L'archetipicità del numero 12

Aperto da Carlo Pierini, 14 Agosto 2017, 03:27:21 AM

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Carlo Pierini

"Quanto al numero DODICI, [...] noi vediamo che esso ricorre dovunque si sia costituito un centro il quale, in un modo o nell'altro, abbia incarnato o cercato di incarnare quella tradizione che, in un senso analogico e eminente, possiamo appunto chiamare "solare", o dovunque il mito o la leggenda abbiano dato in figurazioni o personificazioni simboliche il tipo di una tale reggenza. Per esempi, qui vi sarebbe solo l'imbarazzo della scelta. Ai DODICI Aditya solari fanno riscontro, nella tradizione indù, le DODICI partizioni delle Leggi di Manu. DODICI sono i grandi Namshan del "consiglio circolare" secondo la tradizione tibetana, e DODICI sarebbero stati, secondo quella cinese, i discepoli di Laotze. DODICI, è il numero delle porte della "Gerusalemme celeste" nella edizione ebraica e quello stesso dei discepoli del Cristo. DODICI tappe compie l'eroe caldeo Gilgamesh lungo la "via solare" per raggiungere la terra "di là dalle acque della morte", e DODICI "fatiche" compie Eracle. DODICI erano le grandi divinità olimpiche e DODICI i principali cavalieri della "Tavola Rotonda" di Re Artù e della leggenda del Graal, così come i Conti palatini di Carlomagno. E molte altre corrispondenze potrebbero esser facilmente trovate. Veder in tutto ciò del semplice "caso" ci sembra troppo facile. A nostro avviso, è molto più saggio presentire qui tracce più o meno coscienti di un unico tema, di un unico significato, di una unica tradizione, storica o superstorica che sia, affiorata qua e là attraverso vie sotterranee, tanto sul piano del mito quanto su quello della realtà. [...]
Non si cela forse un occulto significato nel fatto che, secondo la tradizione, Romolo, per aver visto DODICI avvoltoi, ebbe il diritto di dare il suo nome alla città eterna? E che DODICI sarebbe stato il numero degli ancilia statuito da Numa per il segno, ricevuto dal "cielo", della protezione divina? (Nota* l'ancile, lo scudo ricevuto dal cielo come pignus imperii. Esso sarebbe stato ottenuto da Numa per assicurare la perennità di Roma, e, peraltro, esso equivale ad un simbolico bacino contenente l'ambrosia, cioè un cibo perenne immortalante. Ora, il collegio dei Salii, istituito da Numa per la custodia del pignus imperii, composto di DODICI membri, insieme a questo scudo, aveva un altro simbolo: la hasta, o lancia. Così nella romanità vediamo già, esattissimamente, gli stessi simboli che appaiono nel mito più caratteristico dell'altro grande periodo imperiale europeo, quello feudale-cavalleresco: nel mito del Graal). DODICI, in ogni modo, furono a Roma gli altari del dio Giano, il quale non è che una figurazione del "dio-anno", il dio dei cominciamenti non privo di relazione con lo stesso "demone" della guerra - cioè con la potenza travolgente dell' elemento eroico: che era lo scatenamento di un tale demone che voleva significare, secondo quanto riferisce Virgilio, il fatto che solo in tempo di guerra il tempio di tale dio era lasciato aperto. DODICI - come quelle greche - sono peraltro le massime divinità romane secondo Varrone; DODICI è il numero dei sacerdoti di vari collegi romani fra i più antichi - p. es. gli Arvali e i Salii - DODICI è il numero dei littori istituiti da Romolo - come DODICI, infine, sono le verghe dello stesso Fascio romano, secondo quanto appare dai fusci capitolini che ancora e sistono. [...]
l fascio romano si componeva di due elementi: appunto delle DODICI verghe - e di un'ascia, che talvolta è un'ascia biscuspide, proprio come l'ascia preistorica che si trova già nelle tracce neolitiche e fors'anche paleolitiche; come quella dei conquistatori "iperborei", nei quali si accompagnava col segno della rinascita, l' "uomo con braccia levate". [J. EVOLA: Simboli della tradizione occidentale - pp.58/60]

«Un gran segno fu visto in cielo: una Donna vestita di sole, con la luna sotto i piedi e sulla testa una corona di DODICI stelle: essa è incinta, essa grida di dolore, nello spasimo della procreazione» (Michea, IV, 10)

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