile di non sbagliare mai. Quindi anche qui è una questione di principio e nel merito colgo una contraddizione, infatti qui sopra leggo: la società è più importante del singolo solo in casi eccezionali e particolarmente drammatici; dunque in condizioni normali è più importante il singolo della società, che è esattamente l'opposto di quel che scrivi all'inizio del capoverso.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

sgiombo

Citazione di: donquixote il 12 Luglio 2016, 11:34:40 AM
Citazione di: sgiombo il 12 Luglio 2016, 09:05:25 AMIntanto Renato Vallanzasca mi sembra un (pessimo) esempio di criminale efferato che l' ha fatta in gran parte franca, riuscendo a sottrarsi al carcere a vita (e duro!) che avrebbe ampiamente meritato (invece in uno stato che seguisse i tuoi principi non l' avrebbe certamente fatta franca perché sarebbe stato condannato a morte). Oltre che malvagio e moralmente spregevole si é inoltre rivelato grettissimo, meschinissimo e maldestrissimo (un preteso "superuomo" che, armato di tutto punto, uccide spietatamente persone inermi -capirai la difficoltà dell' "impresa"!-,ma "ad armi pari" non é nemmeno capace di rapinare un supermercato di periferia! Un miserabile, malvagio omuncolo, fra l' alto (oltre al peggio!) molto più meschino di un ladro di polli! Inoltre non vedo alcuna malafede nel pentirsi di avere ceduto alla tentazione di fare il male e nel cercare di rimediarvi per quanto possibile ed autopunirsi. Malafede sarebbe casomai fingere di pentirsi per alleggerire le condanne penali.


Intanto non capisco questo tuo astio nei confronti di Vallanzasca che nel caso di specie è totalmente ingiustificato e fuori tema considerando che si sta parlando di questioni di principio e non di casi personali. Visto che più volte ti sei autodefinito un "filosofo" dovresti poter concettualizzare e razionalizzare gli esempi proposti e non giudicarli secondo un metro che pare più "sentimentale" che razionale. Comunque il punto non è se Vallanzasca sia o non un criminale, certo che lo è (e sarebbe stato opportuno che a suo tempo fosse stato eliminato dal consesso sociale e non mantenuto a nostre spese per oltre 40 anni) ma che questo criminale si è assunto la responsabilità delle proprie azioni, non si è mai dichiarato in qualche modo "vittima", non ha negoziato veri o falsi pentimenti per riceverne qualche beneficio e ha accettato la pena (o le pene) che lo stato ha ritenuto di infliggergli, al contrario di molti altri che per motivi di convenienza fanno finta di "pentirsi" per lucrare benefici di un qualche genere.
All'inizio del topic hai citato le "sedicenti" Brigate Rosse: proprio costoro, che non erano meno criminali di Vallanzasca, hanno voluto scendere a patti addirittura con uno stato che non riconoscevano, a cui avevano dichiarato guerra. Se dichiari guerra a qualcuno e poi la perdi devi concedere al vincitore di poter fare di te quello che vuole, è sempre stato così. Se invece quando ti beccano ti dichiari "prigioniero politico" negando di fatto il diritto del vincitore a disporre del vinto e poi fai finta di pentirti negoziando con uno stato di cui dichiari di non riconoscere l'autorità una sorta di "collaborazione" in cambio di qualche sconto di pena o permesso premio allora non sei un uomo, ma come diceva Totò sei solo un quaquaraquà. Qui non sono in questione valutazioni morali (visto che la morale da queste parti manco più esiste) ma solo attributi che fanno di un uomo (anche un criminale, perchè essere criminale o meno dipende dalle leggi del paese in cui ti trovi, vedi Socrate) una persona in qualche modo rispettabile oppure solo un vigliacco. La rispettabilità di Socrate (come quella di Vallanzasca) non dipende da quello che uno ha fatto, ma da quello che uno è, e dalla capacità di ognuno di assumersi interamente la responsabilità delle azioni che compie.


Citazione di: sgiombo il 11 Luglio 2016, 19:17:23 PMLa giustizia può sbagliare in molti modi, ma ritengo che fra il rischiare di uccidere un innocente e assolvere un colpevole di regola sia preferibile scegliere la seconda possibilità di sbagliare. Concordo che sia più importante la salvaguardia degli interessi collettivi della società nel suo complesso a scapito eventualmente di un singolo (se inevitabile) e che non sia più importante ogni singolo individuo e non si possa quindi sacrificare a suo "beneficio" il benessere e l'equilibrio di tutti gli altri. Ma secondo me rischiare di sbagliare uccidendo un innocente nell' interesse sociale complessivo si può ammettere solo in condizioni eccezionali e drammaticissime (vedi i rari casi di condannati innocenti per tradimento nella Resistenza antinazifascista).


Per quanto riguarda la prima frase non è che si può scegliere se sbagliare in un verso o nell'altro, perchè appare ovvio che si cerca per quanto possibile di non sbagliare mai. Quindi anche qui è una questione di principio e nel merito colgo una contraddizione, infatti qui sopra leggo: la società è più importante del singolo solo in casi eccezionali e particolarmente drammatici; dunque in condizioni normali è più importante il singolo della società, che è esattamente l'opposto di quel che scrivi all'inizio del capoverso.
Citazione

Non ho nessun bisogno (né men che meno dovere) di giustificare presso nessuno il mio fortissimo disprezzo per quella "schifezz' e omme", come direbbero a Napoli, di Vallanzasca (checcé ne dica il per altri versi apprezzabile Massimo Fini), né quello per le sedicenti Brigate Rosse.
Entrambi credo di averli adeguatamente argomentati (per mio gusto, non certo per dovere).

Razionalità e sentimenti non sono affatto reciprocamente escludentisi bensì complementari.
Ed essere flosofo non significia di certo "autocastrasi sentimentalmente", anzi!


E' ovvio che si cerca di sbagliare il meno possibile.
Ma si può benissimo scegliere come rischiare di più o di meno di sbagliare, ed é giusto cercare di correre il rischio di sbagliare di meno e meno gravemente piuttosto che di più e più gravemente.

Mi hai frainteso circa l' importanza del singolo e quella della collettività.
Per me la seconda é sempre maggiore della prima; ma innanzitutto non si ha necessariamente opposizione e inconciliabilità fra le due cose, e inoltre solo in casi eccezionali e drammaticissimi (per fortuna!) é necessario (e dunque giustificato) rischiare di comminare una condanna ingiusta a un singolo innocente per salvaguardare i supremi interessi collettivi.



arcai

Pentimento ed espiazione.

Felice di incontrare un luogo dove riconosco pensieri che capisco.

Non offro una risposta sul tema: mi interessa. Pentimento: non per forza qualcosa di cui, in senso assoluto, dover condannare, nè in senso civile, nè etico, nemmeno secondo le Leggi degli uomini o morali.
Il pentimento è una condizione, una delle condizioni più nobili della coscienza e del pensiero. E' la responsabilità nostra, in qualità d'individui, di avere una coscienza e di doverla consultare senza pretendere di dimenticare.  
Il pentimento è dunque una condizione, nobile tra le più nobili, ed elevare la propria coscienza a ciò è già forma di espiazione. 
Quella di rinunciare a dimenticare. Non solo errori imperdonabili, ma anche la nostra finitudine umana che inevitabilmente, passo dopo passo, ci porta all'errore.
(arcai12.07.16)

Phil

Citazione di: Sariputra il 11 Luglio 2016, 22:20:22 PMil camminare continuo della coscienza e il famoso karma è proprio questo movimento incessante. Un'azione veramente malvagia ha un influsso terribile sulla coscienza, indipendentemente dal fatto di esserne consapevoli. Questa ruota priva di perno ( amore) non smette di girare e operare nefasta influenza in noi semplicemente perchè , con un impulso interiore, effimero, riteniamo di esserci pentiti.
[...] Non è possibile alcuna matematica del karma, nè alcuna accumulazione di meriti. Solo quando,  nel sonno, i demoni che abbiamo generato, piano piano, non verranno più a farci visita, capiremo che la ruota ha esaurito l'energia che la muoveva.
Direi che i due temi del topic, il pentimento e l'espiazione, si conciliano più con il cristianesimo che con il buddhismo: in un ottica karmica, quindi deterministicamente causale, il pentimento gioca un ruolo molto marginale rispetto all'effettività delle azioni compiute (sarebbe improponibile una pratica della "confessione" nel buddhismo) e talvolta viene persino considerato uno dei "cinque ostacoli" innati (nivarana) per l'illuminazione (è quello chiamato kukkucca); mentre l'espiazione non è decidibile o praticabile a scelta, ma è semplicemente la "naturale" conseguenza, l'effetto ineluttabile dell'azione che l'ha causata (rimando al quinto capitolo dell'Abhidhamma per la questione della reincarnazione come espiazione...) 
Per cui il legame pentimento/espiazione, per come è inteso occidentalmente/cristianamente non credo possa attecchire adeguatamente nella catena causale del karma, anche se resta sempre possibile coniugare le due prospettive con una bella immagine sincretica, come quella da te proposta, in cui l'amore cristiano diventa perno della ruota del karma induista...

davintro

#44
Per stabilire la necessità del rapporto tra pentimento ed espiazione andrebbe chiarito il senso del secondo concetto. In cosa dovrebbe consistere l' "espiazione"? Io penso che se l'espiazione consite nell'agire in modo da ridurre il più possibile gli effetti del male prodotto allora non può esserci pentimento senza volontà di espiazione. Ma non è solo impossibile dal punto di vista del "dover essere", ma anche dall'essere di fatto. Non posso essere pentito di aver fatto una cosa senza provare il desiderio di rimediare all'errore annullando gli effetti di ciò che ho commesso. Pentirsi vuol dire desiderare di poter tornare indietro. Ovviamente questo è impossibile, ma ci si può avvicinare all'idea nel fare in modo di ridimensionare entro i limiti del possibile i danni causati. Se sono pentito di aver detto una cosa che ha offeso una persona la volontà di espiare consisterà necessariamente nel chiedere scusa e consolare quella persona sperando di togliere dal suo stato d'animo il malumore dovuto a quell'offesa. Ma se per "espiazione" s'intende invece una sorta di punizione in cui si danneggia l'individuo senza modificare in senso positivo gli effetti negativi del male commesso allora non c'è un nesso con il pentimento. Io posso pentirmi del male che ho fatto nel senso che avrei non voluto più farlo senza per forza voler soffire o sacrificare cose della mia vita che posso mantenere a prescindere dalle azioni compiute. Se mi pento di aver sferrato un pugno, vorrei non averlo fatto, non desiderare tagliarmi la mano (perchè la mano non mi serve solo per sferrare pugni...), se lo desiderassi, sono d'accordo con Phil, ciò non avrebbe nulla a che fare con la giustizia, è solo masochismo e vendetta, vendetta di fronte a un fantomatico "ordine cosmico" di fronte a cui ciascuno dovrebbe stare alla pari in una bilancia tra male commesso e male subito. Per ma giustizia vuol dire fare il bene, non aggiungere male a male, il male può essere giustificato solo come indipensabile strumento per il bene. Perdere soldi con le tasse è un male ma giusto perchè lo stato acquisisce denaro per i servizi, uccidere un assassino non fa resuscitare le vittime, quindi è un  male fine a se stesso, che non produce bene dunque ingiusto


Essendo il pentimento un fatto interiore ha a che fare con il piano spirituale e religioso (non vorrei soffermarmi su questo anche perchè prossimamente mi piacerebbe aprire una discussione a parte riguardo questo ambito), mentre dal punto di vista politico ciò che conta è l'espiazione ma non necessariamente il pentimento. Uno stato liberaldemocratico e non etico, come per fortuna è il nostro, non manda in carcere i criminali per punizione o vendetta, ma pragmaticamente, per evitare che, lasciati in libertà, possano continuare a nuocere: una volta riconosciuta la pericolosità sociale di un individuo lo si isola temporaneamente dal consesso civile. L'obiettivo non è fargli del male (vendetta) ma anteporre al bene della sua libertà un bene maggiore che è quella della comunità. Lo si isola fino a che non si considera la possibilità di un ravvedimento, ecco perchè la detenzione dovrebbe essere coordinata con momenti di socializzazione che permetta di osservare ed esaminare eventuali comportamenti che potrebbero lasciar intendere tale ravvedimento. Dal punto di vista politico il pentimento è utile perchè porta il reo a non commettere più i reati ma non indispensabile: se un criminale non dovesse pentirsi, ma considerando la durezza del carcere riconoscesse utilitaristicamente che non valga più il rischio di commettere reati, per lo stato andrebbe bene comunque, fermo restando che se ci fosse anche il pentimento sarebbe ancora meglio perchè il rientro alla vita civile sarebbe più profondamente motivato e dunque tale scelta sarebbe più irreversibile. Lo stato non si occupa delle anime ma delle relazioni esterne fra le persone. Ragion per cui se un assassino appena dopo aver commesso l'omicidio subisse un incidente che lo lasciasse totalmente paralizzato (quindi innocuo), a mio avviso uno stato di diritto non dovrebbe infliggergli alcuna pena. Qualunque male contro di lui sarebbe inutile, gratuito e dunque ingiusto

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