La via di liberazione

Aperto da ricercatore, 27 Gennaio 2022, 11:22:42 AM

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bobmax

Niente è inutile.

Nemmeno la sofferenza.
Neppure l'orrore più assurdo.

Supporre che nella vita vi sia qualcosa di inutile, che potrebbe cioè non esserci perché senza scopo, rende vana la ricerca spirituale.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

ricercatore

Citazione di: Freedom il 31 Gennaio 2022, 23:54:15 PM
Pensando anche all'altro post non vorrei fare propaganda :D  ma la Chiesa cattolica dà un ampio spazio ad una ricerca interiore che non indirizzi al lavoro.......come dire......funzionale al profitti e perdite ma, anche al solo sostentamento. Senza alcun margine di profitto e dunque del tutto fuori dal contesto del "sistema". Tradizionalmente ma, ancora oggi, ci sono diverse comunità monastiche e/o addirittura cenobitiche. Se cerchi bene trovi anche qualche esempio di ascetismo.

Mi viene in mente anche l'esperimento di una comunità cristiana di nome Nomadelfia che percorre una via sicuramente originale che potrebbe valere la pena conoscere.

Dipende sempre, chiaramente, dalla nostra sensibilità e da quello che vogliamo mettere in gioco.

per quella che è la mia personale esperienza, ho vissuto nella Chiesa cattolica (a Catechismo e in famiglia) una fortissima componente relativa alle regole e ai precetti: perciò più che sentirmi "liberato" mi sono sentito "schiacciato".
più che l' "amore" erano il peccato e il senso di colpa i protagonisti della storia.

fortunatamente ci sono spazi, sempre all'interno della Chiesa cattolica, dove il focus è concentrato su altro: le "regole" non sono il punto di partenza, ma semmai un risultato, come conseguenza naturale. in questi spazi si promuove più l'esperienza che la morale.
mi auguro che possano esserci sempre di più spazi di questo tipo.

poi c'è chiaramente il discorso, non secondario, sulla Fede: lì le cose si complicano parecchio  :)

ricercatore

Citazione di: Sariputra il 01 Febbraio 2022, 10:00:01 AM

Ci si libera sempre di qualcosa:un peso, un fardello, una costrizione, un legame, ecc. Nell'esperienza spirituale  e religiosa la liberazione viene intesa in modo diverso a seconda della prospettiva delle varie  religiosità e culture.Nell'esperienza semitica ci si libera dal peccato, considerato come l'impedimento che non ci fa comprendere la pienezza di vita che Dio vorrebbe per noi. Nell'Oriente invece ci si libera dal ciclo samsarico, di nascite e morti che si succedono , visto come fabbrica di sofferenze continuamente perpetuate,senza fine. Spesso la liberazione coincide con la comprensione intuitiva: comprendo e mi libero, mi libero e comprendo. Nella cultura antica poi ci si liberava,dal dolore fisico o dalla vergogna per qualche fallimento sociale, volgendo la spada contro se stessi. La liberazione può essere intesa anche come il momento in cui "si esce all'aperto". Pensiamo al carcerato che vede aprirsi il portone della prigione e alla sensazione che prova, indicibile ma piena di emozioni. Lo stesso la persona che si libera dei fardelli che porta: Aaahh! Che sollievo! Perché ho portato inutilmente questo peso, per così tanto tratto della mia strada? Ci si dice. Quel sollievo è anche una sperimentabile esperienza di libertà. Sono libero! Sono finalmente libero.Quello che mi incateneva non c'è più. Posso anche amare adesso. Forse prima amavo stupidamente il peso che portavo.Ci stavo aggrappato.Pensavo di non poter vivere senza quello zaino piene di pietre. Addirittura mi guardavo quelle pietre e quasi le adoravo.Mi sembravano belle, lucenti, amabili. Ma come pesavano! Erano così belle, ma appena rimettevo lo zaino in spalla...come pesavano!! E volevo buttarle, ma le amavo, come potevo farlo? E incontravo sulla strada sempre gente ingobbita, con zaini pesanti di ogni tipo e foggia. Gente che doveva tenere la schiena curva, nascondendo così il volto. E allora pensavo che la vità è così, che bisognava accettarne il peso e amarlo. Non c'era altro da fare che amare quel peso.Dicevano anche che, se lo amavi, finivi per non sentirlo più. Ma Cristo! Mi segava lo stesso le spalle. E se provassi a lasciarlo qui, sul ciglio della strada, e fare qualche passo senza? Uno...due...tre...riesco ad andare lo stesso! Sto anche con la schiena dritta. Ahh! Posso finalmente vedere...cosa sono? Nuvole? Che maestosità, che bellezza. Aspetta!Devo tornare a prendere lo zaino, le pietre, me le rubano...Però...però è più piacevole camminare così, con lo sguardo che spazia sui paesaggi...ma sì, lo lascio lì, che se lo prendano pure.
La "liberazione" ,in senso spirituale, alla fine sta tutta qui: comprendere che spesso si portano inutilmente dei fardelli.Sembra semplice il liberarsene, ma non è così; e soprattutto non è affatto semplice liberare lo zaino dalle adorate pietre...senza caricarne delle altre al loro posto.

grazie Sariputra, descrizione perfetta  :)

ricercatore

Citazione di: bobmax il 01 Febbraio 2022, 10:28:49 AM
Niente è inutile.

Nemmeno la sofferenza.
Neppure l'orrore più assurdo.

Supporre che nella vita vi sia qualcosa di inutile, che potrebbe cioè non esserci perché senza scopo, rende vana la ricerca spirituale.

"inutile" è la parola che viene da usare dopo che capisci (o credi di aver capito) determinate cose.
ma, effettivamente non è inutile, forse l'opposto: è stato "utile" per farmi capire, "utile" per farmi rendere conto, "utile" per spingermi al cambiamento.

iano

#49
Ciao Sariputra.
Io la liberazione dal fardello la vedo come una operazione circolare.
Ti puoi liberare del peso solo dopo averne preso coscienza, perché non è coscientemente che lo hai assunto. Chi infatti porrebbe un peso sopra di se' sapendo di farlo?
Chi garantisce quindi che la liberazione non sia una sostituzione con altro peso?
Come ho fatto ad assumere il peso che portavo, ed eventualmente come faccio ad evitare che ciò risucceda?
Perché chi ci dice che quel peso abbia una precisa natura, e che è sufficiente quindi svelarla per potersene definitivamente liberare?
È possibile che sia essenziale assumere un peso , al di la' della sua particolare natura, se solo a posteriori prendo coscienza di averlo assunto, e che ciò avvenga solo per poterlo cambiare inconsapevolmente con altro.
Il serpente prova dolore dentro la vecchia pelle e sollievo nel cambiarla.
Esso non assume coscientemente la sua pelle, ma ne prende coscienza quando inizia a stargli stretta.
Non tutte le pelli poi presentano lo stesso disegno.
Ma perché ci mettiamo nelle condizioni di doverci liberare, quando sarebbe sufficiente non mettercisi?
Come tu dici è appunto da un ciclo che certe religioni predicano di liberarsi, perché è il ciclo stesso a pesare, ma io vedo il ciclo innescato dalla liberazione come una esigenza vitale la cui essenza è nel divenire, dove il dolore ci spinge e il piacere ci attrae.
Nel promuovere la fase di liberazione mi pare si racconti solo metà della storia, ma mi chiedo se non là si promuove solo perché è la sola parte che possiamo raccontare.
Un poco come andare al mercato scegliendo solo prodotti pubblicizzati.
Naturalmente in questa ultima frase c'è una voluta  provocazione.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

bobmax

Citazione di: ricercatore il 01 Febbraio 2022, 11:11:57 AM
Citazione di: bobmax il 01 Febbraio 2022, 10:28:49 AM
Niente è inutile.

Nemmeno la sofferenza.
Neppure l'orrore più assurdo.

Supporre che nella vita vi sia qualcosa di inutile, che potrebbe cioè non esserci perché senza scopo, rende vana la ricerca spirituale.

"inutile" è la parola che viene da usare dopo che capisci (o credi di aver capito) determinate cose.
ma, effettivamente non è inutile, forse l'opposto: è stato "utile" per farmi capire, "utile" per farmi rendere conto, "utile" per spingermi al cambiamento.

Sì, molte cose appaiono, ad una visione superficiale, inutili.
Almeno dal nostro punto di vista.
Perché utile è ciò che reca vantaggio a noi stessi.
Mentre inutile è viceversa ciò che non ci reca alcun vantaggio, o addirittura porta svantaggio.

È diffusa l'idea che l'inutilità sia però relativa, perché dipendente dal punto di vista del singolo.
Mentre in un'ottica globale la valutazione sarebbe ben diversa, in quanto ogni cosa, per il Tutto, deve essere necessariamente utile.

Tuttavia in questa prospettiva, che comunque cerca di ampliare la comprensione della realtà, vi è a mio avviso una mancanza di fondo

Cioè è senz'altro importante il dover sforzarmi di accettare l'incommensurabile superiorità del Tutto. Un'accettazione che comporta il mio sostanziale annichilimento.
Tuttavia, ciò non è sufficiente.

Perché in questo Tutto vi è comunque il male! E il male nel mondo prescinde dal mio annullamento.
Scomparendo io, il male comunque resta. Sia quello passato, che rimane inestinguibile, ma pure il male futuro che appare inevitabile.

Di modo che, mi ritrovo coinvolto in un processo che da un lato richiede il mio distacco, mentre dall'altro suscita in me un sentimento crescente: la compassione.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

niko

#51
Citazione di: ricercatore il 01 Febbraio 2022, 11:11:57 AM
Citazione di: bobmax il 01 Febbraio 2022, 10:28:49 AM
Niente è inutile.

Nemmeno la sofferenza.
Neppure l'orrore più assurdo.

Supporre che nella vita vi sia qualcosa di inutile, che potrebbe cioè non esserci perché senza scopo, rende vana la ricerca spirituale.

"inutile" è la parola che viene da usare dopo che capisci (o credi di aver capito) determinate cose.
ma, effettivamente non è inutile, forse l'opposto: è stato "utile" per farmi capire, "utile" per farmi rendere conto, "utile" per spingermi al cambiamento.


La sofferenza non serve solo di lezione per imparare a non soffrire piu' o a soffrire di meno, e' anche cio' che fa apprezzare il bene e la gioia in quanto suoi opposti complementari ineliminabili, come ogni estremita' destra di qualcosa ha sempre un'estremita' sinistra: senza possibilita' di soffrire non ci sarebbe nemmeno felicita', o meglio non ci sarebbe piu' quella consapevolezza di essere felici che rende piena la felicita', conspevolezza che si acquisisce solo avendo sofferto.

Quindi e' vero che la sofferenza passata e' irreversibile a causa dell'inaccessibilita' del passato alla tecnica e alla volonta' di trasformazione dell'oggetto in generale, ma e' anche vero che l'uomo, se potesse, ben volentieri "translerebbe" tutta la possibile sofferenza del suo mondo nel passato, al ben condivisibile scopo di non averne piu' nel presente e nel futuro.
Dunque la sofferenza irreversibile perche' passata e' anche la sofferenza collocata nella dimensione temporale in cui l'uomo, potendo scegliere, collocherebbe la sua sofferenza, paradossalmente proprio al fine di renderla reversibile.

Questo e' un possibile modo di vedere la liberazione, insomma il desiderio umano di "raggiungere" il paradiso, nell'utopia storica o nel dopo-morte, e' il desiderio di una perennita' di gioia da un certo punto in poi e non di un'eternita' temporale di gioia, quindi e' gia' un modo piu' realistico e piu' "accettante" da parte dell'uomo di fare i conti con la propria sofferenza, rispetto al sottostante, e per certi versi  alternativo, desiderio "brutale" di volerla eliminare del tutto, anche dal passato e quindi dalla memoria.

Insomma, voler essere "senza memoria di sofferenza", in un'eterna primavera, e quindi in condizioni di godere di una gioia concepibile pienamente come eterna e non solo come perenne, oppure voler essere  portatori di una "memoria della sofferenza" che pero' non infici e non rovini la gioia, voler essere in un'estate della liberazione, sono due atteggiamenti psicologici solo apparentemente simili, ma in realta' sottilmente differenti.

E nel passaggio tra l'uno e l'altro di questi atteggiamenti si consuma il passaggio da un pensiero della decadenza, in cui proprio perche' il male e' posto come esistente e irreversibile, di logica conseguenza,  il passato e' visto come migliore del futuro, a un pensiero dell'eskaton e delle cose ultime, in cui il futuro e' posto come migliore del passato, perche', proprio nell'irreversibilita' temporale del male si  vuole vedere la possibilita' del suo tramonto e della sua irriproducibilita', la sua possibilita' di essere un punto, o meglio un tratto, esteso ma finito, divisivo del tempo stesso.

L'iperuranio platonico e' un modo dietro il mondo teoricamente eterno, ma di fatto collocato nel passato, perche' comunica con il presente tramite la reminiscenza e tramite una dinamica di memoria e oblio, induce chi crede in esso a credere che il passato sia migliore del presente e che un futuro desiderabile coincida con un ritorno al passato, soprattutto come dimensione temporale del teoreticamente contemplabile e quindi del noto; il paradiso cristiano e' anche, e' un mondo dietro il mondo teoricamente eterno, ma di fatto collocato nel futuro, quantomeno perche' e' concepito per essere un luogo di gioia perenne e non di gioia eterna, non esclude a priori la memoria del male, realizza il bene come possibilita' della liberta', e quindi concede al concetto di un "futuro desiderabile" quel briciolo di indeterminatezza che consente ancora di identificarlo come un "vero" futuro.

Per concludere, anche se non si ammette che la sofferenza sia utile in quanto costitutiva del desiderio del bene, rimane il fatto che essa e' costitutiva del desiderio del divenire: chi soffre vuole liberarsi dalla sua sofferenza ad ogni costo e con ogni mezzo, e spesso anche, in un mondo competitivo,  a scapito degli altri, ovvero se pure nella sua sofferenza chi soffre non invoca il bene come possibilita' etica o esistenziale, comunque invoca il divenire in quanto tale e il flusso del tempo come non ripetizione dell'identico.

Quindi la sofferenza, rispetto alla domanda sulla sua utilita' o meno, puo' essere vista sostanzialmente in tre modi:

da una prospettiva di Intellettualismo etico come cio' che non serve a niente se non, al limite, di lezione, per evitarla in futuro, come cio' che, semplicemente, insegna qualcosa a caro prezzo.

da una prospettiva piu' stoica come cio' che fa desiderare e concepire razionalmente il bene e ne e' contraltare necessario, insomma come una possibile memoria storica e una possibile consapevolezza non agente, e quindi non colpevole, del male,

E infine, da una prospettiva evoluzionistico-nichilista come cio' che fa desiderare, se non il bene morale, quantomeno sicuramente il divenire, la fortuna e l'aguzzarsi dell'ingegno del vivente  in quanto tale, la non fissazione su un impossibile desiderio di staticita' e conservazione, che e' consona alla totalita' e al ritmo di un mondo diveniente.

Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

daniele22

Citazione di: niko il 04 Febbraio 2022, 12:54:42 PM
Citazione di: ricercatore il 01 Febbraio 2022, 11:11:57 AM
Citazione di: bobmax il 01 Febbraio 2022, 10:28:49 AM
Niente è inutile.

Nemmeno la sofferenza.
Neppure l'orrore più assurdo.

Supporre che nella vita vi sia qualcosa di inutile, che potrebbe cioè non esserci perché senza scopo, rende vana la ricerca spirituale.

"inutile" è la parola che viene da usare dopo che capisci (o credi di aver capito) determinate cose.
ma, effettivamente non è inutile, forse l'opposto: è stato "utile" per farmi capire, "utile" per farmi rendere conto, "utile" per spingermi al cambiamento.


La sofferenza non serve solo di lezione per imparare a non soffrire piu' o a soffrire di meno, e' anche cio' che fa apprezzare il bene e la gioia in quanto suoi opposti complementari ineliminabili, come ogni estremita' destra di qualcosa ha sempre un'estremita' sinistra: senza possibilita' di soffrire non ci sarebbe nemmeno felicita', o meglio non ci sarebbe piu' quella consapevolezza di essere felici che rende piena la felicita', conspevolezza che si acquisisce solo avendo sofferto.

Quindi e' vero che la sofferenza passata e' irreversibile a causa dell'inaccessibilita' del passato alla tecnica e alla volonta' di trasformazione dell'oggetto in generale, ma e' anche vero che l'uomo, se potesse, ben volentieri "translerebbe" tutta la possibile sofferenza del suo mondo nel passato, al ben condivisibile scopo di non averne piu' nel presente e nel futuro.
Dunque la sofferenza irreversibile perche' passata e' anche la sofferenza collocata nella dimensione temporale in cui l'uomo, potendo scegliere, collocherebbe la sua sofferenza, paradossalmente proprio al fine di renderla reversibile.

Questo e' un possibile modo di vedere la liberazione, insomma il desiderio umano di "raggiungere" il paradiso, nell'utopia storica o nel dopo-morte, e' il desiderio di una perennita' di gioia da un certo punto in poi e non di un'eternita' temporale di gioia, quindi e' gia' un modo piu' realistico e piu' "accettante" da parte dell'uomo di fare i conti con la propria sofferenza, rispetto al sottostante, e per certi versi  alternativo, desiderio "brutale" di volerla eliminare del tutto, anche dal passato e quindi dalla memoria.

Insomma, voler essere "senza memoria di sofferenza", in un'eterna primavera, e quindi in condizioni di godere di una gioia concepibile pienamente come eterna e non solo come perenne, oppure voler essere  portatori di una "memoria della sofferenza" che pero' non infici e non rovini la gioia, voler essere in un'estate della liberazione, sono due atteggiamenti psicologici solo apparentemente simili, ma in realta' sottilmente differenti.

E nel passaggio tra l'uno e l'altro di questi atteggiamenti si consuma il passaggio da un pensiero della decadenza, in cui proprio perche' il male e' posto come esistente e irreversibile, di logica conseguenza,  il passato e' visto come migliore del futuro, a un pensiero dell'eskaton e delle cose ultime, in cui il futuro e' posto come migliore del passato, perche', proprio nell'irreversibilita' temporale del male si  vuole vedere la possibilita' del suo tramonto e della sua irriproducibilita', la sua possibilita' di essere un punto, o meglio un tratto, esteso ma finito, divisivo del tempo stesso.

L'iperuranio platonico e' un modo dietro il mondo teoricamente eterno, ma di fatto collocato nel passato, perche' comunica con il presente tramite la reminiscenza e tramite una dinamica di memoria e oblio, induce chi crede in esso a credere che il passato sia migliore del presente e che un futuro desiderabile coincida con un ritorno al passato, soprattutto come dimensione temporale del teoreticamente contemplabile e quindi del noto; il paradiso cristiano e' anche, e' un mondo dietro il mondo teoricamente eterno, ma di fatto collocato nel futuro, quantomeno perche' e' concepito per essere un luogo di gioia perenne e non di gioia eterna, non esclude a priori la memoria del male, realizza il bene come possibilita' della liberta', e quindi concede al concetto di un "futuro desiderabile" quel briciolo di indeterminatezza che consente ancora di identificarlo come un "vero" futuro.

Per concludere, anche se non si ammette che la sofferenza sia utile in quanto costitutiva del desiderio del bene, rimane il fatto che essa e' costitutiva del desiderio del divenire: chi soffre vuole liberarsi dalla sua sofferenza ad ogni costo e con ogni mezzo, e spesso anche, in un mondo competitivo,  a scapito degli altri, ovvero se pure nella sua sofferenza chi soffre non invoca il bene come possibilita' etica o esistenziale, comunque invoca il divenire in quanto tale e il flusso del tempo come non ripetizione dell'identico.

Quindi la sofferenza, rispetto alla domanda sulla sua utilita' o meno, puo' essere vista sostanzialmente in tre modi:

da una prospettiva di Intellettualismo etico come cio' che non serve a niente se non, al limite, di lezione, per evitarla in futuro, come cio' che, semplicemente, insegna qualcosa a caro prezzo.

da una prospettiva piu' stoica come cio' che fa desiderare e concepire razionalmente il bene e ne e' contraltare necessario, insomma come una possibile memoria storica e una possibile consapevolezza non agente, e quindi non colpevole, del male,

E infine, da una prospettiva evoluzionistico-nichilista come cio' che fa desiderare, se non il bene morale, quantomeno sicuramente il divenire, la fortuna e l'aguzzarsi dell'ingegno del vivente  in quanto tale, la non fissazione su un impossibile desiderio di staticita' e conservazione, che e' consona alla totalita' e al ritmo di un mondo diveniente.


Ciao niko, non so quanto giovane sei, ma se tu non fossi giovane saresti un volgare mentitore. L'ultima volta che ci siamo parlati, ti avevo dipinto come uno scientista, ma è evidente che sei invece uno scientista umanista. Ti ricordo pure che quando ti ho invitato a rispondere alla domanda che ponevo nel post nr.31 (tematiche filosofiche-La verità questa sconosciuta etc."), tu hai in realtà risposto solo al mio post scriptum. Resta quindi in sospeso la domanda filosofica. Naturalmente si può continuare pure da questo punto in cui ci troviamo ora.
Tutto il tuo discorso porta avanti la tua mentalità scientista, la quale non offrirebbe una via di liberazione tramite il passato, bensì ne offrirebbe una potenziale rivolgendosi al futuro.
Bisogna quindi vedere chi (e qui mi riferisco al fatto che sei giovane) gestirebbe le informazioni che ci hanno portato alla potenziale grande conquista della scienza.
C'è una lancia però che io spezzo a favore della storia. Poiché sarebbe svelando il graal della conoscenza a livello filosofico che tu otterresti in un sol colpo quello che desideri dalla scienza di domani

iano

#53
Citazione di: daniele22 il 08 Febbraio 2022, 09:40:18 AM
C'è una lancia però che io spezzo a favore della storia. Poiché sarebbe svelando il graal della conoscenza a livello filosofico che tu otterresti in un sol colpo quello che desideri dalla scienza di domani
Questa smania di liberazione è una cosa tutta umana, che accomuna l'uomo di oggi a quello di ieri, e presumibilmente a quello di domani, ma solo finché restiamo dentro orizzonti spaziali   e temporali limitati.
Infatti se andiamo abbastanza indietro nel passato non c'è alcun uomo, e presumibilmente lo stesso avverrà andando nel futuro.
Possiamo dire umanità un insieme di esseri viventi limitato in uno spazio presente , e in un limitato arco temporale. La natura dell'uomo sta dentro questo limiti spaziali e temporali convenzionali.
Quindi per capire meglio dovremmo aggiungere al passato presente e futuro gli archi di tempo limitati.
Chiamiamolo tempo presente allargato in cui si possa definire e rilevare una umanità.
Allargando  ancora di più l'orizzonte spaziale e temporale io non vedo insiemi di esseri viventi cui si possa dare per distinguerli ancora un nome con precisione, e non vedo cosa nominabile  di cui la natura non si libererà come si è già liberata.
Quindi Daniele, dove facciamo iniziare la storia passata andando alla ricerca del sacro graal?
Di cosa ci possiamo veramente liberare se non di noi stessi agevolando la natura nel suo lavoro?
La filosofia conduce alla conoscenza di se stessi, cioè a vedere a un certo momento, come se in quel momento iniziasse la storia, quello che abbiamo avuto sempre sotto il naso.
Così ad un certo punto arriviamo alla conoscenza delle leggi naturali, applicandole, cioè a fare quello che facevamo prima,  senza conoscerle, indistinti senza ancora un nome, confusi in un contesto naturale.


Immagino tu voglia dunque iniziare dal momento in cui il verbo si fece uomo.
Dai tempi in cui iniziò la conoscenza, e che ancora durano, e che tu vorresti acchiappare in un sol colpo.


Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

Come un sacro graal da bere in un fiato.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#55
@Freedom.
Sicuramente il cristianesimo introduce una nuova visione del mondo, ed è una prova affermata che delle vecchie visioni ci si può liberare.
È inevitabile, ma anche fuorviante, distinguere le varie fasi di liberazione, perdendone la visione unitaria.
Si rischia così di diventar faziosi, tifando per una fase o per l'altra, ma a ben vedere la liberazione non è mai finita, se  mai è iniziata.
Nell'idea di liberazione vi è un profondo paradosso, che ciò che si libera rimanga ancora tale, perché è l'uomo a liberarsi.
Un paradosso di verso opposto, che ancora meno ci aiuta a capire, è che ad ogni liberazione esista un uomo tutto nuovo non più in continuità col passato.
Certo, la scienza nasce come negazione della magia e dell'autorità, ma non si può sperare di capirne l'essenza se non considerandole con quelle ancora in continuità .
Ogni figlio cresce negando il padre, per giungere poi alla conclusione che il padre aveva ragione.
Se la natura non risponde a formule magiche risponde però a formule scientifiche, e le due cose a me, a ben guardare non sembrano una meno astrusa dell'altra.
Sarebbe stata possibile la rivoluzione scientifica senza l'epoca della magia ?
Sarebbe stato possibile il cristianesimo senza non so' cosa?
Dillo tu Freedom.
Tu vorresti sapere cosa il cristianesimo renderà' possibile.
Cosa sarà che già in esso è.
Magari come nell'esempio della magia e della scienza, c'è una formula da salvare.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

daniele22

Citazione di: iano il 09 Febbraio 2022, 02:10:10 AM
Citazione di: daniele22 il 08 Febbraio 2022, 09:40:18 AM
C'è una lancia però che io spezzo a favore della storia. Poiché sarebbe svelando il graal della conoscenza a livello filosofico che tu otterresti in un sol colpo quello che desideri dalla scienza di domani
Questa smania di liberazione è una cosa tutta umana, che accomuna l'uomo di oggi a quello di ieri, e presumibilmente a quello di domani, ma solo finché restiamo dentro orizzonti spaziali   e temporali limitati.
Infatti se andiamo abbastanza indietro nel passato non c'è alcun uomo, e presumibilmente lo stesso avverrà andando nel futuro.
Possiamo dire umanità un insieme di esseri viventi limitato in uno spazio presente , e in un limitato arco temporale. La natura dell'uomo sta dentro questo limiti spaziali e temporali convenzionali.
Quindi per capire meglio dovremmo aggiungere al passato presente e futuro gli archi di tempo limitati.
Chiamiamolo tempo presente allargato in cui si possa definire e rilevare una umanità.
Allargando  ancora di più l'orizzonte spaziale e temporale io non vedo insiemi di esseri viventi cui si possa dare per distinguerli ancora un nome con precisione, e non vedo cosa nominabile  di cui la natura non si libererà come si è già liberata.
Quindi Daniele, dove facciamo iniziare la storia passata andando alla ricerca del sacro graal?
Di cosa ci possiamo veramente liberare se non di noi stessi agevolando la natura nel suo lavoro?
La filosofia conduce alla conoscenza di se stessi, cioè a vedere a un certo momento, come se in quel momento iniziasse la storia, quello che abbiamo avuto sempre sotto il naso.
Così ad un certo punto arriviamo alla conoscenza delle leggi naturali, applicandole, cioè a fare quello che facevamo prima,  senza conoscerle, indistinti senza ancora un nome, confusi in un contesto naturale.


Immagino tu voglia dunque iniziare dal momento in cui il verbo si fece uomo.
Dai tempi in cui iniziò la conoscenza, e che ancora durano, e che tu vorresti acchiappare in un sol colpo.


La mia liberazione iano l'ho raggiunta già da mo'. Ora, con spirito egoistico altruista, vorrei mettere in luce il metro di Protagora. Non sono interessato ai distinguo tra mammiferi ed altre specie, famiglie, ordini, sottordini, philum e tutta la congerie della classificazione tassonomica. Non sono più che altro interessato, senza farne quindi una manìa, a questo mondo di merda, ci sguazzo benissimo. Solo mi infastidiscono assai le persone che vorrebbero una società migliore, rendendosi evidentemente conto di dove vivono, e che tirano indietro il culo di fronte ad un dialogo. Non è concesso di offendere le persone, ma lo farei volentieri di buon grado. Tanta bieca ignoranza merita solo indignazione e insulti

niko

#57
Citazione di: daniele22 il 08 Febbraio 2022, 09:40:18 AM
Citazione di: niko il 04 Febbraio 2022, 12:54:42 PM
Citazione di: ricercatore il 01 Febbraio 2022, 11:11:57 AM
Citazione di: bobmax il 01 Febbraio 2022, 10:28:49 AM
Niente è inutile.

Nemmeno la sofferenza.
Neppure l'orrore più assurdo.

Supporre che nella vita vi sia qualcosa di inutile, che potrebbe cioè non esserci perché senza scopo, rende vana la ricerca spirituale.

"inutile" è la parola che viene da usare dopo che capisci (o credi di aver capito) determinate cose.
ma, effettivamente non è inutile, forse l'opposto: è stato "utile" per farmi capire, "utile" per farmi rendere conto, "utile" per spingermi al cambiamento.


La sofferenza non serve solo di lezione per imparare a non soffrire piu' o a soffrire di meno, e' anche cio' che fa apprezzare il bene e la gioia in quanto suoi opposti complementari ineliminabili, come ogni estremita' destra di qualcosa ha sempre un'estremita' sinistra: senza possibilita' di soffrire non ci sarebbe nemmeno felicita', o meglio non ci sarebbe piu' quella consapevolezza di essere felici che rende piena la felicita', conspevolezza che si acquisisce solo avendo sofferto.

Quindi e' vero che la sofferenza passata e' irreversibile a causa dell'inaccessibilita' del passato alla tecnica e alla volonta' di trasformazione dell'oggetto in generale, ma e' anche vero che l'uomo, se potesse, ben volentieri "translerebbe" tutta la possibile sofferenza del suo mondo nel passato, al ben condivisibile scopo di non averne piu' nel presente e nel futuro.
Dunque la sofferenza irreversibile perche' passata e' anche la sofferenza collocata nella dimensione temporale in cui l'uomo, potendo scegliere, collocherebbe la sua sofferenza, paradossalmente proprio al fine di renderla reversibile.

Questo e' un possibile modo di vedere la liberazione, insomma il desiderio umano di "raggiungere" il paradiso, nell'utopia storica o nel dopo-morte, e' il desiderio di una perennita' di gioia da un certo punto in poi e non di un'eternita' temporale di gioia, quindi e' gia' un modo piu' realistico e piu' "accettante" da parte dell'uomo di fare i conti con la propria sofferenza, rispetto al sottostante, e per certi versi  alternativo, desiderio "brutale" di volerla eliminare del tutto, anche dal passato e quindi dalla memoria.

Insomma, voler essere "senza memoria di sofferenza", in un'eterna primavera, e quindi in condizioni di godere di una gioia concepibile pienamente come eterna e non solo come perenne, oppure voler essere  portatori di una "memoria della sofferenza" che pero' non infici e non rovini la gioia, voler essere in un'estate della liberazione, sono due atteggiamenti psicologici solo apparentemente simili, ma in realta' sottilmente differenti.

E nel passaggio tra l'uno e l'altro di questi atteggiamenti si consuma il passaggio da un pensiero della decadenza, in cui proprio perche' il male e' posto come esistente e irreversibile, di logica conseguenza,  il passato e' visto come migliore del futuro, a un pensiero dell'eskaton e delle cose ultime, in cui il futuro e' posto come migliore del passato, perche', proprio nell'irreversibilita' temporale del male si  vuole vedere la possibilita' del suo tramonto e della sua irriproducibilita', la sua possibilita' di essere un punto, o meglio un tratto, esteso ma finito, divisivo del tempo stesso.

L'iperuranio platonico e' un modo dietro il mondo teoricamente eterno, ma di fatto collocato nel passato, perche' comunica con il presente tramite la reminiscenza e tramite una dinamica di memoria e oblio, induce chi crede in esso a credere che il passato sia migliore del presente e che un futuro desiderabile coincida con un ritorno al passato, soprattutto come dimensione temporale del teoreticamente contemplabile e quindi del noto; il paradiso cristiano e' anche, e' un mondo dietro il mondo teoricamente eterno, ma di fatto collocato nel futuro, quantomeno perche' e' concepito per essere un luogo di gioia perenne e non di gioia eterna, non esclude a priori la memoria del male, realizza il bene come possibilita' della liberta', e quindi concede al concetto di un "futuro desiderabile" quel briciolo di indeterminatezza che consente ancora di identificarlo come un "vero" futuro.

Per concludere, anche se non si ammette che la sofferenza sia utile in quanto costitutiva del desiderio del bene, rimane il fatto che essa e' costitutiva del desiderio del divenire: chi soffre vuole liberarsi dalla sua sofferenza ad ogni costo e con ogni mezzo, e spesso anche, in un mondo competitivo,  a scapito degli altri, ovvero se pure nella sua sofferenza chi soffre non invoca il bene come possibilita' etica o esistenziale, comunque invoca il divenire in quanto tale e il flusso del tempo come non ripetizione dell'identico.

Quindi la sofferenza, rispetto alla domanda sulla sua utilita' o meno, puo' essere vista sostanzialmente in tre modi:

da una prospettiva di Intellettualismo etico come cio' che non serve a niente se non, al limite, di lezione, per evitarla in futuro, come cio' che, semplicemente, insegna qualcosa a caro prezzo.

da una prospettiva piu' stoica come cio' che fa desiderare e concepire razionalmente il bene e ne e' contraltare necessario, insomma come una possibile memoria storica e una possibile consapevolezza non agente, e quindi non colpevole, del male,

E infine, da una prospettiva evoluzionistico-nichilista come cio' che fa desiderare, se non il bene morale, quantomeno sicuramente il divenire, la fortuna e l'aguzzarsi dell'ingegno del vivente  in quanto tale, la non fissazione su un impossibile desiderio di staticita' e conservazione, che e' consona alla totalita' e al ritmo di un mondo diveniente.


Ciao niko, non so quanto giovane sei, ma se tu non fossi giovane saresti un volgare mentitore. L'ultima volta che ci siamo parlati, ti avevo dipinto come uno scientista, ma è evidente che sei invece uno scientista umanista. Ti ricordo pure che quando ti ho invitato a rispondere alla domanda che ponevo nel post nr.31 (tematiche filosofiche-La verità questa sconosciuta etc."), tu hai in realtà risposto solo al mio post scriptum. Resta quindi in sospeso la domanda filosofica. Naturalmente si può continuare pure da questo punto in cui ci troviamo ora.
Tutto il tuo discorso porta avanti la tua mentalità scientista, la quale non offrirebbe una via di liberazione tramite il passato, bensì ne offrirebbe una potenziale rivolgendosi al futuro.
Bisogna quindi vedere chi (e qui mi riferisco al fatto che sei giovane) gestirebbe le informazioni che ci hanno portato alla potenziale grande conquista della scienza.
C'è una lancia però che io spezzo a favore della storia. Poiché sarebbe svelando il graal della conoscenza a livello filosofico che tu otterresti in un sol colpo quello che desideri dalla scienza di domani




Io parlavo dell'utilita' o meno della sofferenza, e volevo osservare come la sofferenza non serve solo di lezione, proprio perche' ci sono modi possibili di concepire la liberazione nei quali la memoria della sofferenza e della morte e' strutturalmente intrinseca e non accidentale, non solo un incidente di percorso.


Se si volessero definire meglio da un punto di vista storico e filosofico questi modi possibili della liberazione in cui la sofferenza e' ben piu' di una semplice lezione, ho suggerito innanzitutto di guardare a tutte quelle forme di utopia in cui la felicita' promessa dall'utopia stessa e' perenne (ex nunc) e non eterna (ex tunc, per usare delle formule tipiche del latino giuridico), quindi il sogno umano del classico paradiso cristiano o islamico dopo la morte; ma anche l'utopia scientista, o socialista: tutte le volte che la felicita' desiderata da un uomo, nella grande storia del pensiero come nelle piccole vicende di ogni vita, e' posta come perenne e non come eterna, si esce da un'Intellettualismo etico in cui la sofferenza serve solo di lezione, verso un uso piu' maturo, e realistico, della sofferenza ai fini della felicita'. Quantomeno perche' la perennita' desiderata implica che la memoria del male passato, la memoria di morte, non e' piu' solo la lezione da non ripetere in futuro, ma il punto di svolta in cui si crede di poter dividere il tempo: non c'e' altro modo per conoscere il bene che conoscere anche il male, la "lezione" che il male sarebbe, messe cosi' le cose, non e' piu' contingente, ma necessaria. La sofferenza non e'  "una delle tante vie" ,alla felicita', ma l'unica possibile, e, se si definisce la via che porta alla felicita' come l'intera linea temporale che muta dal male al bene, il ruolo costitutivo del male radicato nel concetto stesso di "bene" non potrebbe essere piu' innegabile.


Come dire che si deve essere stati bassi per diventare alti, o magri per diventare grassi, e qui l'attenzione non e' piu' posta sull'essere, del bene e della felicita', ma sul divenire che porta a quell'essere, e nel divenire e' incluso l'essere del contrario di quello che si vuole diviene.


Certo si puo' obiettare che non esistono felicita' perenni come non esistono felicita' eterne, ma a me interessava mostrare come si compie un passaggio, e come la lamentela tecno-nichilista, ma anche la storicamente precedente lamentazione "sensodicolpista" cristiana, per cui il passato e' inattingibile alla volonta' e questo e' un problema , e' assurda, se ci si ferma un attimo a pensare che ogni utopia, da quella cristiano-millenarista in poi, non fa altro che mobilitare la volonta' umana allo scopo di trasferire
tutta la sofferenza nel passato, allo scopo di non soffrire piu' pur venendo a patti con la realta' innegabile dell'aver finora sofferto; quindi l'irreversibilita' del passato, che coscientemente viene vissuta come problematica da chi prova colpa nel presente e cerca riscatto nel futuro, in realta'  , a ben guardare, non e' solo il problema da cui "salvarsi" , ma e' anche la risorsa, e il "dispositivo" temporale, che si cerca di far funzionare a vantaggio dell'utopia, come se, alla "natura" dell'irreversibilita' del passato, nell'utopia si comandasse solo obbedendole.


Ci fa scomodo che il passato sia irreversibile per tutti i sensi colpa e i fantasmi che "contiene", ma allo stesso tempo ci fa comodo che lo sia, come deposito di tutto cio' che vogliamo intenzionalmente definire come irreversibile, di tutto cio' che nel presente odiamo e vogliamo non torni piu' al fine della realizzazione della nostra presunta felicita', sensi di colpa e fantasmi compresi.

Il passato e' il luogo della visione nitida, teoretica, e' il luogo tipico della coscienza; voler sapere tutto, voler assistere alla completa rivelazione di cio' che finora non si sa, in realta' e' voler passatificare tutto, voler trasferire tutto nel luogo della coscienza, e dunque del passato.


La primavera nella mia metafora dell'altro post,  rappresentava l'innocenza di chi vuole essere libero dal male anche nella memoria, l'estate la condizione di chi vuole essere felice nonostante, e anzi grazie, alla memoria del male: è chiaro che io la liberazione in senso stretto la colloco nell'estate, e volevo appunto dire che la liberazione non e' tutto, ma solo una parte, dell'insieme piu' grande dei modi per definire la felicita'.


Quello che voglio dire e' che una felicita' eterna, se perduta, e' per definizione perduta per sempre, e anzi non e' mai stata, perche' il suo non essere eterna e' il suo non essere; da questo punto di vista ci si salva dal male solo se ci si autoconvince di non averla mai perduta, questa felicita' primaverile, solo se davanti alla possibilita' terrorizzante di averla perduta e dunque di non averla mai avuta si reagisce per negazione trincerandosi nel passato, il luogo non di un progresso o di una conquista, che qui non e' desiderata, ma della semice negazione di una perdita; viceversa una felicita' perenne, o anche solo durevole, puo' iniziare lungo la linea del tempo , la sua assenza non implica la sua impossibilita', ma per questo fatto stesso, il desiderio di essa porta a sopravvalutare il futuro a danno del presente e del passato: la primavera e l'estate sono due illusioni a confronto, ma non sono uguali, non sono la stessa illusione.


Per liberarsi da tutte e due bisognerebbe avere la forza di affermare che passato e futuro sono uguali, valutativamente uguali a prescindete dalle loro differenze apparenti perche' entrambi oggetto della volonta' , l'uno nella sua immodificabilita' l'altro nella sua indeterminazione, (quindi la volonta' se non li conquista entrambi muore in entrambi, in uno come volonta' operativa e riflessiva, e' il passato, se lo vuole singolarmente la volonta' non puo' mai cambiare, nell'altro come volonta' di oggetto, ed e' il futuro, se lo vuole singolarmente la volonta' non puo' mai volere) insomma volere l'eterno ritorno, e non volere il passato e il futuro definitivamente differenti, come due luoghi definitivi uno della realta' e l'altro del desiderio, in cui collocare in uno un mondo e nell'altro un mondo dietro il mondo, in quanto termini di una differenza.

Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

daniele22

Citazione di: niko il 09 Febbraio 2022, 10:59:49 AM

Per liberarsi da tutte e due bisognerebbe avere la forza di affermare che passato e futuro sono uguali, valutativamente uguali a prescindete dalle loro differenze apparenti perche' entrambi oggetto della volonta' , l'uno nella sua immodificabilita' l'altro nella sua indeterminazione, (quindi la volonta' se non li conquista entrambi muore in entrambi, in uno come volonta' operativa e riflessiva, e' il passato, se lo vuole singolarmente la volonta' non puo' mai cambiare, nell'altro come volonta' di oggetto, ed e' il futuro, se lo vuole singolarmente la volonta' non puo' mai volere) insomma volere l'eterno ritorno, e non volere il passato e il futuro definitivamente differenti, come due luoghi definitivi uno della realta' e l'altro del desiderio, in cui collocare in uno un mondo e nell'altro un mondo dietro il mondo, in quanto termini di una differenza.
Anche se qualche passaggio non mi è chiarissimo mi sembra che siamo sulla stessa onda. Tanto per chiarire ti riporto il primo post che feci entrando nel forum il cui tema era la coscienza degli animali:
"Ho letto il problema posto da Socrate. Secondo me gli animali sanno benissimo quel che fanno. Certo, agiscono d'istinto, ma nessuno ha mai dimostrato che noi non lo facciamo. Potrebbe benissimo essere che noi d'istinto ci si rivolga alla ragione, e questa, di conseguenza, moduli nei modi più convenienti l'istinto selvaggio. Se si prova a immaginare un mondo senza regole orali o scritte, probabilmente anche noi vivremmo di puro istinto."
Certo si può cavillare sul termine "ragione", ma la sostanza è chiara e per me resta tale.
Ritoccherei pertanto la parte del tuo pensiero sostituendo "valutativamente" con "fenomenologicamente".
Pertanto l'unica oggettività del reale sta nel fenomeno. Nel fenomeno non si scorgono però i dettagli, ma solo la sua estensione spazio temporale. Assomiglia in questo un po' alla matematica


ricercatore

Riesumo il post perché nelle mie ricerche ogni tanto trovo qualcosa di interessante.
Il Codex Bezae Cantabrigensis è un Vangelo datato 380-420 nel quale è riportato questo episodio su Gesù.
Lo traduco dall'inglese all'italiano perché non l'ho trovato nella nostra lingua.

In quel tempo Gesù camminava per la strada di Sabato, ovvero nel giorno di riposo sacro per gli ebrei dove non è ammesso alcun tipo di lavoro.
Vede un pastore in un burrone che cerca di salvare una sua pecora che ci era caduta dentro.
Considerato il caldo del deserto, se la pecora fosse rimasta lì tutto il giorno sarebbe certamente morta.
Gesù guarda il pastore e dice:
«Uomo! Se sai cosa stai facendo, sei benedetto! Ma se non lo sai, sei maledetto e trasgressore della Legge.».
Detto questo, riprese a camminare lungo la strada.

La Legge esiste per una fase iniziale della vita, per "il bambino", per lo stadio del "cammello" di Nietzsche (le 3 metamorfosi).
Arriva un tempo in cui sei chiamato dalla Vita (da Dio) a "superare" la Legge.

A me sembra che Gesù invitasse a raggiungere lo stadio del "fanciullo" di Nietzsche, superando la Legge ebraica, superando la fase del "cammello".
A me sembra che Gesù si rivolga agli "adulti" e promuova la crescita in questa direzione.

In altre parole.
Se io non sono un musicista esperto e mi metto a fare il fenomeno andando fuori degli schemi musicali standard in nome di una presunta creatività, sono solamente uno sciocco ridicolo:pretendo di divenire "fanciullo" senza passare per il "cammello".
Solo se sono un musicista esperto posso permettermi di andare fuori dagli schemi ed innovare.
E in realtà sono chiamato a farlo.

In altre parole ancora.
Quando si sente l'espressione "pensa con la tua testa!" devi prima costruirla una tua testa.
E lo fai nutrendoti dalle teste degli altri, dei maestri.
Quando sei "sazio" delle idee dei maestri, allora puoi superarli.
Sei chiamato a farlo, da "Dio", dalla Vita.
Sei chiamato ad arricchire l'Umanità.