La mèta è camminare

Aperto da Angelo Cannata, 07 Luglio 2017, 01:24:13 AM

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Angelo Cannata

Non è difficile armonizzare le cose, concependo la meta escatologica come un camminare che finalmente non sia come quello che sperimentiamo su questa terra, cioè continuamente disturbato, interrotto, zoppicante, a singhiozzi (anche nel senso di vero e proprio pianto causato dalle sofferenze), ma, al contrario, spedito, armonico, costellato di soddisfazioni, progressi appaganti, scoperta di ulteriori orizzonti sempre nuovi e sempre più belli dei precedenti, facili da raggiungere e da condividere con gli altri. Per me una vita così sarebbe veramente degna di essere chiamata paradiso, piuttosto che un paradiso fatto di eterna visione beatifica, che non mi sembra altro che una paralisi totale, cioè, in fondo, l'essere morti.

Apeiron

@Sariputra: "Trenta raggi si uniscono in un solo mozzonel suo non-essere si ha l'utilità del carro, impasta l'argilla per fare un vaso nel suo non-essere si ha l'utilità del vaso, aprono porte e finestre per fare una casa nel suo non-essere si ha l'utilità della casa. Perciò l'essere costituisce l'oggetto il non-essere costituisce l'utilità." (Tao Te Ching, 11) Mi hai ricordato queste parole del Tao Te Ching. In sostanza si potrebbe dire che "Giorgio"="manifestazione temporanea della Vita" e in questo senso si trova il valore di "Giorgio". E in questo modo si trova il valore di Giorgio: quale "incarnazione" (mi perdonino i cristiani di questo forum, non sapevo che parola migliore utilizzare  ;D ) della Vita stessa (ammettendo che coincida col Bene). In questo modo abbiamo che posso amare, rispettare ecc "Giorgio" perchè innanzitutto amo la "Vita" e quindi posso amare anche "Giorgio" quale sua "manifestazione", considerando però il corpo, la coscienza... (i cinque "skhandas") come contenitori "vuoti" del "processo vitale". Adesso capisco perchè taoismo e buddismo vengono considerati simili. E questa visione d'altronde è simile alla citazione Zen che ha trovato Angelo.

@Angelo Cannata: sì ti posso capire che il mio pensiero ti sembra un "miscuglio" di varie prospettive. Però a mio giudizio è in realtà importante anche farsi questa domanda in ogni visione "filosofica" che comprende una visione convenzionale e una visione ultima. Se la visione "ultima" è l'anatta, l'inesistenza di ogni persona ecc puoi capire che attenendosi a questa visione anche nella natura etica si va a finire in un "nichilismo" abbastanza pericoloso, nel quale "trascendi" tutto il mondo e "te ne sbatti" (perdona il termine) di tutti gli esseri, che tanto sono mere illusioni.  Oppure divieni pietoso e "aiuti l'altro" pensando: "povero pirla, se sapesse che il suo "io" è una mera illusione non starebbe qua a lagnare e invece NO è qua ad ostacolare il mio cammino verso l'illuminazione". Per evitare il conflitto propongo questa "visione": la Vita è una rete di nodi (i soggetti)o un "concerto" con molti musicisti (e ogni musicista è un io). Ogni soggetto per quanto "impermanente" egli sia ha valore ed è chiamato a dare il suo contributo nella "musica cosmica". Fare del male significa "rovinare" l'armonia.

@Angelo: purtroppo quello che dici tu sulla visione "beatifica" puoi estenderlo a molte altre tradizioni, non solo quelle che contemplano la visione beatifica. Nel buddismo il Parinirvana (il completo nirvana dopo la morte) è descritto come "il raffreddamento" del processo vitale. Quindi in un certo senso la Vita se si "liberano" tutti gli esseri si "raffredda", si "congela", il samsara termina. Nel taoismo si parla di "raggiungere la massima tranquillità" (ad esempio nella pratica dello zuowang ci si "siede e si dimentica"). In alcune scuole indù l'obbiettivo è il raggiungimento dell'unione con Brahman, massima quiete ecc. Ergo: nelle religioni sembra proprio che sia la fine del processo l'obbiettivo, non il suo continuare. Il cammino viene visto come una sorta di "incapacità di riposare" e per raggiungere il "riposo", la calma ecc devi rinunciare a te stesso, al desiderio personale ecc. Nella mia visione invece (ossia della "rete con i nodi") do importanza anche alla vita individuale, quale espressione limitata della "Vita Eterna" (se la possiamo chiamare così). Il cammino e la vita non è una cosa dalla quale fuggire, non è una cosa da "bloccare" ma è importante camminare trovando l'armonia. In questo modo do importanza sia al cammino individuale che a quello "cosmico": siamo per così dire personaggi necessari nella "trama" del Libro della Vita (non so come mi sia uscita). Quindi va bene l'anatta, va bene considerarsi parte dell'Io cosmico o una manifestazione del Tao ma allo stesso tempo è importante valorizzare il cammino degli individui e non cercare solo "il raffreddamento, il termine, la fine del processo".  Una cosa come questa secondo me è la "via di mezzo" tra una visione ultima (in cui i vari "io" sono temporanei e in un certo senso "illusori") e una visione "concreta".   
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Phil

Citazione di: Angelo Cannata il 09 Luglio 2017, 03:36:06 AM
Leggendo un articoletto sul Buddhismo (Garzantina sulle religioni) ho trovato quest'affermazione interessante:

Nello Zen non c'è meta o meglio l'esercizio spirituale, cioè la via, coincide con la meta.
Mi sembra che nello zen, in generale, il nirvana sia considerato una condizione, non un posto (né un post-mortem come tende a pensare la nostra tradizione "dantesca" ;D ), al punto che (ma qui vado a memoria, diffidate!) qualche maestro zen ritenesse che samsara-nirvana fossero la stessa identica realtà (unica) solamente vissuta in modo differente (dall'illuminato e dall'illuso-sofferente).

Citazione di: Apeiron il 09 Luglio 2017, 09:42:55 AM
è in realtà importante anche farsi questa domanda in ogni visione "filosofica" che comprende una visione convenzionale e una visione ultima. Se la visione "ultima" è l'anatta, l'inesistenza di ogni persona ecc puoi capire che attenendosi a questa visione anche nella natura etica si va a finire in un "nichilismo" abbastanza pericoloso, nel quale "trascendi" tutto il mondo e "te ne sbatti" (perdona il termine) di tutti gli esseri, che tanto sono mere illusioni. 
Se non c'è attaccamento non c'è pericolo autentico (il nichilismo non è la peste, anzi, secondo me è uno dei sentieri che aiuta ad aprirsi ad altre prospettive, se lo si percorre serenamente  ;) ), il disagio nasce nell'innesto e dal contrasto con la nostra cultura: è necessario pragmaticamente rispettare le regole del "contratto sociale" (di cui "aiutare tutti gli esseri senzienti" è una declinazione), stare al "gioco dei ruoli" su cui si basa la società, ma farlo con la consapevolezza dell'impermanenza e del non-sè (calando la visione "ultima" in quella "convenzionale") può renderlo meno "doloroso" e più "illuminante", anche perché, come diceva il saggio:
https://www.youtube.com/watch?v=UVrI9_yNEgY
e sta a noi, nei limiti degli eventi contingenti, scegliere e cercare la via con cui farlo  :)

Apeiron

@Phil, il Nirvana in tutto il buddismo (non solo lo zen) non è considerato un posto. Piuttosto è considerato uno stato ma...
""Questa Illuminazione è piacevole, amici. Questa Illuminazione è piacevole."
Detto questo, il Ven. Udayin disse al Ven. Sariputta: "Qual è il piacere, mio amico, dove vi è il nulla?"
"Solo quello è il piacere, mio amico: dove vi è il nulla."" http://www.canonepali.net/an-9-34-nibbana-sutta-illuminazione/
Traduzioni in inglese riportano "nessuna sensazione" anziché "nulla". In ogni caso il Nirvana (o piuttosto il Parinirvana, il nirvana dopo la morte) è la fine del samsara, il congelamento del processo della creazione e distruzione degli esseri. Quindi l'obbiettivo del "cammino" pare proprio essere la fine del cammino. Su cosa poi possa essere il Nirvana le opinioni divergono: alcuni dicono la semplice "assenza" (il Nulla), altri lo descrivono come uno stato "al di là del linguaggio", altri come una mente totalmente diversa da quella ordinaria (una mente che è andata oltre/fuori il tempo e lo spazio). Mi pare poi che le tradizioni che parlino delle "terre pure" (simili per certi versi al Paradiso) ritengano comunque anche quello stato impermanente, prima della Liberazione (ossia del "raffreddamento"/congelamento delle sensazioni).
Per quanto riguarda il nichilismo concordo con te è utile, ma come stato temporaneo. Ossia il nichilismo è un processo in cui si "tirano via" tutte le false conoscenze che si crede di avere, i pregiudizi ecc. Fa anch'esso parte del cammino, pur non essendo l'obbiettivo.

@Correggo poi l'espressione usata da me sul "libro della Vita". Non è che siamo "personaggi necessari" in senso ontologico ma per una accurata descrizione della vita siamo "necessari" perchè si deve parlare di noi. Ovviamente mi rendo conto che tutto questo è poesia e che in realtà a livello ultimo il tutto è indescrivibile. Però a mio giudizio una visione come la mia da la possibilità sia di avere la prospettiva "sub specie aeternitatis" (in modo da "elevare" la nostra prospettiva di vita) sia la prospettiva del presente (in modo da non cadere in una sorta di nichilismo).
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Freedom

Citazione di: Angelo Cannata il 07 Luglio 2017, 01:24:13 AM
Un video di 2 minuti e mezzo che esprime ciò che per me è il nocciolo, l'essenza, il fondamento di tutto, della vita, dell'universo, della spiritualità: la mèta è la strada: se stai camminando sei già nella mèta; la Verità non è essere arrivati, ma l'esatto opposto, essere per strada, trovarsi in cammino, essere in ricerca. Finché non smetti di cercare, sei già nell'aver trovato. Se smetti di cercare, puoi star certo di aver perso il trovare, qualunque cosa tu pensi di aver trovato. Jean Louis Ska fu tra i miei professori di Sacra Scrittura molti anni fa, per me è un grande maestro.

https://www.youtube.com/watch?v=Z5jKu1ZUrmc 
La meta é la meta ed é  necessariamente un punto di arrivo. Intermedio o definitivo. Se cerchi cibo o acqua non ti basta cercare ma devi trovare se vuoi sopravvivere. Se cerchi senso o Dio devi trovarli altrimenti la ricerca non ha esito positivo.
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

Apeiron

La meta del cammino è "abbandonarsi alla corrente" (Tao)? Ossia "donare se stessi"? Un cammino che è allo stesso tempo "immobilità"?
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Angelo Cannata

Per ora sono occupato a leggermi con molta comodità tutta la discussione Buddhismo in cui Sariputra ne dà spiegazioni: lo sto trovando interessante. Poi riprenderò il filo della discussione qui.

Angelo Cannata

#22
Ho finito di leggermi la discussione Buddhismo: l'ho trovata molto interessante, molti dei messaggi che ci sono meriterebbero di essere ripresi come spunti per altre discussioni.

Riguardo al filo di questa discussione, mi sorge qualche osservazione: le vie proposte dal Buddhismo presuppongono un tipo di esistenza intesa come male, in quanto sottoposta alle sofferenze derivate dall'attaccamento all'io, e un tipo intesa come bene, in quanto risultato di una fusione dell'io nel nirvana. Ma un'osservazione critica della nostra esperienza umana non mi pone davanti ad alcun universo armonico. Cioè, mi sembra che anche nel nirvana ci sia sofferenza, perché qualunque idea umana e qualunque esperienza umana mi risultano soggette a contraddizioni, violenze, insoddisfazioni. Per dirla in altri termini, a me sembra che ci sia guerra non solo tra gli esseri umani, ma già tra gli atomi di quest'universo.

Da questo punto di vista, quando io dico che la mèta è camminare, non intendo dire che camminare sia un bene o il bene. Allo stesso modo, se spiritualità significa semplicemente vita interiore, ciò non implica che si tratti di un bene o del bene. Si tratta semplicemente di sensibilità, attenzioni, che io amo coltivare perché la mia storia mi ha indotto ad apprezzarle. In questo senso non esiste per me una convenienza su cosa sia meglio fare nella vita, ma soltanto un confronto tra varie sensibilità.

Dico tutto questo non come principio a cui ci si debba attenere, ma come limite che la spiritualità (non le spiritualità) non può superare. Si può fare il paragone con altre arti: per esempio, la musica, intesa come studio generale di quest'arte, non può permettersi di stabilire quale sia la musica bella e quale quella brutta; la musica, in quanto minimo comune denominatore di tutte le musiche, non può dettare, ma solo ascoltare, sintetizzare e riportare; chi detta sono le musiche, ma esse, in quanto particolari, non possono dettare vincoli, ma solo esprimere la loro visione: il jazz non può dettare alla classica le vie da seguire, e lo stesso vale al contrario.

È molto difficile attenersi a questi limiti: io stesso sono nella tentazione continua di proporre le mie idee come il meglio e il bene; riconosco che spesso sono disonesto, cioè sfrutto le ambiguità dei linguaggi per portare acqua a quello che mi sembra essere il mio mulino; ogni tanto cerco di ricordare a me stesso che non è così, cioè che le mie idee non sono né il bene, né il meglio. Ciò fa parte dei miei esercizi spirituali quotidiani.

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