L'atto estremo del Suicidio

Aperto da acquario69, 01 Marzo 2017, 08:52:31 AM

Discussione precedente - Discussione successiva

Angelo Cannata

Citazione di: paul11 il 01 Marzo 2017, 21:15:01 PM
Angelo Cannata,
mi sorprende la tua di interpretazione su quanto scritto da Donquixote.
Non capovolgiamo i termini: vile è una persona che si dovrebbe vergognare dei suoi gesti di viltà. Donquixote ha definito vile il gay che si suicida. Dunque secondo lui chi si dovrebbe vergognare di ciò che fa non è il bullo, ma la vittima, il gay, il suicida.

davintro

sono un "sostenitore" della libertà individuale fintanto che il carico maggiore delle conseguenze delle scelte ricadano non su altri ma su noi stessi. Quindi la scelta di togliersi la vita la ritengo lecita nel momento in cui la prosecuzione della vita viene percepita come insensata o indegna da parte della coscienza. Questa mia posizione credo possa giovarsi di presupposti spiritualistici, o comunque relativi a una filosofia antropologica antiriduzionista, che non riduce l'uomo al corpo, alla dimensione esteriore. Infatti il principio di autodeterminazione, per cui la coscienza soggettiva che è l'unica che può legittimamente valutare la propria condizione esistenziale e le possibili future risorse di evoluzione di tale vita come vita degna d'essere vissuta, e decidere se vale la pena o no continuare, è un principio che ha come condizione imprescindibile l'irriducibilità dell'intimità, dell'interiorità verso cui rivolgere un'autocoscienza valutante, rispetto ai modi con cui la persona si rivela all'esterno, al giudizio altrui. Cioè se l'uomo si riducesse all'esteriorità, alla corporeità sarebbe lecito per un'autorità esterna, la famiglia, lo stato, la Chiesa giudicare se una vita debba continuare ad essere vissuta o meno, mentre l'idea di un mistero, di un'intimità nascosta dall'esterno è la base per riconoscere che il soggetto che più legittimamente può valutare la ragionevolezza, l'opportunità di una vita è l'individuo che vive in prima persona la vita stessa, ovviamente nel caso che il soggetto sia adulto e capace di intendere e volere con una certa lucidità. Solo io posso sapere se la mia vita è una vita degna di essere vissuta o no, perché la mia vita non coincide con le forme attraverso cui agli altri appaio. Del resto, questa motivazione è la stessa che mi porta ad essere profondamente contrario alla pena di morte, nessuno, tantomeno lo stato, può pretendere di giudicare con certezza se una persona meriti di vivere o meno, se possiede le risorse di espiare nel futuro i suoi errori. In questo senso la legittimità del suicidio è radicale conseguenza coerente con la spiritualità dell'uomo, l'uomo non si riduce alla psicofisicità, ma è spirito, coscienza, la vita non è valore assoluto e incondizionato, la sua conservazione è vincolata a condizioni che qualcosa di superiore alla vita, la razionalità, la coscienza pone, e lo pone alla luce della sua capacità riflessiva che coglie la vita con un'intensità del sentire inarrivabile rispetto a qualunque giudizio o sentire esterno, che può scorgere l'aspetto psicofisico, ma non può sentire lo spirito, il sentire dell' Io che sente se stesso dall'interno. L'uomo è l'unico animale che si suicida perché l'unico animale spirituale, cioè razionale.

paul11

Citazione di: Angelo Cannata il 01 Marzo 2017, 21:37:14 PM
Citazione di: paul11 il 01 Marzo 2017, 21:15:01 PMAngelo Cannata, mi sorprende la tua di interpretazione su quanto scritto da Donquixote.
Non capovolgiamo i termini: vile è una persona che si dovrebbe vergognare dei suoi gesti di viltà. Donquixote ha definito vile il gay che si suicida. Dunque secondo lui chi si dovrebbe vergognare di ciò che fa non è il bullo, ma la vittima, il gay, il suicida.

Quante volte nella vita ci siamo trovati nella situazione familiare, sul lavoro, a scuola, fra amici, che di fronte a un atto, a delle parole che troviamo personalmente ingiuste e ci feriscono siamo rimasti inermi.
Poi ci arrovelliamo in noi stessi su quello che avremmo dovuto fare o dire, ma è troppo tardi.
Non è viltà vera  e propria perchè la viltà è chi ferisce l'intimità altrui fregandosene dell'intimità altrui, ma anzi godendosene con cattiveria.
Ma chi subisce si sente svilito e lo è tanto più si vergogna se hanno partecipato al fatto amici, compagni di scuola, colleghi di lavoro,ecc.
Dobbiamo sapere che le organizzazioni umane civilizzate hanno sublimato la violenza, non lo hanno affatto tolta, lo hanno spostata dalla scazzottata fisica, alla soverchia, all'abuso, alle parole che feriscono: il livello di sofferenza non è mutata, anzi forse è aumentata perchè si soffre più intimamente non riuscendo reagire esternamente.
Sappiamo ognuno per ogni proprio vissuto che soffocare le emozioni è chiudere la comunicazioni e noi cerchiamo amore, affetto, comprensione,non siamo fatti di relazioni e se perdiamo le relazioni il mondo scoppia dentro di noi.

Per questo ho scritto altrove che prima di tutto è un dramma, un dramma profondamente umano prima di arrivare al gesto di annichilirsi, di una bomba atomica esplosa in noi.
E adatto che quell'intimità è individuale, non c'è legislazione, non c'è umano che possa entrare nei reconditi abissi di noi stessi, il gesto è ingiudicabile.

Nell'ipocrisia sociale gli atti sono rappresentazioni spesso rovesciate. Il tacere è consenso se non assenso, l'urlare e il prevaricare è forza, il mite e l'onesto, il buono sono sacrificati sull'altare del furbo,dell'astuto, del doppiogiochista.quindi questo è un mondo che premia nonostante l'attribuzione di civiltà ancora la cattiveria, chi offende, non chi subisce e tanto più si tace si subisce e tanto più la cattiveria diventa impunità a perseguire i suoi atti.
Insomma alla fine è il buono che patisce, che subisce, che soffre fin quando riesce a sopportare.

Angelo Cannata

Citazione di: paul11 il 01 Marzo 2017, 22:38:04 PM
Insomma alla fine è il buono che patisce
E noi in questo forum vogliamo sancire questo?

giona2068

#19
Citazione di: davintro il 01 Marzo 2017, 22:09:45 PM
sono un "sostenitore" della libertà individuale fintanto che il carico maggiore delle conseguenze delle scelte ricadano non su altri ma su noi stessi. Quindi la scelta di togliersi la vita la ritengo lecita nel momento in cui la prosecuzione della vita viene percepita come insensata o indegna da parte della coscienza.


Già!
IL problema è stabilire se veramente abbiamo o no il diritto di scegliere e oltretutto se sappiamo a quali conseguenze andiamo incontro.
Come cristiano dico che non abbiamo questo diritto perché andiamo incontro all'inferno che, al contrario della sofferenza per un tempo tutto sommato abbastanza breve, dura per l'eterno.
Questo non riguarda solo chi si suicida ma anche quelli che pensano sia un diritto cercare la speranza nella morte.
Per meglio spiegarmi, sto dicendo che la dimensione psicospirituale di chi approva e giustifica il suicidio è la stessa e identica di  chi si suicida.
Le ragioni, che altro non sono che giustificazioni, non fanno altro che aggravare la situazione.
Se il Signore Dio - padrone assoluto della nostra vita e del nostro corpo - ritenesse che sia cosa buona morire subito, provvederebbe Lui stesso a porre fine alle sofferenze dei malati, ma non lo fa.
Perché?

paul11

Citazione di: davintro il 01 Marzo 2017, 22:09:45 PM
sono un "sostenitore" della libertà individuale fintanto che il carico maggiore delle conseguenze delle scelte ricadano non su altri ma su noi stessi. Quindi la scelta di togliersi la vita la ritengo lecita nel momento in cui la prosecuzione della vita viene percepita come insensata o indegna da parte della coscienza. Questa mia posizione credo possa giovarsi di presupposti spiritualistici, o comunque relativi a una filosofia antropologica antiriduzionista, che non riduce l'uomo al corpo, alla dimensione esteriore. Infatti il principio di autodeterminazione, per cui la coscienza soggettiva che è l'unica che può legittimamente valutare la propria condizione esistenziale e le possibili future risorse di evoluzione di tale vita come vita degna d'essere vissuta, e decidere se vale la pena o no continuare, è un principio che ha come condizione imprescindibile l'irriducibilità dell'intimità, dell'interiorità verso cui rivolgere un'autocoscienza valutante, rispetto ai modi con cui la persona si rivela all'esterno, al giudizio altrui. Cioè se l'uomo si riducesse all'esteriorità, alla corporeità sarebbe lecito per un'autorità esterna, la famiglia, lo stato, la Chiesa giudicare se una vita debba continuare ad essere vissuta o meno, mentre l'idea di un mistero, di un'intimità nascosta dall'esterno è la base per riconoscere che il soggetto che più legittimamente può valutare la ragionevolezza, l'opportunità di una vita è l'individuo che vive in prima persona la vita stessa, ovviamente nel caso che il soggetto sia adulto e capace di intendere e volere con una certa lucidità. Solo io posso sapere se la mia vita è una vita degna di essere vissuta o no, perché la mia vita non coincide con le forme attraverso cui agli altri appaio. Del resto, questa motivazione è la stessa che mi porta ad essere profondamente contrario alla pena di morte, nessuno, tantomeno lo stato, può pretendere di giudicare con certezza se una persona meriti di vivere o meno, se possiede le risorse di espiare nel futuro i suoi errori. In questo senso la legittimità del suicidio è radicale conseguenza coerente con la spiritualità dell'uomo, l'uomo non si riduce alla psicofisicità, ma è spirito, coscienza, la vita non è valore assoluto e incondizionato, la sua conservazione è vincolata a condizioni che qualcosa di superiore alla vita, la razionalità, la coscienza pone, e lo pone alla luce della sua capacità riflessiva che coglie la vita con un'intensità del sentire inarrivabile rispetto a qualunque giudizio o sentire esterno, che può scorgere l'aspetto psicofisico, ma non può sentire lo spirito, il sentire dell' Io che sente se stesso dall'interno. L'uomo è l'unico animale che si suicida perché l'unico animale spirituale, cioè razionale.
Prendo spunto dal tuo intervento.
Dal punto di vista razionale ,se la coscienza implode è perchè non sa più relazionare l'induttivo al deduttivo, il problema è nell'agente conoscitivo.
Il suicidio dal punto di vista squisitamente razionale è irrazionale, ma lo è anche contro natura proprio perchè  gli animali che non conoscono il linguaggio razionale non si suicidano.
Allora significa che l'uomo può essere sia razionale che irrazionale,che le sue qualità possono veicolarsi in direzioni opposte.

Il dramma umano non appartiene più solo alla forma logica/razionale, quì c'è sentimento, psiche, spirito(per chi ci crede).
Ciò che rende a mio modesto parere il gesto del suicidio ingiudicabile dentro un criterio di verità razionale è proprio la diversità o se si vuole la commistione di più linguaggi, il concetto logico, l'emozione sentimentale , la pulsione psichica, il moto spirituale.
Già in sè la nascita e la morte sono un mistero per molti versi e il suicidio è lo stupore del mistero, è l'essere che nega la sua esistenza.
Sono d'accordo, chi può ergersi sopra il mistero della vita e legiferare su di essa: un uomo, lo Stato?
Chi arriva fino agli abissi dell'anima, dell'intimità individuale se nessuno di noi arriva alla propria per poter giudicare l'altrui?
L'esistenza è la condizione dell'Essere affinchè si manifesti.Forse non è il valore assoluto, ma è come il tempo, la condizione affinchè esista una modalità delle forme.

grazie per gli spunti

acquario69

Mi sembra di poter dire (ed aver capito) che:

- il suicidio (a parte casi limiti) e' un atto ingiustificato nel momento in cui riguarderebbe il proprio "piccolo io"

- che vivere si collega ad un atto di responsabilità 

pero mi sento pure di aggiungere (forse a torto, non saprei)
e cioè' che le cose non mi pare vadano proprio in questa direzione, mi sembra anzi che dal momento che uno nasce ci si ritrova in un ambiente "esterno" che si configura esattamente al contrario.
..che supporta e fortifica quasi esclusivamente quel piccolo io di cui sopra..che non "educa" o non ha affatto una cultura al senso di responsabilità, ma anche al senso stesso dell'esistenza, visto che anziché essere indirizzati al nostro interno, veniamo stimolati ed anche in maniera incessante e direi pure brutale al nostro esterno.

forse sarà' pure il caso di tenerne in debito conto..

acquario69

Citazione di: Angelo Cannata il 01 Marzo 2017, 21:37:14 PM
Non capovolgiamo i termini: vile è una persona che si dovrebbe vergognare dei suoi gesti di viltà. Donquixote ha definito vile il gay che si suicida. Dunque secondo lui chi si dovrebbe vergognare di ciò che fa non è il bullo, ma la vittima, il gay, il suicida.

secondo me quello che dici porta a fare molta confusione.

La persona vile credo che sia colui che non ha il coraggio di essere se stesso..quindi se il gay (che sarebbe molto più corretto dire omosessuale o lesbica) sente di essere se stesso in quel modo allora non se lo può nascondere o vergognarsi...perché negherebbe se stesso

(Poi ci sarebbe da chiedersi, anche solo per ipotesi,se il suo sentirsi se stesso in quel modo sia effettivamente corrispondente alla sua vera natura,e se e' in grado davvero di riconoscerlo o se non sia magari solo influenzato da altri fattori a lui esterni ma non interni)

Angelo Cannata

Citazione di: acquario69 il 02 Marzo 2017, 07:47:06 AM
... se il gay (che sarebbe molto più corretto dire omosessuale o lesbica) sente di essere se stesso in quel modo allora non se lo può nascondere o vergognarsi...perché negherebbe se stesso
Qui la questione non è se il gay si sente o non si sente se stesso: qui la questione è che il gay vittima di soprusi è stato dichiarato vile, quindi persona che dovrebbe vergognarsi delle sue azioni. Che si senta o non si senta se stesso, in ogni caso è stato dichiarato vile. Ti rendi conto che in questo modo, invece di condannare l'atto di bullismo si sta condannando chi ne è vittima? Vile significa persona spregevole a causa del suo comportamento e qui si sta dicendo che spregevole non è l'arrogante che offende il debole, ma il debole: proprio siccome il debole non resiste più al sopruso, non ce la fa, si scoraggia, non trova più le forze di ancorarsi alla vita, lo svuotano della sua forza di reagire, lo calpestano, ecco che la persona spregevole è lui che si sta facendo calpestare! Ti rendi conto che in questo modo stai decidendo di fare anche tu il bullo insieme al bullo, piuttosto che metterti dalla parte del debole e prendere le difese della vittima?

sgiombo

Citazione di: giona2068 il 01 Marzo 2017, 23:13:10 PM
Citazione di: davintro il 01 Marzo 2017, 22:09:45 PM
sono un "sostenitore" della libertà individuale fintanto che il carico maggiore delle conseguenze delle scelte ricadano non su altri ma su noi stessi. Quindi la scelta di togliersi la vita la ritengo lecita nel momento in cui la prosecuzione della vita viene percepita come insensata o indegna da parte della coscienza.



Se il Signore Dio - padrone assoluto della nostra vita e del nostro corpo - ritenesse che sia cosa buona morire subito, provvederebbe Lui stesso a porre fine alle sofferenze dei malati, ma non lo fa.
Perché?
CitazioneUna risposta sensata a questo "perché?" dovrebbe trovarla il credente (chi crede che il SIgnore Dio sia padrone assoluto della nostra vita e del nostro corpo ed essendo buono -infinitamente- provvederebbe Lui stesso a porre fine alle sofferenze dei malati ma non lo fa).
Perché senza una risposta credibille e coerente con il creduto é razionale cessare di crederlo.

acquario69

Citazione di: Angelo Cannata il 02 Marzo 2017, 08:03:29 AM
Citazione di: acquario69 il 02 Marzo 2017, 07:47:06 AM
... se il gay (che sarebbe molto più corretto dire omosessuale o lesbica) sente di essere se stesso in quel modo allora non se lo può nascondere o vergognarsi...perché negherebbe se stesso
Qui la questione non è se il gay si sente o non si sente se stesso: qui la questione è che il gay vittima di soprusi è stato dichiarato vile, quindi persona che dovrebbe vergognarsi delle sue azioni. Che si senta o non si senta se stesso, in ogni caso è stato dichiarato vile. Ti rendi conto che in questo modo, invece di condannare l'atto di bullismo si sta condannando chi ne è vittima? Vile significa persona spregevole a causa del suo comportamento e qui si sta dicendo che spregevole non è l'arrogante che offende il debole, ma il debole: proprio siccome il debole non resiste più al sopruso, non ce la fa, si scoraggia, non trova più le forze di ancorarsi alla vita, lo svuotano della sua forza di reagire, lo calpestano, ecco che la persona spregevole è lui che si sta facendo calpestare! Ti rendi conto che in questo modo stai decidendo di fare anche tu il bullo insieme al bullo, piuttosto che metterti dalla parte del debole e prendere le difese della vittima

ma io sto proprio prendendo le difese della vittima,poiche nel caso come lo descrivi tu sopra e' proprio lui a farsi vittima di se stesso.

E tornando al tema suicidio nei casi di bullismo credo proprio che alla radice vi sia questo vittimismo di fondo

paul11

Citazione di: acquario69 il 02 Marzo 2017, 05:06:46 AM
Mi sembra di poter dire (ed aver capito) che:

- il suicidio (a parte casi limiti) e' un atto ingiustificato nel momento in cui riguarderebbe il proprio "piccolo io"

- che vivere si collega ad un atto di responsabilità

pero mi sento pure di aggiungere (forse a torto, non saprei)
e cioè' che le cose non mi pare vadano proprio in questa direzione, mi sembra anzi che dal momento che uno nasce ci si ritrova in un ambiente "esterno" che si configura esattamente al contrario.
..che supporta e fortifica quasi esclusivamente quel piccolo io di cui sopra..che non "educa" o non ha affatto una cultura al senso di responsabilità, ma anche al senso stesso dell'esistenza, visto che anziché essere indirizzati al nostro interno, veniamo stimolati ed anche in maniera incessante e direi pure brutale al nostro esterno.

forse sarà' pure il caso di tenerne in debito conto..
Sono d'accordo quell'essere gettati nel mondo, sentirsi in un mondo diverso da sè è il grande problema. è la madre del problema esistenziale. Che senso ha, ci domandiamo?
Ma è proprio l'interpretazione di mondo rispetto all'essere che esiste, chi lo interpreta come un inferno chi lo interpreta come una prova o altro ancora: Fuggire o aggredire il mondo? Questo mondo chi premia: il buono  o il cattivo, il giusto o l'ingiusto?
Cosa ognuno di noi può fare o non fare.
Sondo domande che ci toccano nonostante noi siamo quì a prescindere dalla nostra volontà?
Ma è il come noi relazioniamo mondo-noi stessi che andiamo poi a cercare segni e significazioni, e quì emergono tutte le contraddizioni nostre e culturali.

Noi nutriamo il corpo fisico, ma anche spirito sentimento, psiche in questo mondo, ne abbiamo necessità.
Se il nutrimento fisico è condizione della natura, il nutrimento dell'anima, psiche di amore e affetti è la relazione che atteggia e motiva l'uomo a fare o non fare, ad essere attivo o passivo e questo mondo appartiene a noi come cultura come istituti, come enti astratti umani dentro le organizzazioni sociali di famiglia, scuola ,lavoro, polis e civites.

Un uomo non si uccide per mancanza di cibo o acqua, semmai ne è ucciso; ma l'uomo si infrange dentro le relazioni culturali-sociali.

Qual'è la "regola del gioco"del mondo? l'Interpretazione segna il modo in cui l'essere esiste o decide implodendo di non più esistere nel suicidio.

...e per ora basta così....

Angelo Cannata

Citazione di: acquario69 il 02 Marzo 2017, 08:21:48 AM
ma io sto proprio prendendo le difese della vittima,poiche nel caso come lo descrivi tu sopra e' proprio lui a farsi vittima di se stesso.

E tornando al tema suicidio nei casi di bullismo credo proprio che alla radice vi sia questo vittimismo di fondo
Se dici che il gay è vittima di se stesso stai dicendo che l'oppressore non è il bullo, l'arrogante che lo calpesta: l'oppressore è il gay che si suicida, colpevole di vittimismo. Quindi stai assolvendo con formula piena il bullo e stai condannando la vittima!

E dici che in questo modo stai prendendo le difese della vittima?

donquixote

Citazione di: sgiombo il 02 Marzo 2017, 08:19:26 AMUna risposta sensata a questo "perché?" dovrebbe trovarla il credente (chi crede che il SIgnore Dio sia padrone assoluto della nostra vita e del nostro corpo ed essendo buono -infinitamente- provvederebbe Lui stesso a porre fine alle sofferenze dei malati ma non lo fa). Perché senza una risposta credibille e coerente con il creduto é razionale cessare di crederlo.

Si dimentica troppo spesso che Dio (o se si vuole la Natura) provvede sempre a por fine alla sofferenza insopportabile degli esseri che crea, tanto è vero che non esistono malattie che se lasciate decorrere naturalmente provocano dolori insopportabili e prolungati nel tempo. Questi dolori e questa sofferenza sono di breve durata e poi si concludono con la morte. Solo l'intervento dell'uomo con le sue tecniche e i suoi macchinari può prolungare la sofferenza, a volte indefinitamente, e dunque non ha senso colpevolizzare chi colpe non ne ha. Che poi anche i "credenti" ritengano che i macchinari e le tecniche che tengono artificialmente in vita le persone siano un "dono della Provvidenza" è una allucinazione che riguarda la loro coscienza e il loro modo di valutare la realtà.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

donquixote

Citazione di: acquario69 il 02 Marzo 2017, 05:06:46 AMMi sembra di poter dire (ed aver capito) che: - il suicidio (a parte casi limiti) e' un atto ingiustificato nel momento in cui riguarderebbe il proprio "piccolo io" - che vivere si collega ad un atto di responsabilità pero mi sento pure di aggiungere (forse a torto, non saprei) e cioè' che le cose non mi pare vadano proprio in questa direzione, mi sembra anzi che dal momento che uno nasce ci si ritrova in un ambiente "esterno" che si configura esattamente al contrario. ..che supporta e fortifica quasi esclusivamente quel piccolo io di cui sopra..che non "educa" o non ha affatto una cultura al senso di responsabilità, ma anche al senso stesso dell'esistenza, visto che anziché essere indirizzati al nostro interno, veniamo stimolati ed anche in maniera incessante e direi pure brutale al nostro esterno. forse sarà' pure il caso di tenerne in debito conto..

Indubbiamente l'ambiente esterno influisce, come ha sempre influenzato chiunque in tutti i tempi, ma se si accorda troppa importanza alle influenze ambientali si rischia che queste diventini facili alibi per qualunque comportamento e qualunque atteggiamento. Se non si può modificare l'ambiente si può però agire su se stessi, e la responsabilità nei confronti di sé è la prima cosa da insegnare ai bambini e praticare da grandi. Poi l'azione di ognuno su se stesso potrà anche, col tempo, modificare l'ambiente umano nel suo complesso, ma dare la colpa a questo per ciò che ci accade è profondamente ipocrita; è un po' come colui che fuma 60 sigarette al giorno per decine di anni e se gli viene il cancro fa causa per danni alla ditta che fabbrica le sigarette.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

Discussioni simili (5)