Ogni volta che lo leggo... lo trovo di una bellezza unica.

Aperto da bluemax, 07 Dicembre 2016, 10:11:10 AM

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Apeiron

Citazione di: bluemax il 09 Dicembre 2016, 13:58:13 PM
Citazione di: Apeiron il 09 Dicembre 2016, 12:55:59 PMIl Buddha non ha mai dichiarato apertamente che "Il Sé (Atta/Atman) non esiste". Ha dichiarato invece che non bisogna identificarsi con nulla ("questo non sono io, questo non è mio, questo non è il mio sé"). In sostanza Anatta non significa inesistenza del sé ma è un processo di disedintificazione. Da quello che ho capito io è simile al Neti-Neti dell'Advaita Vedanta con la differenza che questo "metodo" alla fine ti fa trovare il "vero Sé" mentre l'Anatta non ti fa mai trovare il Sé. Da qui a dire che il sé non esiste però c'è una bella differenza. Chiedo conferma a Sariputra su questo punto comunque, lui ne sa sicuramente di più. Quanto alle neuro-scienze non hanno stabilito che l'io non esiste. Siamo ben lontani da ciò. Inoltre se "siamo" uno spirito immateriale le neuro-scienze non lo troveranno mai perchè non è il loro campo di indagine. Non confondiamo le cose! Inoltre il buddismo non è stato "confermato" dalle neuro-scienze: la dottrina dell'orginazione dipendente si fonda sui dodici Nidanas e non sulla causalità materiale. Inoltre le neuro-scienze sono per definizione riduzioniste (metodologicamente lo devono essere) quindi la teoria dei cinque skhandhas, le rinascite, la vacuità ecc non possono essere comprese con un approccio scientifico (altrimenti si cade nel "western buddhism"). Comunque qui http://www.canonepali.net/ trovate molti discorsi del Buddha. Partirei da qui per farmi un'idea del buddismo... Il Buddha poi non è un determinista...
Ti ringrazio molto per la tua collaborazione (con il link riportato). Unico appunto che mi sento di darti è quello che è ovvio che le neuroscienze non hanno negato l'esistenza di un sè... effettivamente è oggetto di studio quindi deve per forza esistere... ma hanno confermato che quella "sensazione" è solo illusoria... anche una illusione esiste se ci pensi... ma è cosa diversa dalla realtà e le neuroscienze studiano appunto tale "fenomeno" insieme alla "coscienza". Considera che nell'ultimo anno sono stati fatti passi da gigante sull'indagare su questo fenomeno. Già testi dell'anno passato sono ormai superati se confrontati con i nuovi studi, farmaci e scoperte relative al cervello. :) E' stata confermata persino l'illusione che il "sè" ha di essere "continuo ed ininterrotto nel tempo" ... eppure la nostra sensazione di coscienza ha numerosissimi tempi di pausa durante l'arco di 24 ore... (basti pensare a quando dormiamo e la coscienza viene temporaneamente sospesa dal cervello perchè inutile spreco di energie). Ma siccome sono ormai due decenni che sto studiando seriamente il buddismo (inizialmente la via del diamante per poi approfondire con il mahayana) è ovvio che ad un certo punto... la crescita interiore (almeno per me) necessità di andare sempre piu' a fondo nelle cose. E da qui la mia ricerca su concetti fondamentali del buddismo quali vacuità, impermanenza, nobili verità, 4 sigilli ecc... ecc... ecc... Se la ricerca finisce, sempre secondo me, si ha quella sgradevole sensazione di avere il SAPERE... e di conseguenza la bruttissima sensazione di essere nel giusto e gli altri nello sbagliato e da qui... l'oblio mentale e spirituale. Del resto... "se incontri buddah... uccidilo... :D ) grazie di cuore... ciao :)

Figurati :)
sono in ricerca anche io, perciò non dico di sapere la verità. Una volta ero un "fervente" spinozista perchè il suo sistema era perfetto. Quello che è successo è che mi sono convinto che la mia vita è determinata completamente e che quello che pensavo fossero scelte in realtà erano "scherzi" della coscienza. Ebbene mi sono ritrovato a vivere una "non-vita" in cui ero completamente passivo. Quando la cosa è diventata ridicola ho smesso di credere nel "necessitarianesimo" di Spinoza. Il libero arbitrio lo devi però prendere per "fede" tutti i giorni ogni volta che attraversi la macchina, saluti un amico ecc. Non ho mai incontrato nessuno che vive seriamente senza questo atto di fede.

Chiaramente non posso provare l'esistenza del libero arbitrio perchè incompatibile con TUTTE le leggi della fisica conosciute. Però è anche vero che lo stesso riduzionismo è dopotutto un atto di fede.

Sulla questione buddismo/cristianesimo. Hanno certamente elementi comuni però non ha senso dire che dicono la stessa cosa, altrimenti letteralmente si impazzisce. Personalmente il buddismo mi piace per la sua onesta trattazione dell'impermanenza e del dolore. Mi convince molto di meno l'anatta perchè partire dalla convinzione che "non trovi un sé" non te lo farà trovare mai e quindi blocca la ricerca fin dal principio (sarebbe molto meglio secondo me se si dicesse "cerca il tuo sé" più che "nessuna cosa è un sé"...). Inoltre non mi convince nemmeno la possibilità che ci si possa salvare senza l'aiuto di qualcosa di più "grande".

Per quanto riguarda la "sensazione di un sé": questa sensazione in ogni religione di cui so qualcosina (cristianesimo, buddismo, vedanta, taoismo) è sempre vista come un "ostacolo" all'essere "altruisti". Questo perchè l'attaccamento al sé provoca certamente egoismo. Comunque purtroppo il superamento dell'egoismo è una strada molto stretta...
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

baylham

Citazione di: bluemax il 07 Dicembre 2016, 10:11:10 AM

  • Nel Buddhismo tutti gli esseri senzienti hanno la Natura di Buddha. Pertanto tutti possono diventare un Buddha a tempo debito, se si pratica con diligenza e si raggiunge la purezza della mente;
  • Nel buddhismo l'obiettivo finale è l'illuminazione e la liberazione dal samsara, piuttosto che andare in un luogo quale il paradiso;
  • Il karma è un capisaldo e riguarda il concetto metafisico sulla correlazione tra le proprie azioni e le loro conseguenze, sul mistero del cosiddetto destino e della predestinazione, in ultimo anche sulla disuguaglianza evidente del genere umano.
  • Il concetto di vacuità (ossia l'assenza di esistenza intrinseca o a se stante di tutti i fenomeni ma il suo esistere dipende solo da cause e condizioni esterne. Questo vale anche per la mente) è altro capisaldo del buddismo.

Rilevo alcune contraddizioni nel tuo pensiero: come si concilia il determinismo (tutto va come deve andare) con il volontarismo (tutti possono diventare Buddha)?

Il concetto di vacuità: se l'esistere di un fenomeno dipende da cause e condizioni esterne, le cause esterne da che cosa dipendono? 

La questione determinismo/indeterminismo, necessità/libertà, non è affatto risolta, anzi probabilmente è irrisolvibile. La parità di condizioni su cui ti basi non si danno in realtà.

Condivido la tesi che i presupposti della scienza occidentale, neuroscienze comprese, non siano conciliabili con il buddismo.

bluemax

Citazione di: baylham il 09 Dicembre 2016, 16:06:13 PM
Citazione di: bluemax il 07 Dicembre 2016, 10:11:10 AM

  • Nel Buddhismo tutti gli esseri senzienti hanno la Natura di Buddha. Pertanto tutti possono diventare un Buddha a tempo debito, se si pratica con diligenza e si raggiunge la purezza della mente;
  • Nel buddhismo l'obiettivo finale è l'illuminazione e la liberazione dal samsara, piuttosto che andare in un luogo quale il paradiso;
  • Il karma è un capisaldo e riguarda il concetto metafisico sulla correlazione tra le proprie azioni e le loro conseguenze, sul mistero del cosiddetto destino e della predestinazione, in ultimo anche sulla disuguaglianza evidente del genere umano.
  • Il concetto di vacuità (ossia l'assenza di esistenza intrinseca o a se stante di tutti i fenomeni ma il suo esistere dipende solo da cause e condizioni esterne. Questo vale anche per la mente) è altro capisaldo del buddismo.

Rilevo alcune contraddizioni nel tuo pensiero: come si concilia il determinismo (tutto va come deve andare) con il volontarismo (tutti possono diventare Buddha)?

Il concetto di vacuità: se l'esistere di un fenomeno dipende da cause e condizioni esterne, le cause esterne da che cosa dipendono?

La questione determinismo/indeterminismo, necessità/libertà, non è affatto risolta, anzi probabilmente è irrisolvibile. La parità di condizioni su cui ti basi non si danno in realtà.

Condivido la tesi che i presupposti della scienza occidentale, neuroscienze comprese, non siano conciliabili con il buddismo.
Infatti la prima questione è la cosa che mi preme scoprire. Il buddismo in realtà (almeno in quello mahayana) pensa che vi sia solo una piccola frazione di istante durante ogni "pensiero" dedicata alla "libera scelta". Tale frazione è piccolissima e per farla breve, coincide con l'intenzione. Intensione positiva o intenzione negativa. (dove poi, per positivo o negativo si apre un ulteriore mondo... )

Il concetto di cause e condizioni "esterne" prende spunto dal fatto che la mente è abituata (sbagliando) a considerare un qualcosa come "a se stante" (ad esempio "un bicchiere", "un piatto", "un mouse" ecc... ecc... ) che sia una unica cosa e non invece a considerarla come una semplice manifestazione di un susseguirsi di cause e condizioni. Motivo per cui, si aggiunge il concetto di causa "esterna" ad essa.

la terza non l'ho capita.. scusami :) colpa mia... 

Beh... per la quarta io stavo dicendo il contrario... ossia che moltissime delle ultime scoperte scientifiche sia in ambito psicologico, che in ambito neurologico che in quello fisico sono molto vicine a quel che è stato intuito 2500 anni fa. Vero che  non sono prettamente uguali... ma molto vicine sicuramente. Da considerare il fatto che purtroppo molti testi antichi sono "inquinati" da giudizi personali, intendimenti personali da parte degli autori (buddah non ha scritto nulla di suo... ) e nel tempo sono stati ulteriormente inquinati da credenze popolari e quant'altro... ma il messaggio iniziale rimane... ed è da questo messaggio che parte la ricerca (almeno secondo me).
E non credo sia saggio prendere per oro colato qualsiasi tipo di "insegnamento" senza "verificarlo" o per lo meno "assaggiarlo dopo averlo dubitato" :)

ciao :) 

sgiombo

Citazione di: bluemax il 09 Dicembre 2016, 12:39:33 PM
Citazione di: sgiombo il 09 Dicembre 2016, 10:37:23 AM
Citazione di: bluemax il 08 Dicembre 2016, 17:14:23 PM
Citazione di: bluemax il 08 Dicembre 2016, 17:14:23 PME' evidente che c' è stato un fraintendimento da parte mia.
Infatti avevo inteso la tesi buddista da te accennata in apertura di questa discussione ("Il concetto di vacuità (ossia l'assenza di esistenza intrinseca o a se stante di tutti i fenomeni ma il suo esistere dipende solo da cause e condizioni esterne. Questo vale anche per la mente) è altro capisaldo del buddismo") nel senso che, se questo vale anche (e dunque non solo) per la mente, allora vale anche, esattamente allo stesso modo per il mondo materiale, cervello compreso (cioé per tutti i fenomeni, per quelli materiali esattamente come per quelli mentali).
Da quanto scrivi ora evidentemente non è così, dal momento che tu (e con te il buddismo?) ritieni (secondo me erroneamente) i cervelli (e credo, e se segui fino in fondo la Churchland è certamente così, la materia in generale) non affatto "vacui", ovvero privi "di esistenza intrinseca o a se stante", come "tutti i fenomeni" il cui "esistere dipende solo da cause e condizioni esterne".
E' evidente, se segui la Churchland, che per te solo la mente, e non il cervello é "vacua" in questo senso, mentre la materia (che comprende i cervelli) non è affatto priva "di esistenza intrinseca o a se stante", come "tutti i fenomeni" il cui "esistere dipende solo da cause e condizioni esterne".
Mi dispiace per il fraintendimento: " come non detto" ciò che affermavo nel precedente mio intervento.

no... forse siamo andati fuori percorso :) colpa mia... ti spiego cosa intendevo dire in poche parole.
Il buddismo asserisce (e secondo me giustamente avendo fatto studi scientifici è del tutto logico ed evidente) che ogni fenomeno "composto" è per sua natura impermanente, (1° sigillo), ogni fenomeno è privo di un sè (4° sigillo).
Ovviamente sia la materia (il cervello) che gli stati mentali (pensieri) sono per loro natura impermanenti e privi di un sè intrinseco ed indipendente ma sono semplici manifestazioni.
E questo è (almeno per me) un caposaldo sia a livello spirituale che a livello scientifico.

Da qui poi il dubbio...

avendo capito che questo corrisponde al vero (almeno per me) ed avendo intuito che quel sè che pensiamo esistere in modo intrinseco ed indipendente dal resto dell'universo mi ha portato a studiare la cosa da un punto di vista neuroscientifico e mi sono accorto che le neuroscienze confermano il tutto. Sia con deduzioni logiche sia con esperimenti su pazienti che avevano perso la sensazione del "sè" (in alcuni casi, persone avevano paura delle loro stesse mani perchè non sapevano di chi fossero. Ma questa è altra storia).

Da qui la domanda...

Mi chiedevo se il concetto di "rinascita" o "reincarnazione" (per non parlare della creazione mentale di una divinità o paradisi ecc... ecc... ) sia frutto del fatto che il cervello non ha possibilità di funzionamento senza la creazione di questo "sè" illusorio dato che nel buddismo si da molta enfasi al concetto di "rinascita" (diverso da reincarnazione).
Il cervello infatti, non potendo fare a meno del "sè", non puo' pensare ad uno stato dove questa illusione non esista. E quando pensa al nulla, o all'infinito o alla sua "fine", dato che non puo' fare a meno di se stesso, per non andare in "corto-circuito" trova una soluzione inventandosi una "rinascita" o una divinità per "tranquillizzarsi".

Ovvio che per me sia il cervello (materia) che un suo prodotto (mente) risponde pienamente al concetto di vacuità ma, siccome ho percepito in meditazioni molto profonde, l'illusione dell' IO mi sono chiesto e chiedo a sariputra se il concetto di rinascita sia ancora valido. Anche perchè dopo aver compreso il concetto di vacuità del se, la rinascita o reincarnazione o altro... perde di ogni significato... nel senso che è tutto perfetto cosi' :) tutto va come deve andare :)


ciao e grazie del tuo intervento... ci sono delle osservazioni molto acute :)

CitazioneCiao; ricambio i complimenti per le osservazioni interessanti anche da parte tua.

Non so se a questo punto sia conveniente continuare la discussione (forse a me interessano tutt' altre questioni che a te). Nel dubbio accenno a ciò che credo di comprendere e che non mi convince delle tue credenze.

 Se "sia la materia (il cervello) che gli stati mentali (pensieri) sono per loro natura impermanenti e privi di un sè intrinseco ed indipendente ma sono semplici manifestazioni", allora il materialismo eliminativista dei Churchland (e anche le convinzioni -quelle filosofiche, sia chiaro- di moltissimi neuroscienziati e di non pochi filosofi della mente, cognitivisti, ecc.) é errato e falso. Infatti afferma la realtà in sé e non in quanto semplice manifestazione fenomenica della materia (in generale; e del cervello in particolare), al contrario del pensiero (in generale e dell' autocoscienza, del pensiero di "sé" in particolare).

Le neuroscienze possono solo conoscere il funzionamento del cervello e le correlazioni fra esso e la coscienza (descrivere queste correlazioni così come di fatto nelle varie circostanze accadono) ma non risolvere il problema della natura di questa correlazione; fra l' altro di fatto molti neuroscienziati (in questo facendo della filosofia) e non pochi filosofi come i Churchland del tutto erroneamente (a mio parere, ovviamente) identificano la natura di questa correlazione con l' identità.

IL cervello nel suo funzionamento fa del tutto a meno, senza affatto andare "in cortocircuito" e senza inventarsi alcunché, dell' autocoscienza (che a certi suoi stati funzionali corrisponde biunivocamente e viceversa): si limita a regolare il comportamento degli animali che lo posseggono (azionare fasci muscolari più o meno "a proposito"; produrre secrezioni ghiandolari et similia) dipendentemente dalle situazioni ambientali in cui gli animali (uomo compreso) vengono a trovarsi: nient' altro.

Che l' "io" (soggetto di esperienza) non sia identificabile con i pensieri, l' autocoscienza, la "res cogitans" in generale, non toglie che sia illusione: i pensieri, esattamente come gli enti ed eventi materiali, sono manifestazioni fenomeniche e non cose in sé, ma non per questo:

essi (pensieri ed enti ed eventi materiali esattamente allo stesso identico modo) non sono reali: sono realmente meri insiemi di sensazioni; 

 e inoltre ciò non significa necessariamente con non debbano esistere realmente come cose in sé non sensibili ma solo congetturabili (dal greco e a la Kant: noumena) l' "io", soggetto delle sensazioni (tutte: materiali e mentali o di pensiero; oltre che oggetto di queste ultime) e gli oggetti delle sensazioni materiali (compresi i cervelli nelle esperienze fenomeniche coscienti diverse da quelle biunivocamente corrispondenti a ciascuno di essi).

Ti ringrazio per l' attenzione (comunque, sia che ritenga di tuo interesse seguirmi e obiettarmi su questo problema, sia che non lo ritenga di tuo interesse di seguace del buddismo).

Apeiron

Mi intrometto nuovamente per segnalare anche questo sito in inglese, sempre per chi è interessato al buddismo, specialmente se theravada. http://www.accesstoinsight.org/

Per essere molto onesti al Buddha bisogna riconoscere il grandissimo merito della chiarezza. Ci ha lasciato il suo metodo per trovare un po' di pace interiore (per i credenti buddisti la Liberazione): il nobile ottuplice sentiero. Un insegnamento così limpido non lo si trova da nessun'altra parte. Questa chiarezza rende la filosofia e la religione buddista sia facilmente comprensibile che criticabile.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

Provo a entrare nella discussione anche se il mio cervello funziona ottenebrato dagli antidolorifici...succedono, questi stati dolorosi,proprio per non farci dimenticare la nostra reale natura ;D...
Leggendo e rileggendo le posizioni di Apeiron e anche di Bluemax mi sembra  di poter affermare che non sono propriamente posizioni buddhiste, soprattutto sulla natura dell'anatta, che è obiettivamente molto sfuggevole e di difficile comprensione( e' sicuramente il pronunciamento del Buddha più controverso e più originale, in campo religioso, a mio modesto parere...). Il primo fraintendimento è quello di ritenere ilun'illusione".  Il termine "illusione" va riferito alla credenza del pensiero sulla permanenza duratura del sè e non sul sé in quanto tale. Il sè esiste ma, come tutti i fenomeni composti da aggregati, è impermanente, ossia non è dotato di sostanza propria che non sia quella degli aggregati che lo compongono( a loro volta impermanenti...). Dobbiamo sempre sforzarci di comprendere che il Buddha storico ha insegnato la via di mezzo, ossia quella visione del reale lontana dai due estremi in cui , solitamente, si rifugia il pensiero. Buddha rifiuta la visione di una sostanza eterna nelle cose e , nello stesso tempo, rifiuta la visione che le cose siano illusorie come "bolle di sapone". Ossia rifiuta in egual misura l'idea che i fenomeni (interiori ed esteriori) siano oppure non siano realmente esistenti ( qui per realmente esistente s'intende che un fenomeno sia dotato di natura intrinseca, duratura, eterna, non modificabile...). Quando si parla di non-sé ci si deve riferire alla sua inconsistenza , impermanenza e assenza di identità. Questa inconsistenza non deve essere intesa come una fantasmagoria, una magia, un "velo di maya" che come una nebbia cela la realtà del "vero sé". Non c'è alcun vero sé , al di là degli aggregati che compongono il sé. Postulare l'esistenza di un vero sé ci farebbe cadere nell'estremo positivo dell'eternalismo, chiaramento rigettato dal Buddha. Affermare però semplicemente che "il sé non esiste" ci farebbe a sua volta precipitare nella visione negativa del nichilismo, a sua volta chiaramente e indubitabilmente rifiutata da Gotama.
Tutti gli asceti e i brahmani che concepiscono le molteplici ( cose o idee) come un sé, concepiscono i cinque aggregati, o uno qualsiasi di essi, ( come un sé).  Samyutta Nikaya, 22:47
L'ordinaria formulazione della dottrina dell'anatta:" Questo non fa parte di me, io non sono questo, questo non è il mio io" fa ritenere da alcuni ( anche autori buddhisti...) che il buddha presupponeva l'esistenza di un "sé" al di fuori, o al di là, dei cinque aggregati ai quali si riferisce, di solito, la formulazione. Questa deduzione errata viene smentita dal Buddha stesso che dice chiaramente che tutte le molteplice concezioni di un sé sono sempre relative ai cinque aggregati. Come potrebbe formarsi una qualsiasi idea di un sé o di una personalità, se non in base al materiale costituito dai cinque aggregati e ad un fraintendimento al loro riguardo? Su che altro potrebbero essere fondate le nozioni riguardo al sé? :o
Buddha, nel seguito del testo citato, afferma che questa è la sola possibile causa per la formazione delle idee di un sé:
"Se ci sono il corpo, le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la coscienza, a causa di essi e dipendentemente da essi si manifesta la credenza nell'individualità ( indipendente)...e lo speculare relativo a un sé  ( Samyutta Nikaya, 22: 154,155).
Nessuna concezione eternalistica di un "vero sé" oltre le apparenza del sè convenzionale, e nessuna concezione eternalistica del Nirvana, in qualsiasi forma, è conciliabile con gli insegnamenti del Buddha esposti nei testi più antichi, ossia nel Canone pali. Personalmente ho trovato sempre utile tenere a mente che l'anatta ( o non-sé) è l'effetto di anicca ( impermanenza di tutti i fenomeni). Solo nella comprensione profonda, nel nostro "animo", che tutto passa si può capire la dimensione esistenziale dell'anatta.
Per colui, Kacchana, che considera, secondo la realtà e con vera saggezza, l'originarsi del ( e nel) mondo, non c'é quella che nel mondo è chiamata 'non-esistenza' (natthita). Per colui, Kacchana,  che considera, secondo la realtà e con vera saggezza, il cessare del ( e nel) mondo, non c'è quella che nel mondo è chiamata 'esistenza' (atthita). Questo mondo, Kacchana, è generalmente imprigionato nelle inclinazioni, negli attaccamenti e nei pregiudizi. Ma per quanto concerne queste inclinazioni, attaccamenti, rigidi atteggiamenti mentali, pregiudizi e tendenze profondamente radicate, egli ( l'uomo che ha la giusta comprensione) se ne tiene lontano, non vi aderisce, non nutre l'atteggiamento mentale: 'Io ho un sè'. Egli non ha dubbi o incertezze sul fatto che è la sofferenza, in verità, che appare ed è la sofferenza che cessa. Riguardo a questo la sua conoscenza non dipende dagli altri. Questo, Kacchana, è ciò che qualifica l'uomo che ha una giusta comprensione". (Samyutta Nikaya, 12:15).

Adesso vado a bermi un pò di tachidol... :P
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

Citazione di: Sariputra il 09 Dicembre 2016, 23:15:26 PMProvo a entrare nella discussione anche se il mio cervello funziona ottenebrato dagli antidolorifici...succedono, questi stati dolorosi,proprio per non farci dimenticare la nostra reale natura ;D... Leggendo e rileggendo le posizioni di Apeiron e anche di Bluemax mi sembra di poter affermare che non sono propriamente posizioni buddhiste, soprattutto sulla natura dell'anatta, che è obiettivamente molto sfuggevole e di difficile comprensione( e' sicuramente il pronunciamento del Buddha più controverso e più originale, in campo religioso, a mio modesto parere...). Il primo fraintendimento è quello di ritenere ilun'illusione". Il termine "illusione" va riferito alla credenza del pensiero sulla permanenza duratura del sè e non sul sé in quanto tale. Il sè esiste ma, come tutti i fenomeni composti da aggregati, è impermanente, ossia non è dotato di sostanza propria che non sia quella degli aggregati che lo compongono( a loro volta impermanenti...). Dobbiamo sempre sforzarci di comprendere che il Buddha storico ha insegnato la via di mezzo, ossia quella visione del reale lontana dai due estremi in cui , solitamente, si rifugia il pensiero. Buddha rifiuta la visione di una sostanza eterna nelle cose e , nello stesso tempo, rifiuta la visione che le cose siano illusorie come "bolle di sapone". Ossia rifiuta in egual misura l'idea che i fenomeni (interiori ed esteriori) siano oppure non siano realmente esistenti ( qui per realmente esistente s'intende che un fenomeno sia dotato di natura intrinseca, duratura, eterna, non modificabile...). Quando si parla di non-sé ci si deve riferire alla sua inconsistenza , impermanenza e assenza di identità. Questa inconsistenza non deve essere intesa come una fantasmagoria, una magia, un "velo di maya" che come una nebbia cela la realtà del "vero sé". Non c'è alcun vero sé , al di là degli aggregati che compongono il sé. Postulare l'esistenza di un vero sé ci farebbe cadere nell'estremo positivo dell'eternalismo, chiaramento rigettato dal Buddha. Affermare però semplicemente che "il sé non esiste" ci farebbe a sua volta precipitare nella visione negativa del nichilismo, a sua volta chiaramente e indubitabilmente rifiutata da Gotama. Tutti gli asceti e i brahmani che concepiscono le molteplici ( cose o idee) come un sé, concepiscono i cinque aggregati, o uno qualsiasi di essi, ( come un sé). Samyutta Nikaya, 22:47 L'ordinaria formulazione della dottrina dell'anatta:" Questo non fa parte di me, io non sono questo, questo non è il mio io" fa ritenere da alcuni ( anche autori buddhisti...) che il buddha presupponeva l'esistenza di un "sé" al di fuori, o al di là, dei cinque aggregati ai quali si riferisce, di solito, la formulazione. Questa deduzione errata viene smentita dal Buddha stesso che dice chiaramente che tutte le molteplice concezioni di un sé sono sempre relative ai cinque aggregati. Come potrebbe formarsi una qualsiasi idea di un sé o di una personalità, se non in base al materiale costituito dai cinque aggregati e ad un fraintendimento al loro riguardo? Su che altro potrebbero essere fondate le nozioni riguardo al sé? :o Buddha, nel seguito del testo citato, afferma che questa è la sola possibile causa per la formazione delle idee di un sé: "Se ci sono il corpo, le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la coscienza, a causa di essi e dipendentemente da essi si manifesta la credenza nell'individualità ( indipendente)...e lo speculare relativo a un sé ( Samyutta Nikaya, 22: 154,155). Nessuna concezione eternalistica di un "vero sé" oltre le apparenza del sè convenzionale, e nessuna concezione eternalistica del Nirvana, in qualsiasi forma, è conciliabile con gli insegnamenti del Buddha esposti nei testi più antichi, ossia nel Canone pali. Personalmente ho trovato sempre utile tenere a mente che l'anatta ( o non-sé) è l'effetto di anicca ( impermanenza di tutti i fenomeni). Solo nella comprensione profonda, nel nostro "animo", che tutto passa si può capire la dimensione esistenziale dell'anatta. Per colui, Kacchana, che considera, secondo la realtà e con vera saggezza, l'originarsi del ( e nel) mondo, non c'é quella che nel mondo è chiamata 'non-esistenza' (natthita). Per colui, Kacchana, che considera, secondo la realtà e con vera saggezza, il cessare del ( e nel) mondo, non c'è quella che nel mondo è chiamata 'esistenza' (atthita). Questo mondo, Kacchana, è generalmente imprigionato nelle inclinazioni, negli attaccamenti e nei pregiudizi. Ma per quanto concerne queste inclinazioni, attaccamenti, rigidi atteggiamenti mentali, pregiudizi e tendenze profondamente radicate, egli ( l'uomo che ha la giusta comprensione) se ne tiene lontano, non vi aderisce, non nutre l'atteggiamento mentale: 'Io ho un sè'. Egli non ha dubbi o incertezze sul fatto che è la sofferenza, in verità, che appare ed è la sofferenza che cessa. Riguardo a questo la sua conoscenza non dipende dagli altri. Questo, Kacchana, è ciò che qualifica l'uomo che ha una giusta comprensione". (Samyutta Nikaya, 12:15). Adesso vado a bermi un pò di tachidol... :P

Come sempre ti ringrazio per la chiarezza Sariputra. Però d'altronde il Buddha dice chiaramente che per abbracciare l'anatta devi riconoscere che la ricerca del sé fallisce nei riguardi dei cinque aggregati. Quindi almeno come concetto lo devi usare e devi provare ad applicarlo alla realtà. La conclusione di tale ricerca però per il Buddha è l'impossibilità di trovare il Sé, non la sua assenza e nemmeno la sua presenza. Tuttavia almeno all'inizio devi pensare che sia possibile trovarlo altrimenti non inizi nemmeno a chiederti se gli aggregati sono o no il sé.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

Citazione di: Apeiron il 09 Dicembre 2016, 23:24:31 PM
Citazione di: Sariputra il 09 Dicembre 2016, 23:15:26 PMProvo a entrare nella discussione anche se il mio cervello funziona ottenebrato dagli antidolorifici...succedono, questi stati dolorosi,proprio per non farci dimenticare la nostra reale natura ;D... Leggendo e rileggendo le posizioni di Apeiron e anche di Bluemax mi sembra di poter affermare che non sono propriamente posizioni buddhiste, soprattutto sulla natura dell'anatta, che è obiettivamente molto sfuggevole e di difficile comprensione( e' sicuramente il pronunciamento del Buddha più controverso e più originale, in campo religioso, a mio modesto parere...). Il primo fraintendimento è quello di ritenere ilun'illusione". Il termine "illusione" va riferito alla credenza del pensiero sulla permanenza duratura del sè e non sul sé in quanto tale. Il sè esiste ma, come tutti i fenomeni composti da aggregati, è impermanente, ossia non è dotato di sostanza propria che non sia quella degli aggregati che lo compongono( a loro volta impermanenti...). Dobbiamo sempre sforzarci di comprendere che il Buddha storico ha insegnato la via di mezzo, ossia quella visione del reale lontana dai due estremi in cui , solitamente, si rifugia il pensiero. Buddha rifiuta la visione di una sostanza eterna nelle cose e , nello stesso tempo, rifiuta la visione che le cose siano illusorie come "bolle di sapone". Ossia rifiuta in egual misura l'idea che i fenomeni (interiori ed esteriori) siano oppure non siano realmente esistenti ( qui per realmente esistente s'intende che un fenomeno sia dotato di natura intrinseca, duratura, eterna, non modificabile...). Quando si parla di non-sé ci si deve riferire alla sua inconsistenza , impermanenza e assenza di identità. Questa inconsistenza non deve essere intesa come una fantasmagoria, una magia, un "velo di maya" che come una nebbia cela la realtà del "vero sé". Non c'è alcun vero sé , al di là degli aggregati che compongono il sé. Postulare l'esistenza di un vero sé ci farebbe cadere nell'estremo positivo dell'eternalismo, chiaramento rigettato dal Buddha. Affermare però semplicemente che "il sé non esiste" ci farebbe a sua volta precipitare nella visione negativa del nichilismo, a sua volta chiaramente e indubitabilmente rifiutata da Gotama. Tutti gli asceti e i brahmani che concepiscono le molteplici ( cose o idee) come un sé, concepiscono i cinque aggregati, o uno qualsiasi di essi, ( come un sé). Samyutta Nikaya, 22:47 L'ordinaria formulazione della dottrina dell'anatta:" Questo non fa parte di me, io non sono questo, questo non è il mio io" fa ritenere da alcuni ( anche autori buddhisti...) che il buddha presupponeva l'esistenza di un "sé" al di fuori, o al di là, dei cinque aggregati ai quali si riferisce, di solito, la formulazione. Questa deduzione errata viene smentita dal Buddha stesso che dice chiaramente che tutte le molteplice concezioni di un sé sono sempre relative ai cinque aggregati. Come potrebbe formarsi una qualsiasi idea di un sé o di una personalità, se non in base al materiale costituito dai cinque aggregati e ad un fraintendimento al loro riguardo? Su che altro potrebbero essere fondate le nozioni riguardo al sé? :o Buddha, nel seguito del testo citato, afferma che questa è la sola possibile causa per la formazione delle idee di un sé: "Se ci sono il corpo, le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la coscienza, a causa di essi e dipendentemente da essi si manifesta la credenza nell'individualità ( indipendente)...e lo speculare relativo a un sé ( Samyutta Nikaya, 22: 154,155). Nessuna concezione eternalistica di un "vero sé" oltre le apparenza del sè convenzionale, e nessuna concezione eternalistica del Nirvana, in qualsiasi forma, è conciliabile con gli insegnamenti del Buddha esposti nei testi più antichi, ossia nel Canone pali. Personalmente ho trovato sempre utile tenere a mente che l'anatta ( o non-sé) è l'effetto di anicca ( impermanenza di tutti i fenomeni). Solo nella comprensione profonda, nel nostro "animo", che tutto passa si può capire la dimensione esistenziale dell'anatta. Per colui, Kacchana, che considera, secondo la realtà e con vera saggezza, l'originarsi del ( e nel) mondo, non c'é quella che nel mondo è chiamata 'non-esistenza' (natthita). Per colui, Kacchana, che considera, secondo la realtà e con vera saggezza, il cessare del ( e nel) mondo, non c'è quella che nel mondo è chiamata 'esistenza' (atthita). Questo mondo, Kacchana, è generalmente imprigionato nelle inclinazioni, negli attaccamenti e nei pregiudizi. Ma per quanto concerne queste inclinazioni, attaccamenti, rigidi atteggiamenti mentali, pregiudizi e tendenze profondamente radicate, egli ( l'uomo che ha la giusta comprensione) se ne tiene lontano, non vi aderisce, non nutre l'atteggiamento mentale: 'Io ho un sè'. Egli non ha dubbi o incertezze sul fatto che è la sofferenza, in verità, che appare ed è la sofferenza che cessa. Riguardo a questo la sua conoscenza non dipende dagli altri. Questo, Kacchana, è ciò che qualifica l'uomo che ha una giusta comprensione". (Samyutta Nikaya, 12:15). Adesso vado a bermi un pò di tachidol... :P
Come sempre ti ringrazio per la chiarezza Sariputra. Però d'altronde il Buddha dice chiaramente che per abbracciare l'anatta devi riconoscere che la ricerca del sé fallisce nei riguardi dei cinque aggregati. Quindi almeno come concetto lo devi usare e devi provare ad applicarlo alla realtà. La conclusione di tale ricerca però per il Buddha è l'impossibilità di trovare il Sé, non la sua assenza e nemmeno la sua presenza. Tuttavia almeno all'inizio devi pensare che sia possibile trovarlo altrimenti non inizi nemmeno a chiederti se gli aggregati sono o no il sé.

Che schifo il tachidol! Secondo voi mi farebbe male sciacquarmi la bocca con quel che mi resta del vino novello, ormai passato...? :-\


Ma chi è che si chiede se esiste il sé ? Anche Buddha stesso iniziava, a volte, i suoi discorsi con : "Io affermo, o monaci, che...ecc."  ;D E' evidente che c'è un senso innato del sé che può dire "Io affermo..." e questo sé esiste  in dipendenza delle parti che lo compongono ( corpo, sensazioni , percezioni, coscienza,ecc...). Un albero può esistere indipendentemente dal terreno , dalla luce , dall'ossigeno, ecc.? Non lo può fare. ma questo non significa che non ci sia "un albero"! Allo stesso modo un sé può esistere indipendentemente dai suoi aggregati? Non lo può fare, ma questo non significa che non ci sia un sé...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Duc in altum!

**  scritto da bluemax:
CitazioneAspetta... la mia è ricerca (che non ha nulla a che fare con la fede. Fedele lo sono i cani, spesso per tornaconto, le persone si spera siano leali) da non confondere col buddismo.
Benissimo, quindi se è ricerca, e non fede, non devi dire: "...così è, potevi prendere solo quella decisione e nessun altra..."; ma: "...potrebbe, forse, essere così..."
Come vedi le cose già si presentano differentemente. Mentre invece se tu sostieni che non esiste il libero arbitrio, visto che non ci sono prove certe al 100%, siamo nel campo della fede. Quindi io domani posso anche decidere, per fede, di non tradire mio fratello.


CitazioneIl buddismo parla di rinascita e continuità della mente sia prima che dopo la morte (che poi la morte per il buddismo è semplice cambiamento semplice effetto di  cause). Proprio per questo volevo sapere se il concetto di "rinascita" è comunque un qualcosa che il nostro "sè" crea per non affrontare la sua inesistenza. La domanda è tutta qua. Il buddismo viene prima di questo, quindi non parlare in termini religiosi ti prego. Io sto' cercando di andare oltre
Difficile andare oltre i termini religiosi quando si parla di contenuti e riflessioni sul buddismo, in un forum di tematiche spirituali.
Comunque, se può servirti, leggi il colloquio con Nicodemo, nel capitolo 3 del Vangelo di Giovanni, e ti renderai conto che senza rinascita in vita, è difficile poi vedere quella dopo la morte.

Buona ricerca.
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

InVerno

Citazione di: Duc in altum! il 10 Dicembre 2016, 14:13:01 PM
**  scritto da bluemax:
CitazioneAspetta... la mia è ricerca (che non ha nulla a che fare con la fede. Fedele lo sono i cani, spesso per tornaconto, le persone si spera siano leali) da non confondere col buddismo.
Benissimo, quindi se è ricerca, e non fede, non devi dire: "...così è, potevi prendere solo quella decisione e nessun altra..."; ma: "...potrebbe, forse, essere così..."
Come vedi le cose già si presentano differentemente. Mentre invece se tu sostieni che non esiste il libero arbitrio, visto che non ci sono prove certe al 100%, siamo nel campo della fede. Quindi io domani posso anche decidere, per fede, di non tradire mio fratello.

Ricordo l'annedoto di uno scienziato (mi sfugge purtroppo il nome) che passò la vita a cercare di dimostrare la validità di una sua ricerca, salvo che poi prima di morire gli venne dimostrato che aveva torto. La sua reazione fu quella di piangere di gioia. La tua, sarebbe quella di piangere dalla disperazione (per questo non lo farai mai). Smettila di inquinare i thread con queste false analogie per far tornare i tuoi conti interni (è proprio un vizio..)

Duc in altum!

#40
**  scritto da InVerno:
CitazioneRicordo l'annedoto di uno scienziato (mi sfugge purtroppo il nome) che passò la vita a cercare di dimostrare la validità di una sua ricerca, salvo che poi prima di morire gli venne dimostrato che aveva torto.
Ripeto, so che è difficile distinguere per chi riflette con pregiudizi, se è una ricerca metafisica o spirituale, senza dare un verdetto (anche se poi le personali opere parlano per noi) con fede, resta pur sempre un'indagine, un'osservazione, quindi, per logica, si dovrebbe omettere il: è così e basta, e perdipiù oggettivamente, sostenendo poi: ma non è per fiducia irrazionale!  :-\

Il problema è che era uno scienziato e non un cristiano, a un "santo" non è mai accaduto quel tipo di aneddoto (purtroppo o grazie a Dio)!!  :D

Quindi il tuo:
CitazioneSmettila di inquinare i thread con queste false analogie per far tornare i tuoi conti interni (è proprio un vizio..)
...non ha senso, se non per credenza popolare, come la non esistenza del libero arbitrio.  ;)
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

Sariputra

#41
Sulle difficoltà , anche da parte dei "simpatizzanti" buddhisti occidentali, di poter credere a qualcosa come la rinascita dopo la trasformazione del corpo materiale nel processo della morte, bisogna, a mio parere, tener in debito conto la sostanziale differenza filosofica tra la visione delle religioni abramitiche , con la netta separazione tra coscienza e materia ( profondamente neo-platonica, con la separazione del mondo materiale dal mondo delle idee)e quella indiana, in cui questa separazione non è mai avvenuta praticamente. Coscienza e "mondo" formano un tutt'uno per la visione e la percezione meditativa indiana: non può essere dato l'uno senza l'altro. La coscienza interna ( vinnana) è lo spazio dove si depositano e prendono forma le azioni morali volontarie o involontarie (Kamma). Nel loro prendere forma costruiscono il "mondo condizionato" come appare ai cinque aggregati e in particolare alle volizioni. Questo processo ininterrotto di costruzione dei "mondi" da parte di vinnana, condizionata dall'ignoranza sulla natura anatta di tutti i fenomeni, è la base della ri-nascita della brama, o sete inestinguibile di esistere in eterno. Nella visione specificamente buddhista ( o per meglio dire del buddhismo delle origini...) la vinnana non è un elemente inattivo , ma bensì invece estremamente creativo. Bisogna dar conto che i cinque aggregati (skandha) interagiscono costantemente fra loro e l'elemento vinnana ( coscienza) è , dagli altri quattro , continuamente proiettato all'"esterno" di sé, per aggrapparsi alle forme costruite dagli aggregati e cercarvi il piacere e la soddisfazione, ignaro che questo processo è insoddisfacente e causa di sofferenza, in quanto l'aggrapparsi a qualcosa in perenne mutamento è impossibile di fatto e frustrante. Quando si parla del processo di ri-nascita s'intende propriamente questo continuo sorgere ( o ri-sorgere) nella coscienza della brama di aggrapparsi ai mondi da lei stessa ( in comunione con gli altri aggregati che formano la persona) immaginati e costruiti. Questo processo è chiramente visto nella consapevolezza (sati-panna) quando osserviamo in noi il continuo ri-nascere del desiderio, che non riesce a trovare vero appagamento. Questo processo di ri-nascita dell'attaccamento alle proprie costruzioni mentali, da parte di vinnana, è , secondo la visione buddhista, influenzato dal potere dell'azione ( kamma). Un'azione moralmente salutare sarà dunque quella che impedirà il ri-nascere dell'attaccamento; un'azione moralmente dannosa sarà quella che farà ri-nascere l'attaccamento della coscienza alle proprie insostanziali visioni e costruzioni del "mondo". Non essendo mai avvenuta, nel buddhismo, la scissione tra vinnana e nama-rupa (mente-corpo/ nome e forma) il processo della trasformazione  del corpo ( che non è solo materia, come lo consideriamo noi occidentali, ma per il Buddha anche vinnana, cioè coscienza), spingerà l'aggregato vinnana , man mano che si chiudono le porte sensoriali ( per ultima quella dell'udito, nel processo della morte) ad introiettarsi al suo interno ( in quello che la psicologia occidentale definisce come "inconscio"), in quanto la coscienza non può esistere indipendentemente dai suoi contenuti; non trovando più contenuti a cui aggrapparsi nelle percezioni e nelle sensazioni, in quanto il corpo sta morendo, si aggrappa, per continuare ad esistere nei suoi contenuti interni. Questi contenuti interni però sono essenzialmente il frutto dell'azione volontaria ( le tracce, le impronte...)  con cui si è condotta ( in senso moralmente salutare oppure dannoso) la propria esistenza. Se questi contenuti sono salutari , cioè privi di attaccamento, vinnana non troverà nulla a cui aggrapparsi per ri-esistere e perciò si avrà la realizzazione del Parinibbana;  se invece troverà la possibilità di aggrapparsi al contenuto dannoso dell'azione darà vita a nuovo nama-rupa, si avrà perciò quella che viene comunemente definita ri-nascita, ossia ri-nascita dell'attaccamento di vinnana a nama-rupa ( ri-nascere dell'attaccamento dell'aggregato coscienza a nuovo mente-forma).
E' piuttosto complesso...spero di essere stato sufficientemente leggibile... :-\ molti termini e concezioni buddhiste non trovano analogie, se non per approssimazione, con corrispondenti idee della filosofia o della psicologia occidentale...
Per finire la mia solita, classica, immancabile citazione "dotta" ;D :
« 54. "E cos'è questa nāma-rūpa, qual è l'origine di questa nāma-rūpa, qual è la cessazione della nāma-rūpa, qual è la via che conduce alla cessazione della nāma-rūpa? La sensazione, la percezione, la volizione, il contatto e l'attenzione, questi sono detti nāma. I quattro grandi elementi e la forma materiale che deriva dai quattro grandi elementi, questi sono detti rūpa. E così questa nāma e questa rūpa sono quello che si dice nāma-rūpa. Con il sorgere della coscienza c'è il sorgere di nāma-rūpa. Con la cessazione della coscienza c'è la cessazione dināma-rūpa. La via che mena alla cessazione di nāma-rūpa è proprio questo Nobile Ottuplice Sentiero e cioè retta visione... retta concentrazione. »
« 55. "Quando un nobile discepolo ha così compreso nāma-rūpa, l'origine di nāma-rūpa, la cessazione di nāma-rūpa e la via che mena alla cessazione di nāma-rūpa... egli qui e ora pone fine alla sofferenza. È così anche che un nobile discepolo è dotato di retta visione... ed è giunto all'autentico Dhamma." »
Majjhima-Nikāya 9, Sammaditthi Sutta, "Il discorso sulla Retta Visione".

Buona domenica a tutti i lettori del forum da Villa Sariputra, immersa in una nebbia gelida che raffredda ogni ardore dell'animo...

P.S. Mi sono dimenticato di scrivere che è molto più importante , per il Buddha, comprendere come mai ri-nasce continuamente in noi l'attaccamento qui e ora, che non immaginare con la fantasia quale forma vinnana ( coscienza) andrà ad assumere dopo la trasformazione nella morte. In quanto è qui e ora che possiamo indebolire e poi annullare questo ri-nascere della sete d'esistere in eterno...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

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