L'atto estremo del Suicidio

Aperto da acquario69, 01 Marzo 2017, 08:52:31 AM

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acquario69

In questi giorni si parla di eutanasia,anche qui..
https://www.riflessioni.it/logos/attualita/eutanasia-e-d-a-t/
Allora mi sarebbe venuto in mente un argomento che forse in qualche modo ne richiama qualcosa.
Il suicidio;
Ero indeciso se inserirlo sulla sezione filosofia o spiritualità, alla fine ho scelto spiritualità perché mi interesserebbe avere opinioni più specifiche anche da questo punto di vista, quindi diciamo che valgono comunque entrambi.

Innanzitutto il suicidio e' un atto di viltà oppure di estremo coraggio o anche di estrema libertà o magari il suo esatto contrario?
O possono forse essere validi entrambi a seconda delle circostanze?...oppure ancora sarebbe comunque un atto condannabile (e se si perché?) per altri diversi motivi, non propriamente contingenti?

Ci sono state epoche in cui mi sembra che il suicidio non era visto alla maniera come forse oggi noi lo concepiamo...casi noti nell'antica Grecia e nell'antica Roma,pero mi vengono pure in mente i kamikaze giapponesi nella seconda guerra mondiale.

Al momento non so cos'altro aggiungere,mi piacerebbe pero provare a capire qualcosa in più su questo argomento molto difficile e particolare,perche mi sembra sia molto controverso e lascia molte domande in sospeso (almeno per me)

paul11

Il primo aspetto rilevante è che nessuno conosce il principio della vita, m proprio nessuno, credenti  o atei, scienziati o filosofi.
Il suicidio entra nel contesto della bioetica, vale adire che da quel principio nasce una coerenza che riguarda nascita, manipolazione genetica, fecondazione  artificiale,  "dolce morte".

Il suicidio è l'essenza del dramma prima di tutto è l'irrazionalità che domina il razionale perchè non esiste più ragione per vivere e si sopprraffà anche l'istinto di conservazione.
 Qualunque tentativo di costruire logiche ,diritti giuridici, legislazioni che non tengano conto di un principio deduttivo e non come al solito "in ordine sparso" si tratta ogni problema a sè seconda la coerenza della logica contraddittoria di questa cultura
ogni problema sarà seguito da una fandonia come " il lavoro libera l'uomo" scritto sul campo "sanatorio" di Auschwitz, finiremo tutti in saponette?

Il suicidio, dicevo, è un dramma che tocca l'intimità più profonda di un umano  e tocca profondamente anche coloro che gli sono vicini, che non gli sono stati sufficientemente vicini da capire.Ecco perchè il suicidi o è sempre una sconfitta per chi rimane è il sintomo di un profondissimo malessere.

Ci sono alcuni filoni da cui prendere le mosse: filosofia/teologia, politica/legislazione, confessionali/laici   e scienza/ natura

Posiamo ridurre a: la vita è un dono divino inviolabile la teologia; possiamo altrettanto dire"la vita è mia e me la gestisco io" il motto laico; la politica segue le opinioni, non il giusto o sbagliato, segue le opportunità di scambio politico per avere voti; la scienza manipola senza  sapere nè il principio della vita e neppure se manipolazione del DNA, farmaci di ultima generazione avranno conseguenze nell'arco di un paio di generazioni. la nostra logica è tipica del trattamento con i vegetali, finiremo come la pera Williams e la mela golden delicious, ibridati, innestati, mettiamoci staminali, surrogazioni paterne e materne, uteri in affitto o in comodato d'uso.
Non siamo capaci di accettare ,di distaccare, di limitare
Abbiamo capito che i prodotti di sintesi e quindi non natural iinducono tumori/cancro. Abbiamo capito che le immunodepressioni sono causate appunto da molecole aliene, dai vegetali non autoctoni, da cibi non metabolizzabili normalmente.
...ma dobbiamo andare avanti dice il capoconvoglio di questo treno infernale simile a "truppe cammellate".
Siamo irresponsabili e pagheremo le conseguenze, e sarà troppo tardi come al solito.

Questa disgressione è per dire che il suicidio è dentro questa cultura che reintepreta storicamente l'atto nel contesto più ampio che relaziona il principio filosfico e teologico di Essere/Esistenza, di individuo e società, e di un linguaggio che essendo intimissimo non può essere riconducibile al filo prettamente logico razionale, proprio perchè l'atto è contro natura che è irrazionale, ma nulla toglie al dramma umano che essendo vissuto come attore principale da chi perpetua l'atto, ma è dentro la scenografia il contesto culturale e sociale, i rapporti familiari e amicizie che sono la nostra esistenza.

Il suicidio da "sani"...beh chiamate il telefono amico ,il telefono rosa, il telefono azzurro,  il telefono arcobaleno l'8000.......E' tutto sul filo di una follia contraddittoria questa società che prima ti spreme poi ti ammala e poi finge di seguirti amorevolmente
Certi gesti "insani" così si dice anche, sono soprattutto tipici delle civiltà evolute, come "fuori di testa" che con pistola ammazzano compagni di scuola; è da qualche anno che si assistono suicidi anche di ragazzini/e per stress scolastico/familiare: perchè dobbiamo essere primi della classe, dobbiamo andare oltre....... ma oltre che cosa?
Noi non siamo quello che siamo, noi siamo quello che gli altri vogliono che siamo e questo è l'inizio della frantumazione della propria intimità.

Il suicidio da"malati" beh.... eutanasia attiva, passiva, indiretta.
Abbiamo paura del dolore ,della sofferenza,  ma anche di chi ci circonda, di chi ci è vicino. temiamo di essere di peso, di scomodare, di incomodare  e allora....togliamo il disturbo.

C'è molto da dire,...mi fermerei quì almeno per ora.

sgiombo

#2
Credo che ci sia suicidio e suicido e che la morte faccia ineluttabilmente parte della vita essendone letteralmente l' atto estremo (= ultimo).

Così una vita complessivamente buona potrà concludersi più probabilmente con una morte buona e una vita complessivamente grama oppure malvagia é più probabile che si concluda con una morte grama oppure malvagia.
Ma esistono anche morti che riscattano un' intera vita mediocre e morti che rivelano la meschinità di una vita apparentemente nobile ed elevata (ovviamente in senso etico).

Sono un epicureo e credo che ciò che vale della vita sia la vita stessa (i suoi "contenuti", ciò che ci da e non la sua lunghezza); e dunque che il suicidio in generale (e in particolare il suicidio i più possibile indolore per porre termine al dolore (= l' eutanasia) sia un diritto individuale sacrosanto.
E inoltre, del tutto contro l' ideologia dominante de facto in Occidente (che non é per me la religione cristiana nè alcun altra religione ma il "mercantilismo egocentrico consumistico", per così dire; che é proprio anche di tantissimi credenti e che le religioni tendono a integrare in se stesse senza troppe difficoltà) credo nel senso del limite; e in particolare del limite alla qualità e alla quantità (durata) della vita: "morte" non é il contrario di "vita" bensì di "nascita" ed entrambe sono parti integranti (le "estremità") della vita (contrario di "vita" é casomai "non vita" o "mineralità").
Dunque la morte di per sè non é un male (noto en passant che nemmeno per il buon Francesco la era "sorella morte corporale"; che peraltro la intendeva come un "passaggio della vita" e non come la morte vera e propria, che negava) se la vita é un bene (é solo un male relativo nell' ambito di un bene assoluto); ed é a maggior ragione un bene relativo se la vita de facto é complessivamente un male; e sarebbe invece un male assoluto se la vita fosse (per assurdo, secondo me, ammesso e non concesso da parte mia) complessivamente un male: da qui il diritto al suicidio.

Naturalmente, come ogni diritto, ha i suoi limiti ed é da integrarsi e armonizzarsi al meglio possibile con altri diritti anche relativamente contrastanti (per esempio quelli di congiunti e soprattutto figli, verso i quali si é in debito avendoli generati  senza poter chiedere il loro consenso (un padre che lasciasse i figli senza sostentamento non sarebbe moralmente giustificabile nel suicidarsi -ricorrere all' eutanasia- dal dolore e dalla paura che comporterebbe il sottoporsi a terapie pesanti necessarie per sperare di guarire da una grave malattia).

donquixote

Il suicidio non è giudicabile in maniera univoca, ma essendo solitamente un mezzo per raggiungere un fine va giudicato sulla base del fine che si propone di raggiungere. Molto spesso il suicidio è un atto nobile, quando viene compiuto per ragioni che si ritengono superiori alla conservazione della propria vita; è il caso ad esempio delle spie che si suicidano per evitare di fornire informazioni al nemico che potrebbero danneggiare il proprio paese o di quelli sconfitti in guerra che lo fanno per non essere schiavizzati dai vincitori. Poi vi è il suicidio di coloro che ritengono di aver compiuto il proprio dovere in questa vita e di non aver null'altro da offrire per cui si congedano dall'esistenza salvaguardando la propria dignità e la propria eredità (è il caso ad esempio di Seneca ma anche di molti pensatori e monaci orientali che però, più che suicidarsi con un atto violento, più semplicemente si lasciano morire). Vi è poi il caso dei kamikaze per cui il suicidio è solo un danno collaterale se rapportato allo scopo del proprio atto: il kamikaze utilizza il proprio corpo per compiere un atto di guerra e immolandosi consapevolmente garantisce una maggiore precisione (dato che è controllata direttamente dall'intelligenza umana) nel raggiungimento dell'obiettivo da colpire; dunque anche in questo caso non si può che parlare di un atto coraggioso e financo eroico. Il suicidio non giustificabile è quello meramente egoistico, quello compiuto perchè non si è raggiunto un obiettivo di soddisfazione personale, quello compiuto a seguito di una delusione d'amore, o a seguito di una perdita al gioco o nella finanza, o in seguito alla vergogna di essere stati scoperti a compiere azioni riprovevoli (penso ai corrotti del tempo di "mani pulite"), quello del gay che si suicida perchè il classe lo chiamano "checca", o quello che lo fa in seguito ad atti di bullismo in rete. Tutti costoro sono semplicemente dei vili che non hanno il coraggio delle proprie azioni, dei propri comportamenti, non hanno il coraggio di essere quello che sono e di affrontare la vita che come sappiamo è fatta di momenti entusiasmanti ma anche drammatici e di grande sofferenza, e vorrebbero circoscriverla solo ai primi come un ipotetico ciclista che è disponibile a fare delle gare a patto che lo facciano correre solo in discesa. Il nostro mondo è pieno di aspiranti suicidi, e se chi si suicida per queste ragioni compie l'estrema, vigliacca, fuga dalla vita e dal mondo che ognuno vorrebbe che fosse fatto a sua misura, quelli che ancora non l'hanno fatto è perchè la loro vita è costellata di tante, spregevoli e meschine piccole fughe: dalla fatica, dalla sofferenza, dalla vecchiaia, dalle responsabilità, dal giudizio degli altri; quando non si riesce più a fuggire da queste cose allora non resta che fuggire da se stessi, in maniera definitiva. Ma se in questo tipo di suicidi si può ritrovare un momento, quello in cui l'atto viene compiuto, in cui una persona reperisce dentro di sé una certa forza d'animo e raccoglie tutte le energie per sopperire con un atto di forza alla sua estrema debolezza che se non la riscatta la rende comunque meno indegna, in quello "assistito" si rifiuta anche di assumersi la responsabilità di questo atto, e si vuol delegarla ad altri. Costoro più che parlare di "dignità" della morte dovrebbero più correttamente parlare al contrario della sua indegnità, che si appone come il sigillo conclusivo di una vita che essendo stata totalmente basata su una soddisfazione egoica che il "mondo" (o il destino, o la sorte, o qualunque istituzione, a piacere) ha in qualche modo tradito è risultata essere parimenti indegna.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

acquario69

Grazie per le risposte molto interessanti.

Dunque il suicidio nel suo complesso non sarebbe da condannare, dipende dalla sua finalità.
E la vita e la morte non sarebbero entrambi da temere, anche se a me verrebbe da dire che sia più la prima che non la seconda.

La religione cattolica mi sembra invece che non dia alcuna possibilità o "riscatto" al suicidio,condannandolo senza appello ... quali sarebbero i motivi?


mi ha colpito una frase che ha scritto balyham in un altro post ma che se veniva riportata a quest'argomento non credo sia da considerare fuori luogo...

"Se la vita è un dono (?) il dono può essere sgradito a chi lo riceve."

penso semplicemente che sia una considerazione che lascia molti interrogativi ancora aperti...

giona2068

Citazione di: acquario69 il 01 Marzo 2017, 13:03:47 PM
Grazie per le risposte molto interessanti.

Dunque il suicidio nel suo complesso non sarebbe da condannare, dipende dalla sua finalità.
E la vita e la morte non sarebbero entrambi da temere, anche se a me verrebbe da dire che sia più la prima che non la seconda.

La religione cattolica mi sembra invece che non dia alcuna possibilità o "riscatto" al suicidio,condannandolo senza appello ... quali sarebbero i motivi?


mi ha colpito una frase che ha scritto balyham in un altro post ma che se veniva riportata a quest'argomento non credo sia da considerare fuori luogo...

"Se la vita è un dono (?) il dono può essere sgradito a chi lo riceve."

penso semplicemente che sia una considerazione che lascia molti interrogativi ancora aperti...


Per comprendere se il suicidio, nelle varie forme, sia lecito oppure no, dobbiamo chiederci se l'uomo ha il diritto o meno  di distruggere il proprio corpo.
La regola di base è che noi possiamo distruggere solo ciò che noi stessi abbiamo creato.
Questo vale anche per le cose di nostra proprietà ma create da altri. Esempio le banconote, i beni patrimonio dell'umanità ecc..
Il corpo non è stato creato da noi quindi non abbiamo il diritto di distruggerlo. Possiamo anche dire che non è neanche nostra proprietà perché quando ci viene tolto non possiamo  opporci.
Per i cristiani è detto: Non ammazzare, non avete il potere di fare bianco o nero un solo capello, voi siete il tempio di Dio e chi distruggerà questo tempio sarà distrutto senza pietà ecc..
Possiamo allora concludere che non  abbiamo il diritto di suicidarci.
Il Signore Dio conosce la sofferenza e il dolore di chi arriva alla conclusione che è meglio cercare speranza nella morte, ma non pone fine alla sofferenza perché l'uomo che Lui stesso ha creato e che ben conosce si ravvede solo con il dolore e la sofferenza.
Non possiamo giudicare chi sceglie la morte, ma se Lui non interviene viene da pensare che stia purificando il sofferente.
E' facile parlare dal difuori ma una cosa è certa: Il tempo del dolore, largamente causato dalla non accettazione del dolore stesso, sarebbe preferibile alla sofferenza eterna!!!!
Purtroppo quando l'uomo perde il Signore Dio dal suo cuore, nomina "dio" se stesso, così si convince di avere non solo il potere di decidere quando morire, ma addirittura pensa di avere, come in questo tempo, anche il potere di decidere se far nascere un bimbo oppure no.
Vedi fecondazioni assistite, utero in affitto e fabbriche dei bambini che consistono nel ricreare l'ambiente del seno materno artificialmente!!!   
La vita è un dono, ma  non è vero che può non essere gradito perché essa è sempre gradita a chi ha un raggio della vita stessa.
La vita non è gradita solo alla morte quando la morte stessa dimora nell'uomo.
Vita uguale Signore Dio, morte uguale satana.
In ogni caso fino a quando il Signore Dio ci lascia nel corpo vuol dire che non siamo pronti, anticiparando la nostra dipartita vuol dire presentarsi a Lui impreparati.
Conviene?
Prima di rispondere occorre sapere cosa vuol dire presentarsi a Lui impreparati.

Giuseppe


PS

Se al suicidio abbiniamo anche la cremazione commettiamo peccato mortale su peccato mortale.

anthonyi

Una cosa che mi ha colpito dell'attuale discorso sul suicidio del Dj è la riflessione di Cappato sul fatto che mentre le sue argomentazioni in difesa del diritto alla buona morte erano di tipo spirituale, quelle del Cardinale con il quale si confrontava erano argomentazioni prettamente materiali. In effetti l'idea di una morte data dal fatto che si pensa di vivere una vita indegna, inaccettabile (e la ragione è sempre questa) presuppone una superiorità dell'idea di vita rispetto alla vita stessa.
Nello stesso tempo, però, non si può dire che le posizioni della Chiesa siano strettamente materiali, per la Chiesa la vita, anche se dicono che è un dono, in realtà è un dovere, per cui se ne devono accettare le conseguenze.
Credo che il punto nodale della questione sia nel rapporto tra il concetto di amore e il concetto di morte. Una sostenitrice del dovere di vivere sosteneva che amare e dare, o accettare, la morte è incompatibile. Si tratta di un'idea che non condivido, se l'amore supera la morte allora non deve essere condizionato da questa. Amare vuol dire volere la felicità dell'altro, se io faccio di tutto per trattenerlo a me vicino in realtà esprimo un possesso non l'amore. Se l'altro vivendo soffre, allora posso accettare che se ne vada per la sua felicità (Magari perché credo in un'aldilà).
Dal punto di vista del sofferente, che vive la coscienza della sofferenza di chi si sacrifica per dedicarsi a lui, la scelta di morire è anch'essa dettata da una logica di amore, dal desiderio di non gravare più sull'altro, di lasciarlo libero di vivere una sua vita.

giona2068

Citazione di: anthonyi il 01 Marzo 2017, 14:48:48 PM
Una cosa che mi ha colpito dell'attuale discorso sul suicidio del Dj è la riflessione di Cappato sul fatto che mentre le sue argomentazioni in difesa del diritto alla buona morte erano di tipo spirituale, quelle del Cardinale con il quale si confrontava erano argomentazioni prettamente materiali. In effetti l'idea di una morte data dal fatto che si pensa di vivere una vita indegna, inaccettabile (e la ragione è sempre questa) presuppone una superiorità dell'idea di vita rispetto alla vita stessa.
Nello stesso tempo, però, non si può dire che le posizioni della Chiesa siano strettamente materiali, per la Chiesa la vita, anche se dicono che è un dono, in realtà è un dovere, per cui se ne devono accettare le conseguenze.
Credo che il punto nodale della questione sia nel rapporto tra il concetto di amore e il concetto di morte. Una sostenitrice del dovere di vivere sosteneva che amare e dare, o accettare, la morte è incompatibile. Si tratta di un'idea che non condivido, se l'amore supera la morte allora non deve essere condizionato da questa. Amare vuol dire volere la felicità dell'altro, se io faccio di tutto per trattenerlo a me vicino in realtà esprimo un possesso non l'amore. Se l'altro vivendo soffre, allora posso accettare che se ne vada per la sua felicità (Magari perché credo in un'aldilà).
Dal punto di vista del sofferente, che vive la coscienza della sofferenza di chi si sacrifica per dedicarsi a lui, la scelta di morire è anch'essa dettata da una logica di amore, dal desiderio di non gravare più sull'altro, di lasciarlo libero di vivere una sua vita.


Posso anche condividere, anzi lo condivido, il desiderio di morire per non pesare sull'altro, ma fra un desiderio e il diritto di realizzarlo la differenza è troppa.
Non va in ogni caso dimenticato che il peso che porta chi è vicino ad un sofferente non è una croce casuale, è anch'essa una via di purificazione. Conoscevo persone che avevano il marito o la moglie malata le quali si lamentavano continuamente, ma il giorno in cui è morto il famigliare hanno scoperto che la vita senza quel sacrificio non aveva senso e sono morti anche loro dopo poco.
Accettare o non accettare che l'altro se ne vada è pur sempre porsi come giudice mentre noi abbiamo il dovere di fidarci di chi ha detto che non cade un capello dalla nostra testa senza la Sua volontà.
Dobbiamo anche essere consapevoli che la morte del corpo non è la fine di tutto, ma solo l'inizio.

Non siamo carne.

sgiombo

Donquixote, 
c' é molto di vero e di giusto, secondo me, in quanto scrivi, ma anche un eccesso di "durezza d'animo", secondo me.

Concordo che esistono suicidi che sono l' indegno, coerente epilogo di una vita indegna (per esempio quello di Raoul Gardini; ovviamente osannatissimo in vita e poi ben presto ignorato in morte dai giornalisti-leccaculi incalliti, come tutte le persone più spregevoli).
Ma in linea di massima sospenderei il giudizio sul suicidio di persone oneste che non sono riuscite a uscire dal dolore e dall' infelicità e hanno perso la speranza di riuscirci.
Avendo una vita fortunata, non credo di essere in diritto di giudicare costoro in quanto non ho dovuto affrontare le prove che la vita ha imposto loro, che mi é difficilissimo se non  impossibile anche solo immaginare; e dunque non sarei affatto sicuro che saprei superarle a mia volta se le dovessi incontrare; sarebbe come se, durante una guerra di guerriglia o un' esperienza cospirativa (come é stata ad esempio la resistenza antinazifascista) mi permettessi di giudicare un compagno catturato, torturato e che non avesse saputo resistere alla tortura dando importanti in formazioni al nemico: soltanto se io stesso fossi stato catturato, torturato e avessi saputo resistere alla tortura mi sentirei in diritto di condannarlo.

donquixote

Ma io non voglio condannare nessuno, mi limito solo a sottolineare che certi comportamenti sono indice di debolezza e viltà,  la qual cosa fa parte della natura umana al pari di tante altre peculiarità, e se non empatizzo tendenzialmente con nessuno allo stesso modo non disprezzo e non colpevolizzo nessuno; ognuno è quello che è, il debole in quanto debole e il forte in quanto forte, e come diceva Don Abbondio se uno il coraggio non ce l'ha non se lo può dare. Non so se sia "durezza d'animo" affermare che il suicidio è molto spesso un atto di debolezza e una vile fuga, ma se la è non è certo la mia ma della realtà, che evidentemente ha l'animo duro e non guarda in faccia a nessuno. Una cosa però disprezzo profondamente: la truffa semantica che si tende sempre a compiere ribaltando la realtà e chiamando debole il forte e forte il debole; chiamando "degna" una morte che è invece il suo opposto; chiamando "coraggio" e addirittura "eroismo" il comportamento di chi sfugge alle proprie responsabilità e addirittura da se stesso. Se sono "duro d'animo" non lo sono certo con i protagonisti più o meno inconsapevoli di queste tragedie (che se son deboli lo sono e basta, e non certo per colpa mia) ma con coloro che speculano intorno a questi avvenimenti e li strumentalizzano ai propri fini che non sono mai nobili (l'unica cosa nobile in questi casi sarebbe un pietoso silenzio), e facendosi scudo della parola "dignità" accumulano invece indegnità ad altra indegnità .
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

Duc in altum!

**  scritto da anthonyi:
CitazioneCredo che il punto nodale della questione sia nel rapporto tra il concetto di amore e il concetto di morte.
Esatto, concetti purtroppo personalissimi, ecco perché ribadisco, da cattolico, che se Dio contiene la sua onnipotenza innanzi alla scelta umana (altrimenti ci avrebbe costituiti "completamente" come sue marionette), l'unica cosa che può fare, chi stabilisce il fondamento di quei concetti sull'onnipotenza di Dio, è avvisare, esortare, mettere in guardia che la pratica del suicidio e della eutanasia non è cosa buna e giusta, innanzi a qualsivoglia ipotetica argomentazione umana possibile, e non bloccare il libero arbitrio con cavilli e giurisprudenze.
Senza la piena adesione volontaria in risposta all'azione di grazie divina, non  è vero amore, molto meno se quell'adesione è fatta adempiere per  imposizione.
Solo avendo messo in pratica qualsiasi azione nella più totale libertà, forse, sarà possibile essere ragioni di giudizio, perché in fondo di questo si tratta, se dopo la morte, prima che  già in vita, esiste un giudizio perfetto e misericordioso.
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

Angelo Cannata

Citazione di: donquixote il 01 Marzo 2017, 10:36:43 AM
... gay che si suicida perchè il classe lo chiamano "checca", o quello che lo fa in seguito ad atti di bullismo in rete. Tutti costoro sono semplicemente dei vili ...
Ti rendi conto della gravità di ciò che hai scritto? Secondo te quindi, tra il bullo e la sua vittima, il vile non è il bullo, ma è la vittima!

Angelo Cannata

Mi sorprendo anche di come gli altri che hanno risposto abbiano lasciato passare questa gravissima offesa contro le vittime come se niente fosse.

sgiombo

#13
Citazione di: donquixote il 01 Marzo 2017, 20:07:33 PM
Se sono "duro d'animo" non lo sono certo con i protagonisti più o meno inconsapevoli di queste tragedie (che se son deboli lo sono e basta, e non certo per colpa mia [ma non é affatto detto siano deboli: bisognerebbe aver superato le prove che loro hanno incontrato nella vita per avere il diritto di dirlo, N.d.R.]) ma con coloro che speculano intorno a questi avvenimenti e li strumentalizzano ai propri fini
CitazioneHai fatto bene a precisarlo, perché dall' intervento precedente e anche dalle parole di questo che precedono queste ultime non si sarebbe detto.

paul11

Angelo Cannata,
mi sorprende la tua di interpretazione su quanto scritto da Donquixote.
Signifca che se non si reagisce il debole implode fino al suicido e il bullo continuerà a perseguire i suoi fini meschini.
Non ha affatto dichiarato la meschinità del debole e la giustezza del bullo.
Condivido totalmente quanto scritto da Donquixote, e aggiungo io che  troppa massa silenziosa e silente che continua a subire di fronte alle  sconcertanti meschinità, perversioni di minoranze che godono nel far del male agli altri.Li si denunci alla pubblica sicurezza, cosa che infatti anche nei telegiornali viene invitata la gente a fare;.
troppi social di una mediocrità spaventosa a cominciare da Facebook ,sarà per mancanza "fisica" di un rispetto, per cui si abbassano quelle linee di responsabilità tipiche degli internauti che cazzeggiano sparando idiozie e "sputtanando" persone. Si dimentica che ogni persona vive una sua intimità e non bisogna mai ferirla, a qualunque razza. sesso, o quant'altro appartenga. C' è una profonda cattiveria .
Prova a rileggerti bene quanto ha scrito Donquixote.
La durezza è direttamente proporzionale alla sensibilità umana di una persona e francamente anch' io sono piuttosto schifato di vedere troppe persone abituate a subire, a soffrire per delinquenti, teppisti, e bulli di ogni età e risma.L'origine è il clima e l'educazione familiare che ci abitua a viziare a tenere nella bambagia i ragazzi, ma fuori dalle mura familiari è la giungla del'ipocrisia, della competizione, e sta crescendo se non lo abbiamo ancora capito.

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