Kénosis, Nirvâńa, Fanâ', ecc...

Aperto da Aumkaara, 13 Ottobre 2020, 11:11:44 AM

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Aumkaara

Lo pubblico qui su Tematiche Spirituali e non su Percorsi ed Esperienze, perché ciò di cui scrivo l'ho paragonato ad alcune esperienze descritte da molte religioni (vedo che ci sono già argomenti aperti che parlano di ciò che vado a raccontare), più che presentarlo come una curiosità aneddotica tutta personale:
anche se il raccontare le "esperienze spirituali" è considerato una "malattia spirituale" in alcune tradizioni (ad esempio nello zen, credo), racconto, nel caso possa essere di aiuto, il tipo di "risultati" che si possono avere grazie ad una piccola esperienza.
Esperienza che, pur cessata da anni nella sua brevissima spontaneità, a tutt'oggi mi è comunque accessibile con un semplicissimo atto di attenzione (il problema è mantenerla per più di qualche decina di secondi). L'esperienza fu semplice: l'impossibilità, ad un certo punto, di trovare la presenza dell'io. Potremmo definirla come esperienza della vacuità dell'io, descritta e ricercata soprattutto da molte correnti Buddiste. Poco importa se ciò avvenne per un corto circuito tra reti neurali o grazie ad anni di ricerca spirituale fin dall'infanzia, ricerca varia e multiforme ma incentrata soprattutto sulla cultura Vedica ("a dispetto" di chi crede che ci sia una vera differenza tra il "cercare l'atma" della cultura vedica e l'insegnamento sull'anatma del buddismo, ma questo è un altro discorso, a cui si potrebbero aggiungere le esperienze della kénosis cristiana, della "estinzione nella contemplazione" islamica, ecc.). O meglio: "poco importa" nel mio caso, stabilire se è stato un guizzo mentale o un preciso prodotto di "sperimentazione spirituale" (anche se non specificamente voluto), perché generalmente vivo un discreto livello di stabilità mentale e di tranquillità, a parte piccole difficoltà quotidiane ed una emotività e una sensibilità innate piuttosto accentuate (ma non tanto da darmi grandi difficoltà, almeno oggi); il discorso sarebbe diverso per coloro che hanno pesanti problemi emotivi o psichici, che, se sperimentassero negativamente tale "vuoto di sè", potrebbero ricevere ulteriori forti disagi e probabilmente gli andrebbe diagnosticata e curata una qualche forma di derealizzazione o depersonalizzazione (da ciò però si potrebbe dedurre che spesso l'unica differenza tra il dichiarare una esperienza come malattia mentale ed il dichiararla invece come positiva esperienza interiore poco comune, sta solo nel modo in cui viene vissuta).
Nel mio caso, (nonostante, ripeto, ciò sia di nuovo ottenibile solo attraverso un atto volontario, che si mantiene al massimo per qualche decina di secondi consecutivi, e il perché di questo sarebbe da discutere separatamente) il risultato che ne deriva, non essendoci più "chi" si arroga di sperimentare questo o quello, è di veder assottigliarsi il confine di separazione tra le cose, e anche di veder attenuare le varie proprietà attribuite ad esse.
Ad esempio, come sperimentato di recente, un piccolo malessere durato pochi minuti perde, una volta "evocata" di nuovo la vacuità del senso dell'io, la sua qualità di malessere. Il dolore, che era accompagnato da una piccola confusione cognitiva (non proprio un giramento di testa, ma diciamo qualcosa di simile, per capirci), si sono "trasformati" in... niente. C'erano, ma erano il normale stato del momento, erano inseparabili da tutto il resto, erano ciò che c'era, niente di più. Essendo evidente che mancava colui che ha interesse a valutare e giudicare, i malesseri non erano più qualificabili come negativi, e quindi veniva meno il senso di repulsione, senza per questo perdere le motivazioni razionali che suggeriscono di non protrarre, favorire o ignorare le possibili conseguenze o le cause del malessere. In pratica, tolta la chiave di volta dell'apparente  individuazione, crollano come tessere di domino anche il senso di concretezza, di separazione, di successione, di distinzione, crollo che non conduce alla confusione o ad un triste disinteresse, non se il senso dell'io è veramente sperimentato come un'impressione e non semplicemente sminuito razionalmente o emotivamente.

Dante il Pedante

Ciao Aumkaara
Sono Dante :)
Un altra situazione tipica di morte temporanea dell'io si trova nel sonno profondo senza sogni in cui però c'è sempre unao stato vigile della coscienza,anche se soffuso,attenuato come un gatto nel sonno però pronto a balzare e a ridestarsi se i sensi percepiscono qualcosa di "pericoloso" (o il pianto di un figlio,per es.)Il legame tra impressioni sensoriali e coscienza è molto stretto mi sembra.
Padrone dacci fame, abbiamo troppo da mangiare.La sazietà non ci basta più. Il paradosso di chi non ha più fame,ma non vuol rinunciare al piacere di mangiare.(E. In Via Di Gioia)

viator

Salve Dante. La "morte temporanea" l'ho capita. Per gli estroversi sarebbe "quel tipo di perdita dell'io che, essendo provvisoria, non c'incastra un tubo con la morte".

E' la seconda parte che mi preoccupa : quello dei gatti e di chi ha il sonno molto leggero non è uno "stato vigile della coscienza" (anche perchè uno "stato addormentato della coscienza" - cioè della consapevolezza dell'io - si chiama "incoscienza") ma credo proprio si tratti di "uno stato soffuso di vigilanza sensoriale" consentito dal persistere - durante il sonno - dei meccanismi psicosensoriali istintuali. Saluti.





Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Aumkaara

Il sonno è più che altro una attenuazione o un incatenamento dell'io, e lo è, anche se in forma diversa, il concentrarsi su qualche attività specifica.
Quello di cui ho parlato è più che altro un riconoscimento del fatto che esso è solo una sensazione. Tale riconoscimento tiene conto dell'io, anche solo come possibilità o ricordo, ma lo rende anche trasparente più che attenuato o incatenato, o, meglio ancora, lo mostra simile a quelle figure in cui un oggetto esiste solo come contorno di altri oggetti ravvicinati (tipo la coppa vista nello spazio vuoto tra due volti contrapposti, se avete presente il disegno).

InVerno

Volevo chiederti, secondo la tua esperienza, quanto questa senzazione che racconti come sfuggevole possa essere conservata in forma passiva. Mi spiego meglio, è abbastanza chiaro che nel caso in cui sia sottoforma presente-attiva (in quei dieci secondi che racconti) malori, e altre stati mentali perdano le qualità attribuite dell'osservatore, ma una volta finiti questi dieci secondi, hai avuto esperienza di un cambiamento della tua forma base, indipendente dal fatto che ti trovi o meno in un presunto stato di non dualità? Ad esempio, io ormai non faccio più molta attenzione alla temperatura, mi sveglio a volte a dicembre con la finestra aperta, e generalmente ho smesso di ragionare in termini di "caldo\freddo" (certo, a meno di mettere la mano sulla stufa), e la stessa cosa è accaduta con i gusti, e altre qualità attribuite dall'osservatore. Però è accaduto senza che intervenissero alterazioni di coscienza, o perlomeno saranno accadute, ma non riesco a tracciare una correlazione diretta, è un cambiamento che si accumula nella mia forma mentis normale.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Aumkaara

Stai chiedendo se mi trovo cambiato, o meglio se vedo il mondo diversamente, quando l'attenzione si distrae da questa evidenza dell'insostanzialità del senso dell'io: ho compreso bene?
Non direi... al massimo si rafforza il pensiero (ma a quel punto è appunto solo un pensiero) di quanto siano opinabili le realtà sul proprio senso di sé e sulle qualità e le definizioni del mondo. E a sua volta, questo pensiero rafforzato, aumenta la probabilità di porre di nuovo l'attenzione all'insostanzialità del senso dell'io in tempi brevi.

Phil

Citazione di: Aumkaara il 13 Ottobre 2020, 11:11:44 AM
il discorso sarebbe diverso per coloro che hanno pesanti problemi emotivi o psichici, che, se sperimentassero negativamente tale "vuoto di sè", potrebbero ricevere ulteriori forti disagi e probabilmente gli andrebbe diagnosticata e curata una qualche forma di derealizzazione o depersonalizzazione (da ciò però si potrebbe dedurre che spesso l'unica differenza tra il dichiarare una esperienza come malattia mentale ed il dichiararla invece come positiva esperienza interiore poco comune, sta solo nel modo in cui viene vissuta).
Questo passo del tuo post mi ha fatto ricordare, per associazione mentale, un articolo (link, dopo la lettura lasciai anche un commento) in cui, se non ricordo male, si parla di "realismo depressivo" come esperienza ambigua, sull'insidioso crinale fra patologia e "retta visione", fra eccesso di emotività (pessimismo) e assenza di filtro cognitivo ("oggettivismo depersonalizzato").

Aumkaara


CitazioneNoi crediamo di essere persone, ma in realtà siamo solo marionette, zombie mossi dal nostro apparato chimico, privi di un Io stabile, un'illusione generata dalle nostre sinapsi cerebrali. Il senso che attribuiamo alle cose è anch'esso prodotto di quegli stessi processi chimici (le emozioni), senza i quali vedremmo il niente al centro del nostro essere. Privati delle emozioni possiamo vedere come le marionette sembrino soltanto persone, le imitino senza veramente esserlo. E qui l'argomentazione di Ligotti entra in una nuova dimensione.
Perché se ciò che crediamo essere una persona è in realtà una marionetta, cos'è allora una persona? Cos'è questa cosiddetta "persona" che imitiamo senza riuscire mai a essere veramente? Perché, soprattutto, non essere "persone", quest'entità così poco definita da essere inafferrabile, dovrebbe essere un problema?
L'ultima domanda centra il problema narrato in tutto l'articolo (che avevo notato anche io, quando iniziai a leggere il citato libro di Ligotti pochi anni fa): perché dovrebbe essere un problema? Di per sé non può esserlo, al massimo il problema sorge a causa dell'impreparazione all'evidenza dell'insostanzialità del senso dell'io. C'è un libro, in inglese, "autobiografico" (le virgolette dono d'obbligo, vista l'assenza di un senso di sé), di una ragazza che negli anni '90 subì improvvisamente ed inspiegabilmente (stava semplicemente salendo su di un autobus) la repentina perdita di autoriferimento personale, senza aver mai saputo niente dell'argomento e senza aver avuto precedenti percorsi psicologici o spirituali, a parte un breve periodo di frequentazione di un corso di meditazione tempo addietro. Venne fuori in seguito che forse aveva subito abusi da bambina, il che potrebbe essere la causa della sua esperienza, che in psichiatra potrebbe essere definita come una depersonalizzazione (anche se pare che gli specialisti che consultò non sapessero ben diagnosticare la forma che aveva colpito lei), però visto che anni dopo morì con un tumore cerebrale, potrebbe essere stata la sua presenza in certe aree del cervello a causargli l'esperienza descritta (non so se una malattia del genere può crescere lentamente per più di dieci anni, come nel suo caso, facendo danni così particolari fin dall'inizio). Ma le cause poco importano, perché in ogni caso trovò il modo di conviverci perfettamente, dopo everlo studiato e compreso, anche tramite insegnanti come quelli di alcune correnti buddiste, o di acuni vedantin. Prima di conviverci, però, passò anni in un costante senso di terrore, anche durante il sonno (se ne rendeva conto perché, scrisse, il sonno era diventato lucido e consapevole): pur non essendoci "nessuno" in lei a provare sconcerto per l'inspiegabile e improvvisa esperienza, il suo "sistema psichico" formato da istinti ed emozioni reagiva automaticamente con la paura, di fronte all'inspiegabilità dell'evento. Il problema sparì quando, studiandolo, potè introiettare ed elaborare proprio il concetto che "non essendoci nessuno a provare paura, la paura non serve a nessuno". A quel punto, il "sistema psicofisico" si rilassò spontaneamente.
Proprio come dice l'articolo che hai proposto, quindi, non c'è nessuna identificazione tra ciò di cui parlo io e un eventuale disagio conseguente più o meno passeggero. Quest'ultimo è solo una sovrapposizione, non una "realtà ultima" del nostro essere oltre tutte le illusioni psicoemotive.
In fondo non è una realtà ultima neanche la tranquilla constatazione dell'insostanzialità del senso dell'io, perché anch'essa è un fenomeno dipendente (interdipendente, direbbe il Buddismo) da condizioni relative (infatti ci deve essere per lo meno il ricordo del senso di sé, anche solo ai margini della coscienza, altrimenti non se ne potrebbe constatare l'insostanzialità.
Il fatto che però non si debba assolutizzare neanche l'interdipendenza, l'insostanzialità e l'impermanenza (come secondo me potrebbero invece far correre il rischio alcune chiavi di lettura del Buddismo), lo si può capire approfondendo ulteriormente l'attenzione sulla constatazione di insostanzialità qui in esame: tale constatazione ha infatti bisogno, come dicevamo, che gli elementi presi in esame (in questo caso il senso di autoreferenza) siano presenti perlomeno marginalmente, il che porta ad una ulteriore forma di autoreferenzialità, ad un circolo formato da oggetti insostanziali che, in quanto tali, non possono sostenersi da soli (da qui, tutta la filosofia Vedica sull'assoluto indefinibile che fa da sfondo a tali apparenze, filosofia che fa da supporto tanto quanto quella Buddista, pur essendo opposte nelle premesse e nelle conclusioni dottrinarie più tradizionali - ma, appunto, non nei risultati pratici che stiamo esaminando, nè nelle conclusioni dottrinarie più aperte al dialogo): questo non deve portare ad una ulteriore ricerca di qualche dato assoluto e stabile (ricreando l'errore fatto da tutta la vita con il senso del sé, creduto appunto un dato granitico, evidente ed indipendente), non si deve ad esempio rischiare di "personalizzare" lo spazio coscienziale che osserva l'assenza del senso di sé (come invece quasi suggerisce l'articolo citato), ma si deve solo giungere ad una attenzione altrettanto continuativa e di "livello" più profondo: all'insostanzialità di TUTTI i dati, non solo del senso dell'io (e già, come dicevo nel primo messaggio, questo avviene quasi spontaneamente prima o poi, una volta fatta la constatazione dell'assenza di una autentica autoreferenzialità).


CitazioneFinché vediamo pillole colorate, siamo nel semantico e nell'emozionale (attrazione/repulsione); se la pillola è trasparente, siamo in ambito scientifico-descrittivo; se nella mano di Morpheus non vediamo nessuna pillola (sunyata), non ci resta che accennare un vuoto sorriso come Kashyapa.
Piccola nota: diciamo che la pillola della scienza è grigia, di certo non trasparente: varie sfumature di grigio, ovvero con essa si focalizza lo studio della minurabilità dell'esistenza, tutte asetticamente uguali per la scienza (quindi appunto grigie) se non per differenze quantitative.
Trasparente è appunto solo l'ultima pippola: talmente trasparente da essere sinonimo di mano vuota.

viator

Salve Aumkaara. Non penso proprio la cosa ti interessi (poco anche a me, visto che sarò costretto a non leggerti più),  ma noto che insisti in improbabili dialoghi con (per me almeno) degli sconosciuti, dato che rispondi citando testi precedenti di interlocutori da te non citati e che magari si trovano (gli interventi cui replichi) spersi all'indietro - non si sa precisamente in quale pagina o posizione - nella discussione in corso.

Provo ad indovinare : sei per caso un estroverso spinto da compulsione comunicativa e che scrive da tablet ?.

Auguri di trovare miglior udienza della mia. Saluti.


Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Phil

@Aumkaara

Sulla constatazione dell'insostanzialità come "sede" di un promemoria implicito dell'esistenza/credenza/attaccamento riguardante la sostanzialità, ovvero sul potersi pensare privi di io solo ricordando la presenza/identità dell'io precedente, non sono sicuro sia un vincolo inscindibile: mentre scrivo queste righe non mi sto pensando come non-elefante, non-topo, non-bambino, non-adolescente, etc. scrivo e basta. Se mi mettessi a concettualizzare cosa (non) sono, oltre a non poter scrivere queste righe, significherebbe che mi sto "attaccando" ad un pensiero sulla mia (non) identità, affermativa o negativa che sia.

P.s.
Attribuendo alla pillola della scienza la trasparenza intendevo che non ha una tonalità emotiva (come quelle blu, rossa, nera), alludendo al suo voler descrivere la realtà così com'è, come fosse osservata da dietro un vetro trasparente, non da una vetrata colorata (come quelle delle chiese, per intenderci... la pillola filosofica sarebbe forse a specchio, nel senso che l'uomo ci si riflette). La mano vuota, senza un pillola (senza contenuto identificato convenzionalmente), mi sembra(va) un buon riferimento al varada mudra.


P.p.s
@viator
Aumkaara sta citando dal link che gli ho segnalato nel mio messaggio precedente questo.

Aumkaara

#10
Citazione di: viator il 15 Ottobre 2020, 13:32:37 PM
Salve Aumkaara. Non penso proprio la cosa ti interessi (poco anche a me, visto che sarò costretto a non leggerti più),  ma noto che insisti in improbabili dialoghi con (per me almeno) degli sconosciuti, dato che rispondi citando testi precedenti di interlocutori da te non citati e che magari si trovano (gli interventi cui replichi) spersi all'indietro - non si sa precisamente in quale pagina o posizione - nella discussione in corso.

Provo ad indovinare : sei per caso un estroverso spinto da compulsione comunicativa e che scrive da tablet ?.

Auguri di trovare miglior udienza della mia. Saluti.
Mi interessa invece, anche perché è sufficiente rendere più precise le citazioni per risolvere il problema. Mi interessano invece meno le analisi psicologiche, non tanto perché non possano essere utili, almeno in parte, ma perché, nel mio caso, qualunque introversione o complusione io abbia non si sta rilevando problematica, né fuori né in internet (nel mio caso usato non tramite tablet, ma in questo caso fa lo stesso), a parte con chi per abitudine premette la polemica alla comprensione (non è il tuo caso, non solo perché non so fare analisi psicologiche approfondite, soprattutto in internet, ma specialmente perché presumo che le tue ultime osservazioni nascano semplicemente da una difficoltà che ti ho effettivamente dato). Di base non trovavo neanche possibile che per qualcuno fosse davvero un problema rintracciare a chi appartengono le proprie citazioni, visto che di solito il nome manca quando è tratta dal messaggio precedente al mio, e che in ogni caso io trovo facile riconoscere a colpo d'occhio se una citazione in un forum è tratta da un mio scritto: se però è possibile che altri non abbiano la stessa facilità, da ora in avanti, con chi dovesse continuare a rispondermi non credo che dimenticherò di riportare il nome (magari senza farla diventare una compulsione, nel caso io ne soffrissi davvero).

Aumkaara

#11
Citazione di: Phil il 15 Ottobre 2020, 13:49:38 PM
@Aumkaara

Sulla constatazione dell'insostanzialità come "sede" di un promemoria implicito dell'esistenza/credenza/attaccamento riguardante la sostanzialità, ovvero sul potersi pensare privi di io solo ricordando la presenza/identità dell'io precedente, non sono sicuro sia un vincolo inscindibile: mentre scrivo queste righe non mi sto pensando come non-elefante, non-topo, non-bambino, non-adolescente, etc. scrivo e basta. Se mi mettessi a concettualizzare cosa (non) sono, oltre a non poter scrivere queste righe, significherebbe che mi sto "attaccando" ad un pensiero sulla mia (non) identità, affermativa o negativa che sia.

P.s.
Attribuendo alla pillola della scienza la trasparenza intendevo che non ha una tonalità emotiva (come quelle blu, rossa, nera), alludendo al suo voler descrivere la realtà così com'è, come fosse osservata da dietro un vetro trasparente, non da una vetrata colorata (come quelle delle chiese, per intenderci... la pillola filosofica sarebbe forse a specchio, nel senso che l'uomo ci si riflette). La mano vuota, senza un pillola (senza contenuto identificato convenzionalmente), mi sembra(va) un buon riferimento al varada mudra.


P.p.s
@viator
Aumkaara sta citando dal link che gli ho segnalato nel mio messaggio precedente questo.
Durante la constatazione vera e propria, anche se nel mio caso è stata spontanea solo per alcuni giorni (non so dire quanti) e che ora deve essere "voluta", non c'è una concettualizzazione, non a caso ho detto che è sufficiente che resti a margine, ed in tale posizione credo possa essere solo un'ombra, un residuo, poco più del ricordo di una sensazione.
PS: era una pignoleria, quella della pillola, nata dalle tante conversazioni, qui sul forum, che mi hanno portato ad insistere spesso sul fatto che la scienza secondo me non vede le cose così come sono, anzi, proprio astraendosi da emozioni e sensazioni, è una visione ancora più parziale di quella ordinaria: è "solo" più rigorosa, con tutte le conseguenze, anche vantaggiose, che comporta.

Phil

Citazione di: Aumkaara il 15 Ottobre 2020, 14:38:15 PM
la scienza secondo me non vede le cose così come sono, anzi, proprio astraendosi da emozioni e sensazioni, è una visione ancora più parziale di quella ordinaria: è "solo" più rigorosa, con tutte le conseguenze, anche vantaggiose, che comporta.
Non a caso ho specificato che la scienza vuole descrivere la realtà per come è, non che riesca a farlo, proprio perché è il suo metodo, come dicevamo altrove, che condiziona inevitabilmente i suoi risultati (pur nella sua mirabile funzionalità pragmatica). La "realtà per come è" è a suo modo l'escatologia dalla mitologia scientista, un punto di arrivo risolutivo (che tuttavia non è compatibile con l'esser-per-l'uomo di ogni concetto ed interpretazione; la realtà-così-com'è-per-l'uomo è invece in corso di continua suddivisione, sempre più microscopica, per ottenere spiegazioni del macroscopico, del cosmo, etc.).

viator

Salve Aumkaara. Grazie della tua replica, A parte ogni mia personale compulsione alla critica ed alla polemica, che io certamente possiedo (le compulsioni di questo genere restano tutto sommato dei casi personali), vedo confermato che sei una persona profondamente civile. (comunque il "problema" che lamentavo non riguardava tanto me, quando il modo di porsi nei confronti di una generalità di possibili lettori estranei al confronto dialettico bipolare tra te e colui al quale stai replicando). Rinnovati auguri.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Aumkaara

#14
Phil: trovo le tue due definizioni, "l'esser-per-l'uomo" e "la realtà-così-com'è-per-l'uomo" tra le più efficaci per sintetizzare una distinzione che, ancor più che alla scienza (anche se anch'essa ha il suo peso nella questione), sarebbe utile far comprendere ad una società che si ritrova ad essere sempre più tecnica; che non è una posizione negativa, ma che in mancanza di riflessione la rende ancor più pericolosa per il futuro rispetto ad altre società poco riflessive ma meno tecniche.

Viator: effettivamente non avevo mai pensato molto ai lettori esterni, a causa del fatto che i forum li ho sempre visti come un terreno utile quasi solo ai singoli scrittori coinvolti.
È positiva l'impressione di civiltà che hai avuto, e un tempo rispondevo soltanto che è merito di famiglia e insegnanti "spirituali", mentre oggi potrei aggiungere che non si tratta più soltanto di educazione positiva, che di solito aiuta al controllo ma non attenua di per sé le reazioni istintive (quelle che i meno educati e civili rispondono senza freni), ma si tratta anche dell'effetto dell'abitudine (mai abbastanza frequente) di porre attenzione (e così attivare) quella condizione di cui stiamo parlando: se non c'è "nessuno" che può provare il risentimento che di riflesso le polemiche o a volte anche solo le osservazioni più ponderate possono suscitare, diventa facile valutarle e conseguentemente adattarcisi se utili, ignorarle se inadeguate, o, nei casi in cui obiettivamente si nota che l'unico motivo per cui vengono dette appartiene più che altro alla sfera che condividiamo con gli animali, rispedirle indietro in una forma che fa "disattivare" al mittente la parte animale (anche solo per non renderla ancora più evidente) che gliele aveva fatte proferire.
Il bello è che la forma con cui vengono valutate è sempre la medesima, quindi il mittente delle critiche o delle polemiche non si ritrova a sentirsi a sua volta criticato o polemicizzato anche nel caso in cui appartenga a coloro che sono influenzati dagli istinti animali più degli altri. E, se ne ha le capacità, è in questo modo persino spinto ad autovalutare la propria azione, mentre, se non ne ha le capacità, si ritroverà a riutilizzarle prima o poi con qualcuno di più polemico ed anche più animale di lui (e, forse, trarrà qualcosa dalla differenza delle reazioni ricevute).
Ne ho approfittato per arricchire l'argomento di partenza viste le affinità, non per fare una contro-osservazione polemica più sottile e insidiosa di quella che sarebbe stata una "reazione meno civile".

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