L'atto estremo del Suicidio

Aperto da acquario69, 01 Marzo 2017, 08:52:31 AM

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acquario69

Citazione di: Angelo Cannata il 02 Marzo 2017, 08:27:50 AM
Citazione di: acquario69 il 02 Marzo 2017, 08:21:48 AM
ma io sto proprio prendendo le difese della vittima,poiche nel caso come lo descrivi tu sopra e' proprio lui a farsi vittima di se stesso.

E tornando al tema suicidio nei casi di bullismo credo proprio che alla radice vi sia questo vittimismo di fondo
Se dici che il gay è vittima di se stesso stai dicendo che l'oppressore non è il bullo, l'arrogante che lo calpesta: l'oppressore è il gay che si suicida, colpevole di vittimismo. Quindi stai assolvendo con formula piena il bullo e stai condannando la vittima!

E dici che in questo modo stai prendendo le difese della vittima?

Non sto prendendo le parti del bullo e non lo sto affatto assolvendo, sto solo dicendo che tutto può avere inizio solo da chi si fa vittima di se stesso...il carnefice e' tale solo in corrispondenza di una vittima che gli permette di essere un carnefice

acquario69

Citazione di: donquixote il 02 Marzo 2017, 09:03:28 AM
Indubbiamente l'ambiente esterno influisce, come ha sempre influenzato chiunque in tutti i tempi, ma se si accorda troppa importanza alle influenze ambientali si rischia che queste diventini facili alibi per qualunque comportamento e qualunque atteggiamento. Se non si può modificare l'ambiente si può però agire su se stessi, e la responsabilità nei confronti di sé è la prima cosa da insegnare ai bambini e praticare da grandi. Poi l'azione di ognuno su se stesso potrà anche, col tempo, modificare l'ambiente umano nel suo complesso, ma dare la colpa a questo per ciò che ci accade è profondamente ipocrita; è un po' come colui che fuma 60 sigarette al giorno per decine di anni e se gli viene il cancro fa causa per danni alla ditta che fabbrica le sigarette.

Non volevo dare una giustificazione o pretendere un "alibi" ma più semplicemente considerare che l'ambiente che ci circonda non facilita certo le cose...e credo fermamente che quelli che stiamo vivendo siano i peggiori mai avuti in tal senso

donquixote

Citazione di: acquario69 il 02 Marzo 2017, 10:55:46 AMNon volevo dare una giustificazione o pretendere un "alibi" ma più semplicemente considerare che l'ambiente che ci circonda non facilita certo le cose...e credo fermamente che quelli che stiamo vivendo siano i peggiori mai avuti in tal senso

Credo che per "peggiori" tu intenda i "tempi", visto che in quella frase manca il soggetto, ma se da questo punto di vista è per me fin troppo ovvio concordare con te,  paradossalmente il fatto di vivere in questi tempi dovrebbe, per coloro che ne sono consapevoli, aumentare ancora di più il senso di responsabilità nei confronti di se stessi per non lasciarsi trascinare nel gorgo del mondo che affonda, vivendo una vita senza alcuno scopo e alcuna direzione sballottati da venti che tirano alternativamente in tutte le direzioni e che terminerà, indipendentemente dal modo in cui lo farà, in un mare di vittimismo, rancore e rimpianto.
Gandhi diceva: "sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo!", e se una persona non può cambiare questo mondo può però agire su se stessa e "prendere in mano" la sua vita senza metterla nelle mani di altri che ovviamente saranno, come lui, più attenti alle proprie esigenze che a quelle altrui. Un vecchio e saggio proverbio diceva: "ognuno per sé e Dio per tutti", e tutti quelli che pretendono di far dipendere la propria felicità e il proprio benessere dagli "altri" (le istituzioni, gli amici, i parenti, i datori di lavoro, i fidanzati, lo stato o chiunque altro) e dalla loro approvazione alle scelte di vita che fanno non potranno che andare incontro a cocenti delusioni che, per i più deboli, potranno anche avere conseguenze drammatiche.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

sgiombo

Citazione di: donquixote il 02 Marzo 2017, 08:49:10 AM
Citazione di: sgiombo il 02 Marzo 2017, 08:19:26 AMUna risposta sensata a questo "perché?" dovrebbe trovarla il credente (chi crede che il SIgnore Dio sia padrone assoluto della nostra vita e del nostro corpo ed essendo buono -infinitamente- provvederebbe Lui stesso a porre fine alle sofferenze dei malati ma non lo fa). Perché senza una risposta credibille e coerente con il creduto é razionale cessare di crederlo.

Si dimentica troppo spesso che, tanto è vero che non esistono malattie che se lasciate decorrere naturalmente provocano dolori insopportabili e prolungati nel tempo. Questi dolori e questa sofferenza sono di breve durata e poi si concludono con la morte. Solo l'intervento dell'uomo con le sue tecniche e i suoi macchinari può prolungare la sofferenza, a volte indefinitamente, e dunque non ha senso colpevolizzare chi colpe non ne ha. Che poi anche i "credenti" ritengano che i macchinari e le tecniche che tengono artificialmente in vita le persone siano un "dono della Provvidenza" è una allucinazione che riguarda la loro coscienza e il loro modo di valutare la realtà.

CitazioneDio (o se si vuole la Natura) provvede sempre a por fine alla vota di chiunque, felice o infelice che sia, del tutto indifferentemente al suo stato di soddisfazione o meno; ma purtroppo talora lo fa dopo lunghissime, insopportabili sofferenze anche senza artificiali interventi per prolungare l' orrenda sopravvivenza in siffatte condizioni.

Per questo l' eutanasia, esattamente come l' impiego delle cure ragionevolmente considerabili più efficaci per sopravvivere comunque il più a lungo possibile se lo si preferisce, é un diritto personale (e se lo stato non lo garantisce, allora é uno stato barbaro e incivile).

baylham

Applicare al suicidio discutibili criteri di coraggio o viltà mi sembra fuori luogo, in molti casi della cronaca recente profondamente ingiusto, se non oltraggioso. Forse ho fatto altrettanto discutendo di convenienza economica, ma mi riferivo al compito della politica, non al suicida, di legalizzare l'eutanasia e il suicidio assistito.

I criteri per definire ciò che è coraggioso e ciò che è vile sono molto relativi, spesso il coraggio e la viltà vanno a braccetto nello stesso gesto. Il superuomo non mi appare umanamente ideale.

I motivi del suicidio sono individuali, diversi. Se è perduto ciò che dà senso, valore alla vita, il suicidio è una possibile, dignitosa reazione a qualcosa di irreparabile, il riconoscimento di un limite. Perciò il suicidio può essere una forma estrema di espressione della libertà o della schiavitù, dell'amore oppure dell'odio. Comunque il suicidio è una possibilità che la vita stessa ci dà, una via d'uscita percorribile.

Soffrire per uno scopo desiderato, esempio prendere un farmaco o fare un'operazione dolorosa per curare la malattia, è razionale, normale. Nei casi in cui si soffre per morire o vive per soffrire il suicidio è una scelta altrettanto dignitosa e razionale per tutti. In questi casi legalizzare l'eutanasia, il suicidio assistito per una buona morte è giusto.

Condivido la riflessione sopra (#23) di Angelo Cannata.

donquixote

Citazione di: sgiombo il 02 Marzo 2017, 16:27:44 PMDio (o se si vuole la Natura) provvede sempre a por fine alla vota di chiunque, felice o infelice che sia, del tutto indifferentemente al suo stato di soddisfazione o meno; ma purtroppo talora lo fa dopo lunghissime, insopportabili sofferenze anche senza artificiali interventi per prolungare l' orrenda sopravvivenza in siffatte condizioni.


Dato che sei un medico dovresti poter fare qualche esempio di sofferenze fisiche insopportabili che durano mesi o addirittura anni. A me risulta che il dolore fisico, raggiunto e superato il livello di sopportazione come nei malati terminali, senza intervento medico porta alla perdita dei sensi e alla morte in brevissimo tempo. Se invece si parla di sofferenze psicologiche è un altro discorso perchè queste possono sussistere anche in un corpo perfettamente sano, e la medicalizzazione della vita che, come nel caso del dj in questione o in quello di tanti altri,  con artifizi tecnici fa sopravvivere la gente in quelle condizioni, contribuisce certamente ad aumentarle.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

davintro

#36
Citazione di: donquixote il 02 Marzo 2017, 17:55:46 PM
Citazione di: sgiombo il 02 Marzo 2017, 16:27:44 PMDio (o se si vuole la Natura) provvede sempre a por fine alla vota di chiunque, felice o infelice che sia, del tutto indifferentemente al suo stato di soddisfazione o meno; ma purtroppo talora lo fa dopo lunghissime, insopportabili sofferenze anche senza artificiali interventi per prolungare l' orrenda sopravvivenza in siffatte condizioni.
Dato che sei un medico dovresti poter fare qualche esempio di sofferenze fisiche insopportabili che durano mesi o addirittura anni. A me risulta che il dolore fisico, raggiunto e superato il livello di sopportazione come nei malati terminali, senza intervento medico porta alla perdita dei sensi e alla morte in brevissimo tempo. Se invece si parla di sofferenze psicologiche è un altro discorso perchè queste possono sussistere anche in un corpo perfettamente sano, e la medicalizzazione della vita che, come nel caso del dj in questione o in quello di tanti altri, con artifizi tecnici fa sopravvivere la gente in quelle condizioni, contribuisce certamente ad aumentarle.

Che il livello di sofferenza sia elevato o ridotto, di durata prolungata o ridotta nel tempo, superante o meno la soglia di sopportazione resta sempre un giudizio mai assoluto ma relativo, relativo alla sensibilità soggettiva della persona. Chi stabilisce la soglia discreta oltre cui un certo livello (e quale livello di intensità?), andrebbe considerato eccessivamente prolungato? Una settimana, un mese, un anno? La questione etica fondamentale in questo contesto mi pare riguardi il valore della sofferenza: la sofferenza nobilita l'uomo? Possiede una sua nobiltà intrinseca? La mia personale risposta è: assolutamente no. La sofferenza non ha nulla di nobile, è un male e dunque va il più possibile ridotta. Il che non vuol dire che non sia lecito sopportarla in certi casi, ma mai come valore in sé, ma come "male necessario", o meglio negativo effetto collaterale di un bene maggiore che ripaga (con gli interessi) tale negatività. Certamente la ricerca di ciò che nella vita ci rende felici, "benestanti" in senso fisico-psichico, comporta fare dei sacrifici, sicuramente l'atleta che si prefigge l'obiettivo di vincere la medaglia d'oro alle olimpiadi mette in conto lo sperimentare la sofferenza, la fatica degli allenamenti, ma non pone la sofferenza come valore in sé, ma come un costo necessario per ricavare qualcosa di più grande, la soddisfazione della futura eventuale vittoria. Ogni nostra decisione, la decisione di un essere razionale, porta sempre con sé un aspetto di economicità, calcolo dei costi e benefici, agire sempre in modo che il benessere che ragionevolmente ritengo di avere la possibilità di raggiungere sia maggiore della sofferenza che ora sopporto per raggiungerlo, ed è inevitabile che tale calcolo non possa che essere svolto dalla libertà riflessiva del soggetto che soppesa il valore delle cose, e decide di sacrificare un bene minore per un bene maggiore, e lo soppesa perché è in nome della sua sensibilità morale che attribuisce alle cose un valore. Nel caso in cui il soggetto si rende conto che la sofferenza che prova ha raggiunto un livello o una ineluttabilità tale da non poter essere più accettata e sopportata come costo strumentale per un bene maggiore, ma diviene condizione definitiva  ed escludente beni più grandi di essa, allora non vi è nulla di irrazionale nel desiderio di annullare la sofferenza rinunciando a una vita che quella sofferenza non potrebbe più ripagare

Angelo Cannata

Citazione di: acquario69 il 02 Marzo 2017, 10:52:20 AM
Non sto prendendo le parti del bullo e non lo sto affatto assolvendo, sto solo dicendo che tutto può avere inizio solo da chi si fa vittima di se stesso...il carnefice e' tale solo in corrispondenza di una vittima che gli permette di essere un carnefice
Cosa cambia? Hai messo carnefice al posto di bullo per confermare la tua idea che causa di origine e causa finale della violenza è solo la vittima. Mi piace quell'aver scritto per due volte la parola "solo": non sia mai che a qualcuno possa venire il sospetto che anche il carnefice potrebbe avere qualche responsabilità.

donquixote

Citazione di: davintro il 02 Marzo 2017, 19:22:57 PMla sofferenza nobilita l'uomo? Possiede una sua nobiltà intrinseca? La mia personale risposta è: assolutamente no. La sofferenza non ha nulla di nobile, è un male e dunque va il più possibile ridotta. Il che non vuol dire che non sia lecito sopportarla in certi casi, ma mai come valore in sé, ma come "male necessario", o meglio negativo effetto collaterale di un bene maggiore che ripaga (con gli interessi) tale negatività. Certamente la ricerca di ciò che nella vita ci rende felici, "benestanti" in senso fisico-psichico, comporta fare dei sacrifici, sicuramente l'atleta che si prefigge l'obiettivo di vincere la medaglia d'oro alle olimpiadi mette in conto lo sperimentare la sofferenza, la fatica degli allenamenti, ma non pone la sofferenza come valore in sé, ma come un costo necessario per ricavare qualcosa di più grande, la soddisfazione della futura eventuale vittoria. Ogni nostra decisione, la decisione di un essere razionale, porta sempre con sé un aspetto di economicità, calcolo dei costi e benefici, agire sempre in modo che il benessere che ragionevolmente ritengo di avere la possibilità di raggiungere sia maggiore della sofferenza che ora sopporto per raggiungerlo, ed è inevitabile che tale calcolo non possa che essere svolto dalla libertà riflessiva del soggetto che soppesa il valore delle cose, e decide di sacrificare un bene minore per un bene maggiore, e lo soppesa perché è in nome della sua sensibilità morale che attribuisce alle cose un valore. Nel caso in cui il soggetto si rende conto che la sofferenza che prova ha raggiunto un livello o una ineluttabilità tale da non poter essere più accettata e sopportata come costo strumentale per un bene maggiore, ma diviene condizione definitiva ed escludente beni più grandi di essa, allora non vi è nulla di irrazionale nel desiderio di annullare la sofferenza rinunciando a una vita che quella sofferenza non potrebbe più ripagare

Praticamente hai enunciato la ricetta della perfetta infelicità, e il mondo moderno lo mostra quotidianamente. Da un lato abbiamo coloro che anelano all'american dream (che potrebbe essere la medaglia d'oro alle olimpiadi): questi sono disponibili a sopportare un certo livello di sofferenza a fronte di una gioia maggiore da conseguire in futuro realizzando il proprio "sogno": ma quanti sono quelli che effettivamente raggiungono l' "american dream" raccontato nei romanzi e nei film? Quante sono le "Cenerentole" che sposano il Principe Azzurro? E tutti gli altri che hanno sofferto inutilmente?
Dall'altro lato abbiamo coloro che non hanno alcun sogno da raggiungere e si acconterebbero di evitare qualunque forma di sofferenza: che vita sarebbe la loro? Soli sotto una campana di vetro asettica?
Il tentativo di evitare ogni tipo di sofferenza avrà come risultato solamente l'abbassamento della soglia di sopportazione della medesima, conducendo gli uomini a soffrire di più anzichè di meno.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

sgiombo

Citazione di: donquixote il 02 Marzo 2017, 17:55:46 PM
Citazione di: sgiombo il 02 Marzo 2017, 16:27:44 PMDio (o se si vuole la Natura) provvede sempre a por fine alla vota di chiunque, felice o infelice che sia, del tutto indifferentemente al suo stato di soddisfazione o meno; ma purtroppo talora lo fa dopo lunghissime, insopportabili sofferenze anche senza artificiali interventi per prolungare l' orrenda sopravvivenza in siffatte condizioni.


Dato che sei un medico dovresti poter fare qualche esempio di sofferenze fisiche insopportabili che durano mesi o addirittura anni. A me risulta che il dolore fisico, raggiunto e superato il livello di sopportazione come nei malati terminali, senza intervento medico porta alla perdita dei sensi e alla morte in brevissimo tempo. Se invece si parla di sofferenze psicologiche è un altro discorso perchè queste possono sussistere anche in un corpo perfettamente sano, e la medicalizzazione della vita che, come nel caso del dj in questione o in quello di tanti altri,  con artifizi tecnici fa sopravvivere la gente in quelle condizioni, contribuisce certamente ad aumentarle.
CitazioneA parte il fatto che il dolore morale non é meno terribile di quello fisico (e non é solitamente legato a condizioni fisiche tali da portare rapidamente a morte in assenza di cure) e che spesso si determina un perverso circolo vizioso fra i due che si potenziano reciprocamente, sono tantissime le malattie somatiche che, senza intervento medico (e in certi casi anche malgrado questo) possono far soffrire e talora di fatto fanno soffrire terribilmente per anni o decenni (fra le prime che mi vengono in mente: lupus eritematoso sistemico, artrite reumatoide e tante altre connettiviti sistemiche, sclerosi multipla, displasie muscolari, leucemie "acute" e "croniche", le più svariate neoplasie specialmente se con -fra l' altro- metastasi ossee, che a volte consentono sopravvivenze senza cure particolari per mesi e anni, lebbra...).

Senza contare che non esiste una "durata breve o lunga in assoluto": il tempo é relativo.

Infine, anche negli ancor più numerosi casi in cui in cui sofferenze atroci sono ragionevolmente prevedibili durare "soltanto" -sic!- per giorni o settimane o mesi (senza cure mediche; che fra l' altro spesso le alleviano almeno in qualche misura) non vedo perché chi desidera porvi fine prima debba sopportarli per il sollazzo sadico del Sacro Collegio (in questo degno successore dei Torquemada della Santa Inquisizione).

Jean

Un amico, alla domanda riguardante l'eutanasia, mi ha riferito la sua personale esperienza in occasione della morte della madre, arrivata all'ultimo stadio e ormai in coma.

Si consultò col dottore sull'eventualità di intervenire con una dose elevata di morfina per lenirne le sofferenze.

Tali sofferenze il corpo le mostrava ben evidenti... ma non la mente, dato lo stato di coma. 
Forse, a quel punto, era un problema che toccava più i familiari che l'interessata.

Il dottore rispose che con quasi certezza la somministrazione della sostanza avrebbe comportato il collasso dell'organismo in brevissimo tempo.

Il figlio (mio amico) nel guardare la madre si chiese se quel poco tempo ormai rimastole da trascorrere su questo mondo non facesse parte della storia di quella donna.

Per quanto straziante non ritenne di doverglielo accorciare. 
La donna morì dopo sette ore.
 

Quest'altra che racconto è un'esperienza da me vissuta, riguarda un'anziana che dopo lunga malattia e sofferenza andò in coma profondo.

Si trovava in ospedale, ormai questione di ore, attorniata dai figli e dal loro dolore... psicologicamente più grande del proprio.

A causa della flebile e difficile respirazione un figlio ottenne le fosse messa una maschera d'ossigeno... che la donna (da tempo non reagiva neppure alla stretta della mano) tra lo stupore dei presenti si strappò dal volto...

... contemporaneamente, in uno spazio attiguo un'altra anziana pure in fin di vita rivolta a qualcosa che vedeva solo lei imprecava a squarciagola di andar via...
 


Argomenti difficili, non ne sappiamo abbastanza e ogni esperienza è diversa dall'altra.

davintro

Citazione di: donquixote il 02 Marzo 2017, 20:48:17 PM
Citazione di: davintro il 02 Marzo 2017, 19:22:57 PMla sofferenza nobilita l'uomo? Possiede una sua nobiltà intrinseca? La mia personale risposta è: assolutamente no. La sofferenza non ha nulla di nobile, è un male e dunque va il più possibile ridotta. Il che non vuol dire che non sia lecito sopportarla in certi casi, ma mai come valore in sé, ma come "male necessario", o meglio negativo effetto collaterale di un bene maggiore che ripaga (con gli interessi) tale negatività. Certamente la ricerca di ciò che nella vita ci rende felici, "benestanti" in senso fisico-psichico, comporta fare dei sacrifici, sicuramente l'atleta che si prefigge l'obiettivo di vincere la medaglia d'oro alle olimpiadi mette in conto lo sperimentare la sofferenza, la fatica degli allenamenti, ma non pone la sofferenza come valore in sé, ma come un costo necessario per ricavare qualcosa di più grande, la soddisfazione della futura eventuale vittoria. Ogni nostra decisione, la decisione di un essere razionale, porta sempre con sé un aspetto di economicità, calcolo dei costi e benefici, agire sempre in modo che il benessere che ragionevolmente ritengo di avere la possibilità di raggiungere sia maggiore della sofferenza che ora sopporto per raggiungerlo, ed è inevitabile che tale calcolo non possa che essere svolto dalla libertà riflessiva del soggetto che soppesa il valore delle cose, e decide di sacrificare un bene minore per un bene maggiore, e lo soppesa perché è in nome della sua sensibilità morale che attribuisce alle cose un valore. Nel caso in cui il soggetto si rende conto che la sofferenza che prova ha raggiunto un livello o una ineluttabilità tale da non poter essere più accettata e sopportata come costo strumentale per un bene maggiore, ma diviene condizione definitiva ed escludente beni più grandi di essa, allora non vi è nulla di irrazionale nel desiderio di annullare la sofferenza rinunciando a una vita che quella sofferenza non potrebbe più ripagare
Praticamente hai enunciato la ricetta della perfetta infelicità, e il mondo moderno lo mostra quotidianamente. Da un lato abbiamo coloro che anelano all'american dream (che potrebbe essere la medaglia d'oro alle olimpiadi): questi sono disponibili a sopportare un certo livello di sofferenza a fronte di una gioia maggiore da conseguire in futuro realizzando il proprio "sogno": ma quanti sono quelli che effettivamente raggiungono l' "american dream" raccontato nei romanzi e nei film? Quante sono le "Cenerentole" che sposano il Principe Azzurro? E tutti gli altri che hanno sofferto inutilmente? Dall'altro lato abbiamo coloro che non hanno alcun sogno da raggiungere e si acconterebbero di evitare qualunque forma di sofferenza: che vita sarebbe la loro? Soli sotto una campana di vetro asettica? Il tentativo di evitare ogni tipo di sofferenza avrà come risultato solamente l'abbassamento della soglia di sopportazione della medesima, conducendo gli uomini a soffrire di più anzichè di meno.

l'esempio dell'atleta sportivo era solo un esempio, ciascuno di noi ha delle ambizioni più o meno difficili da raggiungere, diciamo delle condizioni a cui vincolare il loro benessere. Per qualcuno può essere successi nello sport, per altri negli studi, altri nel commercio, nell'industria, in famiglia. Per pochi che ce la fanno molti restano sconfitti e illusi... possibile, ma se uno parte rassegnato in partenza certamente si preclude la possibilità minima di successo, mentre se  si mette alla prova può comunque coltivare le sue speranze. Senza poi contare (peccato che si vada fuori topic perché la questione si fa interessante...) che al di là del risultato finale che si raggiunge nel momento in cui ci si impegna in un ambito che rappresenta bene le nostre inclinazioni e passioni si prova piacere nello svolgere un'attività che risulta piacevole. Così chi ama il calcio può divertirsi nel corso della partita anche se poi viene sconfitto, lo studente pur non raggiungendo la laurea può trarre piacere dall'atto di studiare, seppur non coronato dal riconoscimento ufficiale finale. In ogni caso l'apatia assoluta, la mancanza di obiettivi mi pare una prospettiva poco ragionevole e opportuna. Come poco ragionevole, seppur comprensibile, l'idea della sofferenza come necessario passaggio per non "rammollirsi" ed abbassare la soglia della sopportazione. Poco ragionevole alla luce del principio dell'incertezza del futuro. Cercando di evitare, entro i limiti che indicavo prima, la sofferenza si raggiunge un certo benessere nella sofferenza nel presente, col rischio (non la certezza però) poi di soffrire maggiormente nel futuro, mentre chi ricerca la sofferenza per "fortificarsi" vive male nel presente, mentre non è detto che poi possa riscattarsi in seguito, dato che poi potrebbero accadere eventi così terribili da superare la soglia di sopportazione seppure divenuta alta, finendo così nel vivere una vita nel complesso dolorosa e quasi mai felice. Insomma, nell'incertezza di ciò che può accadere nel futuro, trovo più convincente la strategia esistenziale di mettere al sicuro il benessere del presente, poi si vedrà

donquixote

Citazione di: davintro il 02 Marzo 2017, 21:56:31 PMCercando di evitare, entro i limiti che indicavo prima, la sofferenza si raggiunge un certo benessere nella sofferenza nel presente, col rischio (non la certezza però) poi di soffrire maggiormente nel futuro, mentre chi ricerca la sofferenza per "fortificarsi" vive male nel presente, mentre non è detto che poi possa riscattarsi in seguito, dato che poi potrebbero accadere eventi così terribili da superare la soglia di sopportazione seppure divenuta alta, finendo così nel vivere una vita nel complesso dolorosa e quasi mai felice. Insomma, nell'incertezza di ciò che può accadere nel futuro, trovo più convincente la strategia esistenziale di mettere al sicuro il benessere del presente, poi si vedrà

Guarda che io non ho mai detto che bisogna "ricercare" la sofferenza. Questa capita quando capita, e se uno è in grado di affrontarla ne uscirà fortificato, e questa forza lo seguirà per il resto dei suoi giorni. Chi invece si impegna ad evitarla vivrà sempre col timore della sofferenza (che arriva senza preavviso) e questa paura non potrà che aumentare la sensazione di sofferenza anche quando questa non è effettivamente presente, ovvero quando non accadono episodi che la provochino. Tutto questo indipendentemente dai progetti che qualcuno può fare per il futuro, ma va sottolineato che più speranze si ripongono nel futuro e più alto è il rischio di rimanere delusi e convincersi quindi di aver "buttato via" la propria vita.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

donquixote

Citazione di: Jean il 02 Marzo 2017, 21:46:34 PMUn amico, alla domanda riguardante l'eutanasia, mi ha riferito la sua personale esperienza in occasione della morte della madre, arrivata all'ultimo stadio e ormai in coma. Si consultò col dottore sull'eventualità di intervenire con una dose elevata di morfina per lenirne le sofferenze. Tali sofferenze il corpo le mostrava ben evidenti... ma non la mente, dato lo stato di coma. Forse, a quel punto, era un problema che toccava più i familiari che l'interessata. Il dottore rispose che con quasi certezza la somministrazione della sostanza avrebbe comportato il collasso dell'organismo in brevissimo tempo. Il figlio (mio amico) nel guardare la madre si chiese se quel poco tempo ormai rimastole da trascorrere su questo mondo non facesse parte della storia di quella donna. Per quanto straziante non ritenne di doverglielo accorciare. La donna morì dopo sette ore.  Quest'altra che racconto è un'esperienza da me vissuta, riguarda un'anziana che dopo lunga malattia e sofferenza andò in coma profondo. Si trovava in ospedale, ormai questione di ore, attorniata dai figli e dal loro dolore... psicologicamente più grande del proprio. A causa della flebile e difficile respirazione un figlio ottenne le fosse messa una maschera d'ossigeno... che la donna (da tempo non reagiva neppure alla stretta della mano) tra lo stupore dei presenti si strappò dal volto... ... contemporaneamente, in uno spazio attiguo un'altra anziana pure in fin di vita rivolta a qualcosa che vedeva solo lei imprecava a squarciagola di andar via...  Argomenti difficili, non ne sappiamo abbastanza e ogni esperienza è diversa dall'altra.


Se si volesse delimitare la questione del suicidio a quello "assistito" nei più vari casi e per i più vari motivi si potrebbe dire che nella quasi totalità delle situazioni il suicidio assistito è una forzatura necessaria per porre rimedio ad un'altra forzatura che è stata posta in essere in precedenza. E due torti di segno opposto non fanno una ragione e neppure si elidono a vicenda, ma rimangono sempre due torti.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

acquario69

Citazione di: Angelo Cannata il 02 Marzo 2017, 19:40:53 PM
Citazione di: acquario69 il 02 Marzo 2017, 10:52:20 AM
Non sto prendendo le parti del bullo e non lo sto affatto assolvendo, sto solo dicendo che tutto può avere inizio solo da chi si fa vittima di se stesso...il carnefice e' tale solo in corrispondenza di una vittima che gli permette di essere un carnefice
Cosa cambia? Hai messo carnefice al posto di bullo per confermare la tua idea che causa di origine e causa finale della violenza è solo la vittima. Mi piace quell'aver scritto per due volte la parola "solo": non sia mai che a qualcuno possa venire il sospetto che anche il carnefice potrebbe avere qualche responsabilità.

Cosi pero mi sembra che ne fai solo una questione di lana caprina.
E se non avessi inserito quei due "solo" il senso sarebbe forse cambiato?

Facciamo una prova ora lo scrivo privato di quei "solo";

Non sto prendendo le parti del bullo e non lo sto affatto assolvendo, sto solo dicendo che tutto può avere inizio da chi si fa vittima di se stesso...il carnefice e' tale in corrispondenza di una vittima che gli permette di essere un carnefice.

Il discorso inoltre non andrebbe spezzettato ogni volta perché poi si perdono le tracce e dell'argomento rimangono solo frammenti che lo fanno perdere di vista.
l'argomento di riferimento e' il suicidio, quindi a un certo punto sono venute in ballo le vittime del bullismo che si suicidano...poi più in particolare del rapporto tra vittima e carnefice.

Nell'ultima parte faccio notare di aver comunque detto che non sto prendendo le parti del bullo e che non lo sto assolvendo,(quindi significa pure che non avrei comunque negato un suo coinvolgimento)

e su questo non mi pare che lo avresti preso in considerazione ma ti saresti piuttosto concentrato su quei "solo".


Per ritornare più in tema,il punto d'inizio tra vittima e carnefice non e' il carnefice ma la vittima...(al di la e prima ancora della divisione tra "colpevoli" e "innocenti")
Come mai ad esempio i bulli si concentrano solo su alcune persone e non su altre?...evidentemente perché queste si sentono già vittime da loro stessi.

Pero credo anche che andrebbero considerati altri fattori, che sarebbero a mio avviso ancora più a monte e che ne scaturiscono e favoriscono all'origine le stesse dinamiche di cui sopra.

E cioè sul fatto che i "valori" che ci sono in circolazione anziché attenuare o indirizzare al meglio certi comportamenti, al contrario li alimenta e alla fine sia il carnefice che la vittima nei casi di bullismo, sono in realtà entrambe vittime dello stesso sistema a cui fa riferimento e a quei stessi "valori" che incarna.
Quello che secondo me e che in effetti viene proprio a mancare e' una cultura alla responsabilità, mentre succede che viene sollecitata al contrario quella dell'irresponsabilità o del "piccolo io",o dell'IO separato..dove ognuno poi anziché guardarsi dentro per trovare le risposte adeguate o le cause stesse, si proietta "fuori" (deresponsabilizzandolo) e non riesce che a contestualizzare le cose solo in ragione della sua esclusività e solo dal suo unico punto di vista (e in tali casi -cioe ormai quasi la totalità' - si diventa tutti vittime)

Quindi quello che rimane e' una società smembrata,debole già in partenza e in perenne lotta competitiva l'uno contro l'altro. 
Una societa' suicida.

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