Paradiso, Inferno e vera libertà

Aperto da ricercatore, 29 Novembre 2021, 12:26:03 PM

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ricercatore

@viator
obiezione accolta! cerco di spiegarmi meglio.

il commento di Socrate78 parlava principalmente di aldilà, ma le sue immagini mi hanno evocato riferimenti a questa vita (infatti nel mio commento sopra ho specificato "relativamente a questa vita terrena").
l'inferno esiste come condizione dell'anima (intesa come coscienza) e credo anche io che sia così: quando si finisce nel baratro, laggiù nel pozzo nero, magari perché si è subito un male senza apparentemente alcuna colpa, si ha il desiderio di riversare quel male all'esterno, per vendetta o per rabbia. quel male, tuttavia, genera ulteriore sofferenza, ulteriore male, in un circolo vizioso che ti fa sprofondare all'inferno.
nessuno mi manda laggiù, ci vado io da solo.
nella mia vita ho avuto amici che si sono auto-distrutti per questo e nel mio piccolo, ho sentito anche io lo stesso male.

stesso discorso per chi rimane attaccato alle cose materiali. credo che tutti conosciamo persone (anche di una certa età) che si sono inaridite, affascinate e sedotte dalle false promesse del denaro o della ricchezza materiale. ("c'è gente talmente povera, che non ha nient'altro che il denaro")

se esiste la sofferenza (credo sia innegabile), se esiste il male che peggiora la sofferenza fino a portarci all'Inferno, deve esistere anche il suo opposto: il bene e tutto ciò che di positivo ne consegue, fino al raggiungimento di uno stato di serenità, nonostante tutto.
nella mia vita, ho conosciuto alcune persone (poche a dire il vero) che sono riuscite a raggiungere questo stato di pace, misterioso e inspiegabile (dati i loro trascorsi dolorosi)

questa è la parte che ho apprezzato del commento di Socrate78: sicuramente non era questa la sua intenzione, ma il suo post mi ha fatto fare questo viaggio mentale.

riguardo la parte dell'aldilà (vita dopo la morte) sono molto scettico, da qui i dubbi che ho riportato.
tutti gli Homo sapiens hanno un'anima eterna (intesa in senso spirituale)?
anche gli Homo sapiens con danni cerebrali o ritardi mentali?
e che dire degli altri mammiferi?

spero di aver chiarito meglio ciò che intendevo sopra  ::)

viator

Salve ricercatore. Grazie per la tua replica, la quale mi ha permesso di comprendere (spero) il senso delle tue dubbiosità, le quali purtroppo restano - in sè ed ai miei occhi - completamente contradditorie.


Infatti, citandoti : "tutti gli Homo sapiens hanno un'anima eterna (intesa in senso spirituale)?
anche gli Homo sapiens con danni cerebrali o ritardi mentali?
e che dire degli altri mammiferi?"
..............vorrei dirti che - restando le risposte da te richieste a carico di chi crede nell'esistenza di un'anima (cioè dovrebbe risponderti Socrate, anche se, ormai conoscendolo, lo colloco sicuramente nella categoria di chi lancia i sassi e ritira la mano) - per parte mia noto l'insistente tua confusione tra categorie del tutto incompatibili..............

Per Socrate e per tutti i credenti e tutti gli spiritualisti lo "homo sapiens" semplicemente non esiste, per cui non può certo possedere un'anima (figuriamoci poi i restanti mammiferi ed animali in genere !).

Per costoro l'anima (mia definizione : uno spirito dotato della capacità di volere - peccato che poi nessuno al mondo possa poi fornire una ulteriore definizione soddisfacente di "spirito) è rigorosamente legata ad un'essere umano (mentre l'homo sapiens è solo una specie biologica animale), il quale essere umano consiste in un "involucro corporale" (un corpo destinato a morire, marcire, disfarsi) contenente appunto un'anima (rigorosamente immortale, perchè così fa comodo ai credenti, cioè un frammento di una qualche manifestazione (sarebbe appunto lo spirito) che rende l'essere umano parente stretto di Dio.

Quindi lascia stare i termini medici, biologici, genetici, tassonomici (homo sapiens, mammifero, animale, vertebrato etc. etc.) perchè non facendolo aumenterai solamente la confusione tra fede, spiritualità, biologia, materialismo, psiche, mente, coscienza, Dio, evoluzione, creazione..............e poi tutto il resto del sapere e del sentire umani, dei quali non possiamo approfondire tra noi due.

Comunque, nel caso tu volessi più estesi chiarimenti e vedessi che Socrate78 insiste nel non replicare ai tuoi dubbi.....................potrai magari cercare di rivolgerti a lui attraverso un contatto di messaggio privato, così come presente tra le opzioni del Forum. Se il tuo tentativo dovesse aver successo, ci penserà lui a spiegarti per bene come funzionano sia le cose di questo mondo che quelle dell' "altro mondo". Auguri e saluti.




Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

niko

#17



Da un punto di vista teologico e di storia delle eresie, le alternative all'esistenza dell'inferno sono principalmente due, l'
annichilazionismo e l'apocatastasi:

secondo l'annichilazionismo i peccatori vengono semplicemente distrutti per sempre, hanno un destino di annientamento ma non di sofferenza eterna (da cui ne consegue che non tutte le anime sono immortali, solo quelle dei giusti in paradiso): il concetto di seconda morte viene preso alla lettera, e anche il concetto secondo cui il salario del peccato è la morte, viene preso alla lettera, con una concezione della morte del peccatore come semplice oblio eterno della sua coscienza, il che è una sorte peggiore del paradiso, ma certamente migliore dell'inferno di fuoco come luogo di tortura, che non esiste; posizione questa per esempio dei testimoni di Geova, che sono la terza religione in Italia per numero di credenti, e la seconda se si escludono gli immigrati (islamici), tanto per dire che non è una posizione statisticamente marginale, ci credono un sacco di persone. La pena dei malvagi è non avere futuro, non avere un brutto futuro.

Secondo l'apocatastasi (principali sostenitori: Origene, Scoto Eurigena e altri) alla fine di un tempo lunghissimo anche i peccatori che sono all'inferno saranno purificati, quindi in questa concezione non esiste il purgatorio, o meglio l'inferno assume il ruolo del purgatorio, inferno e purgatorio diventano la stessa cosa.

I peccatori transitano temporaneamente per l'inferno ma alla fine di tutti i tempi si ritrovano insieme ai giusti in paradiso.

E allora perché non peccare, ci si potrebbe chiedere? Dato che dopo una pena finita si giunge a beatitudine infinita?Perché c'è comunque una forma di pena eterna che attende i peccatori, ulteriore alla pena temporalmente esauribile del loro inferno temporaneo: semplicemente rimarrà il rimorso per il male fatto.
L'essere purificati da una pena ultraterrena temporanea in questa concezione vuol dire anche e soprattutto l'essere messi in grado di provare rimorso per il male fatto in vita, e tale emozione negativa resterà per sempre anche in assenza di qualunque altra pena, perché anche su un piano di eternità provare rimorso per il male è un fatto costitutivo del bene, diventare buoni è anche diventare capaci di rimorso: quindi l'anima che è transitata per l'inferno avrà per sempre un grado di beatitudine minore, finanche quando ormai giunta in paradiso, rispetto all'anima che non vi è mai transitata.
I giusti avranno beatitudine infinita in senso pieno, i dannati beatitudine temporalmente infinita ma sempre con una punta di rimorso a pungolarli.

E' anche facilmente immaginabile, e secondo me è stato immaginato, che anche la vicenda biblica proceda per cicli temporali simili tra di loro a tempo indefinito, quindi i morti all'inferno in un ciclo temporale precedente potrebbero essere nient'altro che gli angeli che si ribellano a Dio in un ciclo temporale successivo, e il tempo può esaurirsi solo in un ultimo ciclo temporale definitivo in cui tutti muoiono in grazia di Dio e la ribellione angelica nel ciclo successivo non avviene.

Entrambe le concezioni che ho esposto comunque ci portano oltre il problema del:

"se c'è il paradiso nessuno che in esso creda fa il bene per altruismo (ma solo per guadagnarselo), e se c'è l'inferno nessuno che in esso creda fa il male per vero egoismo, (ma solo per egoismo frainteso, perché naturalmente andare all'inferno non conviene mai)", che mi sembra fosse il tema originario della discussione.

Insomma nessuna religione della salvezza individuale sembra poter predicare fino in fondo l'altruismo, soprattutto se vive di assoluti, nel senso che, chi vive per salvarsi, sarà portato se non a opprimere, quantomeno a strumentalizzare l'altro, a farlo esistere solo come prova e messa alla prova di se stesso, anche se la messa alla prove secondo le sue regole codificate prevede paradossalmente dimostrazioni più o meno superficiali di altruismo. La cosa più difficile da digerire è che in paradiso, se veramente ci crediamo, saremo felici lo stesso anche se la persona che amiamo di più non c'è perché è all'inferno, appunto perché la persona che amiamo di più secondo il dettame del cristianesimo dovrebbe essere Cristo/Dio e non altri nostri amati. Se giù in vita non possiamo concepire di essere felici nonostante la sofferenza o l'assenza di chi veramente amiamo e scegliamo di amare, che non deve per forza essere Dio, in morte dovremmo diventare capaci di tale sopraffino egoismo.

Nell'annichilazionismo c'è una concezione atea e nichilista della morte, ma che vale solo per la morte del peccatore, mentre solo la morte del giusto è paradisiaca. Ciò non toglie che se si immagina la morte come pura non-sofferenza, senza possibilità di inferno, il peccatore ha tutto il diritto e tutta la sua possibile eventuale convenienza, a seconda del suo modo di essere, di pensare e delle sue priorità, a sfidare l'ordine divino; semplicemente alla fine della fiera alcuni smetteranno di soffrire e alcuni altri saranno felici. Una differenza sottile, su cui si è giocata molta della filosofia occidentale. Essendoci solo il premio e non la punizione, non c'è un vero giudizio da parte di Dio.

Senza inferno, l'umanità è già redenta dalla prospettiva universale della finitezza di ogni possibile sofferenza individuale stabilita da un Dio quantomeno non sadico, dalla morte come Grande Consolatrice: chi è fuori dalla legge è fuori dalla vita.
Solo in questo senso si può pensare la gratuità della grazia come differenza sottile tra prospettiva di non-sofferenza e prospettiva di felicità per l'uomo, differenza che implica il nulla per superarlo, l'atto divino di asservire il nulla a uno scopo buono, e apparentemente impossibile: premiare il giusto senza punire il peccatore.

Il nulla della morte relativizza l'immensità del male sulla terra, lo riduce a quello che in effetti è ed è sempre stato, pura sofferenza temporalmente esperibile da un vivo e localmente esperibile da un corpo, e quindi induce la persona spirituale a uscire dal moralismo, ovvero a porre a se stessa il problema della sofferenza (cosa fare per...) e non quello, inesistente e quindi paralizzante, del male (cosa fare in generale).

In questa prospettiva, non paralizzati dalla paura di un inferno di fuoco, si può ben fare il male per egoismo, come ad esempio amare la creatura più del creatore, morire per un amore terreno e carnale, oppure come Giuda tradire Gesù perché la vicenda umana e divina andasse come doveva andare, con la prospettiva di oblio della sua coscienza e non di inferno. E si può fare il bene, o meglio quello che al momento e per le conoscenze che abbiamo ci sembra bene, per altruismo, paghi della prospettiva della morte come annientamento se il nostro personale concetto di fare il bene non verrà riconosciuto anche da Dio come tale, e quindi come aver davvero fatto bene. Si può provare, ad essere buoni, laddove non è giustificata una paura assoluta di sbagliare.


Ugualmente, se si immagina che la punizione del peccatore sarà un grado minore di felicità indotto dal permanere ultraterreno del suo rimorso, e non l'infelicità, si può fare il male per egoismo, e il bene per altruismo; non ci sono paure paralizzanti, si può valutare il nostro attuale senso del bene e del male come se fosse nient'altro che la nostra attuale capacità di provare rimorso. E se la santità è perfezione, la dannazione non gli si contrappone direttamente perché è uno stato migliorabile; qui il giudizio "di Dio" deriva direttamente dall'irreversibilità del tempo, e diventa anche il nostro giudizio su noi stessi via via che diventiamo coscienti di tale irreversibilità, la accettiamo e la facciamo lavorare a nostro vantaggio. Se il tempo è irreversibile, la morte non potrà mai spazzare via la nostra vita, ma neanche redimere il male in essa contenuto, l'unica possibilità è migliorarsi nel tempo che resta, senza obbiettivi assoluti, ma solo relativi, che avranno un grado variabile di riuscita.

Il cuore profondo del pensiero dell'apocatastasi è che per far soffrire nella giusta misura il peccatore e gioire il giusto, non bisogna metterli in due mondi ultraterreni diversi, un mondo brutto per il peccatore (inferno) e un mondo bello per il giusto (paradiso), ma che la stessa trasfigurazione totale e unitaria di questo mondo a un altro mondo, con caratteristiche diverse e rinnovate, in cui dovranno volenti o nolenti "abitare" tutti, proprio come tutti devono volenti o nolenti abitare in questo mondo, sarà una transizione di "tempo" e di "luogo" bella (paradisiaca) per il giusto e in un certo senso brutta (infernale) per il peccatore.
Questo mondo, materiale e imperfetto, è il mondo in cui si sperimenta sostanzialmente la possibilità di fare il male e l'impossibilità di fare il bene, quindi è il mondo "adatto", il posto giusto in cui vivere, per il peccatore, e "non adatto", il posto sbagliato in cui vivere, per il santo; insomma un mondo in cui il desiderio del male è pago, e il desiderio del bene è inappagato.
Escatologicamente, il mondo spirituale e perfetto che verrà, sarà l'esatto contrario, quindi tutti "andranno in paradiso" ma non tutti si troveranno bene lì: verrà un mondo, esatto opposto del nostro, in cui viceversa il desiderio del bene sarà pago e il desiderio del male sarà inappagato, e questo definirà l'essenza paradisiaca del nuovo mondo: è chiaro che chi serberà in sé ancora desiderio del male, chi non si sarà trasfigurato verso il bene nella stessa dinamica e corrente del mondo intero che si trasfigura verso il bene, starà male, nel senso di frustrazione e inappagamento, in questo nuovo mondo, esattamente come in questo mondo i giusti soffrono moralmente e spiritualmente, e a volte fisicamente, sotto il tallone dei malvagi che li opprimono, e i malvagi sperimentano in questo una sorta di frivola e illusoria felicità; questa dinamica si ribalterà ma per sempre, rendendo la felicità dei giusti di maggior valore e desiderabilità.

Quindi il rimorso che rimane nei malvagi, può essere pensato anche come desiderio inappagato rimasto in loro di fare il male in un mondo dove il male non si può più fare, si va infine tutti in paradiso ma lì i malvagi saranno in una certa qual misura turbati e proveranno frustrazione e rimorso alla contemplazione di Dio e del sommo bene, quindi non avranno lo stesso grado di beatitudine e perfezionamento degli altri, rimane il libero arbitrio eterno ma non comporta una pena eterna, solo un grado di beatitudine minore.




Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Freedom

#18
Citazione di: ricercatore il 01 Dicembre 2021, 16:44:21 PM
si è proprio la tua ultima frase, quel "vocazione interiore" che è oggetto della mia attenzione.
per vivere in maniera "adulta", per prendere su di sé la responsabilità di questa vita, per "esserci" è necessario compiere un atto dettato da quella vocazione interiore, il più possibile "libera" dai condizionamenti esterni (insegnamenti religiosi compresi).

superare la logica del premio/punizione ed andare oltre la Legge... e torno nuovamente al paradosso: solo così mi sembra si possa compiere la volontà di Dio
Tenterò di spiegarmi meglio.

La vocazione interiore cioè l'inclinazione a seguire una strada va rinnovata ogni giorno. Tanti sono i motivi per cui si può smarrire il percorso che si era deciso di seguire. Spesso la colpa è attribuibile alla nostra fragilità. Dal punto di vista cristiano "alla debolezza della carne". Il timore di Dio, sempre dall'angolatura cristiana ma, anche, secondo altre religioni, è un aiuto a mantenersi saldi nelle decisioni intraprese.

Faccio un esempio. Non so, prendiamo un uomo che ha fatto della lealtà e della fedeltà, uno dei capisaldi del suo modus vivendi. Per rispetto degli altri, ma, anche e forse soprattutto, di sé stesso. E' nella sua natura e dunque non gli riesce molto difficile. Probabilmente è un atteggiamento anche poco meritorio proprio perché, come detto, è nella sua natura.

Pur tuttavia, un bel giorno, dopo innumerevoli prove tali per cui egli si sente, almeno in questo campo di azione, integerrimo e destinato a morire in questo stato, un bel giorno dicevo, inattesa e non benvenuta, la tentazione di tradire si affaccia potente nel suo cuore. Contro la sua natura, contro ogni ragionevolezza, contro ogni considerazione di opportunità. A quel punto partono le costruzioni delle scuse e delle giustificazioni: "dai, almeno una volta nella vita cosa vuoi che sia?" Etc. etc.

Dopo lunga e infuocata battaglia interiore questa persona sta per cedere e vendere la sua purezza per il classico piatto di lenticchie.
A quel punto l'unica cosa che può salvarlo è la paura che se lo farà le peggio cose gli capiteranno. In questa vita o nella prossima.

Nella mia ignoranza ho provato a dire che cosa è, almeno nella mia comprensione, il timore di Dio.

Poi, sicuramente non sono e non posso essere esaustivo, e ci sono e ci saranno tantissime altre situazioni nelle quali il timore di Dio aiuta a seguire la virtù.

Concludendo, sarebbe certo meglio non avere bisogno del timore di Dio, ma, a mio avviso, bisogna essere in uno stato.....come dire.......diciamo evolutivo, superiore a quello che mi pare di riscontrare oggi negli esseri umani.
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

ricercatore

Citazione di: viator il 01 Dicembre 2021, 21:22:09 PM
Salve ricercatore. Grazie per la tua replica, la quale mi ha permesso di comprendere (spero) il senso delle tue dubbiosità, le quali purtroppo restano - in sè ed ai miei occhi - completamente contradditorie.


Infatti, citandoti : "tutti gli Homo sapiens hanno un'anima eterna (intesa in senso spirituale)?
anche gli Homo sapiens con danni cerebrali o ritardi mentali?
e che dire degli altri mammiferi?"
..............vorrei dirti che - restando le risposte da te richieste a carico di chi crede nell'esistenza di un'anima (cioè dovrebbe risponderti Socrate, anche se, ormai conoscendolo, lo colloco sicuramente nella categoria di chi lancia i sassi e ritira la mano) - per parte mia noto l'insistente tua confusione tra categorie del tutto incompatibili..............

Per Socrate e per tutti i credenti e tutti gli spiritualisti lo "homo sapiens" semplicemente non esiste, per cui non può certo possedere un'anima (figuriamoci poi i restanti mammiferi ed animali in genere !).

Per costoro l'anima (mia definizione : uno spirito dotato della capacità di volere - peccato che poi nessuno al mondo possa poi fornire una ulteriore definizione soddisfacente di "spirito) è rigorosamente legata ad un'essere umano (mentre l'homo sapiens è solo una specie biologica animale), il quale essere umano consiste in un "involucro corporale" (un corpo destinato a morire, marcire, disfarsi) contenente appunto un'anima (rigorosamente immortale, perchè così fa comodo ai credenti, cioè un frammento di una qualche manifestazione (sarebbe appunto lo spirito) che rende l'essere umano parente stretto di Dio.

Quindi lascia stare i termini medici, biologici, genetici, tassonomici (homo sapiens, mammifero, animale, vertebrato etc. etc.) perchè non facendolo aumenterai solamente la confusione tra fede, spiritualità, biologia, materialismo, psiche, mente, coscienza, Dio, evoluzione, creazione..............e poi tutto il resto del sapere e del sentire umani, dei quali non possiamo approfondire tra noi due.

Comunque, nel caso tu volessi più estesi chiarimenti e vedessi che Socrate78 insiste nel non replicare ai tuoi dubbi.....................potrai magari cercare di rivolgerti a lui attraverso un contatto di messaggio privato, così come presente tra le opzioni del Forum. Se il tuo tentativo dovesse aver successo, ci penserà lui a spiegarti per bene come funzionano sia le cose di questo mondo che quelle dell' "altro mondo". Auguri e saluti.

ciao viator, credo che non si possano ignorare certe evidenze scientifiche (evoluzionismo in particolare) e pertanto cerco di sforzarmi a capire come possano coesistere alcune credenze religiose alla luce di quanto conosciamo oggi.

a tuo avviso è uno sforzo inutile (in quanto aree incompatibili), tuttavia è un argomento che mi appassiona e spero di potermi confrontare ancora su questi argomenti (magari su altro thread).

ricercatore

@niko
non conoscevo queste due eresie: entrambe possono "risolvere" la paura dell'Inferno, ma resta (come mi sembra di capire) il problema dell'autenticità di un gesto d'amore condizionato da un guadagno futuro.

ricercatore

Citazione di: Freedom il 02 Dicembre 2021, 11:52:05 AM
Concludendo, sarebbe certo meglio non avere bisogno del timore di Dio, ma, a mio avviso, bisogna essere in uno stato.....come dire.......diciamo evolutivo, superiore a quello che mi pare di riscontrare oggi negli esseri umani.

come darti torto? :)

tuttavia il punto chiave è la credenza o meno nel premio/punizione futura: se credo in questo, non posso tentare di fare questo passo "evolutivo" superiore.
non ho studiato Nietzsche, ma forse sto riproponendo il concetto di oltreuomo?

niko

#22
Citazione di: ricercatore il 02 Dicembre 2021, 12:49:04 PM
@niko
non conoscevo queste due eresie: entrambe possono "risolvere" la paura dell'Inferno, ma resta (come mi sembra di capire) il problema dell'autenticità di un gesto d'amore condizionato da un guadagno futuro.

La paura dell'annientamento si può superare (ad esempio con l'argomento epicureo, quando c'è la morte noi non ci siamo, vale sia per la morte prima che per l'eventuale morte seconda, quindi l'importante è e rimane vivere bene nei limiti delle proprie possibilità), insomma si può essere oltre la paura dell'annientamento senza per questo essere santi o esseri sovraumani;

così come si può accettare la grande verità che la vita sia intrinsecamente piacere e sofferenza insieme e dunque se c'è un'altra vita dopo questa, questo e non altro si troverà pari pari anche nell'altra vita, piacere e sofferenza insieme, può cambiare solo la composizione relativa, quindi rassegnarsi al fatto che finanche il paradiso è un miglioramento relativo e non assoluto della condizione umana e si compone di gradi variabili di beatitudine essendo esso stesso complessivamente nient'altro che un grado variabile di beatitudine.

Amare disinteressatamente è oltre la paura e il guadagno, se tu ami, l'egoismo fondamentale sta nel fatto che amare qui e ora ti ripaga, te ne freghi se è amore che porta all'inferno o se è amore che porta al paradiso, vuoi quello che vuoi e basta.
E poi se anche inferno e paradiso non esistessero manco per niente e fossimo tutti cibo per vermi e per il grande nulla, (che poi è quello che è vero e che non/succederà al 99,9999...%, il che rende questa conversazione una conversazione fatta per amore, appunto, di conversazione) l'egoismo fondamentale insito nell'amare non si risolverebbe, non si risolverebbe nemmeno in nessuna nuova forma di riscoperto nichilismo o ateismo, perché l'amore ripaga l'amante e l'amato, non lo fai per l'egoismo del paradiso, lo fai per l'egoismo dell'amore.

E non si risolverebbe perché è un assoluto, come altro un assoluto è l'altruismo: ami sempre sia per te che per gli altri, da una parte è vero che l'amore ti gratifica e ti ripaga, (sia pure a volte nella forma del meno peggio e non del meglio) ma l'amore è sempre anche amore per l'altro, perfino Narciso davanti al suo riflesso si deve scambiare per un altro per amarsi, finché non si disillude nel suo vissuto attuale sta amando un altro, poi vieppiù ogni amore oggettuale (nel senso psicoanalitico di non-narcisistico, rivolto a qualcosa di esterno) è amore per l'altro, ogni amore frustrato e represso è ancora di più amore per l'altro perché si soffre l'attesa o la sostituzione dell'oggetto, eccetera eccetera.


Come vedi, inferno e paradiso non sono che dei "rafforzativi" di un'indivisibilità di fondo tra egoismo e altruismo nella realtà stessa dell'amore, che, anche se non si pensa a questi due destini ultraterreni e non li si implica nella discussione, comunque sussiste.

In generale l'amore corrisposto è la dimensione della finitudine della volontà, l'amore non corrisposto quella della sua infinitezza, la volontà si compone, della sua infinitudine e finitezza, non c'è dicotomia tra amare se stessi e amare l'altro, il desiderio dell'altro è il desiderio che l'altro abbia il nostro stesso desiderio: "prima" si crea una forma fantasmatica piena, di immagini e visione, trasparente a se stessa, del desiderio, "poi" si spera, si ha fede, che oltre quella forma, oltre il limite di quella forma, quindi nell'assoluta indeterminatezza, si sia in almeno più di uno (quindi due-o-più) a desiderare lo stesso, quindi che il desiderio possa nel suo divenire farsi legge, potenza che guida l'ameno due, questione politica, e non solo l'eccezione che già-è.



Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Kobayashi

#23
Secondo Bossuet l'anima, nel momento della morte, viene eternata così com'è, per cui inferno e paradiso indicano lo stato senza tempo, nell'ipotesi dell'immortalità, dell'interiorità di ciascuno.
Bossuet a sua volta riprendeva l'idea di Agostino secondo cui l'uomo diventa ciò che ama. Diventa, ovvero la propria essenza si trasforma, il proprio essere si fa tutt'uno con ciò che si è amato per tutta la vita. La passione dominante non è cioè qualcosa che si sovrappone all'anima, ma diventa la sostanza stessa dell'anima.

Alla luce di queste considerazioni rispondo al quesito del topic: il cristiano non fa il bene per riuscire a passare l'esame finale, ma lottando per liberarsi dal peccato cerca di diventare il bene (diventare come Dio, o, detto in altri termini, ricostruire la somiglianza con l'immagine divina che c'è in ciascuno di noi). Essere capaci di giustizia (e in generale ogni buona azione) è solo conseguenza di questo lavoro spirituale.
Così l'inferno non è sentito come la minaccia di un giudizio per ciò che si è fatto in vita, ma la rappresentazione della condizione che ci toccherà vivere per sempre per non aver fatto nulla per liberarci dalle nostre ossessioni. Da qui l'inutilità di azioni esteriori buone, quando interiormente si rimane tormentati dal peccato, perché quel tormento ce lo trascineremo con noi in eterno.

Queste idee sono poi legate a un tema che ha attraversato tutta la cultura occidentale, dall'antichità al periodo patristico al medioevo fino al Rinascimento: l'uomo come creatura il cui luogo naturale è tra Dio e il mondo animale, con la possibilità di innalzarsi fino al divino o di scadere al livello della bestia.
A noi queste idee appaiono nient'altro che immagini artistiche o retoriche dell'umanesimo perché l'uomo contemporaneo ha mutato la propria posizione: non più fra Dio e gli animali, ma tra gli animali e i minerali.
Sintomi rivelatori di questa nuova ontologia spirituale:
- la valutazione positiva della presenza di qualsiasi passione in quanto segno di vitalità (addirittura ci si spinge a dipingere romanticamente colui che è sempre afflitto da ossessioni e vizi: lo si vede come persona creativa e geniale);
- l'idealizzazione del mondo vegetale in quanto regno di viventi che mostrano una straordinaria capacità di resistenza al destino del minerale inanimato;
Tutto questo perché la minaccia odierna non è l'abbruttimento in bestia, ma la metamorfosi in pietra.

ricercatore

@Kobayashi
molto interessante questa visione, mi pare decisamente più matura rispetto alla logica carota/bastone.

l'inferno è la normalità, il paradiso è una possibilità: mi pare, tra l'altro, l'esatta descrizione di ciò che avviene in questa vita terrena. se non faccio nulla per migliorare la mia condizione, domani starò sicuramente peggio (es. se oggi non studio, se oggi non mangio sano, se oggi non coltivo la relazione con il mio partner, se oggi non annaffio la pianta, se oggi non vado a camminare... non posso di certo aspettarmi un domani migliore).

InVerno

Mi pare, ricercatore, che tu parta da un assunto piuttosto importante quanto immotivato, ovvero che che parlando di "inferno e paradiso" si possa partire a discutere da un idea condivisa quanto autoevidente. Dai miei studi (storici eh) partirei col dire una banalità con una certa confidenza: Gesù, come rabbi ebraico e come raffigurato nel NT, probabilmente non saprebbe di che stiamo parlando, dovremmo spiegarglielo noi suggerendogli peraltro diverse letture propedeutiche prima di intenderci (non diversamente di quanto accade con la trinità ed altro). Di religioni "su Gesù" ce ne sono tante e variopinte, scegli tu a quale santo affidarti, la religione "di Gesù" è stata una sola, per quanto difficile da ricostruire, io direi è quasi certo non comprendesse questi due concetti come colloquialmente vengono oggi usati.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

ricercatore

@InVerno
sono molte le dottrine, così come le interpretazioni

Matteo 25,31-46 si conclude con un "E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna"
chissà che cosa avrà voluto dire Gesù, nel contesto di tutto il discorso.
chissà cosa avranno capito coloro che hanno ascoltato e trascritto poi queste sue parole.

Ipazia

Citazione di: Freedom il 02 Dicembre 2021, 11:52:05 AM
Faccio un esempio. Non so, prendiamo un uomo che ha fatto della lealtà e della fedeltà, uno dei capisaldi del suo modus vivendi. Per rispetto degli altri, ma, anche e forse soprattutto, di sé stesso. E' nella sua natura e dunque non gli riesce molto difficile. Probabilmente è un atteggiamento anche poco meritorio proprio perché, come detto, è nella sua natura.

Pur tuttavia, un bel giorno, dopo innumerevoli prove tali per cui egli si sente, almeno in questo campo di azione, integerrimo e destinato a morire in questo stato, un bel giorno dicevo, inattesa e non benvenuta, la tentazione di tradire si affaccia potente nel suo cuore. Contro la sua natura, contro ogni ragionevolezza, contro ogni considerazione di opportunità. A quel punto partono le costruzioni delle scuse e delle giustificazioni: "dai, almeno una volta nella vita cosa vuoi che sia?" Etc. etc.

Dopo lunga e infuocata battaglia interiore questa persona sta per cedere e vendere la sua purezza per il classico piatto di lenticchie.
A quel punto l'unica cosa che può salvarlo è la paura che se lo farà le peggio cose gli capiteranno. In questa vita o nella prossima.
Si sa che le vie del Signore sono infinite e pertanto suggerirei un possibile esito diverso dell'esempio. Mettiamo che quell'uomo, dopo una caduta sulla via di Damasco, si renda conto che il suo Signore non merita tanta lealtà e fedeltà e Lui e la sua corte si reggono sulla menzogna. "Contro la sua natura, contro ogni ragionevolezza, contro ogni considerazione di opportunità", l'unica cosa che può salvarlo è il coraggio, rinunciando al piatto di lenticchie che quella corte gli offre per andare incontro alla rivelazione che gli è stata offerta dal suo fato.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

InVerno

#28
Citazione di: ricercatore il 06 Dicembre 2021, 17:41:04 PM
@InVerno
sono molte le dottrine, così come le interpretazioni

Matteo 25,31-46 si conclude con un "E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna"
chissà che cosa avrà voluto dire Gesù, nel contesto di tutto il discorso.
chissà cosa avranno capito coloro che hanno ascoltato e trascritto poi queste sue parole.
La promessa è quella della resurrezione a chi sarà considerato degno dal figlio dell'uomo, qui sulla terra, come lui stesso risorge qui sulla terra,  dove il regno di Dio ristabilirà il mondo come prima del peccato originale, lavato dal sacrificio, dove cioè la vita sarà eterna. Gesù non promette l'ascensione di tutti gli spiriti al mondo delle fate. Promette vita, e la vita è fatta di un corpo che respira, cioè che ha anima, per un ebreo anima è respiro, non il mito di Er. Chi non passerà dalla porta stretta subirà un supplizio eterno perchè sarà per sempre respinto da Dio, sarà un giudizio definitivo, eterno. In altri capitoli sempre di MT si parla distruzione, incenerimento, ed altro, tutte azioni che accadono finchè l'oggetto non è bruciato, distrutto, abbadonato. Cosa è la "distruzione eterna"? Una cosa distrutta è distrutta. Eterno rimane il giudizio, e la condizione senza appello di chi è stato giudicato non degno del nuovo regno. Eterna è la vita del regno di Dio ristabilito sulla terra, come era eterna la vita nell'Eden prima del peccato originale. E tutto questo sarà imminente,  alcuni dei discepoli che ascoltano non saranno ancora morti prima che sia accaduto, Gesù promette. Abbandonate famiglie, averi e possessioni, legami, arriverà presto. Ma non è accaduto niente del genere.. E' questo il problema che l'idea del paradiso, vorrebbe risolvere, ma la toppa è peggio del buco.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

green demetr

Ciao ricercatore (spirituale sarà).
Sono abbastanza d'accordo anche se rimango sorpreso di come queste vecchie allegorie hanno ancora un fascino su di noi.
Dici che il paradiso è poco allettante come propensione al fare bene, e che dunque preferisci la ricerca coscienziosa del bene in quanto perlomeno libera (dai vizi suppongo).
In effetti nel pensiero ebraico l'inferno coincide con la terra su cui viviamo.
Ossia esiste una dimensione ove l'oscurità dilaga, e la luce si spegne sempre di più.
La libertà è la libertà di portare un pò di luce nelle tenebre.
Cosi Gesù insegna a Giovanni.
E dunque il paradiso non è un luogo ma la futura terra spazzata via dalle tenebre.
Coloro che agiscono liberamente nel sentiero della giustizia sono i portatori della luce.
E la giustizia è il rispetto dei 10 comandamenti.
Naturalmente altri esseri vivono nel paradiso e altri esseri vivono nella tenebra.
Lo scontro epico tra questo mondo è tra il mondo di latte e il mondo dei demoni.
Dove vogliamo essere noi umani? vogliamo rinascere ancora qui? vogliamo rinascere giù o su?
E' nostra libertà.
Dunque noi si parla solo di inferno: dovrebbe essere chiaro no?
(quindi hai avuto una intuizione genuina il paradiso è un mondo lontano, che non ci riguarda, o meglio riguarda i giusti quando rinasceranno lì).
Ovviamente la seconda morte è del pensiero ebraico.
Le anime che non porteranno ancora un pò di luce, si pietrificheranno in oscurità, e rinasceranno come demoni.
(e pensare che qualcuno lo brama)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

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