Mi bolle l'inferno!

Aperto da Sariputra, 02 Gennaio 2017, 16:06:22 PM

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Angelo Cannata

Citazione di: Sariputra il 05 Gennaio 2017, 23:46:44 PM
solo una cosa serve: andarsene! Via, via da queste sponde!
Può essere utile far notare che nell'Antico Testamento il male, sofferenza, la morte, non vengono percepiti con la stessa tragicità del Nuovo. Ovviamente ciò non significa che l'AT sia indifferente alla sofferenza, ma si può individuare una differenza abbastanza precisa: a partire dai testi più tardivi dell'AT, come Giobbe, Qoelet, e poi continuando col NT, si fa strada una coltivazione della tragicità del male e della morte anche nei momenti in cui si sta bene. Nell'AT si dice di qualche patriarca che morì "vecchio e sazio di giorni"; un'espressione così soddisfatta non è più concepibile nel NT.
Cos'è avvenuto?
È successo che con l'ultimo periodo dell'AT si è fatta strada la mentalità riflessiva tipica della Grecia e quindi della filosofia.
Ciò significa che spesso ciò che trattiamo come problema del male è in realtà crisi del pensare riflessivo, universalista, astratto, il quale rimane frustrato nello sbattere il muso contro il fatto di non potersi impossessare della comprensione del mondo.
Prendere coscienza di questo, ovviamente, non offre nessuna spiegazione del problema del male, ma mette in guardia sul fatto che, per lo meno, sono da sottoporre a critica i metodi mentali con cui lo affrontiamo. Altri metodi mentali non risolvono il problema del male, ma almeno evitano alla mente di torcersi in continuazione su se stessa, a vuoto, sprecando inutilmente il tempo della nostra esistenza.
Si potrebbe dire che il problema del male non può essere risolto, però può essere vissuto in maniere alternative che favoriscono un crescere, una spiritualità che progredisce, che si presenta come metodo migliore rispetto all'affrontarlo a forza di interrogativi universalissimi, radicalissimi, destinati a rimanere inutili e senza risposta.
Potremmo sospettare un legame con questo discorso nella differenza tra san Francesco e Gesù: credo che se Gesù si fosse trovato davanti a san Francesco nel momento in cui quest'ultimo diceva "sorella morte", gli avrebbe dato qualche calcio nel sedere: nella mentalità di Gesù la morte è il nemico numero uno, lui si è ritenuto mandato nel mondo proprio per sconfiggerla e in questa mentalità è impensabile l'appellativo "sorella". Ora, pensare Gesù nel contesto mentale dell'ellenismo è facile, perché è proprio questa la situazione; più difficile collegare la mentalità di san Francesco all'AT, visto che avrebbero in comune una visione non tragica del male e della morte; ma forse qualche collegamento si potrebbe ravvisare, per esempio in un procedere che in entrambi va per descrizioni, racconti e non per riflessioni astratte, più tipiche invece in Gesù e nell'ellenismo.

Apeiron

Con @davidintro concordo che ultimamente si è ipocriti nel dire che la felicità è "fuori di sé" e da qui è nata in sostanza una falsa moralità nella quale si fa del bene "perchè lo dicono gli altri". La "vera" moralità dovrebbe essere connaturata nel nostro essere, ossia dovremo capire più noi stessi...

Citazione di: Angelo Cannata il 06 Gennaio 2017, 19:20:04 PM
Citazione di: Sariputra il 05 Gennaio 2017, 23:46:44 PMsolo una cosa serve: andarsene! Via, via da queste sponde!
Può essere utile far notare che nell'Antico Testamento il male, sofferenza, la morte, non vengono percepiti con la stessa tragicità del Nuovo. Ovviamente ciò non significa che l'AT sia indifferente alla sofferenza, ma si può individuare una differenza abbastanza precisa: a partire dai testi più tardivi dell'AT, come Giobbe, Qoelet, e poi continuando col NT, si fa strada una coltivazione della tragicità del male e della morte anche nei momenti in cui si sta bene. Nell'AT si dice di qualche patriarca che morì "vecchio e sazio di giorni"; un'espressione così soddisfatta non è più concepibile nel NT. Cos'è avvenuto? È successo che con l'ultimo periodo dell'AT si è fatta strada la mentalità riflessiva tipica della Grecia e quindi della filosofia. Ciò significa che spesso ciò che trattiamo come problema del male è in realtà crisi del pensare riflessivo, universalista, astratto, il quale rimane frustrato nello sbattere il muso contro il fatto di non potersi impossessare della comprensione del mondo. Prendere coscienza di questo, ovviamente, non offre nessuna spiegazione del problema del male, ma mette in guardia sul fatto che, per lo meno, sono da sottoporre a critica i metodi mentali con cui lo affrontiamo. Altri metodi mentali non risolvono il problema del male, ma almeno evitano alla mente di torcersi in continuazione su se stessa, a vuoto, sprecando inutilmente il tempo della nostra esistenza. Si potrebbe dire che il problema del male non può essere risolto, però può essere vissuto in maniere alternative che favoriscono un crescere, una spiritualità che progredisce, che si presenta come metodo migliore rispetto all'affrontarlo a forza di interrogativi universalissimi, radicalissimi, destinati a rimanere inutili e senza risposta. Potremmo sospettare un legame con questo discorso nella differenza tra san Francesco e Gesù: credo che se Gesù si fosse trovato davanti a san Francesco nel momento in cui quest'ultimo diceva "sorella morte", gli avrebbe dato qualche calcio nel sedere: nella mentalità di Gesù la morte è il nemico numero uno, lui si è ritenuto mandato nel mondo proprio per sconfiggerla e in questa mentalità è impensabile l'appellativo "sorella". Ora, pensare Gesù nel contesto mentale dell'ellenismo è facile, perché è proprio questa la situazione; più difficile collegare la mentalità di san Francesco all'AT, visto che avrebbero in comune una visione non tragica del male e della morte; ma forse qualche collegamento si potrebbe ravvisare, per esempio in un procedere che in entrambi va per descrizioni, racconti e non per riflessioni astratte, più tipiche invece in Gesù e nell'ellenismo.

Concordo con te sulla differenza tra le visioni sul male e sulla morte. In Gesù vedo anche io che sofferenza, peccato e morte erano i nemici mentre nel medioevo si era fatta strada l'idea del "dolorismo" nella quale si crede che Dio ci voglia veder soffrire. Nel caso di san Francesco la sua espressione credo che sia più che altro dovuta ad una sua idea di relativizzare l'evento "morte" visto che con la prospettiva dell'aldilà la morte era una sorta di "liberazione". Insomma per san Francesco Gesù ha trasformato la morte dal nemico numero uno ad un passaggio naturale da una vita di tribolazione ad una di gioia, cosa ben diversa dal dolorismo. In sostanza Gesù morendo in quel modo ha dunque "vinto la morte".
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Duc in altum!

**  scritto da Apeiron:
CitazioneSì ok è giusto quello che dici. Però ad esempio non spiega la sofferenza causata dalla natura e non dall'uomo.
@Apeiron, se potessimo spiegare tutto a che servirebbe la fede. Forse il vero supplizio è l'inevitabile ignoranza umana sul suo destino presente e futuro.
La sofferenza, la salvezza, Dio e il suo progetto, sono un cammino infinito fino a quando vedremo la verità faccia a faccia. La vita è un mistero che si svela man mano mentre la sperimentiamo,
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

Angelo Cannata

Citazione di: Apeiron il 06 Gennaio 2017, 19:29:03 PMNel caso di san Francesco la sua espressione credo che sia più che altro dovuta ad una sua idea di relativizzare l'evento "morte" visto che con la prospettiva dell'aldilà la morte era una sorta di "liberazione". Insomma per san Francesco Gesù ha trasformato la morte dal nemico numero uno ad un passaggio naturale da una vita di tribolazione ad una di gioia, cosa ben diversa dal dolorismo. In sostanza Gesù morendo in quel modo ha dunque "vinto la morte".
In questo senso la non tragicità di san Francesco viene a risultare diversa da quella dell'AT, visto che nell'AT non c'è una speranza nell'al di là come luogo di felicità. L'atteggiamento dell'AT è dovuto piuttosto a un modo di affrontare l'esistenza più come esperienza che come riflessione.

acquario69

#49
Citazione di: davintro il 06 Gennaio 2017, 17:52:44 PM
Dovessi associare una parola all'inferno sceglierei "dispersione". Dispersione: la condizione esistenziale di chi ha smarrito la consapevolezza del proprio centro interiore, di ciò che è più importante nella nostra vita, e si disperde all'esterno, vive meccanicamente sballottato dagli stimoli esterni, senza riviverli interiormente, senza dare loro un senso, una ragione, in quanto abbiamo smarrito la percezione dei criteri stabili dei nostri giudizi, criteri fondamentali in base a cui giudichiamo qualcosa come "vero", "falso", "giusto", "sbagliato", "bello", "brutto", e di conseguenza punto centrale d'orientamento del nostro agire nel mondo.Questi criteri, questa scala di valori costituisce il contenuto della nostra identità profonda e originaria, quanto più il nostro essere, pensare, agire è coerente con essa tanto più avvertiamo il piacere dell'autorealizzazione, dell'espressione della nostra natura individuale, quanto più si perde questo centro interiore, tanto più le nostre azioni sono solo un insensato, caotico muoversi senza che non avvertiamo come manifestazione della nostra identità. L'identità diviene una vuota astrazione, impossibilità ad esprimersi in forme concrete nel mondo, il mondo diviene un luogo di estraniamento, un luogo ostile, minaccioso, dove ci percipiamo in balia di forze sconosciute, perchè non riconosciamo più intorno dei punti di riferimento, il mondo diviene qualcosa in cui non riscontriamo la testimonianza della nostra presenza, non c'entra nulla con noi

Per questo non mi piace nulla quello che va molto di moda oggi, prescrivere modi di fare del tipo "decentrarsi", "uscire fuori da sè stessi"... queste sono proprio gli atteggiamenti "infernali" che porterebbero l'uomo a disperdere l'unità della propria personalità e rinunciare a dare un proprio senso personale al mondo esterno, condizione perchè tale mondo sia un luogo di autentica manifestazione di sè, luogo accogliente e benevolo. Al contrario per dare valore alla vita occorre il più possibile entrare in profondità in se stessi, trovare nell'interiorità le risorse individuali, la coscienza dei nostri valori, di chi"siamo veramente" e solo dopo aprirsi al mondo, un'apertura che non sia dispersione, ma arricchimento, arricchimento di sè, e del mondo che diviene migliore quando agiamo in esso rendendolo più simile alla nostra idea di bellezza e giustizia. L'egocentrismo è una condizione irrinunciabile e al contempo bellissima in quanto senza egocentrismo, non c'è libertà. L'egocentrismo è infatti la condizione dell'Io che è il centro unitario delle sue esperienze vissute che lo legano al mondo, esperienze vissute che corrispondono alla nostra libertà in quanto esprimono un modo d'essere costituente dell'Io, il tratto distintivo della nostra individualità. Il concetto di Io inteso così è prevalentemente formale, attiene alla sfera trascendentale, ma proprio questa formalità consente di non identificare l'egocentrismo a un particolare specifico atteggiamento concreto. Cioè l'egocentrismo non è disprezzo del mondo, degli altri, perchè è una condizione esistenziale formale e indeterminata, il modo d'essere per cui i nostri atti provengono da un centro che li tiene uniti nell'unità della persona, l'Io. E l'altruismo altro non è che una delle possibilità dell'egocentrismo, che si realizza quando i valori dell'Io comprendono la considerazione del bene altrui, oltre che del proprio. Un altruismo non egocentrico sarebbe forzatura, conseguenza di un imposizione esterna ai valori interiori dell'Io: "non uccido non perchè non sia giusto uccidere ma perchè altrimenti finisco in galera" è l'esempio più evidente di un'attenzione all'altro che non corrisponde ai valori dell'io, dunque non egocentrico. Tutto dipende dal concetto di "Ego" che si ha in mente, trascendentale o empirico

condivido !

il cosiddetto "inferno" e' appunto l'IO (inteso appunto come riduzione a se' di tutto e che in tal senso separa)

questa qui sotto l'ho trovata sul libro (citato in un precedente post da donquixote) e che sto appunto leggendo ;)

la mente e' in fiamme,i pensieri sono in fiamme.
la coscienza della mente e le impressioni che essa riceve e le sensazioni che nascono da quest'ultime,anche queste sono in fiamme.
E di quale fuoco ardono?
del fuoco dell'avidità,del fuoco del risentimento,del fuoco dell'infatuazione,della nascita,della vecchiaia,della morte,del dolore e delle lamentazioni,dell'infelicita e del dolore e della disperazione,ecco di cosa ardono.
(Sermone del fuoco del Buddha)

Se non hai mai visto il diavolo,guarda il tuo IO
(Jalal Rumi)

..e pensare che nel contesto storico in cui viviamo i messaggi che passano o "l'educazione" in tutte le sue forme che si ricevono sono l'esaltazione al massimo grado dell'IO...che,nel senso detto sopra e' praticamente il rovesciamento dell'ordine stesso delle cose.



Citazionesolo una cosa serve: andarsene! Via, via da queste sponde!

                                                        http://www.youtube.com/watch?v=SK6P2SlbAXM

Mare mare mare voglio annegare..
Portami lontano a naufragare..
Via via via da queste sponde
Portami lontano sulle onde

:)

giona2068

#50
Citazione di: acquario69 il 07 Gennaio 2017, 05:36:30 AM


condivido !

il cosiddetto "inferno" e' appunto l'IO (inteso appunto come riduzione a se' di tutto e che in tal senso separa)

questa qui sotto l'ho trovata sul libro (citato in un precedente post da donquixote) e che sto appunto leggendo ;)

la mente e' in fiamme,i pensieri sono in fiamme.
la coscienza della mente e le impressioni che essa riceve e le sensazioni che nascono da quest'ultime,anche queste sono in fiamme.
E di quale fuoco ardono?
del fuoco dell'avidità,del fuoco del risentimento,del fuoco dell'infatuazione,della nascita,della vecchiaia,della morte,del dolore e delle lamentazioni,dell'infelicita e del dolore e della disperazione,ecco di cosa ardono.
(Sermone del fuoco del Buddha)

Se non hai mai visto il diavolo,guarda il tuo IO
(Jalal Rumi)

..e pensare che nel contesto storico in cui viviamo i messaggi che passano o "l'educazione" in tutte le sue forme che si ricevono sono l'esaltazione al massimo grado dell'IO...che,nel senso detto sopra e' praticamente il rovesciamento dell'ordine stesso delle cose.



Citazionesolo una cosa serve: andarsene! Via, via da queste sponde!

                                                        http://www.youtube.com/watch?v=SK6P2SlbAXM

Mare mare mare voglio annegare..
Portami lontano a naufragare..
Via via via da queste sponde
Portami lontano sulle onde

:)



Parole sante.

Detto con un altro linguaggio, siamo chiamati a vincere il mondo per arrivare a vivere in questo mondo senza essere di questo mondo.

A questo punto, dopo aver convenuto che, in un modo o in un altro, c'è l'inferno come condizione di sofferenza, dobbiamo ora scoprire qual è la nostra vera natura, cioè se essa è bisognosa/desiderosa delle cose del mondo che ci portano all'inferno oppure se la rinuncia al mondo stesso è contro la nostra stessa natura, quindi impossibile.
Se la nostra natura, o meglio la natura della nostra anima, fosse desiderosa delle  cose del mondo, innanzitutto non saremmo completi e poi il Signore Dio non avrebbe potuto darci il comandamento: Ama il Signore Dio tuo con tutto te stesso.
I nostri desideri mondami/carnali e quelli di scalare la società che sono sempre desideri mondani, cioè la gloria di questo mondo, non appartengono all'anima.
Se non sono desideri dell'anima desideri di chi sono?
Sono desideri del peccato inteso come spirito incarnato in noi e solo in minima parte desideri del corpo a causa degli ormoni come conseguenza di un corpo che all'inizio era come quello del Signore risorto e che poi è diventato materiale.
La conferma che i desideri mondani non sono connaturati nell'anima la si trova nella mancanza di pace in chi li accontenta.
Con il passare del tempo la soddisfazione di questi desideri mondani ci porta sempre più lontano dal Signore Dio con conseguente sofferenza. L'anima non può vivere senza il Signore Dio. Un discorso a parte riguarda chi l'ha persa.
Questo è l'inferno, cioè la mancanza la perdita di comunione con il Signore Dio, che si può evitare rinunciando ai nostri falsi desideri, che in verità non sono nostri ma del peccato o della carne resa tale sempre dal peccato stesso.