La follia può essere un modo alternativo di percepire il reale?

Aperto da Socrate78, 08 Gennaio 2022, 21:33:14 PM

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Socrate78

Secondo voi la follia (definita sempre in rapporto al concetto relativo di normalità) può essere un modo alternativo di percepire la realtà, in cui la persona ritenuta "folle" in realtà è particolarmente a contatto con se stessa, molto più del soggetto normale? Ad esempio uno schizofrenico che vede cose che non esistono, in realtà potrebbe vedere, materializzandole nelle allucinazioni, le proprie pulsioni inconsce, di conseguenza l'allucinazione non sarebbe così falsa, perché rappresenterebbe la sua realtà interiore e i suoi desideri. Di conseguenza la follia potrebbe anche essere una forma di neuro-diversità in cui si è più a contatto con il proprio inconscio rispetto alla normalità. Curare il folle  significherebbe in questo caso semplicemente spegnere qualcosa che rappresenta una particolarità: ad esempio lo scrittore William Blacke sembra che soffrisse di allucinazioni, ma forse proprio questo aveva dato linfa alla sua ispirazione artistica e forse lo metteva in contatto con un mondo spirituale.
Se si ammette inoltre la possibilità dell'esistenza di realtà spirituali (angeli, demoni, Dio, ecc.) non sarebbe possibile che in realtà almeno qualcuno di questi "folli" sia davvero più in contatto con questo mondo rispetto ai normali, e quindi la sua follia sarebbe in realtà una sorta di sesto senso?

Lo psichiatra e criminologo Vittorino Andreoli, una volta, fece un'analisi della personalità di Santa Teresa d'Avila, definendola affetta da una forma di delirio mistico con tratti schizofrenici: lo psichiatra però parlò da ateo/agnostico, e non tiene in considerazione il fatto che invece Santa Teresa d'Avila, con le sue visioni, le sue estasi, poteva effettivamente essere più in contatto con un mondo spirituale rispetto ad un soggetto definito normale.
Oggi un soggetto come Teresa D'Avila finirebbe sicuramente in un centro di igiene mentale, non sarebbe compreso, poiché la secolarizzazione della società ha fatto sì che determinati fenomeni siano considerati tendenzialmente come un delirio, e non come un reale contatto con la spiritualità.
Anche secondo voi la follia potrebbe essere vista in alcuni casi come una sorta di visione alternativa e geniale del reale, e non solo come patologia?

Ipazia

Il movimento antipsichiatrico del secolo scorso (Laing, Cooper, Jervis,...) ha scritto opere memorabili sulla "ragione" della follia ed in particolare della sua forma più conclamata e mascherata: la schizofrenia.

Magistrale questo estratto da L'io diviso di Ronald Laing. Poesia pura, quella di Giulia.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Jacopus

Non so se sia poesia, Ipazia. La sofferenza di Giulia è una sofferenza abissale. La poesia è per noi che la ascoltiamo al di fuori, ma lei è una persona spezzata. L'odio degli altri si può sopportare ma l'odio dei tuoi genitori ti può immergere in quel non-mondo che è la malattia mentale.
Rispetto al discorso di Socrate, direi che la la schizofrenia e qualsiasi altra malattia mentale, sono effettivamente un modo diverso di vedere la realtà. Anche il depresso o il bipolare o l'ossessivo vedono una realtà diversa da quella del cosiddetto "normale". La grande differenza fra questi disturbi e la schizofrenia è il mantenimento del senso della realtà condivisibile con il prossimo. Nello schizofrenico il senso della realtà collassa per aprirsi a un mondo che non esiste nella realtà. E' la stessa cosa che fanno gli artisti d'altronde, creare un mondo che non esiste. E la connessione fra arte e follia non è certo peregrina. Molti artisti non hanno fatto altro che curarsi creando opere d'arte, perchè altrimenti sarebbero sprofondati nella stessa condizione di Giulia.


I pensieri mistici sono molto comuni nelle persone affette da questi disturbi. Basti pensare al famoso caso del presidente Schreber, analizzato prima da Freud e sotto una diversa ottica anche da Canetti. Il più delle volte il loro malessere nasce da situazioni di maltrattamenti intrafamiliari e con maltrattamenti intendo incesto padre-figlia, violenze fisiche e psicologiche, abbandono e mancanza di cure primarie, oppure ambivalenze dei genitori, che oscillano da momenti di grande amore a momenti di grande disprezzo. Questo tipo di relazioni familiari mina la fiducia verso il mondo e alimenterà il sospetto che gli altri siano "l'inferno". Allora la soluzione è quella di cercare una realtà alternativa, paradisiaca, angelica, che ci protegga da questo mondo che ci ha così potentemente deluso. Le stesse dinamiche si ripetono in chi sceglie, invece che la malattia mentale, l'abuso di sostanze, oppure l'identificazione rigorosa nei modelli familiari, perpetuando il disagio nelle generazioni successive.
In ogni caso bisognerebbe chiedersi anche quanto sono serene queste persone, quanto soffrono nella loro condizione e come poterle aiutare, magari semplicemente accettando la loro condizione, accentandoli nei loro deliri, che solo raramente sono pericolosi per gli altri.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

iano

@ Socrate.
Potremmo definire un folle come il portatore di una diversa organizzazione cerebrale avvenuta per mutazione casuale, ed egli certamente avrà una diversa visione della realtà, perché essendo questa legata a una organizzazione cerebrale variabile, non esiste una visione assoluta ufficiale.
Ciò vuol dire che non esistono nella realtà angeli e demoni, anche se qualcuno con una precisa organizzazione cerebrale li vede, ma allo stesso tempo non esiste nulla di ciò che vedono i cervelli non mutanti.
Ciò che tutti vedono non è la realtà , ma ciò che attraverso il loro diverso cervello diversamente corrisponde alla realtà.
Si potrebbe affermare che la corrispondenza relativa ai mutanti sia meno efficace, ma non si può  affermare che direttamente da ciò derivino le loro difficoltà .
Ad esempio le difficoltà che incontra un cieco non sono direttamente legate alla sua cecità, ma al fatto che vive in una città costruita per i vedenti, perché comunque a loro modo vedono una loro realtà che potenzialmente non è meno efficace della nostra, ma che dipende   dall'ambiente in cui si trovano occasionalmente a vivere.
Se i matti non si comportano in modo regolare è perché le regole non le hanno scritte loro, non avendo la maggioranza.
In un certo senso viviamo tutti dentro a gabbie per matti, ma ognuno vede solo quelle in cui sono racchiusi gli altri, credendo che ciò che egli vede sia la realtà, e non una sua possibile corrispondenza più o meno occasionalmente efficace.
In sostanza l'efficacia della nostra particolare visione del mondo non dipende strettamente dalla visone in se', ma anche da quanto sia condivisa essendo animali sociali, e questo spiega perché ci affanniamo a convincere gli altri delle nostre visioni.
Tu appunto vorresti condividere con noi una visione che contiene angeli e demoni, che è un po' come convincere le talpe ad usare gli occhiali. Detto con simpatia ovviamente, per non perdere l'abitudine di non prendersi troppo sul serio.😅
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

daniele22

Sono sostanzialmente d'accordo con Iano, anche se non condivido la casualità con cui esprime il manifestarsi della follìa. Ho personalmente vissuto l'esperienza della follìa per un breve periodo (un mesetto più o meno). E' stata un'esperienza altamente traumatica ... la diritta via era proprio smarrita ... spaventosa nei suoi primi momenti e gratificante successivamente. E' stato l'evento che ha destato in me una curiosità filosofica. Una cosa approssimativa che posso dire è che secondo me il folle è colui che va oltre la maschera che tutti noi sani ci portiamo sempre appresso. Sarebbe pertanto un momento di accrescimento di consapevolezza che lo porta a scorgere nudo il suo essere umano. C'è chi ne viene travolto. Per quel che riguarda le allucinazioni posso dire che mi son chiesto, col senno di poi però, non al momento in cui eventualmente le stavo vivendo, se certe persone che io vedevo fossero veramente reali nel senso fisico del termine, o fossero solo figure che venissero distorte dai significati che attribuivo loro nei miei folli voli mentali

baylham

Citazione di: iano il 09 Gennaio 2022, 04:10:41 AM

Ad esempio le difficoltà che incontra un cieco non sono direttamente legate alla sua cecità, ma al fatto che vive in una città costruita per i vedenti, perché comunque a loro modo vedono una loro realtà che potenzialmente non è meno efficace della nostra, ma che dipende   dall'ambiente in cui si trovano occasionalmente a vivere.

Per me è vero il contrario. Se un cieco non incontra grandi difficoltà è perchè vive in una società che lo sostiene, altrimenti soccomberebbe poco dopo la nascita o la cecità: un uomo cieco non è una talpa.
La stessa cosa accadrebbe ad un folle.

In genere i folli delirano appunto, il loro "mondo spirituale" non mi appare particolarmente creativo, significativo o intelligente, tantomeno bello o felice in generale.

Che cosa significa "entrare in contatto col mondo spirituale"? Che cosa "entra in contatto"?

Di estasi ("essere colmi di piacere") da bambino ne ho provate molte, nel mio caso le origini, come ho compreso dopo, erano banalmente sessuali, senza alcun bisogno di tirare in ballo unioni o contatti "spirituali". Le estasi di Teresa D'Avila e di molti altri mi sembra abbiano simili origini.



iano

Citazione di: baylham il 09 Gennaio 2022, 11:31:11 AM
Citazione di: iano il 09 Gennaio 2022, 04:10:41 AM

Ad esempio le difficoltà che incontra un cieco non sono direttamente legate alla sua cecità, ma al fatto che vive in una città costruita per i vedenti, perché comunque a loro modo vedono una loro realtà che potenzialmente non è meno efficace della nostra, ma che dipende   dall'ambiente in cui si trovano occasionalmente a vivere.

Per me è vero il contrario. Se un cieco non incontra grandi difficoltà è perchè vive in una società che lo sostiene, altrimenti soccomberebbe poco dopo la nascita o la cecità: un uomo cieco non è una talpa.
La stessa cosa accadrebbe ad un folle.

In genere i folli delirano appunto, il loro "mondo spirituale" non mi appare particolarmente creativo, significativo o intelligente, tantomeno bello o felice in generale.

Che cosa significa "entrare in contatto col mondo spirituale"? Che cosa "entra in contatto"?

Di estasi ("essere colmi di piacere") da bambino ne ho provate molte, nel mio caso le origini, come ho compreso dopo, erano banalmente sessuali, senza alcun bisogno di tirare in ballo unioni o contatti "spirituali". Le estasi di Teresa D'Avila e di molti altri mi sembra abbiano simili origini.
Ma in effetti in una notte buia priva di stelle, che non ci è più dato riscontrare nei nostri ambienti del tutto artificiali, ti consiglierei di dare la mano a un cieco per lasciarti guidare.
Non devi confondere le tue sensazioni con la limitata coscienza che tu ne hai.
È stato dimostrato che senza l'udito ci vedremmo peggio, e senza la vista ci sentiremmo male, perché non ci è alcuna sensazione specifica alla quale ogni senso diverso non contribuisca in parte.
E' stato ad esempio dimostrato che se mangi diverse pietanze al buio completo, senza sapere cosa mangi, difficilmente riesci a distinguerlo dal sapore , perché assapori anche con gli occhi, ma realmente, e non solo per modo dire secondo cui l'occhio vuole la sua parte.
Ogni senso in ogni sensazione si prende sempre la sua parte.
Una cecità accidentale lascia in usata la parte del cervello preposta, a meno che non ti ingegni in modo consapevole o meno a riorganizzarla ad altro uso, grazie alla plastica del cervello, la quale diminuisce con l'età' ma sempre rimane.
Così quando accidentalmente diventiamo ciechi ciò è una mezza verità. È sufficiente infatti riorganizzatore la parte in usata della vista al sentire, cosa non difficile perché le orecchie ci vedevano comunque già.
Non bisogna quindi insegnargli a vedere, ma solo incentivarle a fare quel che già sanno fare.
Ogni cieco questo prima o poi questo lo scopre, ma se lo si sa' già si può favorire il processo con tecniche particolari che lo accelerano.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

Citazione di: daniele22 il 09 Gennaio 2022, 11:25:55 AM
Sono sostanzialmente d'accordo con Iano, anche se non condivido la casualità con cui esprime il manifestarsi della follìa. Ho personalmente vissuto l'esperienza della follìa per un breve periodo (un mesetto più o meno). E' stata un'esperienza altamente traumatica ... la diritta via era proprio smarrita ... spaventosa nei suoi primi momenti e gratificante successivamente. E' stato l'evento che ha destato in me una curiosità filosofica. Una cosa approssimativa che posso dire è che secondo me il folle è colui che va oltre la maschera che tutti noi sani ci portiamo sempre appresso. Sarebbe pertanto un momento di accrescimento di consapevolezza che lo porta a scorgere nudo il suo essere umano. C'è chi ne viene travolto. Per quel che riguarda le allucinazioni posso dire che mi son chiesto, col senno di poi però, non al momento in cui eventualmente le stavo vivendo, se certe persone che io vedevo fossero veramente reali nel senso fisico del termine, o fossero solo figure che venissero distorte dai significati che attribuivo loro nei miei folli voli mentali
Mi sembra una testimonianza illuminante.Grazie per avercela data.
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Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

Però mi chiedo Daniele se sotto la maschera non vi sia un altra maschera, e se l'io non sia una stratificazione, qualcosa che come si può costruire si può parimenti decostruire, come quando i bambini rompono il giocattolo per capire come è fatto.
Provo allora a immaginare che avendo intuito altre maschere sotto alla prima, maschere attraverso le quali noi uomini ci interfacciamo, non ti è rimasto altro da fare che provare a ricomporre il giocattolo, e nel tuo caso con successo, il che non sempre è dato.
Ciò che non ti ammazza ti fortifica, e se la conoscenza viene storicamente demonizzata forse avrai potuto toccare con mano il perché lo si fa', perché là si può ottenere solo stuprando la realtà di cui siamo parte.
È una caccia al tesoro non priva di rischi.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Alexander

#9
Buona domenica a tutti


Non è possibile decostruire l'Io, perché per de-costruirlo vai a formare un nuovo io che ritiene di essere il decostruente dell'io, e così via all'infinito. L'"Io sono" sarà sempre presente. Nella schizofrenia si possono formare personalità diverse , ma la sensazione dell'"io sono" è presente in ogni forma diversa. Sia che tu veda una realtà fittizia ,creata dalla tua mente, o una realtà intersoggettiva, la coscienza percepiente è sempre presente (es.."Io sto vedendo un cavallo alato minaccioso"). La "sensazione" -IO sto sperimentando qualcosa- è insuperabile.Ci possono essere sensazioni temporanee di depersonalizzazione, ma l'io che registra la sensazione è sempre presente. Arriverà poi a dire :"Mi sentivo strano".
Riguardo la domanda formulata quindi la mia risposta è Sì, la follia può essere un modo alternativo di percezione del reale, in cui però la fase mentale costruente la realtà è alterata nel suo normale funzionamento, andando questo a compromettere, in modo più o meno grave,la percezione del carattere intersoggettivo della realtà stessa.

Socrate78

Il problema sta anche nel fatto se la psichiatria possa essere considerata a tutti gli effetti una scienza medica. Una scienza medica per essere tale deve sostanzialmente prevedere questi passaggi: Sintomi e segni del paziente- ipotesi diagnostica (ad esempio polmonite)- conferma strumentale (TAC, risonanza magnetica, radiografia, ecc.)- terapia conseguente o chirurgia.
La psichiatria salta il passaggio fondamentale della conferma strumentale, poiché lo psichiatra diagnostica il problema (ad esempio la schizofrenia) soltanto ascoltando i sintomi e i segni del paziente (allucinazioni, pensiero destrutturato, ecc.), ma non fa alcun esame cone una TAC o una risonanza magnetica del cervello per scoprire la causa e passa direttamente alla terapia farmacologica. Questo modo di procedere non è antiscientifico, poiché si "cura" qualcosa di cui non si sa la causa vera e quindi non si può nemmeno stabilire che cosa sia davvero?


Jacopus

Rispetto all'ultimo problema che menzioni, Socrate, come ho già scritto altrove, è ovvio che la psichiatria abbia uno status scientifico più labile rispetto alle altre specializzazioni mediche a causa della complessità del suo oggetto, ovvero la "psiche" che non è una mano e neppure un cuore, che per quanto organi complessi, rispondono a bisogni meccanici e fisiologici molto delimitati. La "psiche" invece investe contemporaneamente almeno tre livelli di intervento, quello fisiologico, avente ad oggetto il Sistema nervoso centrale, quello mentale, che riguarda la necessità di comprendere come il paziente si percepisce e come percepisce il mondo, ovvero la sua "identità", e infine quello sociale, perchè la psichiatria ha una storia diversa da quella della "medicina generale", essendo stata piegata ad esigenze di controllo sociale e di stigmatizzazione che sono sconosciute agli altri settori medici.
E' per questo motivo che per essere dei bravi psichiatri non basta essere dei medici ma bisogna anche essere filosofi e sociologi.
Detto questo, non bisogna neppure dimenticare i grandi progressi fatti nella cura delle malattie mentali "maggiori", sostanzialmente psicosi e schizofrenia. L'elettrochoc e l'internamento vita natural durante in un manicomio, fanno parte del passato e bisognerebbe ricordare di più Basaglia che fu un pioniere in questo campo, e le cui teorie sono ormai abbracciate da (quasi) tutto il mondo occidentale. Le nuove tipologie di farmaci permettono un controllo molto più accurato dei sintomi ed ormai è normale anche considerare le persone affette da schizofrenia come "guaribili". I controlli strumentali sono ancora in fase sperimentale, ma ad esempio, la FMRi viene utilizzata sperimentalmente per valutare i soggetti a rischio, all'esordio della malattia.
In ogni caso i deliri delle persone schizofreniche sono ricorrenti e compongono una casistica che ormai è documentata da più di un secolo ed è quindi possibile una diagnosi anche qualitativa e non strumentale. Vanno però distinte le varie forme di psicosi, che possono essere reattive (cioè determinate da abuso di sostanze, questo è il caso classico), oppure temporanee, oppure legate a cause organiche, come un tumore nel cervello. I farmaci attuali comunque tendono sempre a bloccare la produzione di dopamina, come quelli ad esempio, con principio attivo "risperidone". Attualmente è possibile anche somministrare il farmaco attraverso iniezioni di depot, che vengono rilasciate nell'organismo in periodi lunghi anche mesi, così da evitare le problematiche spesso presenti, di pazienti che non si vogliono curare. Infatti, non andrebbe dimenticato che, a differenza di un malato generico, che si rende conto di dover essere curato, il malato psichiatrico, proprio per sua natura, ritiene il più delle volte di essere sano e questo è un altro tassello della complessità dell'intervento in psichiatria.


P.S. Non sono nè psichiatra, nè medico, ma solo un "cultore della materia" ;D
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

daniele22


Di nulla Iano, grazie pure a te.
Una premessa: penso che  la storia di un individuo anche genetica, possa essere determinante a poter far sì che un folle possa o no rientrare nel mondo dei normali senza incappare nei servizi di igiene mentale.
Iano, tu parli di più maschere, ma io intendo in realtà una maschera. Semmai mi dirai.
Si tratta della maschera che viene alla luce grazie allo svilupparsi della razionalità espressa tramite il linguaggio per quel che attiene più che altro il suo aspetto speculativo e narrativo (contrapponendolo cioè agli usi della lingua più rivolti al da farsi del momento). Si tratta infine della maschera che ci dà la possibilità di mentire. Puoi chiamarla se vuoi la maschera della ragione. Anche qualche altra specie riesce ad ingannare con intenzione, ma noi siamo specialisti. Penso che sia letteralmente la nostra arma per eccellenza.


A tal proposito ti dirò che quando rientrai nel cerchio dei più iniziai a speculare sugli atteggiamenti di esasperata diffidenza che allora avevo provato nei confronti del prossimo e pure al cospetto di amici di lunga data. In quei momenti, appunto, sfoggiavo una sfacciataggine fuori di ogni misura finalizzata a chiarificare i miei dubbi. E se non riuscivo a risolvere il dubbio, che all'altro, se non offensivo, poteva a volte sembrare solo un dubbio ridicolo, altrettanto sfacciatamente mollavo l'osso e procedevo per altre vie. Il folle che era in me non lasciava alcuno spazio al dubbio. Laddove c'era il dubbio cercavo vie alternative ... a meno che non percepissi un segno di incoraggiamento che nel mio caso consisteva nell'interpretazione di segnali prevalentemente acustici (clacson di autovetture, porte sbattute, canto di uccelli etc.) ai quali spesso mi affidavo quando intraprendevo qualcosa. Loro mi avvisavano se dovevo procedere o fermarmi in base ad una grammatica che non so ben come si fosse strutturata.


Sarebbe pertanto da questa diffidenza di fondo che avrei dedotto l'opinione (naturalmente non ho approfondito l'indagine sulle follìe degli altri, anche se mi sembra che la diffidenza sia un tema ben presente nel folle in generale) che il folle, gettando questa maschera con la sua sfacciataggine anche offensiva, abbia in fondo (inconsapevolmente) la pretesa che pure gli altri gettino tale maschera. Ciò che trovo interessante e pure attuale di questo aspetto della mia esperienza sarebbe costituito dal fatto che il folle che era in me, provocando inconsapevolmente il senso comune del pudore con la sua impudenza linguistica, cercava sapientemente (anche se in modi goffamente esasperati) di superare le problematiche poste dall'eventuale presenza di menzogne dando per scontato che gli altri possano mentire in modo spontaneo quando vi sia terreno che offra spazio alla menzogna

bobmax

Nella follia può esservi la verità.
Ma è solo una possibilità.

Perché il folle può essere diventato tale a causa della sua grande sensibilità, che gli ha fatto cogliere una verità altrimenti nascosta. E tale da diventare insostenibile, portandolo alla follia.

Che nel folle vi sia verità è una sfida per il ricercatore. Dove è egli stesso in discussione, nel suo chiedersi quale verità possa eventualmente celarsi nel folle.

Lo stesso Gesù doveva apparire folle a molti.
La sua follia è infatti stata subito ricondotta nell'alveo di una pseudo normalità.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Jacopus

Shimon Marom classifica le impostazioni teoriche relative alla psichiatria fra due estremi. Il primo lo chiama punto di vista strutturale/programmatico, il secondo funzionale/dinamico. Con il primo si intende una visione della psichiatria in termini di ricerca di cause/effetti, specifica e rintracciabile attraverso l'eziologia e a cui dovrebbe corrispondere la cura più adeguata per rimuovere i sintomi e produrre la guarigione. Questo tipo di visione è profondamente radicata nella cultura umana. Riflette la necessità di credere che le cose abbiano delle cause ben definite, collocate in un sistema di riferimento anch'esso ben definito. Si tratta della tipica situazione rintracciabile nelle hard-sciences, dove la misurabilità dei fenomeni fisici e della loro sperimentabilità è massimo.


Questo tipo di visione è però incompatibile, ad esempio, con la plasticità neurale, che permette un adattamento alle lesioni, che rimodellano il sistema nervoso, senza essere direttamente ascrivibile ad un movimento causa/effetto, essendo quel rimodellamento forgiato direttamente  sulla storia ontogenetica e filogenetica del soggetto.


Il secondo punto di vista, quello funzionale/dinamico di cui un esempio famoso è la psicoanalisi, attribuisce all'interazione soggetto/ambiente l'eziologia delle cause, determinando così una "individualizzazione" estrema della terapia, che non potendo essere generalizzata, diventa di dubbia portata clinica e di di difficile applicazione in termini sociali.


Per una psichiatria integrata e in grado di migliorarsi è necessario perseguire entrambi i punti di vista, poiché il primo permette di rispondere alla domanda "che cosa è", mentre la seconda risponde alla domanda "come è diventato così". Entrambi gli aspetti hanno poi un effetto di reciproco feedback, per cui gli aspetti strutturali dell'organismo che possono essere gestiti in termini causa/effetto, vanno integrati con percorsi dinamici, che considerino la specificità di ogni singolo individuo. Insomma, la psichiatria non può dimenticare nè l'ontogenesi nè la filogenesi. Detto in altri termini, cioè in termini operativi, la terapia più adeguata è quella che miscela e bilancia in modo corretto, interventi farmacologici con interventi psicoterapeutici e socio-educativi.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

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