L'enigma del cristianesimo.

Aperto da Socrate78, 23 Gennaio 2018, 20:33:38 PM

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Socrate78

Ecco, spesso mi capita di riflettere su un aspetto enigmatico del Cristianesimo, che non viene mai affrontato e analizzato. Il centro della fede cristiana consiste nel credere che Dio, fattosi uomo in Cristo, si sia sacrificato per i peccati di tutti gli uomini prendendoli su di sé. Tuttavia se fosse vero, non dovrebbe da quel momento in poi essersi creata un'umanità perfetta, senza cattiveria, solo fatta di amore e senza odio, visto che Dio, onnipotente, avrebbe redento il male prendendoselo su di sé? Invece no, gli uomini dopo Cristo hanno continuato a farsi tantissimo male come prima, se non addirittura peggio con guerre a non finire in nome della stessa religione cristiana, e questo non testimonierebbe il fallimento o la fallacia della redenzione stessa? A mio avviso credere in questo "sacrificio" significa cadere in aporie irrisolvibili, o mi sfugge qualche aspetto? Si potrebbe rispondere che Dio ha lasciato comunque all'individuo il libero arbitrio e la facoltà di scegliere anche il male, ma allora se è così perché intervenire con questo sacrificio "cruento" di Dio stesso sulla croce?

anthonyi

Il tuo ragionamento non è la dimostrazione di un fallimento ma del fatto che o Dio non è onnipotente, oppure non vuole usare la sua onnipotenza. E' difficile parlare di fallimento quando sulle fondamenta di quel sacrificio si sono sviluppate religioni (Perché le religioni cristiane sono più di una) che coinvolgono tutt'oggi oltre un miliardo e mezzo di persone e che soprattutto sono state la struttura portante di quelle civiltà euroccidentali che hanno prodotto quel mondo e pensiero moderno sulla base del quale tu puoi fare un ragionamento come quello che hai presentato.

Angelo Cannata

Secondo il Cristianesimo, la nostra condizione presente è una condizione di "già e non ancora".

Già
In Gesù Cristo la salvezza è già venuta, tutto quello che ci serviva sapere per la salvezza ci è stato già detto. Il cristiano non ha da aspettarsi alcun'altra salvezza maggiore o migliore, né alcun'altra informazione, rivelazione, che sia essenziale alla salvezza. In Cristo il mondo è stato già salvato.

Non ancora
La venuta di Gesù Cristo non è la fine dei tempi, la fine del mondo. Essa s'inquadra in un progetto che non è ancora giunto al suo totale compimento. Rispetto alla salvezza già realizzata, dopo il totale compimento Dio sarà tutto in tutti, la morte non esisterà più, per chi sarà in paradiso non esisteranno più tentazioni, non esisterà più la possibilità di cadere nel peccato, la felicità sarà totale e definitiva.

La coesistenza di già e non ancora si può spiegare col fatto che il progetto che Dio ha voluto è storico, si realizza nella storia, si sviluppa in una storia, è una storia.

I cristiani dei primi secoli ritenevano che l'intermezzo storico in cui viviamo sarebbe stato brevissimo, essi stessi interpretavano alla lettera frasi di Gesù come questa: "In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza" (Mc 9,1). Si viveva in una mentalità apocalittica, millenaristica, cioè attendendo la fine del mondo come qualcosa di vicinissimo. Le parole di Gesù che ho citato contrastano però con queste altre: "Quanto a quel giorno e a quell'ora, però, nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre" (Mt 24,36).

In questo contesto mentale, nel primo Cristianesimo non esisteva il confessarsi, il perdono dei peccati: si supponeva che chi veniva battezzato ricevesse una grazia di una potenza tale che non risultava più concepibile che egli potesse ricadere nel peccato; in caso di ricaduta, era chiara la malafede e quindi non c'era motivo di dare una seconda occasione. In conseguenza di questo modo di pensare si stava diffondendo l'abitudine di farsi battezzare il più tardi possibile, pressoché in punto di morte, e allora cominciarono a nascere pratiche penitenziali per dare ai peccatori la possibilità di un ritorno, pratiche che comunque erano lunghissime e severissime.
Questo dà l'idea di come i primi cristiani si sforzassero di prendere massimamente sul serio la loro fede e le parole di Gesù.

Poi si cominciò a vedere che la fine del mondo non veniva e allora si formò un modo di pensare trasferito al piano della fede. Questo diede spazio alle critiche di Lutero e a Marx l'occasione di definire il Cristianesimo "oppio dei popoli". Così si svilupparono due tipi di risposte: una, in risposta a Lutero, che ribadisce la tradizione, la dottrina, i dogmi, e si potrebbe considerare essere stata rappresentata ai nostri giorni da papa Ratzinger; un'altra, in risposta a Marx, che si sforza di legarsi quanto più possibile alla storia, alla concretezza, ai bisogni dei poveri, ai problemi della giustizia, e si potrebbe vedere rappresentata oggi da papa Francesco.

A mio parere tutti i tipi di risposte, dottrine e pratiche, a cominciare da Gesù stesso, hanno lasciato e continuano a lasciare senza risposta, o peggio, con risposte disoneste, il nocciolo duro, il problema fondamentale, la pecora nera, non solo di ogni religione e ogni teologia, ma ritengo perfino di ogni filosofia, di ogni modo di pensare. Si tratta del problema del male, il problema della teodicea. L'esistenza del male mette in crisi e, per chi l'assume di petto, demolisce, ogni religione e ogni pensiero. Di fronte al male cadono non solo tutti gli déi, ma anche tutte le filosofie, cioè il mondo stesso viene a risultare del tutto inconcepibile, perfino in un modo di pensare ateo. Di fronte al male, se vogliamo essere coerenti, siamo costretti a concludere non solo che Dio non può esistere, ma anche che questo mondo non può esistere. Se esiste, ci dev'essere qualche inghippo, qualche imbroglio, qualche disonestà, nel mondo oppure nei nostri pensieri. Non possiamo accettare l'idea che questo mondo esiste, con tutti i suoi mali, senza ospitare nei nostri pensieri qualche forma di disonestà intellettuale.

Kobayashi

Forse la teodicea mette in crisi solo un certo tipo di pensiero, un certo tipo di sistema metafisico-teologico.
Mettiamo che il credente proceda così: da un senso (più o meno oscuro) della presenza del divino inizia la ricerca; nella ricerca di Dio trova parziale appagamento in una religione positiva (per esempio quella cristiana); poi approfondendo la ricerca si imbatte in contraddizioni (per esempio la teodicea).
Il nostro amico devoto può allora concludere in due modi:
1. che è ora di mollare tutto e dichiarare la vittoria dell'ateismo (ma questo non vorrebbe dire che ciò che lo ha spinto a iniziare la ricerca era solo il bisogno di una spiegazione della realtà o dell'appartenenza ad una tradizione?)
2. che è giunto il momento di cambiare qualcosa e andare avanti nella ricerca (non necessariamente fuori da quella tradizione religiosa in cui si è concentrato).

ps.: mi viene in mente che nella regola benedettina sul tema dell'ammissione dei novizi viene raccomandato di capire bene se gli aspiranti monaci sono profondamente motivati dalla ricerca di Dio. Non se sono devoti, ubbidienti, se accettano il dogma etc.
Questo per dire che forse noi tendiamo a dimenticarci l'elemento della ricerca, e a concentrarci sulle risposte della tradizione e sulle sue contraddizioni.

Angelo Cannata

La prospettiva dell'essere in ricerca è stata presente da sempre sia nel Cristianesimo che nel suo antecedente, l'Ebraismo. Nell'Antico Testamento si è nomadi, si cammina in continuazione, la terra è sempre promessa, mai definitivamente e stabilmente raggiunta e ottenuta. Anche Gesù cammina in continuazione lungo la Palestina.
Tuttavia quest'atteggiamento, sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento, scende continuamente a compromessi con il bisogno di riferimenti stabili; in un camminare sensato si può anche concepire il riferimento, almeno temporaneo, della tenda, della sosta; Gesù stesso si fermava a farsi ospitare e anche banchettare.
Presto però le esigenze di riferimenti forti si sono fatte sentire con prepotenza: si pensi alle eresie nei primi secoli: per poterle contrastare diveniva indispensabile formare una dottrina ben definita, formalizzata.
Questo avviene anche in filosofia e in ogni studio umano: senza riferimenti definiti e chiari è impossibile approfondire seriamente uno studio qualsiasi.
Il problema è come concepire i riferimenti definiti e chiari: c'è chi ritiene che, in quanto tali, debbano essere assoluti, c'è chi è più disposto a considerarli comunque storici, soggetti a qualsiasi tipo di modifiche, senza timore che ciò comporti destabilizzazione. È la stessa eterna tensione che c'è in politica tra conservatori e progressisti.
In questo contesto il male può essere identificato sia con la stabilità che con la ricerca.
Da parte mia, ritengo la ricerca più capace di essere comprensiva, cioè di accogliere in sé anche stabilità provvisorie. La ricerca non è salvezza, ma la trovo comunque la via più arricchente e più aperta alle possibilità. Questo criterio mi sembra non cadere nei problemi indicati in partenza da Socrate78, poiché esso non contiene alcuna conclusione soggetta ad essere demolita. Puoi demolire una casa, non puoi demolire il divenire.

doxa

#5
Socrate ha scritto:
CitazioneIl centro della fede cristiana consiste nel credere che Dio, fattosi uomo in Cristo, si sia sacrificato per i peccati di tutti gli uomini prendendoli su di sé. Tuttavia se fosse vero, non dovrebbe da quel momento in poi essersi creata un'umanità perfetta, senza cattiveria, solo fatta di amore e senza odio, visto che Dio, onnipotente, avrebbe redento il male prendendoselo su di sé? Invece no, gli uomini dopo Cristo hanno continuato a farsi tantissimo male come prima, se non addirittura peggio con guerre a non finire in nome della stessa religione cristiana, e questo non testimonierebbe il fallimento o la fallacia della redenzione stessa?

Ciao Socrate, la tua riflessione m'induce a domandarmi perché il Gesù-Dio si è sacrificato prendendo su di sé i peccati dell'umanità. Ha avuto la richiesta e il mandato popolare per la sua iniziativa ? No ! Perciò è da biasimare, ... se Dio esiste.

Per chi non crede nella sua esistenza tale "decisione" altro non è che un aspetto dell'immaginazione umana, in particolare, l'illusione di Giovanni il Battista: "Ecce Agnus Dei, ecce Qui tollit peccatum mundi", secondo la narrazione del vangelo attribuito a Giovanni (1, 29).

L'Agnus dei che toglie i peccati del mondo è ispirato dal Vecchio Testamento, dal rito dell'agnello pasquale degli Ebrei.

L'Agnello pasquale (libro dell'Esodo, 12, 1 e 14, 46) è il memoriale (eseguito con il sacrificio di un agnello) della liberazione del popolo di Israele dalla schiavitù d'Egitto.

Penso che Angelo con la sua sapienza dottrinale possa spiegare il perché della necessità divina di accollarsi inutilmente i peccati del mondo, o meglio di considerare Gesù la "vittima sacrificale", l'Agnus Dei qui tollis peccata mundi. Anche senza tale azione le cose del mondo non sono cambiate e non cambieranno mai.

Socrate78

Perché mai, Angelo Cannata, il fatto che ci sia il male nel mondo porterebbe a dubitare dell'esistenza del mondo stesso? Non credo di comprendere, poiché semplicemente porta a credere in un mondo semmai cattivo, ma non per questo inesistente!

Angelo Cannata

Citazione di: altamarea il 24 Gennaio 2018, 15:16:27 PMPenso che Angelo con la sua sapienza dottrinale possa spiegare il perché della necessità divina di accollarsi inutilmente i peccati del mondo, o meglio di considerare Gesù la "vittima sacrificale", l'Agnus Dei qui tollis peccata mundi. Anche senza tale azione le cose del mondo non sono cambiate e non cambieranno mai.
Con tutta la mia sapienza dottrinale   ;D  non so darti alcuna risposta, anche perché, a quanto mi sembra, da quando il mondo esiste nessuno ha mai saputo darne. È solo una delle tante sfaccettature del problema della teodicea, il problema del perché esiste il male.

Angelo Cannata

Citazione di: Socrate78 il 24 Gennaio 2018, 16:02:26 PMPerché mai, Angelo Cannata, il fatto che ci sia il male nel mondo porterebbe a dubitare dell'esistenza del mondo stesso? Non credo di comprendere, poiché semplicemente porta a credere in un mondo semmai cattivo, ma non per questo inesistente!
Per lo stesso motivo per cui le risposte al problema della teodicea funzionano solo nella mente di chi le ha create.

Mi spiego meglio.

Prendiamo il problema della teodicea: come mai Dio non toglie immediatamente il male, tutto il male, visto che ha tutto il potere e tutta l'intenzione di farlo?
Sono tante le risposte che sono state proposte. Ciascuna di esse funziona se considerata come un sistema chiuso in sé stesso. Ad esempio, una delle risposte fa appello alla libertà umana: se Dio eliminasse il male eliminerebbe con ciò stesso anche la nostra libertà di disubbidirgli e quindi non saremmo altro che burattini nelle sue mani. Un'altra risposta fa appello all'infinità dei misteri di Dio, di fronte ai quali la nostra mente tanto piccola non può pretendere di capire. Queste risposte funzionano se considerate chiuse all'interno della loro logica. Smettono di funzionare se collegate nel contesto umano in cui vengono proposte. Cioè, qualsiasi risposta non può fare a meno di rivelarsi scollegata dalla drammaticità, dalla concretezza di quando il male viene effettivamente sperimentato da noi.

Lo stesso vale per le concezioni di questo mondo: funzionano tutte finché non le consideriamo in connessione con la concreta esperienza umana della sofferenza, il tradimento, l'ingiustizia, la sopraffazione, il pianto. Come fai a presentare una qualsiasi concezione del mondo a uno che sta piangendo un morto?

Possiamo dire che questo mondo esiste solo fin tanto che lo guardiamo con occhi tranquilli. Una persona che piange non potrà mai capacitarsi adeguatamente di come questo mondo possa esistere, non ci saranno spiegazioni che tengano di fronte al suo dolore. Questa persona, di fronte a qualsiasi concezione del mondo, continuerà a chiedere "Perché? Perché? Perché?". Di fronte a questi drammatici "perché?" non c'è filosofia che regga, crollano tutte.

Angelo Cannata

Aggiungo per specificare meglio:

crollando tutte le filosofie, crolla anche l'idea di essere, l'idea di divenire, crolla la metafisica, il relativismo, la grammatica, i vocabolari. Nulla regge di fronte alle lacrime.

Angelo Cannata

Tempo fa avevo espresso un modo di considerare il pianto nel video di approfondimento dell'articolo n.1 della serie La spiritualità e le spiritualità su riflessioni.it.

Socrate78

@Angelo Cannata: Però anche se queste "risposte" filosofiche al problema del male non riescono a consolare dalla sofferenza il singolo o anche un insieme di persone vittime del male, non si può escludere in assoluto che almeno una di esse si avvicini alla realtà delle cose. Oppure per te sono tutte sostanzialmente false?

Angelo Cannata

Dire che sono tutte false significherebbe pretendere di aver raggiunto una verità: la certezza, appunto, che siano false. Io non posso avanzare questa pretesa.
È anche chiaro, però, che il non poter escludere che una risposta si avvicini alla realtà, non offre comunque alcuna garanzia che quest'avvicinamento esista in qualche risposta. Può darsi benissimo che tutte le risposte siano davvero false.
Io questo senso, io non posso negare in maniera assoluta neanche se uno mi dice che un asino vola. Ma ciò non garantisce che da qualche parte ci sia sicuramente almeno un asino che vola.
A questo punto si tratta di scegliere le direzioni più fruttuose in cui ricercare.
Una volta che io non posso negare alcunché, non posso neanche vietare alcuna direzione di ricerca. Ad esempio, Apeiron è alla ricerca di un'etica che si presenti come chiara per tutti, universale. Secondo me non la troverà mai, ma si tratta solo di una mia opinione: non possiedo alcun elemento per garantire che egli non la troverà mai.
Posso solo far notare che, una volta che le apparenze, sempre a mio parere, non sembrano promettere risultati apprezzabili nelle solite direzioni di ricerca, tanto vale esplorare direzioni di ricerca diverse.
Se le tradizionali risposte al problema del male non mi lasciano intravedere alcuna loro validità, tanto vale interrogarsi se possa essere meglio individuare le possibili radici che le rendono tutte invalide, in maniera da modificare alla radice i metodi e le direzioni di ricerca.
La filosofia cerca di fare da sempre esattamente questo: andare sempre più alle radici dei nostri pensieri e dei nostri comportamenti, in maniera da individuare orizzonti, direzioni di ricerca, modi di pensare, radicalmente diversi, nella speranza che si rivelino migliori. Spesso poi accade di accorgersi che queste radicali diversità erano state già praticate nel passato da certuni, ma le nostre ristrettezze mentali ci avevano impedito di accorgercene.
Per compiere ricerche di queste genere, che si cimentano nel mettere in questione le radici dei nostri modi di pensare, ci vuole però coraggio, perché mettere in questione le radici, le fondamenta, significa sentirsi barcollare, vacillare, e non tutti sono disposti a cimentarsi in questa situazione sgradevole.
Mi sembra anche vero però che, finché mancheranno persone coraggiose, disposte ad affrontare queste situazioni di totale rischio della stabilità, mancherà inevitabilmente la possibilità di uscire dalle gabbie del presente.
Oggi, ad esempio, siamo schiavi di logiche di mercato che s'impongono come inevitabili, inesorabili. Mi sembra che sia possibile uscire da queste schiavitù solo al prezzo di affrontare il rischio della totale instabilità economica. Chi non risica non rosica.
Lo stesso vale per il problema del male: si possono scoprire vie di ricerca nuove solo a patto di essere disposti a mettere in questione le basi fondamentali dei nostri modi di pensare.
Ciò non è altro che il "Convertitevi!" predicato da Gesù. Egli aveva intuito che c'è bisogno di questa disponibilità a rivoluzioni totali della nostra interiorità. Purtroppo, però, lui, o chi per lui, ricadde nel bisogno di certezze indiscutibili ed ecco il dogma della sua risurrezione, che entra in contraddizione con i mali del presente: se Gesù è risorto, e quindi ha sconfitto la morte, il male, come mai morte e male ci sono ancora? E così siamo al punto di partenza che tu hai presentato aprendo questa discussione.

Apeiron

Caro Angelo dici che:

Ad esempio, Apeiron è alla ricerca di un'etica che si presenti come chiara per tutti, universale. Secondo me non la troverà mai, ma si tratta solo di una mia opinione: non possiedo alcun elemento per garantire che egli non la troverà mai.

Concordo, personalmente non credo che riuscirò mai a trovarla  ;) ma non escludo che in generale si possa fare (magari è possibile per un "dio", un "Buddha" ecc)  :)



Inoltre concordo anche con questo:


Dire che sono tutte false significherebbe pretendere di aver raggiunto una verità: la certezza, appunto, che siano false. Io non posso avanzare questa pretesa.
È anche chiaro, però, che il non poter escludere che una risposta si avvicini alla realtà, non offre comunque alcuna garanzia che quest'avvicinamento esista in qualche risposta. Può darsi benissimo che tutte le risposte siano davvero false.


Infatti secondo me c'è un'etica "universale" (ovvero "comune a tutti i soggetti") ma è appunto la mia opinione, se vuoi la mia "fede". L'unica altra alternativa è che non ci sia ma confrontando le due scelgo quella meno "problematica" e secondo me tra le due quella meno problematica è che ci sia  una "etica universale". Perdona l'off-topic ma ci tenevo a precisare che il mio è un "secondo me" (corroborato dalla lettura di, ahimé troppi, libri di filosofia e spiritualità sia orientali che occidentali - per esempio la "Regola d'Oro" torna molto spesso, questo come ben dici tu non prova nulla purtroppo  :( ). Ma amen, se la vie.


Riguardo alla teodicea... il problema non è tanto il fatto che il male è inspiegabile (e secondo me filosofie come il buddhismo, lo giainismo, il pirronismo, almeno alcune forme di daoismo e induismo ecc non hanno il problema del male), quanto che la spiegazione dell'esistenza del male è problematica. In sostanza, Angelo quando dici:

Una persona che piange non potrà mai capacitarsi adeguatamente di come questo mondo possa esistere, non ci saranno spiegazioni che tengano di fronte al suo dolore. Questa persona, di fronte a qualsiasi concezione del mondo, continuerà a chiedere "Perché? Perché? Perché?". Di fronte a questi drammatici "perché?" non c'è filosofia che regga, crollano tutte.

Un buddhista direbbe: "hai ragione e infatti non ti dico perchè c'è il male. Ma ti posso aiutare ad affrontarlo o più precisamente a fare in modo che tu riesca a "salvarti" da esso". Nota che non sto "sostenendo" il buddhismo o facendo "propaganda", dico solo che alcune filosofie riconoscono che c'è il male ma non si preoccupano di dare una spiegazione. Ergo secondo me per queste filosofie non è un vero problema.


Ad ogni modo moltissimi cristiani rimangono molto "perplessi" su questo tema. Appunto si "affidano" a Dio ovvero. Ad un certo punto (anche se non definitivamente, magari) smettono di porsi il problema ma si "lasciano andare". E lasciarsi andare, arrendersi a volte è l'unico modo per, paradossalmente, vincere dal male (questa idea paradossale per cui la "resa è la vittoria (almeno in certi contesi)" tra l'altro molto condiviso in molte religioni da quanto ho potuto capire e sinceramente sono anche d'accordo con la frase riportata, parentesi inclusa)  :) Quindi Socrate78 credo che ad un certo punto i cristiani scelgano questa via dell'affidarsi a Dio. 



 
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Socrate78

In quel caso non si tratta di resa autentica secondo me, ma di fare in modo che mentalmente il male non esistesse convincendosi che esso è ad esempio parte di un progetto divino per cui alla fine anch'esso è una forma di bene, ma questa più che resa appare una volontà psicologica di rimozione, almeno dal mio punto di vista.

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