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Paradisiaci dubbi

Aperto da viator, 24 Ottobre 2017, 15:46:59 PM

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viator

Salve. Circa gli argomenti fideistici credo non esista cocktail più esplosivo di quello tra l'ignoranza ed il dubbio.
Io sarei il cocktail.
Riflettevo l'altro giorno sulla vita dopo la morte. Sia in ottica cristiana che mussulmana (una specie di riflessione comparativa).
Per quanto riguarda la dottrina cristiana notavo che mi risultava difficile trovare desiderabile la condizione postmortale da questa annunciata. La nostra anima serebbe destinata a frequentare l'Inferno od il Paradiso (lasciando perdere, per brevità,, le "dèpandances" del Limbo e del Purgatorio).

Se all'Inferno (luogo dei tormenti corporali)...beh, si tratterà pure di vita dopo la morte, ma a tal punto sarebbe meglio evitare - se possibile - di dover vivere dopo la morte !!

Se in Paradiso (luogo della beatitudine spirituale) il premio alla nostra virtuosità sarebbe costituito dalla eterna ed ineffabile contemplazione di Dio da parte nostra.
Chiedo, a chi trovi valga la pena di rispondermi, ma....una simile condizione consisterebbe dopotutto nella completa e sterile passività contemplativa, per quanto ineffabile. Non credo siano previsti altri passatempi. Possiamo considerarla come espressione di una vera VITA dopo la morte ?? La vita, anche solo spirituale, dovrebbe essere qualcosa di diverso dalla pura contemplazione.

Per quanto riguarda la fede mussulmana (circa la quale sono ancora molto più ignorante), non so neppure se essa preveda un Inferno.
Solamente mi sembra che preveda un Paradiso un pochetto maschilistico in cui il virtuoso avrà di che sollazzarsi e venir sollazzato addirittura da schiere di bellissime vergini.
Non capisco però alcune cose. le donne-femmine che vissero virtuosamente hanno un loro Paradiso separato oppure , dopo la morte, verrà loro rimediato alla eventuale mancanza di verginità ed eventuale mancanza di bellezza e si troveranno a condividere i sollazzi degli uomini ?? Oppure le virtuose dopo la morte svaniranno nel nulla, mentre le schiere femminili paradisiache non sarebbero che separate evocazioni di Allah (visto anche che le loro schiere dovrebbero essere assai più numerose di quella delle donne risultate virtuose in vita) ??

Sarebbe assai interessante poter leggere vostre risposte adeguatamente strutturate (però, per favore, non molto prolisse. La misura nelle parole serve a chiarire, l'eccesso spesso serve solo a confondere.....!!). Pace e bene a tutti
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Sariputra

#1
Eccome se anche l' Islam ha il suo inferno! E' un luogo di tormenti , per alcuni ritenuti eterni ( ma non per i muslim, i fedeli , a loro è riservato un tempo limitato di tormento...). Sembra che Dante stesso, con la sua visione dei 'gironi' infernali, sia stato ispirato dai "libri della scala" musulmani. E , come nell'inferno cristiano, fa caldo...molto caldo...una calura terribile... :P  :P  :'( per non parlare dei tormenti (privazione della speranza di poter vedere Allah per primo).
Il Ganna, il paradiso musulmano, che significa "giardino dell'eden" abbreviato, segue , in un certo senso, questa idea della scala. All'apice c'è il trono di Allah; sotto di lui il paradiso dei profeti, dei martiri e dei grandi muslim e quindi il paradiso , il 'giardino' della gente normalmente pia e devota. La faccenda delle 72 vergini è una bufala nata in ambienti che osteggiano l'Islam, giusto per svalutare e denigrare la loro fede. In realtà , nel Corano, si parla di huri e ghulam. Le huri sono fanciulle "buone e modeste", di grande bellezza e dolcezza ( dal "volto di luna"...come mi piace questa definizione che troviamo nel Corano...), mai prima toccate da uomini, in quanto creature non terrene ( e non si fa sesso con loro... >:() che 'accompagnano' in questa Ganna , questo giardino, gli uomini e, viceversa, i ghulam sono giovani che accompagnano le anime delle devote ascese alla Ganna.  Credo che le anime dei maschi e delle femmine restino separate nella Ganna ( e questo penso sarà di gran sollievo per gli sposati nell'aldiqua... ;D ), trovando rispettivamente compagnia in queste figure spirituali di 'accompagnatori'.
Interessante poi il fatto che, nell'Islam, non esiste peccato originale e quindi i bambini che muoiono prima di aver raggiunto l'eta in cui diventano responsabili delle loro azioni, entrano automaticamente nel giardino celeste. Così anche le anime dei non-muslim a insindacabile giudizio di Allah che "scruta i loro cuori"...


Un'immagine del Paradiso cristiano la troviamo nell'Apocalisse, dove Giovanni viene rapito in cielo e contempla questa moltitudine d'anime che cantano le lodi dell'Altissimo che siede sotto forma dell'agnello. Ma credo che Angelo Cannata saprà descriverlo molto meglio...
Sono tutte immagini simboliche, che riprendono miti e leggende varie...il fondo del significato è che da una parte stai bene e dall'altra no.

P.S. Le huri sono un'immagine spesso utilizzata con valenza spirituale nella mistica sufi...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

viator

Grazie Sariputra. Sempre prezioso ed equilibrato. Sei stato un ventilatore per alcune delle mie tante nebbie.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Angelo Cannata

Paradiso e inferno, anche se intesi simbolicamente, danno comunque luogo a molte incongruenze e contraddizioni. Già c'è l'obiezione stessa espressa da viator: un paradiso in cui non esiste più il tempo, non esiste più lo svolgersi di una storia, non può non apparire troppo simile alla morte che, appunto, nella nostra esperienza è proprio fine della storia.

L'esistenza in sé dell'inferno, per l'eternità, prevista dalla dottrina cattolica, viene a significare che il male esisterà per sempre, dunque non è vero che alla fine dei tempi il male sarà definitivamente sconfitto: il male avrà il suo bel regno in cui godersi la sua vittoria sui malvagi. Questo mette seriamente in questione la capacità di Dio di vincere il male in maniera definitiva.

Ci si può chiedere come si possa stare beati e felici in paradiso al pensiero che, in contemporanea, un sacco di altre persone stanno subendo, per l'eternità, le sofferenze più terribili.

Ci si pùo chiedere che senso può avere l'inferno come pena eterna per colpe umane terrene che comunque non potevano mai avere una portata tale da meritare una pena infinita: una pena infinita viene a risultare eccessiva, sproporzionata per qualunque peccato si possa immaginare.

Ci si può chiedere che senso ha che Dio si presenti come amore infinito, dice a Pietro che bisogna perdonare sempre (simboleggiato dal settanta volte sette), mentre egli, al contrario, si riserva di non perdonare più per l'eternità: che senso ha togliere per sempre a un uomo ogni possibilità di rinsavirsi e agli uomini predicare invece che bisogna porgere l'altra guancia?

Sono domande teologiche che mostrano quanto siano contraddittori e inaccettabili entrambi i concetti di inferno e paradiso. Il problema è che la Chiesa nei suoi dogmi, tiene a mantenere come parte della fede le loro caratteristiche essenziali, cioè eternità e definitività di premio e di pena.

viator

per Angelo Cannata. Bravo anche a te. Grazie
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Mariano

Ciao viator,

Ritengo molto improbabile che riusciremo mai a sapere cosa ci sarà dopo la morte: si può solo immaginarlo con la fantasia (a volte aiutata da un credo religioso ).

Ma tutte le religioni (a mio avviso) sono nate da una parte per allontanare la paura dell'ignoto e dall'altra per dettare delle regole di convivenza secondo un'etica considerata giusta ed utile dalla religione stessa.
E tutte le religioni, per trasmettere concetti non descrivibili con la nostra cosiddetta razionalità, si servono di immagini poetiche ( consone alla generale cultura dell'epoca in cui vengono definite) nella speranza che chi crede possa comprenderne l'intimo significato e ne possa trovare beneficio.

Io ritengo che le tue provocazioni, oltre ad essere divertenti, possano servire ad esorcizzare lo sgomento dell'ignoto a chi è pienamente soddisfatto della sua vita materiale ed ha solo paura di perderla senza alcuna esigenza di cercare di comprenderne il significato.

InVerno

Che tu preferisca l'inferno o il paradiso, quello cattolico o mussulmano, una vita dopo la morte l'avrai comunque. Sempre e comunque le persone che ti hanno conosciuto potranno spremersi le meningi e far riaffiorare il tuo volto e le tue parole, da una dimensione che non è ne reale ne onirica, ma ultraterrena. Se le avrai fatte soffrire vorranno vederti soffrire a loro volta, se le avrai amate ti immagineranno immerso d'amore e sarai per loro ricordo piacevole, sarai giudicato questo è certo. La maggior parte di noi scompare da questa dimensione nel giro di quattro o cinque generazioni, altri vi partecipano per un innumerevole numero di anni, che siano Marco Aurelio o Gautama, oggi il paradiso è popolato da loro, non certo da il signor nessun coltivatore di cavoli del medioevo, quindi se vuoi parteciparvi fai qualcosa che valga la pena ricordato, a tuo rischio e pericolo perchè probabilmente la tua identità verrà storpiata e deflagrata in maniera sempre più vistosa col passare del tempo.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Apeiron

http://www.monasterodibose.it/fondatore/articoli/articoli-su-quotidiani/7304-inferno-quel-fuoco-acceso-dalla-nostra-liberta
(lascio questo link ritengo sia utile per sentire anche le opinioni di alcuni "diretti interessati").

Ad ogni modo vorrei parlare un secondo della concezione del Paradiso. Il fatto che "assomigli" alla morte - intesa come "fine" - è un tema molto ricorrente in diverse religioni. Nel buddhismo addirittura si parla di "Nirvana" che signfica "Estinzione" mentre in alcune scuole indù l'unione con  Brahman è vista come una pace più profonda del sonno senza sogni. Riguardo al daoismo (anche se non c'è una chiara interpretazione) l'obbiettivo è essere in accordo col "Dao", cosa che dovrebbe dare una "pace dei sensi". Nelle religioni più meditative la tranquillità, la ricerca della pace, la concentrazione ecc sono tutte cose ricercate, tutte cose ambite. E anzi a loro giudizio è erronea la nostra continua ricerca di "nuove esperienze" - essa è vista come una trappola che ci facciamo a noi stessi, una cosa che ci distrae dal "Sommum Bonum". Quindi il fatto che si dica che, utilizzando le parole di Angelo Cannata, "un paradiso in cui non esiste più il tempo, non esiste più lo svolgersi di una storia, non può non apparire troppo simile alla morte che, appunto, nella nostra esperienza è proprio fine della storia" potrebbe invece essere proprio quella "esperienza" (parola usata impropriamente...), quella Pace, che in fin dei conti noi cerchiamo. Invece proprio la brama della "molteplicità delle esperienze" è una sorta di auto-inganno (o potrebbe esserlo...)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

#8
Citazione di: Apeiron il 27 Ottobre 2017, 22:07:09 PMhttp://www.monasterodibose.it/fondatore/articoli/articoli-su-quotidiani/7304-inferno-quel-fuoco-acceso-dalla-nostra-liberta (lascio questo link ritengo sia utile per sentire anche le opinioni di alcuni "diretti interessati"). Ad ogni modo vorrei parlare un secondo della concezione del Paradiso. Il fatto che "assomigli" alla morte - intesa come "fine" - è un tema molto ricorrente in diverse religioni. Nel buddhismo addirittura si parla di "Nirvana" che signfica "Estinzione" mentre in alcune scuole indù l'unione con Brahman è vista come una pace più profonda del sonno senza sogni. Riguardo al daoismo (anche se non c'è una chiara interpretazione) l'obbiettivo è essere in accordo col "Dao", cosa che dovrebbe dare una "pace dei sensi". Nelle religioni più meditative la tranquillità, la ricerca della pace, la concentrazione ecc sono tutte cose ricercate, tutte cose ambite. E anzi a loro giudizio è erronea la nostra continua ricerca di "nuove esperienze" - essa è vista come una trappola che ci facciamo a noi stessi, una cosa che ci distrae dal "Sommum Bonum". Quindi il fatto che si dica che, utilizzando le parole di Angelo Cannata, "un paradiso in cui non esiste più il tempo, non esiste più lo svolgersi di una storia, non può non apparire troppo simile alla morte che, appunto, nella nostra esperienza è proprio fine della storia" potrebbe invece essere proprio quella "esperienza" (parola usata impropriamente...), quella Pace, che in fin dei conti noi cerchiamo. Invece proprio la brama della "molteplicità delle esperienze" è una sorta di auto-inganno (o potrebbe esserlo...)

Ho letto tutto l'articolo del priore di Bose, Enzo Bianchi, e concordo con lui. In un'autentica visione cristiana, fuori dalle immagini terrorifiche usate nei secoli più a scopo di oppressione che altro, l'essenza di un luogo infernale non può che essere l'"assenza della comunione con Dio".  Ergo, se Dio viene visto come Vita e datore di vita, l'assenza non può essere che morte. Quindi l'inferno è il luogo della morte, della geenna, della 'discarica' della vita. Come in vita abbiamo abusato di noi e degli altri come fossimo/fossero discarica così il frutto/karma delle nostre azioni ci porta nella discarica stessa... :(  Nella nostra piena libertà di scelta, tra amare oppure usare l'altro, libertà che, nella visione cristiana, è principio che oltrepassa la stessa volontà di Dio, inviolabile da Dio stesso , perchè ha voluto costituirci come 'amici' di fronte a Lui e non come burattini, quindi partecipanti della sua stessa libertà, noi stessi decidiamo per la comunione o la separazione da Lui. Decisione che sta nell'azione più ancora che nella 'fede' in un Dio. Se opero il bene, anche senza una vera fede, sono nel bene. Se opero il male, anche con una fede ipocrita, sono nel male. Essere nel bene significa quindi essere nella comunione ( con Dio e i fratelli...); essere nel male significa essere nella separazione ( da Dio e dai fratelli...) . Lungi però da una visione rigidamente manichea della nostra esistenza, questa sorta di 'tensione' verso l'unione e di spinta verso la separazione è presente in ognuno di noi, secondo il cristianesimo, e quindi necessitiamo di 'Grazia' per trovare la forza di vincere  ciò che ci spinge verso la discarica...


P.S. Ho raggiunto con questo i 1.000 post. Sono tanti e molti penso siano stati anche superflui o poco interessanti... Vabbè! A volte la passione per lo scrivere travalica il senso del limite e del buon gusto... Voglio ringraziarvi tutti per l'attenzione riservatami e la pazienza nel leggermi... :-[
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Angelo Cannata

A me sembra chiaro che Enzo Bianchi in quest'articolo si cimenta nel fare l'equilibrista, compie salti mortali, ma ad una lettura attenta non può risultare che ipocrita (deve cioè salvare a tutti i costi capra e cavoli, perché sa che altrimenti verrebbe scomunicato dalla Chiesa Cattolica) e contraddittorio.

Alla pag. 3 abbiamo un primo tentativo di scaricare ogni responsabilità esclusivamente sull'uomo; insomma, se l'è cercata lui, Dio non ha fatto niente di male condannandolo ad una pena eterna: "Certo, queste sono solo immagini, ma ci dicono che noi possiamo scegliere non la vita e la comunione con Dio, ma la morte eterna e la separazione da Dio! L'inferno dunque non indica un luogo ma una situazione in cui potranno cadere coloro che liberamente e definitivamente hanno scelto tutto ciò che è contrario alla volontà di Dio".

Definitivamente secondo chi? Il peccatore non ha certamente conoscenza del futuro, non possiede la sfera di cristallo, quindi non può in alcun modo garantire che in futuro non potrebbe cambiare idea e pentirsi. Di conseguenza, il solo a poter attribuire carattere di definitività alla scelta umana è Dio. Ma non aveva appena scritto che è stato l'uomo a cercarsela? Ecco la contraddizione, per la verità abbastanza celata, in queste frasi.

Qualche rigo sotto il discorso prosegue nel tentativo di distogliere l'attenzione dalla responsabilità di Dio, orientandola piuttosto verso i difetti dell'uomo della nostra epoca e verso la responsabilità umana. Questo contraddice quello che doveva essere lo scopo di tutto l'articolo: il nocciolo del problema sta nella responsabilità di Dio; una volta che questa responsabilità fa acqua da tutte le parti, non ha senso tamponare cercando di riversare l'attenzione sulla responsabilità umana. In realtà già il titolo dell'articolo mostra tutta l'intenzione di deviare l'attenzione dalla responsabilità di Dio a quella umana.

Nella pag. 4 Enzo Bianchi continua a fare l'equilibrista con un linguaggio ambiguo: "L'inferno non è un articolo della professione di fede". Ma attenzione: la professione di fede non è l'elenco di tutte le cose che un cattolico è tenuto a credere, è nient'altro che il "Credo" che viene recitato a Messa. Segue un'altra affermazione micidiale nella sua ambiguità: "al diavolo e all'inferno non è necessario credere": poi spiega che il motivo è perché sono realtà evidenti. La sostanza sta poco più avanti: "Tuttavia non è conforme alla fede cristiana affermare che non c'è l'inferno": questo è il vero problema: se non credi all'esistenza dell'inferno non sei cattolico, sei fuori. Anche quest'affermazione però è poco chiara, perché "non è conforme" può anche significare "non è conforme allo spirito della fede cristiana". In realtà la non conformità riguarda i dogmi di fede; se si trattasse solo di non conformità allo spirito della fede, non ci sarebbe il problema dell'eresia per chi non crede all'inferno.

Il culmine della contraddizione è nell'affermazione finale "Dunque né terrore né silenzio: si proclami la misericordia infinita di Dio": ma come si può definire infinita la misericordia di Dio, se egli si riserva di non perdonare più in eterno una persona, non darle più alcuna possibilità? Dove sta l'infinità? Qui c'è un meccanismo mentale che rinvia al criterio popperiano della falsificabilità: che cosa dovrebbe esserci di diverso nella misericordia di Dio per poter affermare che non è infinita? Se qualunque cosa Dio faccia, tra cui bloccare in eterno il suo perdono, non vieta di affermare che la sua misericordia è infinita, che senso ha allora questa parola "infinita"?

Per me quest'articolo è un esempio tipico di come la Chiesa, purtroppo, sia riuscita nei secoli e riesca ancora a confondere gli sprovveduti con strumenti retorici, linguaggi ambigui, deviazioni dell'attenzione. Non è spontaneo in un articolo come questo accorgersi delle ipocrisie e contraddizioni che contiene ed è normale che in tanti ci caschino.

Ciò non significa che io veda malafede: vedo soltanto mentalità schiave della paura di rinunciare al conforto di poter pensare che c'è un Dio buono che ci ama. Il vero problema non sta neanche nelle contraddizioni: sta piuttosto nei modi mentalmente disonesti con cui si cerca di camuffarle, nasconderle, deviare l'attenzione dal nocciolo delle questioni.

Sariputra

Citazione di: Angelo Cannata il 28 Ottobre 2017, 11:16:26 AMA me sembra chiaro che Enzo Bianchi in quest'articolo si cimenta nel fare l'equilibrista, compie salti mortali, ma ad una lettura attenta non può risultare che ipocrita (deve cioè salvare a tutti i costi capra e cavoli, perché sa che altrimenti verrebbe scomunicato dalla Chiesa Cattolica) e contraddittorio. Alla pag. 3 abbiamo un primo tentativo di scaricare ogni responsabilità esclusivamente sull'uomo; insomma, se l'è cercata lui, Dio non ha fatto niente di male condannandolo ad una pena eterna: "Certo, queste sono solo immagini, ma ci dicono che noi possiamo scegliere non la vita e la comunione con Dio, ma la morte eterna e la separazione da Dio! L'inferno dunque non indica un luogo ma una situazione in cui potranno cadere coloro che liberamente e definitivamente hanno scelto tutto ciò che è contrario alla volontà di Dio". Definitivamente secondo chi? Il peccatore non ha certamente conoscenza del futuro, non possiede la sfera di cristallo, quindi non può in alcun modo garantire che in futuro non potrebbe cambiare idea e pentirsi. Di conseguenza, il solo a poter attribuire carattere di definitività alla scelta umana è Dio. Ma non aveva appena scritto che è stato l'uomo a cercarsela? Ecco la contraddizione, per la verità abbastanza celata, in queste frasi. Qualche rigo sotto il discorso prosegue nel tentativo di distogliere l'attenzione dalla responsabilità di Dio, orientandola piuttosto verso i difetti dell'uomo della nostra epoca e verso la responsabilità umana. Questo contraddice quello che doveva essere lo scopo di tutto l'articolo: il nocciolo del problema sta nella responsabilità di Dio; una volta che questa responsabilità fa acqua da tutte le parti, non ha senso tamponare cercando di riversare l'attenzione sulla responsabilità umana. In realtà già il titolo dell'articolo mostra tutta l'intenzione di deviare l'attenzione dalla responsabilità di Dio a quella umana. Nella pag. 4 Enzo Bianchi continua a fare l'equilibrista con un linguaggio ambiguo: "L'inferno non è un articolo della professione di fede". Ma attenzione: la professione di fede non è l'elenco di tutte le cose che un cattolico è tenuto a credere, è nient'altro che il "Credo" che viene recitato a Messa. Segue un'altra affermazione micidiale nella sua ambiguità: "al diavolo e all'inferno non è necessario credere": poi spiega che il motivo è perché sono realtà evidenti. La sostanza sta poco più avanti: "Tuttavia non è conforme alla fede cristiana affermare che non c'è l'inferno": questo è il vero problema: se non credi all'esistenza dell'inferno non sei cattolico, sei fuori. Anche quest'affermazione però è poco chiara, perché "non è conforme" può anche significare "non è conforme allo spirito della fede cristiana". In realtà la non conformità riguarda i dogmi di fede; se si trattasse solo di non conformità allo spirito della fede, non ci sarebbe il problema dell'eresia per chi non crede all'inferno. Il culmine della contraddizione è nell'affermazione finale "Dunque né terrore né silenzio: si proclami la misericordia infinita di Dio": ma come si può definire infinita la misericordia di Dio, se egli si riserva di non perdonare più in eterno una persona, non darle più alcuna possibilità? Dove sta l'infinità? Qui c'è un meccanismo mentale che rinvia al criterio popperiano della falsificabilità: che cosa dovrebbe esserci di diverso nella misericordia di Dio per poter affermare che non è infinita? Se qualunque cosa Dio faccia, tra cui bloccare in eterno il suo perdono, non vieta di affermare che la sua misericordia è infinita, che senso ha allora questa parola "infinita"? Per me quest'articolo è un esempio tipico di come la Chiesa, purtroppo, sia riuscita nei secoli e riesca ancora a confondere gli sprovveduti con strumenti retorici, linguaggi ambigui, deviazioni dell'attenzione. Non è spontaneo in un articolo come questo accorgersi delle ipocrisie e contraddizioni che contiene ed è normale che in tanti ci caschino. Ciò non significa che io veda malafede: vedo soltanto mentalità schiave della paura di rinunciare al conforto di poter pensare che c'è un Dio buono che ci ama. Il vero problema non sta neanche nelle contraddizioni: sta piuttosto nei modi mentalmente disonesti con cui si cerca di camuffarle, nasconderle, deviare l'attenzione dal nocciolo delle questioni.

Come non c'è peggior nemico dell'amore coniugale di uno che è stato sposato e poi si è lasciato... ;)  
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Angelo Cannata

Chi mi conosce sa che già da prete non nascondevo affatto le contraddizioni della Chiesa e della Bibbia, al punto che secondo certuni già allora non potevo fare il prete, essendo troppo eretico, di idee troppo ribelli. In questo senso, chi mi conosce non vede altro in me che continuità con il mio stile di sempre.

sgiombo

Citazione di: Sariputra il 28 Ottobre 2017, 09:42:35 AM



P.S. Ho raggiunto con questo i 1.000 post. Sono tanti e molti penso siano stati anche superflui o poco interessanti... Vabbè! A volte la passione per lo scrivere travalica il senso del limite e del buon gusto... Voglio ringraziarvi tutti per l'attenzione riservatami e la pazienza nel leggermi... :-[
CitazioneSiamo noi a ringraziare te (penso proprio, alquanto presuntuosamente, di poter parlare anche per gli altri) per la saggezza che ci sai proporre (quanto all' inutilità di alcuni interventi, come disse un tale: "chi é senza peccato scagli la prima pietra!").

Altri mille di questi interventi!

Apeiron

#13
@Angelo, non posso parlare per lui però a me la sua visione ricorda ciò che dice Sariputra nel suo 1000 messaggio (e concordo con sgiombo che ci vorrebbeero altri 1000 interventi di Sariputra  ;D ). Lo vedo come una sorta di tentativo di colmare la contraddizione tra la bontà di Dio e l'inferno, visto come "scelta" dell'uomo. Non è l'unico a pensarla in questo modo, ossia che il "giudizio" di Dio in sostanza è una sorta di scelta dell'uomo. Sinceramente con quell'articolo non volevo presentarmi come "apologista", bensì far vedere come tale parte della dottrina cristiana da problemi agli stessi cristiani. In sostanza se non interpreto male l'articolo si basa su passi biblici come (chiedo perdono se non indico come si usa capitolo e versetto...) "Chi non ama non conosce Dio... Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui... chi non ama il proprio fratello che vede non può amare Dio che non vede" (http://www.maranatha.it/Bibbia/7-LettereCattoliche/69-1GiovanniPage.htm). In sostanza questa lettera di Giovanni pare suggerire che l'importante è "amare" e che la fede nel Dio che ama dovrebbe aiutarmi ad amare. Tant'è che anche lo stesso Paolo ad un certo punto nella Lettera dei Corinzi dice:
1 Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. 2 Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla. 3 Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente.
4 L'amore è paziente, è benevolo; l'amore non invidia; l'amore non si vanta, non si gonfia, 5 non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce, non addebita il male, 6 non gode dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità; 7 soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa.
8 L'amore non verrà mai meno. Le profezie verranno abolite; le lingue cesseranno; e la conoscenza verrà abolita; 9 poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo; 10 ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte, sarà abolito. 11 Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino. 12 Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto.
13 Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, amore; ma la più grande di esse è l'amore.

Quello di Enzo Bianchi mi pare un tentativo di dire una cosa di questo tipo. In sostanza chi ama in questa vita amerà nella prossima e potrà stare in Comunione con Dio. Chi non ama in questa vita, nella prossima non sarà capace di amare e quindi per lui sarà impossibile stare in comunione con Dio. Quindi il "giudizio" sarebbe dunque una scelta umana (in questi termini vedono la questione anche due miei amici cattolici). In sostanza Dio perdona sempre ma noi "accecati" dal male non siamo capaci di accettare il perdono, Dio ama sempre ma noi non siamo capaci di amare ecc. Personalmente la vedo come un'interpretazione interessante (il che però non spiega perchè allora è stato usato un certo linguaggio anzichè un altro ecc). Ad ogni modo mi è stata segnalata anche questa pagina https://www.studibiblici.it/, in particolare https://www.studibiblici.it/appunti.html.

Ad ogni modo non è mia intenzione dimostrare che questa "visione delle cose" è consistente o meno né tanto meno che è la visione delle cose "giusta". Volevo solo cercare di capire come la vedono alcuni tra gli stessi cattolici e alcuni mi paiono ben consapevoli del problema (che poi le loro soluzioni contengano inconsistenze - non me la sento di definirle ipocrisie visto che l'ipocrisia - se ho capito il significato della parola - ha una componente di intenzionalità nella ricerca di vantaggio egoistico e di prevaricazione (e anche voler utilizzare la religione come modo per dominare...) - è un altro discorso... ma credo che più che difenderli io, sarebbe più giusto interpellare i diretti interessati e discutere con loro. Anche perchè ammetto che potrei dire cose sbagliate, contrarie alla loro "interpretazione". Infatti come sempre, quello che scrivo in questi post è come capisco io questi discorsi, nei miei limiti. Niente di più e niente di meno. Di certo non vorrei far intendere che parlo per loro, per il cristianesimo, per la Chiesa ecc...).
Riguardo al discorso delle "mentalità schiave della paura...". Certamente la paura della morte può essere un motivo che porta alcuni a credere. Ma una generalizzazione simile mi sembra alquanto ingiustificata (anche perchè credere nella possibilità di finire all'inferno non mi pare molto consolatoria come credenza, anzi...). Inoltre in diverse varianti dell'induismo c'è sì un Dio che ama, tuttavia la "vita eterna" si basa su una concezione ben diversa da quella cristiana (il senso dell'individualità "sparisce") e inoltre in genere in molte religioni orientali ci sono sì "inferni" ma di durata limitata nel tempo (come tra l'altro i "paradisi" dove rimane un senso di identità individuale). Quindi all'infuori del cristianesimo si può credere in Dio senza credere al "fuoco eterno" (o anche rimanendo cristiani? boh). Ad ogni modo la visione dell'inferno come "scelta" umana è probabilmente oggi molto popolare se non erro anche sostenuta da papi recenti.

P.S. Con questo intervento termino la mia discussione su questo tema. Perchè credo di aver dato il contributo che potevo dare.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Angelo Cannata

#14
Per mia abitudine mentale seguo un certo determinismo, non perché vi creda in maniera dogmatica, ma perché mi fa sentire in dialogo leale con la scienza, o per lo meno con certa scienza. Di conseguenza tendo a ritenere che non esista la colpa e di conseguenza non esista la malafede. In relazione all'ipocrisia, la ritengo quindi un problema in cui esistono sempre e solo vittime: l'ipocrita è una vittima di contraddizioni sue interne che lo costringono a comportamenti falsi, anche con sé stesso.

Per quanto riguarda l'interpretazione in chiave positiva, sia della questione in generale, sia dell'articolo di Enzo Bianchi, a me sembra che siamo in ciò che ho denunciato nel mio post precedente, cioè il tentativo disonesto (disonesto come l'ipocrisia che ho detto, cioè senza colpa, senza malafede) di deviare il discorso. Infatti è ovvio che sul positivo siamo tutti d'accordo, è ovvio che tutti condividiamo l'idea che si debba amare Dio, è ovvio che tutti condividiamo che riguardo all'inferno si debba presupporre una responsabilità umana. Ciò che non è ovvio è sfruttare tutto questo per glissare sul problema e non affrontarlo di petto.

Facciamo un paragone.

Io posso criticare la matematica, evidenziando la contraddizione del suo ricorso a numeri irrazionali (come la radice quadrata di 2) o numeri immaginari (radice quadrata di un numero negativo), mentre essa afferma pure di voler essere totalmente ispirata alla razionalità. In questo senso, sarebbe disonesto deviare l'attenzione e dire che però la matematica è una cosa meravigliosa, strabiliante, ha teoremi come quello di Pitagora che semplificano un mare di problemi, o le equazioni, che riescono a risolvere interrogativi in maniere che sembrano quasi da mago, da indovino (i vari giochi che cominciano con "pensa un numero", che poi viene indovinato, solitamente non sono altro che la soluzione di un'equazione). È onesto prendere il problema di petto e dire che la matematica non ce la fa proprio a risolvere il problema della radice di un numero negativo, in questo entra in contraddizione, va in tilt, è costretta a chiedere scusa a quanti la praticano. Questa è per me onestà scientifica, prendere i problemi di petto e se ci sono contraddizioni o fallimenti dirlo a chiare lettere.

Riguardo all'inferno c'è un problema di fondo e senza questo problema di fondo non ci sarebbe stato bisogno di scrivere quell'articolo perché, come ho detto, sul positivo siamo tutti d'accordo. Quindi che senso ha scrivere un articolo per affrontare un problema e poi dedicarsi invece a deviare l'attenzione da esso? Sarebbe come scrivere un articolo sui numeri immaginari e irrazionali e poi invece nell'articolo impiegare tutto lo spazio a tessere le lodi di quanti successi la matematica riesca a raggiungere con i teoremi e le equazioni.

Se vogliamo guardare bene, la questione e l'ipocrisia è già tutta nel titolo: "Inferno, quel fuoco acceso dalla nostra libertà". È chiaro che c'è un problema: chi ha acceso il fuoco dell'inferno? Detto con più chiarezza: chi ha la responsabilità di un inferno eterno, la cui eternità contraddice l'infinitezza della misericordia di Dio? Questa è la sostanza del problema e questa bisognava affrontare di petto. Non avevamo alcun bisogno di sentirci ribadire l'amore di Dio e le colpe umane. Il titolo stesso dice già tutto: l'inferno viene acceso dalla libertà umana; insomma, la colpa è dell'uomo. Questo è deviare l'attenzione, perché nessuno vuole escludere la colpa umana, il problema è valutare la responsabilità divina. Che senso ha allora perseverare nel deviare sistematicamente l'attenzione verso il positivo e verso la responsabilità umana? Ecco la disonestà mentale.

Per quanto riguarda la schiavitù della paura, ciò che risulta confortante non è ovviamente l'idea in sé dell'inferno, ma il glissare la questione fino al punto da farla sparire dalla consapevolezza, e così conservare al cento per cento l'idea che Dio è buono, ci ama e ha misericordia infinita.

Insomma, è un'ipnosi mentale, un deviare sistematicamente l'attenzione a tal punto da convincere il malato che va tutto bene, il mondo è felice e anche lui sta bene e deve essere felice.

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