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L'illusione dell'io

Aperto da daniele75, 23 Aprile 2020, 06:49:30 AM

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daniele75

Con questo ultimo commento si potrebbe chiudere il topic, chi è grado di intendere intenda

viator

Salve ragazzi. Non so se quanto ora estraggo dall'intervento di Daniele75 rappresenti una testuale citazione dal Vedanta oppure una libera estrapolazione di qualcuno :
"In contrasto con il reale c'è l'irreale, ciò che non può essere osservato in alcuno dei periodi temporali. E' chiamato asat o non-esistente. Un tipico esempio di qualcosa di non-esistente è un cerchio quadrato".


Si afferma che ci sia qualcosa (l'irreale) che non risulta osservabile e contemporaneamente risulterebbe non-esistente. E ALLORA COME FAREBBE AD ESSERCI ? Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

daniele75

Citazione di: viator il 25 Aprile 2020, 14:18:56 PM
Salve ragazzi. Non so se quanto ora estraggo dall'intervento di Daniele75 rappresenti una testuale citazione dal Vedanta oppure una libera estrapolazione di qualcuno :
"In contrasto con il reale c'è l'irreale, ciò che non può essere osservato in alcuno dei periodi temporali. E' chiamato asat o non-esistente. Un tipico esempio di qualcosa di non-esistente è un cerchio quadrato".


Si afferma che ci sia qualcosa (l'irreale) che non risulta osservabile e contemporaneamente risulterebbe non-esistente. E ALLORA COME FAREBBE AD ESSERCI ? Saluti.


Non è così. Non si può esprimere con la dualità, cadresti nell inganno. Immagina il sé come un fumo cosmico costituito da atomi e vuoto. Questa materia siamo noi, ma esclusi il noi, tu sei quello, esclusi il tu.

viator

Salve Daniele75. Ma quante palle verdi, rosse e gialle ! Ma quante migliaia di ore di meditazione, lettura di antichissimi testi in lingue massimamente ostiche. Il tutto per raggiungere la mistica illuminazione circa ciò che è il sè.


L'io per me, il tu per te, l'essi per loro. il sè per tutti......................rappresenta ciò che resta di me (di te, di loro, di tutti) una volta che io (tu, loro, tutti) mi sia separato da tutto ciò che è separabile da me.


IO sono il mio corpo privato di tutti le sue parti materiali non necessarie alla sopravvivenza del corpo stesso..............inoltre privato anche di  fegato, reni, polmoni. cuore (organi indispensabili alla vita corporale), i quali al limite potranno anche venir sostituiti da organi meccanici..................a questo punto io diventerei solamente un cervello, ma................addirittura io potrei restare me stesso anche sostituendo il mio cervello con un nuovo organo artificiale a me "estraneo".........sarà sufficiente che tale nuovo organo riesca a svolgere tutte le funzioni precedentemente svolte dal mio cervello .............ipotesi estremamente ardita ma in assoluto non escludibile.


Ma allora, insomma, il me in cosa consisterebbe ?


Io sono il mio istinto+la mia memoria+la mia coscienza+il mio intelletto+ forse qualche altra funzione, il cui insieme si chiama FORMA PSICOMENTALE, cioè quella struttura che permette di ottenere lo scopo consistente nel realizzare la consapevolezza di me stesso.



Se al posto del mio cervello biologico venisse installato un adeguato "hardware" corredato di adatto "software" che - assieme - realizzino la stessa identica FORMA (cioè di insieme di relazioni strutturali e funzionali) che esistono ora nel mio cervello biologico.....................ecco che io continuerei ad essere consapevole di me stesso e - se il tutto venisse connesso al mio corpo biologico o a cio che possa SOSTITUIRE EFFICACEMENTE il mio corpo biologico..................io continuerei o riprenderei tranquillamente a sperimentare sia la mia identità che l'esperienza della vita di contatto con il mondo esterno.


Naturalmente una simile ricostruzione è oggi del tutto fuori della realtà, ma ciò non significa che sia fuori dalla VERITA', intendendo che essa - se la realtà cambiasse e permettesse ciò che ora non è possibile.................secondo me mostrerebbe dove si nasconde l'aspetto materiale di ciò che ora consideriamo immateriale. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

daniele75

Escludendo il me, cade tutto. Tu ti puoi percepire come me, come nel buio la corda può essere percepita come un serpente. Se accendi la luce vedrai la corda.Acendi la luce è vedrai il me come un film, dove tu pensi di essere il protagonista ma in realtà sei lo spettatore sotto effetti di stupefacenti culturali.

viator

Salve daniele75. Chissà se mi spiegherai tu come sottrarmi alla dipendenza degli stupefacenti culturali. Tu naturalmente sarai come i preti, che sanno benissimo come gli altri devono comportarsi nel confronti (ad esempio) del sesso senza però averlo personalmente mai sperimentato. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

daniele75

Citazione di: viator il 25 Aprile 2020, 16:10:45 PM
Salve daniele75. Chissà se mi spiegherai tu come sottrarmi alla dipendenza degli stupefacenti culturali. Tu naturalmente sarai come i preti, che sanno benissimo come gli altri devono comportarsi nel confronti (ad esempio) del sesso senza però averlo personalmente mai sperimentato. Saluti.


Sai quanti insegnamenti risuonano nel nostro cervello? Tantissimi, e tu chi saresti? Il direttore d'orchestra? Muovi Delle bacchette e i musicisti suonano? Al massimo ripeti a memoria testi e spiegazioni, di personale c'è ben poco. Io non so disintossicati, non ho la tua cultura, io mi baso sulla esperienza dell intuito e sull' osservazione. Non sono un prete che parla di sesso senza averlo fatto. Non solo un illuminato, ma un ammasso di atomi connesso con il tutto. Mai nato e mai morto, perché il mio se non muore, non esiste, come potrebbe morire? Ma soprattutto che senso ha sapere per te che sei il vuoto? Tu hai investito anni ha costruito un me colto. Perché abbandonarlo? Non troverai felicità, ne illuminazione, ma solo ciò che è. Gesù diceva io non decido da me stesso, ma parlo tramite il padre. Lui non aveva un me, era un tutt'uno con il divino. Non esiste nessun premio nel comprendere il profondo. Il tuo cervello rettile pulsera comunque...

Ipazia

Citazione di: Phil il 25 Aprile 2020, 12:33:19 PM
Secondo me non si tratta tanto (o solo) di un vuoto quantistico o ontologico, ma perlopiù di un vuoto logico-narrativo, a suo modo "infantile" (forse eco della pura "ragione" prelogica dei neonati), in cui sospendendo l'identificazione, non c'è nulla di logicizzabile, ragionabile, etc. (come suggerirà lo zen molti secoli dopo i Veda).
Ci troviamo dunque dentro il comico paradosso di star qui a "parlare del vuoto di parole".

Eggià, con la differenza (a suo favore) che l'infante, il neonato, il suo io lo esperisce eccome, non affogando nel "vuoto di parole" grazie al suo salvagente prelogico, pre linguistico. Obbedendo solo alla lalingua genetica e corporea del suo essere non-illusionale, e non-illusionistico nelle velleità che faranno da contorno culturale (Zivilisation) alla formazione (Bildung) del suo io.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Freedom

Penso che la migliore risposta sull'autenticità o meno dell'io la possano dare gli altri. Nel senso che gli altri riconoscono, per esempio in me, un io. In qualche modo definito con una certa precisione nonchè riconoscibilità.

Penso a quando incontri una persona dopo tanto tempo e rilevi: "è sempre lui". Sì, magari è un pò invecchiato ma è lui! E' rimasto tale e quale. Tale e quale a cosa? A se stesso. Cioè al suo io.

E viceversa penso a quando incontri una persona, magari dopo nemmeno tanto tempo, e rilevi: "mamma mia com'è cambiato!" Eh sì, dici a te stesso: "la malattia l'ha trasformato." Oppure: "la disgrazia l'ha reso irriconoscibile. Non sembra più lui."
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

Phil

Citazione di: Ipazia il 25 Aprile 2020, 17:06:09 PM
Citazione di: Phil il 25 Aprile 2020, 12:33:19 PM
Secondo me non si tratta tanto (o solo) di un vuoto quantistico o ontologico, ma perlopiù di un vuoto logico-narrativo, a suo modo "infantile" (forse eco della pura "ragione" prelogica dei neonati), in cui sospendendo l'identificazione, non c'è nulla di logicizzabile, ragionabile, etc. (come suggerirà lo zen molti secoli dopo i Veda).
Ci troviamo dunque dentro il comico paradosso di star qui a "parlare del vuoto di parole".

Eggià, con la differenza (a suo favore) che l'infante, il neonato, il suo io lo esperisce eccome, non affogando nel "vuoto di parole" grazie al suo salvagente prelogico, pre linguistico. Obbedendo solo alla lalingua genetica e corporea del suo essere non-illusionale, e non-illusionistico nelle velleità che faranno da contorno culturale (Zivilisation) alla formazione (Bildung) del suo io.
Pur non essendo esperto del settore (da cui il suddetto «forse»), credo che nessuno possa negare che l'infante abbia autopercezione, tuttavia sarei comunque cauto sul fatto che esperisca il suo "io" intendendo egli per "io" proprio ciò che noi adulti intendiamo per "io".
Il suo salvagente prelogico è fatto dalla percezione, dall'istinto, etc. tutti elementi che permangono, seppur "educatamente manipolati", nell'adulto; che ha in più una corposa, strutturante, interpretante, culturale, etc. visione concettuale del mondo. Non so se nella lalangue ci sia un vagito per dire «io», ma so per certo che la Bildung inizia con gli insegnamenti linguistici degli adulti a lui vicini e una lingua non è mai neutra nello strutturare (il gioco di società di) una visione del mondo, e tantomeno lo è la cultura che culla il bambino dal suo primo pianto fino a trastullarlo con i primi giochi didattici (ricordo: il-ludere).
Come accennato sopra, secondo me, non andrebbe confuso il nostro ritenere che il bambino si percepisca in modo non-illusionale (il che presuppone l'uso del concetto stesso di illusione, etc.) con l'effettiva sua autopercezione (del bimbo) che, temo, non possa spiegarcela adeguatamente usando solo la sua lalangue (che suppongo si presti più a comunicazioni di servizio su bisogni primari ed emozioni, piuttosto che a dissertazioni teoretiche sull'illusione dell'identificazione logico-culturale fra pensiero orientale e socio-antropologia; e nel momento in cui il pargolo acquisisce un linguaggio atto alla dissertazione, ecco che innesca, suo malgrado, la comicità del suddetto paradosso).

Ipazia

Citazione di: Phil il 25 Aprile 2020, 19:16:48 PM
Pur non essendo esperto del settore (da cui il suddetto «forse»), credo che nessuno possa negare che l'infante abbia autopercezione, tuttavia sarei comunque cauto sul fatto che esperisca il suo "io" intendendo egli per "io" proprio ciò che noi adulti intendiamo per "io".

Gli esperti del settore pensano che si possa agevolare i tutto ludicamente. Anche perchè un "io" ben solido e centrato fa sempre comodo per l'armamentario esistenziale, illusorio o reale che sia.

CitazioneIl suo salvagente prelogico è fatto dalla percezione, dall'istinto, etc. tutti elementi che permangono, seppur "educatamente manipolati", nell'adulto; che ha in più una corposa, strutturante, interpretante, culturale, etc. visione concettuale del mondo. Non so se nella lalangue ci sia un vagito per dire «io», ma so per certo che la Bildung inizia con gli insegnamenti linguistici degli adulti a lui vicini e una lingua non è mai neutra nello strutturare (il gioco di società di) una visione del mondo, e tantomeno lo è la cultura che culla il bambino dal suo primo pianto fino a trastullarlo con i primi giochi didattici (ricordo: il-ludere).]Il suo salvagente prelogico è fatto dalla percezione, dall'istinto, etc. tutti elementi che permangono, seppur "educatamente manipolati", nell'adulto; che ha in più una corposa, strutturante, interpretante, culturale, etc. visione concettuale del mondo. Non so se nella lalangue ci sia un vagito per dire «io», ma so per certo che la Bildung inizia con gli insegnamenti linguistici degli adulti a lui vicini e una lingua non è mai neutra nello strutturare (il gioco di società di) una visione del mondo, e tantomeno lo è la cultura che culla il bambino dal suo primo pianto fino a trastullarlo con i primi giochi didattici (ricordo: il-ludere).

Il vagito "io" esiste e la sua misura in dB non è trascurabile.

CitazioneCome accennato sopra, secondo me, non andrebbe confuso il nostro ritenere che il bambino si percepisca in modo non-illusionale (il che presuppone l'uso del concetto stesso di illusione, etc.) con l'effettiva sua autopercezione (del bimbo) che, temo, non possa spiegarcela adeguatamente usando solo la sua lalangue (che suppongo si presti più a comunicazioni di servizio su bisogni primari ed emozioni,

La lalangue si occupa di queste cose, mica dei massimi sistemi e le madri sono molto brave a tradurla. Quelle più brave riescono persino a parlarla e su quel dialogo lalinguistico si eterna l'umano. La sua parte più gradevole.

Citazionepiuttosto che a dissertazioni teoretiche sull'illusione dell'identificazione logico-culturale fra pensiero orientale e socio-antropologia; e nel momento in cui il pargolo acquisisce un linguaggio atto alla dissertazione, ecco che innesca, suo malgrado, la comicità del suddetto paradosso).

La mia nipotina appena è passata dalla fase lalinguistica a quella linguistica ha cominciato a sfoderare una raffica a ripetizione di "perchè" che avevano ben poco a che fare col paradosso e costringevano gli adulti con-ludenti a brainstorming di notevole impegno, sottoposti puntigliosamente ad analisi comparate assai spiazzanti. Constato con piacere che il realismo vince sempre sulla favola e questo tira acqua, e anche la piccola, al mio mulino. Merito suo, mica mio, perchè sa già interpretare e gestire la "comicità del paradosso".
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

@Ipazia

Note al volo:
- non sono sicuro che l'io allo specchio venga concettualizzato dal bimbo proprio come l'io di cui parlano gli adulti (che credo vada un po' oltre la mera estensione ed azione corporale, v. psicologia, etc.); non a caso, è l'adulto ad affermare «il piccolo riconosce il suo io»(cit.), proiettando sull'esperienza del piccolo categorie da grande (mossa epistemologicamente scorretta)
- l'«io» espresso in decibel è una parola acquisita, dai genitori o dal contesto culturale, siamo nel linguaggio logico, la lalangue è già scivolata quasi tutta alle spalle
- il «dialogo lalinguistico» eterna l'umano-come-animale, non come sua declinazione in humanitas (nel senso ricordato altrove da Jacopus)
- il domandare «perché?» a raffica affonda le sue ragionevoli radici nella logica, nel nesso causale, etc. siamo quindi molto lontani dalla lalangue e, secondo una certa prospettiva, in piena illusione convenzional-antropologica
- la piccola infante, dimentica della sua condizione originaria proprio come è sempre più dimentica dell'istintiva lalangue, non può concepire ancora il paradosso, né tantomeno la sua comicità; tuttavia, forse, un giorno, da adulta, filosofando magari verso oriente...
- l'illusione di cui parlavo non si oppone affatto al realismo (anzi, lo presuppone e, visto che siamo in «tematiche spirituali», lo radicalizza sino al silenzio... magari come rivisitazione adulta, fra epoché e apofatismo, della lalangue).

Ipazia

Citazione di: Phil il 25 Aprile 2020, 20:47:56 PM
@Ipazia

Note al volo:
- non sono sicuro che l'io allo specchio venga concettualizzato dal bimbo proprio come l'io di cui parlano gli adulti (che credo vada un po' oltre la mera estensione ed azione corporale, v. psicologia, etc.); non a caso, è l'adulto ad affermare «il piccolo riconosce il suo io»(cit.), proiettando sull'esperienza del piccolo categorie da grande (mossa epistemologicamente scorretta).

Ho postato al volo. Si può trovare di meglio anche epistemologicamente sulla funzione dello specchio nel suo riflettere maieuticamente l'identità del soggetto (animale o umano) permettendogli di prenderne possesso in termini autocoscienziali.

Citazione- l'«io» espresso in decibel è una parola acquisita, dai genitori o dal contesto culturale, siamo nel linguaggio logico, la lalangue è già scivolata quasi tutta alle spalle

Mica tanto restando al significato primordiale con cui il pargolo manifesta l'esistenza di bisogni coincidenti col suo io affamato, il quale si rafforza constatando il risultato riproducibile che l'energia sonora emessa ha sull'ambiente circostante.

Citazione- il «dialogo lalinguistico» eterna l'umano-come-animale, non come sua declinazione in humanitas (nel senso ricordato altrove da Jacopus)

Scontato che il dualismo umano si perfeziona dopo, ma dall'io nella fase lalingistica inizia la lunga marcia che le mamme (e i padri recentemente) assecondano.

Citazione- il domandare «perché?» a raffica affonda le sue ragionevoli radici nella logica, nel nesso causale, etc. siamo quindi molto lontani dalla lalangue e, secondo una certa prospettiva, in piena illusione convenzional-antropologica

Ma certo, mica idealizzo lo stato di natura alla Rousseau. Es-Io-SuperIo. Il "perchè" della mia dolce nipotina sta mettendo fascina nella casella dell'io e il buon maieuta risponde lasciando che quella fase si consolidi prima di dover fare i conti con la dimensione, irresistibilmente carceraria, del SuperIo.

Citazione- la piccola infante, dimentica della sua condizione originaria proprio come è sempre più dimentica dell'istintiva lalangue, non può concepire ancora il paradosso, né tantomeno la sua comicità; tuttavia, forse, un giorno, da adulta, filosofando magari verso oriente...

Primum vivere, è il territorio dell'io, comprensivo pure delle tante comicità della lingua ormai conclamata, a cui però la piccola dona una freschezza e poieticità ancora con echi lalinguistici che servono anche all'adulto per interrogarsi sulla "comicità della lingua" cercando, nel backstage (spogliatoio), qualche recondità verità nescosta nel reale una volta rimossi gli abiti più o meno curiali. Operazione di spogliazione cui i bambini offrono stimoli preziosi proprio a partire dai loro "perchè" altamente egoici e identitari.

Citazionel'illusione di cui parlavo non si oppone affatto al realismo (anzi, lo presuppone e, visto che siamo in «tematiche spirituali», lo radicalizza sino al silenzio... magari come rivisitazione adulta, fra epoché e apofatismo, della lalangue).

...magari riscoprendo la lingua del corpo. Così attraente nell'inesorabile logica dell'io di un bambino, prima che il paradosso comico del logos occulti e anestetizzi il tragico della scissione superegoica e le schegge dell'esplosione (o implosione a seconda del soggetto e delle circostanze) dell'io lascino danni talvolta irreversibili. Col che si torna alla centralità, per nulla illusionale, dell'io.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

@Ipazia

Pur ritenendo che l'"illusione dell'io" sia tematica per adulti (bisogna prima costruire la torre per poterne sondare le fondamenta) forse devo spiegarmi meglio sulla fallacia metodologica del leggere il comportamento del bimbo usando categorie da adulto: intendo ad esempio il confondere un vagito infantile con il discorso indiretto da adulto «ecco, ci sta dicendo che ha fame», che è come confondere l'imprecazione di un adulto, che urta contro uno spigolo, con «mi sta comunicando che si è fatto male». In entrambi casi chi emette il suono, secondo me, non vuole comunicare nulla a nessuno, non c'è intenzionalità, né tantomeno in quell'attimo un'io concettualizzato, ma solo una reazione vocale-istintiva (alla fame e al dolore): infatti l'adulto impreca (mi si perdoni la generalizzazione e l'esempio triviale) anche se sa che non c'è nessuno a sentirlo, idem il pargolo. Resta possibile che con il tempo entrambi apprenderanno che tali suoni producono conseguenze sociali, se c'è un ascoltatore, e innescando la propria ragione impareranno a sfruttare tali vocalizzi a proprio vantaggio, solitamente per ottenere attenzione. Nondimeno, nel caso del bambino, siamo al rovesciamento del cane di Pavlov: se faccio un suono, arriva il cibo e mi passa la spiacevole sensazione (per nulla concettuale) di fame; non credo per lui sia questione di "io", autoaffermazione, bisogni primari, e altri concetti da adulto.
Da profano del mondo dell'infanzia, direi che spesso è l'osservatore/ascoltatore che si ritiene impropriamente destinatario di una "comunicazione" che in realtà è solo l'emissione istintiva di un suono connesso ad una sensazione o condizione psico-fisica (come l'«ahia!» di dolore), non una comunicazione inviata a qualcuno, non avendo il bambino il filtro sociale del quando parlare e quando tacere, come dimostra il fatto che insegnarglielo non è compito facile. Dall'altro lato, c'è il fatto che coloro i quali, da adulti, non sanno filtrare alcuni pensieri in un tacito discorso interiore, ovvero parlano da soli a voce alta (cortocircuito sociale fra assenza di destinatario e intenzionalità), vengono spesso considerati pazzi (en passant: non concordo con il primo assioma di Watzlawick, dando nel mio piccolo un peso molto rilevante all'intenzionalità del comunicare, distinguendola semanticamente dall'attività "centripeta" ricettiva del destinatario).

Sull'appello alla corporeità dell'adulto, ho già citato yoga e simili, ma ci sono ovviamente anche declinazioni meno esoteriche. Sulla «centralità, per nulla illusionale, dell'io»(cit.): chiaramente non è illusorio, finché siamo qui a parlarne (e non basta certo fare il "gioco del silenzio" per vederlo svanire); proprio come non è illusorio che io sia Phil (o che il denaro abbia valore o che esistano le stagioni, etc.) e che tale mio essere Phil produca conseguenze, reazioni e post altrui, traffico dati web e altri vari empirici "effetti farfalla"; come potrei dubitarne? D'altronde, chi è che sta scrivendo adesso?
Affermare che non sia "io" a scrivere, sarebbe un paradosso piuttosto comico... come già accennato, in fondo non sarebbe meglio tacerne?

Ipazia

Citazione di: Phil il 26 Aprile 2020, 15:11:44 PM
@Ipazia
Pur ritenendo che l'"illusione dell'io" sia tematica per adulti (bisogna prima costruire la torre per poterne sondare le fondamenta) forse devo spiegarmi meglio sulla fallacia metodologica del leggere il comportamento del bimbo usando categorie da adulto: intendo ad esempio il confondere un vagito infantile con il discorso indiretto da adulto «ecco, ci sta dicendo che ha fame», che è come confondere l'imprecazione di un adulto, che urta contro uno spigolo, con «mi sta comunicando che si è fatto male». In entrambi casi chi emette il suono, secondo me, non vuole comunicare nulla a nessuno, non c'è intenzionalità, né tantomeno in quell'attimo un'io concettualizzato, ma solo una reazione vocale-istintiva (alla fame e al dolore): infatti l'adulto impreca (mi si perdoni la generalizzazione e l'esempio triviale) anche se sa che non c'è nessuno a sentirlo, idem il pargolo. Resta possibile che con il tempo entrambi apprenderanno che tali suoni producono conseguenze sociali, se c'è un ascoltatore, e innescando la propria ragione impareranno a sfruttare tali vocalizzi a proprio vantaggio, solitamente per ottenere attenzione. Nondimeno, nel caso del bambino, siamo al rovesciamento del cane di Pavlov: se faccio un suono, arriva il cibo e mi passa la spiacevole sensazione (per nulla concettuale) di fame; non credo per lui sia questione di "io", autoaffermazione, bisogni primari, e altri concetti da adulto.
Da profano del mondo dell'infanzia, direi che spesso è l'osservatore/ascoltatore che si ritiene impropriamente destinatario di una "comunicazione" che in realtà è solo l'emissione istintiva di un suono connesso ad una sensazione o condizione psico-fisica (come l'«ahia!» di dolore), non una comunicazione inviata a qualcuno, non avendo il bambino il filtro sociale del quando parlare e quando tacere, come dimostra il fatto che insegnarglielo non è compito facile. Dall'altro lato, c'è il fatto che coloro i quali, da adulti, non sanno filtrare alcuni pensieri in un tacito discorso interiore, ovvero parlano da soli a voce alta (cortocircuito sociale fra assenza di destinatario e intenzionalità), vengono spesso considerati pazzi (en passant: non concordo con il primo assioma di Watzlawick, dando nel mio piccolo un peso molto rilevante all'intenzionalità del comunicare, distinguendola semanticamente dall'attività "centripeta" ricettiva del destinatario).

Da cos'altro può nascere un io ontologico se non dal bisogno radicale di soddisfarlo (con cibo e protezione). Pavlov o non Pavlov, il bambino impara presto a correlare un particolare tipo di fonazione alla richiesta di cibo e l'adulto risponde a tale richiesta senza tanto starsi a chiedere se riguardi la "Fenomenologia dello spirito". Sarà pure un io rudimentale, ma lo è in termini assoluti così come lo stomaco e la sensazione di fame che ne attiva il comportamento. E la sensazione di sazietà che conferma il successo della richiesta. Anche i più fondamentalisti sostenitori di un io illusorio basta pungerli perchè tutta la loro teoresi si sbricioli. E' la solita questione che già abbiamo dibattuto: lo spirito è radicato nella carne così come il soggetto identitario (io) che quello spirito cerca di sviare, senza mai riuscirvi. Almeno in vita, poi non si sa...

Anche per il piccolo vale il "wo Es war, soll Ich werden" e l'Ich arriva molto presto ( la mia nipotina di 5 anni ne ha uno già ben sviluppato) nel processo etologicamente oggettivo, salvo sfumature locali, delle cure parentali. Non dissimilmente da quanto accade anche per altre specie sociali il cui Ich sanno eccome far valere. Come i cani e gatti che ho avuto per casa. Poco propensi a lasciarsi ideologicamente omologare, restando al livello della loro lalingua canina e felina, alla quale riconosco la grande fortuna di non averci dovuto fare della metafisica sopra. Per cui:

CitazioneAffermare che non sia "io" a scrivere, sarebbe un paradosso piuttosto comico... come già accennato, in fondo non sarebbe meglio tacerne?

... evitando di aprire discussioni e discussioni su questa tritissima e "paradossalmente comica" questione ?
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri