Karma e reincarnazione

Aperto da Loris Bagnara, 15 Marzo 2018, 11:21:45 AM

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Apeiron

Citazione di: Sariputra il 19 Marzo 2018, 17:28:49 PM
cit:Apeiron:
Quella che viene chiamata "esperienza" non è una "cosa" bensì un processo. Dunque, anche se non si trasmette nessuna sostanza da una vita all'altra il processo continua. Non c'è una "sostanza" ma questo non significa che il processo si debba arrestare. La morte per il Buddhismo non è la fine di questo processo, perchè il processo è mantenuto dalla "sete" (tanha). In realtà la morte secondo il Buddhismo è piuttosto simile al sonno e la "rinascita" è simile al risveglio dal sonno. Chiaramente c'è continuità tra un giorno e l'altro. Dunque per un Buddhista c'è continuità tra una vita e l'altra.
Inoltre, come nelle altre religioni indiane c'è l'idea che una mente ben allenata possa ricordare le "vite precedenti" e stabilire che c'è vita dopo la morte. Non a caso nel testo che ho citato nella mia risposta precedente si dice che è corretta visione dire che: "ci sono dei bramani e degli asceti che, comportandosi rettamente e praticando rettamente, proclamano questo mondo ed il successivo dopo averlo conosciuto direttamente e realizzato personalmente'."

Caro Apeiron, sono stanco ormai, e Villa Sariputra ha bisogno di un nuovo patriarca. La paga è bassa, ma il paesaggio è ameno, le dolci colline ricoperte di vigneti rosso fuoco al tramonto, le botti piene, gli animali da accudire, le cipolle, ecc.. e le abitanti della Contea....non so se mi spiego  ;)
Che ne dici?...
Posso finalmente salire la montagna?...

Beh hai il mio via libera. Credo che sia giusto decidere di salire la montagna per concerdersi un buon riposo ;)
...
Tuttavia la Contea potrebbe finire nelle mani sbagliate  ;D ...  :(  :(  :(  


Citazione di: bluemax il 19 Marzo 2018, 18:05:50 PMtutto quello detto da Sari è "accademicamente" vero... Ultimamente stiamo discutendo una cosa fondamentale e molto interessante al centro dove vado a prendere lezioni di buddismo. Tra gli aggregati che costituiscono l' "essere" vi sono le cinque coscienze sensoriali piu' la coscienza mentale. Vero è che ogni coscienza è impermanente ed interdipendende da cause e fattori esterni. Ma è pur vero che esiste uno "SPERIMENTATORE" di tali esperienze. Un giudice se vogliamo, una sorta di "sacco" dove vanno a fire le "ESPERIENZE" o se vogliamo lo spettatore che vede il film proiettato sullo schermo. Se vogliamo la possiamo chiamare INDOLE che viene modificata da varie esperienze nel corso delle vite. Tale indole è vero che è impermanente e dipendente dalle ESPERIENZE, quindi mutevole per fortuna altrimenti non potrebbe "evolvere". Ed è in tale INDOLE che sono "registrate" gli effetti delle nostre esperienze. Come per quando ci svegliamo la mattina, il nostro carattere non è modificato dal sonno rispetto la giornata precedente, cosi' la rinascita nella vita futura non modifica sostanzialmente l' INDOLE precedente. In definitiva la tesi secondo la quale non ESISTE uno sperimentatore non è prerogativa del BUDDISMO ma solo del buddismo Theravada altre scuole buddiste "ammettono" che esista una mente sottilissima (che potremmo chiamare Anima o Io o Sè o se vogliamo bagaglio di esperienze). Si potrebbe obbiettare al fatto che se anche l'INDOLE (maturata di vita in vita) svanisce con la morte, non vi sarebbe alcun chè che possa andare nel nirvana. Dove nel nirvana esiste uno STATO PERMANENTE della mente che ha raggiunto il massimo stato esperenziale e non deve piu' passare da uno stato all'altro. Praticamente la morte sarebbe simile al passaggio dal sonno alla veglia e dalla veglia al sonno dove ad ogni risveglio (ogni mattina) tutti i ricordi del giorno precedente svaniscono (in quanto materia) ma rimane l'indole intatta. Bene... pare che per altre scuole buddiste sia questa INDOLE a passare di vita in vita. (motivo per cui, alcuni bambini hanno l'indole di uccidere le formiche, altri di difenderle avendo avuto ad esempio medesima educazione e medesime esperienze) scusate ho scritto di ultra fretta perchè sono a lavoro quindi perdonate orrori ortografici. Non ho riletto :D :D :D

@bluemax,
sinceramente un linguaggio così "sostanzialista" mi sorprende anche da una scuola Mahayana. Più che una "Anima", credo che almeno per certe scuole del buddhismo Mahayana ci sia la convinzione che così come la "corrente mentale" non ha mai avuto inizio, allo stesso modo non avrà mai fine. La pratica serve per tirare via gli "inquinanti" lasciando una "corrente mentale" pura, libera dall'afflizione. Tuttavia non ha una vera "identità" che persiste ma semplicemente una continuità. In fin dei conti il buddhismo Mahayana si fonda sul concetto di "vacuità". Quindi è errato dire che nella corrente mentale persista un'Anima, un Soggetto o quant'altro.  Semplicemente si ha un continuo flusso di "esperienze momentanee" senza alcun centro "unificatore".
Se ti va, potresti dare qualche informazione in più?


Citazione di: Loris Bagnara il 19 Marzo 2018, 19:03:31 PM
Citazione di: Apeiron il 19 Marzo 2018, 12:41:22 PMIn realtà sono curioso del processo della reincarnazione/rinascita nella teosofia. Nel buddhismo e nell'induismo la rinascita può anche avvenire nel mondo animale. Nella teosofia è possibile cio? Da quel pochissimo che so non è possibile (un po' come nel caso di Platone...)
Avete detto molte cose, tu Apeiron e Sariputra, che vanno digerite con calma: e allora "prendo tempo" rispondendo alla tua domanda di cui sopra. La concezione teosofica è assolutamente monista, come ben dici. L'unica vera essenza è il non-manifesto, Brahman, detto anche Parabrahman, detto anche semplicemente QUELLO, ad indicare il fatto che è assolutamente privo di attributi. QUELLO è la radice ultima di tutto ciò che è manifesto. Quindi, è chiaro che solo QUELLO è vero, e tutto il resto è uno scendere sempre più in profondità nell'illusione. Paradossalmente, perfino il Sé universale è un'illusione rispetto a QUELLO. Ora, secondo questa visione (che è molto prossima a quella induista, come giustamente riconosci) dal piano divino del Sé universale si generano delle scintille, le monadi, intese come una"porzione" di sostanza divina (scusate l'inadeguatezza del linguaggio) che si riveste di un velo, o in altri termini si dotano di un veicolo, di un corpo per poter scendere più in profondità nell'illusione. A che scopo? L'illusione è un gioco divino (Lila) che serve al Sé universale per fare esperienza di Se stesso, attraverso le esperienze delle singole monadi. Man mano che l'universo intero si articola e si dispiega in piani sempre più grossolani, dove vige la dualità della contrapposizione (illusoria) fra spirito e materia, anche le monadi si dotano di veicoli via via più grossolani, per sperimentare quei piani. Al livello di questo universo materiale, le monadi si "incarnano" dapprima come minerali, e fanno esperienza del regno minerale; passano poi al regno vegetale, e fanno esperienza del regno vegetale; passano quindi al regno animale, e quando hanno completato l'esperienza di questo passano al regno umano. Ci sono anche regni oltre-umani, ma di questi ben poco possiamo dire. Man mano che la monade progredisce di vita in vita, di regno in regno, accadono due cose:

  • il suo veicolo meno grossolano, che viene detto "corpo causale", conserva le registrazioni delle esperienze fatte nelle singole vite dai corpi più grossolani (i corpi materiali e psichici);
  • il "raggio della sua individualità" (scusate ancora la goffaggine del linguaggio) si restringe sempre più, si affila sempre più: se nel regno minerale una monade è vasta quanto un intero pianeta, nel regno vegetale può estendersi a un bosco, nel regno animale può circoscriversi ad uno sciame d'api, negli animali superiori arriva a limitarsi agli individui di un gruppo familiare finché, in alcuni animali che hanno fatto sufficiente esperienza, scatta l'individuazione e divengono veri individui, incarnandosi come esseri umani nella vita successiva (questi animali sono cani, gatti, elefanti: quelli che sono in contatto con esseri umani).
E' evidente quindi che tutto il processo sopra descritto ha lo scopo accumulare esperienze per costruire l'individualità dell'essere umano, poi oltre-umano. Ma questo è solo il ramo discendente dell'evoluzione, quello che affonda nella materia. Ad un certo punto, l'individuo riconosce la vera realtà (che è l'UNO) e comincia il suo percorso ascendente che lo porta ad abbandonare (perché superati) gli strumenti che servirono a costruire la sua individualità; fino a che, dopo un tempo più o meno lungo, potrà ricongiungersi alla Sorgente. Ma - e qui è il mistero, l'incomprensibile per le nostre menti limitate - il ricongiungimento non è annullamento, tutta l'esperienza accumulata si riversa nella sorgente, anche l'individualità resta, benché inclusa nel Sé universale, e mantiene piena coscienza di Sé e di tutta la sua storia. Diciamo che, ricongiunta alla sorgente, la monade ha la facoltà di entrare in una modalità di coscienza tale da recuperare il senso dell'individualità che è stata sua per miliardi di anni. Non so se qualcuno di voi avverte, come io avverto, la grandiosa bellezza di una concezione del genere, dove tutto acquista un senso, e dove anche la vita terrena con le sue sofferenze non è qualcosa da cui fuggire (come sembra essere per il buddismo), ma è solo come il faticoso studio dell'alunno che sa di dover sgobbare per essere promosso... Quindi, in definitiva, per un teosofo quel che si reincarna (il corpo causale) è solo un veicolo, certamente illusorio rispetto al Sé universale da cui proviene, ma sempre meno illusorio del corpo materiale e psichico che corrisponde al sé personale della sua vita terrena. Illusione dentro illusione, scatole cinesi: l'illusione di ordine superiore contiene quella di ordine inferiore, ed è realtà per essa... Alla domanda se l'essere umano possa reincarnarsi in un animale, la risposta del teosofo è (come prevedevi)no: lo studente può essere bocciato, ma non retrocesso. Quel che ha acquisito, l'ha acquisito per sempre. P.S. Quel che ha appena scritto Bluemax mi torna molto bene... ;-)

Grazie mille della spiegazione, interessante  :D

Ma la "bocciatura" può prevede una sorta di "inferno temporaneo"?  

Riguardo alla "reincarnazione" è in realtà più simile alla versione Buddhista di quanto pensi.  In ambo i casi la rinascita è un processo del tutto illusorio. Comunque come dice il @Sari per il Buddhismo - a meno che non ci sia la Liberazione - @Apeiron non riaprirà gli occhi, strettamente parlando ma il "processo vitale" cercherà un'altra rinascita. L'essere che rinasce non è né uguale né diverso da @Apeiron. Bruco e farfalla non sono né uguali né diversi, tuttavia c'è ovviamente continuità. Tuttavia né il Buddhismo né la Teosofia - da quanto capisco - accettano che gli esseri individuali siano "totalmente reali". Dunque in realtà per entrambi non c'è re-incarnazione ma sono ri-nascita. In ultima analisi nessuno veramente rinasce, ma c'è la rinascita ecc

Riguardo alla Teosofia ritengo che la grossa differenza tra di essa e le religioni indiane sia il fatto che per la Teosofia la Storia ha dunque un fine. Progredisce. C'è una freccia del tempo: prima ci sono minerali, poi piante ecc. Ma mi pare che nessuna delle religioni indiane sia d'accordo che su tale questione. Mi risulta che l'Induismo, il Buddhismo e lo Gianismo siano tutte concordi nel dire che il "progresso" sia completamente illusorio per il fatto che l'universo è ciclico. Anche se viene raggiunto il più alto dei "paradisi" comunque si regredisce se non ci si "risveglia" (forse ciò non è vero per qualche sottoscuola induista...). In sostanza l'idea è che se non ci libera dal ciclo samsarico non c'è "scampo" al regresso, al declino e alla sofferenza. E da qui si capisce la forte tendenza "rinunciante" della filosofia indiana. Inoltre il concetto di "progresso" mi sembra pure alieno nella Cina. Per esempio il Daoismo raccomanda di vivere senza "agende", nella "non-azione". E anche il Confucianesimo mira all'armonia nel qui ed ora... La visione del progresso è in realtà abramitica e occidentale. Platone per esempio raccomandava al "filosofo giusto" di governare e di non rinunciare al mondo (pur accettando apparentemente che c'era un ciclo di rinascite e che era necessario conoscere le "forme eterne" per "liberarsi"...), Aristotele parlava spesso di teleologia. Ovviamente, per esempio, il Cristianesimo ha una storia lineare che punta verso un momento ben preciso. Forse ci sono somiglianze maggiori tra Neoplatonismo e Teosofia. Dunque la Teosofia sembra una sorta di Advaita "ottimista".

Comunque sì, mi sembra proprio che la forte differenza con le religioni indiane sia questa idea di "progresso". Gli indiani vedono la storia come un ciclo dove in ultima analisi non si può trovare alcun "senso" o "progresso" (a parte quello, in ultima analisi insoddisfacente, dovuto al fatto che le azioni hanno conseguenze).

Mi sembra inoltre che ci sia una sorta di assunzione che ci sia una "riconciliazione universale" e che cioè tutti gli esseri si "liberino" (o "acquisicano l'illuminazione").  Su questo però ti chiederei conferma ;)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Suttree

#61
Citazione di: Apeiron il 19 Marzo 2018, 15:15:22 PM
Citazione di: Suttree il 19 Marzo 2018, 13:48:22 PM
Scusate, sarò fatto del peggior coccio, ma io davvero non riesco a capire una cosa: se tutto, ma proprio tutto è impermanente, che senso ha parlare di rinascita? Dopo la morte il nostro fisico torna polvere, e questo lo sappiamo. Ma se tutto è transitorio, se anche dei nostri pensieri, la nostra memoria, il nostro Sè superiore non resta alcuna traccia... beh allora basta leggere un Giacomo Leopardi o un Sartre  :)
Potete spiegare in parole povere ad un povero ignorante che differenza sostanziale c'è tra il nichilismo e il buddismo, nell'ottica della morte annientatrice?

Provo io... ;)

Quella che viene chiamata "esperienza" non è una "cosa" bensì un processo. Dunque, anche se non si trasmette nessuna sostanza da una vita all'altra il processo continua. Non c'è una "sostanza" ma questo non significa che il processo si debba arrestare. La morte per il Buddhismo non è la fine di questo processo, perchè il processo è mantenuto dalla "sete" (tanha). In realtà la morte secondo il Buddhismo è piuttosto simile al sonno e la "rinascita" è simile al risveglio dal sonno. Chiaramente c'è continuità tra un giorno e l'altro. Dunque per un Buddhista c'è continuità tra una vita e l'altra.
Inoltre, come nelle altre religioni indiane c'è l'idea che una mente ben allenata possa ricordare le "vite precedenti" e stabilire che c'è vita dopo la morte. Non a caso nel testo che ho citato nella mia risposta precedente si dice che è corretta visione dire che: "ci sono dei bramani e degli asceti che, comportandosi rettamente e praticando rettamente, proclamano questo mondo ed il successivo dopo averlo conosciuto direttamente e realizzato personalmente'."

Comunque riguardo al Sé superiore come dicevo a @Loris... Per molti pensatori induisti l'unica cosa che non muore è il Principio Universale, Brahman - l'unica cosa che esiste veramente è proprio Brahman mentre la molteplicità è illusoria. Dunque anche in questo caso non c'è veramente "reincarnazione" ma solo "rinascita" degli "individui". Altri pensatori indiani invece dicevano (e dicono) che ognuno di noi possiede un elemento indistruttibile (il nostro Sé). Solo ammettendo questo si può veramente parlare di "reincarnazione".
Intanto ti ringrazio :) oddio scusami ma davvero non riesco a seguire... tu parli di processo, ma un processo è una trasformazione od un trasferimento, nel tempo, di materia o di un'informazione. Se facciamo l'analogia del sonno, come da te proposto, c'è continuità perchè il processo è mantenuto vivo e dinamico dalla fisicità del cervello che mi garantisce la sua continuità tra l'addormentarmi e lo svegliarmi.
Dici che il processo è mantenuto in piedi dalla sete (immagino del desiderio). Ma se con la totale dissoluzione della morte non c'è più nulla del soggetto che possa esercitare il desiderare, cosa significa in concreto ciò? Se invece come dici, secondo alcuni pensatori indiani, il Sè non si dissolve... allora il discorso cambia radicalmente.

bluemax

Citazione di: Apeiron il 20 Marzo 2018, 13:26:26 PM@bluemax,
Se ti va, potresti dare qualche informazione in più?
In pausa pranzo mi sono concesso il lusso di scrivere qualcosa a riguardo (seppur di fretta ammetto :D :D  quindi perdonami )

Beh... per la dottrina buddista, uno degli aspetti più interessanti (e, se vogliamo, più sconcertante per noi) è il concetto relativo al sé o anima individuale come altrettanto sconcertante, è la posizione buddhista circa il problema dell'esistenza di Dio, che viene, se non negata, messa tra numerose parentesi, almeno nella corrente Theravada. 

A questo proposito, è da ricordare la storiella del Buddha e le sue tre risposte ai suoi discepoli che lo interrogavano circa l'esistenza di un Dio. ("No, non esiste", "Certo, Dio esiste", "A ciascuno di essi ho detto quello che egli desiderava sentirsi dire. Ma chi vuole trovare la risposta a tale interrogativo, non deve attenderla da altri, bensì cercarla in sé stesso".)

Resta comunque il fatto che tanto su Dio, quanto sull'anima individuale, Buddha non volle mai precisare la natura del suo intimo convincimento: si tratta, infatti, di due problemi certo importantissimi, ma di genere prettamente metafisico che sono stati solo SUCCESSIVAMENTE voluti essere affrontati dalla filosofia/religione buddista; mentre egli volle sempre rimanere sul terreno concreto della psicologia, della fenomenologia e dell'etica.

Cosa interessante è che la negazione dell'esistenza dell'anima (o se' o ego per intenderci), così come generalmente si intende questo concetto, non impedisce affatto ai seguaci del Theravada - così come a tutti gli altri seguaci del buddhismo, per non parlare dell'induismo - di credere alla dottrina della reincarnazione (che ricordo, per la verità, preferiscono definire "rinascita"). 
 
I buddhisti Theravada, sostengono che l'uomo "possiede" (notare le virgolette) NON un'anima simil occidentale, ma un gruppo di processi mentali sempre cangianti.
Gli Indù credono nella persistenza dopo la morte fisica di un elemento essenziale, o Atman, in ogni individuo.  L'Atman si associa a un nuovo organismo fisico ed entra in esistenza terrena di nuovo, continuando così l'ascesa (o il declino) della personalità o indole se vogliamo che visse prima. 

Queste idee richiamano il concetto di un'entità continua e presumibilmente PERMANENTE. 
Al contrario, i buddhisti del ramo Theravada, non credono nella persistenza di un'entità od anima PERMANENTE. 
Secondo questa corrente buddista vi è un flusso costante di azioni, di desideri, di effetti e reazioni, ma non un'anima persistente. Quando uno muore, gli effetti accumulati delle sue azioni pongono in movimento un'ulteriore corrente di eventi che portano a nuove conseguenze, una delle quali può essere la nascita terrena di un'altra personalità (o indole). 
Se la prima personalità ha conquistato il distacco dai desideri sensuali, può avvenire la nascita in un altro 'piano', invece di una nuova nascita terrena. Ma questa personalità rinata si riallaccia alla precedente solo come la fiamma di una candela (prima che essa si estingua definitivamente) può accendere la fiamma di un'altra candela. 
I buddhisti preferiscono il termine 'rinascita' a quello di 'reincarnazione' per mettere in rilievo questa distinzione. 

Comunque sia le differenti scuole di buddhismo accettano concetti in qualche modo differenti di ciò che può persistere dopo la morte fisica, ma concordano nel credere che la condotta di una personalità può avere effetti sul comportamento, sull'organismo fisico e sugli eventi della vita di una successiva personalità.

In realtà, la credenza che la scuola Theravada neghi l'esistenza dell'anima individuale, è il risultato di una eccessiva semplificazione fatta nei secoli.
Alla base della meditazione buddhista vi sono due convinzioni fondamentali: che il corpo sia un'illusione creata dalla mente e che ogni cosa, compreso il corpo, sia una manifestazione del dharma, ossia delle forze e delle particelle subatomiche (che sono invisibili, ma non irreali). 
Theravada e Mahayana differiscono riguardo alla "materia" di cui è composta la realtà: i seguaci del primo ritengono che i dharma siano reali, benché transitori; mentre quelli del secondo ritengano che essi esistano nella dimensione fenomenica, ma non in quella dell'Assoluto.

In altre parola il Theravada ritiene che non solo la realtà fenomenica, ma anche quella coscienziale, siano mera illusione, mentre il Mahayana ritiene che, nella dimensione trascendente, non esistano né l'Atman, né i dharma. Ecco perché quest'ultimo insegna che i quattro elementi universali (aria, acqua, terra e fuoco) sono "il vuoto". 
Di conseguenza, anche la concezione del nirvana varia profondamente dall'uno all'altro: per il Theravada esso è l'estinzione del desiderio, del rancore, dell'illusione; per il Mahayana, esso è l'esperienza diretta della realtà cosmica, la luminosa comunione con il Tutto.

Il Buddhismo è l'unico nella storia del pensiero umano a negare l'esistenza di un'anima, Sé o Atman permanente. Secondo gli insegnamenti del Buddha, l'idea del sé è una credenza falsa e immaginaria, che non ha alcuna corrispondenza nella realtà, e che produce pensieri dannosi come "me" e "mio", desideri egoistici, brama, attaccamento, rancore, malvagità, presunzione, orgoglio, egoismo e altre forme di corruzione, impurità e problemi ma questo Sé a cui si riferisce il Budda altro non è che la concezione di EGO e non invece al continum mentale che invece esiste ed è "personale" che passa di vita in vita.
Tuttavia tali affermazioni vanno attribuite unicamente al Buddhismo Theravada, perché senza dubbio gli insegnamenti Mahayana e Vajrayana affermano che l'anima anche se cangiante, esiste.

Un famoso maestro diceva: «Se non esiste un Sé nel samsara, esiste un sé nel nirvana? Se non esiste alcun sé, che cosa entra nel nirvana?».
La credenza nell'anima è indubitabile anche nel Buddhismo Vajrayana. Ad esempio, nella grande liberazione attraverso l'udito nel bardo, una funzione celebrata dai tibetani per i loro morti (e descritta in versione popolare nel Libro Tibetano dei morti), l'anima viene guidata attraverso il bardo, o l'intervallo tra la morte e la nascita, nella speranza che possa liberarsi e non sia costretta a rinascere.  

Il Buddha non ha mai dichiarato in maniera categorica che l'anima non esiste. Occasionalmente, ha parlato del pudgala, o del sé; altre volte ha nominato il non-sé; ma in altre circostanze non ha menzionato né il sé né il non-sé. Tutte le scuole buddhiste, compresa quella Theravada, accettano le cinquecento vite passate del Buddha Gautama. Lo stesso sé è passato attraverso tutte queste reincarnazioni. Il Buddha ha affermato chiaramente che in una di tali reincarnazioni il sé chiamato Sunetra era lui stesso.

Il concetto di anima o di sé viene nominato anche in importanti scriti Theravada. Gli argomenti discussi erano soprattutto la natura dell'anima e del mondo, la natura della virtù e i suoi risultati, l'esistenza di un altro mondo, e se l'anima e il mondo abbiano o meno una causa». L'Abhidharma descrive gli otto tipi di esseri illuminati come gli otto pudgala o sè. «i maestri ortodossi dovettero ammettere l'esistenza di tali brani, ma affermarono che in realtà non volessero dire ciò che dicevano».

La legge della continuità, nota ai più come rinascita, assicura la persistenza della coscienza DINAMICA dell'individuo con la morte del corpo fisico. Se tale non-coscienza non viene indirizzata verso mondi più elevati dallo sviluppo mirale e spirituale del soggetto, di solito si dice che rimane nella sfera dello spirito (pettivisaya) come spirito disincarnato, e di conseguenza rinasce come  essere umano».

Il tutto è stato chiarito dicendo che il budda quando parlava di NON SE' era riferito al concetto illusorio di EGO (duale, immutabile, permanente ecc... ecc...)  mentre quando parlava dell'anima o SE' si riferiva alla natura CANGIANTE ed IMPERMANENTE della coscienza o flusso esperenziale che passa di vita in vita e deve purificarsi.


Comprendere la natura del dharmna per raggiungere lo stato del Buddha non significa semplicemente capire gli insegnamenti del Buddha e diventare moralmente puri e liberi dalla sofferenza, come Gautama. Questa condizione è un prerequisito; l'espressione va oltre tale stadio preparatorio.  Essa implica comprendere che la natura del dharma è il vuoto (cioè che il mondo fenomenico è una illusione), raggiungendo così l'illuminazione perfetta. Qui dharma si riferisce alle forze e alle particelle subatomiche che si manifestano come fenomeni, e NON AGLI INSEGNAMENTI DEL BUDDA come solitamente ci si vuol riferire con la parola DHARMA. 

In realtà, secondo le dottrine Mahayana, è proprio l'incapacità di comprendere i concetti di dharmache impedisce ai seguaci Theravada di accedere alla saggezza superiore. Esistono due forme di liberazione: quella dal sé (EGO)e quella dal dharma. In altre parole, l'illuminato comprende che sia il proprio sé inteso come EGO, sia il mondo fenomenico sono illusioni, che nella Realtà Suprema il sé e i dharma che si manifestano come fenomeni non esistono.

Per aiutare i propri seguaci a comprendere l'illusione dell' EGO (diverso dal concetto di anima) nella dimensione trascendentale, il Buddha trasmise loro la dottrina del non-sé. A livello trascendentale il sé, così come qualsiasi altra realtà separata, non esiste, perché il Supremo Assoluto è indifferenziato. Ma il sé, come le altre entità separate, ESISTE a livello fenomenico. Secondo il Buddhismo Mahayana, l'incapacità dei Theravada di comprendere la saggezza superiore riguardante la realtà trascendentale li spinge a interpretare la dottrina del non-sé unicamente a livello fenomenico. Quindi, esso non colgono il fatto fondamentale che tale dottrina del non-sé è transitoria, in quanto il suo unico scopo è quello di aiutare i fedeli a liberarsi dal samsara. 

Il Buddhismo Mahayana afferma che, sebbene i Theravada riescano a liberarsi dall'attaccamento al sé, non sono in grado di porre fine all'attaccamento al dharma. I Theravada comprendono che il sé è un'illusione, ma partono dal presupposto che i dharma siano entità reali, sebbene dotate unicamente di un'esistenza momentanea. 


ciao :)

Loris Bagnara

#63
Citazione di: Apeiron il 20 Marzo 2018, 13:26:26 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 19 Marzo 2018, 19:03:31 PM
Citazione di: Apeiron il 19 Marzo 2018, 12:41:22 PMIn realtà sono curioso del processo della reincarnazione/rinascita nella teosofia. Nel buddhismo e nell'induismo la rinascita può anche avvenire nel mondo animale. Nella teosofia è possibile cio? Da quel pochissimo che so non è possibile (un po' come nel caso di Platone...)
Avete detto molte cose, tu Apeiron e Sariputra, che vanno digerite con calma: e allora "prendo tempo" rispondendo alla tua domanda di cui sopra. La concezione teosofica è assolutamente monista, come ben dici. L'unica vera essenza è il non-manifesto, Brahman, detto anche Parabrahman, detto anche semplicemente QUELLO, ad indicare il fatto che è assolutamente privo di attributi. QUELLO è la radice ultima di tutto ciò che è manifesto. Quindi, è chiaro che solo QUELLO è vero, e tutto il resto è uno scendere sempre più in profondità nell'illusione. Paradossalmente, perfino il Sé universale è un'illusione rispetto a QUELLO. Ora, secondo questa visione (che è molto prossima a quella induista, come giustamente riconosci) dal piano divino del Sé universale si generano delle scintille, le monadi, intese come una"porzione" di sostanza divina (scusate l'inadeguatezza del linguaggio) che si riveste di un velo, o in altri termini si dotano di un veicolo, di un corpo per poter scendere più in profondità nell'illusione. A che scopo? L'illusione è un gioco divino (Lila) che serve al Sé universale per fare esperienza di Se stesso, attraverso le esperienze delle singole monadi. Man mano che l'universo intero si articola e si dispiega in piani sempre più grossolani, dove vige la dualità della contrapposizione (illusoria) fra spirito e materia, anche le monadi si dotano di veicoli via via più grossolani, per sperimentare quei piani. Al livello di questo universo materiale, le monadi si "incarnano" dapprima come minerali, e fanno esperienza del regno minerale; passano poi al regno vegetale, e fanno esperienza del regno vegetale; passano quindi al regno animale, e quando hanno completato l'esperienza di questo passano al regno umano. Ci sono anche regni oltre-umani, ma di questi ben poco possiamo dire. Man mano che la monade progredisce di vita in vita, di regno in regno, accadono due cose:

  • il suo veicolo meno grossolano, che viene detto "corpo causale", conserva le registrazioni delle esperienze fatte nelle singole vite dai corpi più grossolani (i corpi materiali e psichici);
  • il "raggio della sua individualità" (scusate ancora la goffaggine del linguaggio) si restringe sempre più, si affila sempre più: se nel regno minerale una monade è vasta quanto un intero pianeta, nel regno vegetale può estendersi a un bosco, nel regno animale può circoscriversi ad uno sciame d'api, negli animali superiori arriva a limitarsi agli individui di un gruppo familiare finché, in alcuni animali che hanno fatto sufficiente esperienza, scatta l'individuazione e divengono veri individui, incarnandosi come esseri umani nella vita successiva (questi animali sono cani, gatti, elefanti: quelli che sono in contatto con esseri umani).
E' evidente quindi che tutto il processo sopra descritto ha lo scopo accumulare esperienze per costruire l'individualità dell'essere umano, poi oltre-umano. Ma questo è solo il ramo discendente dell'evoluzione, quello che affonda nella materia. Ad un certo punto, l'individuo riconosce la vera realtà (che è l'UNO) e comincia il suo percorso ascendente che lo porta ad abbandonare (perché superati) gli strumenti che servirono a costruire la sua individualità; fino a che, dopo un tempo più o meno lungo, potrà ricongiungersi alla Sorgente. Ma - e qui è il mistero, l'incomprensibile per le nostre menti limitate - il ricongiungimento non è annullamento, tutta l'esperienza accumulata si riversa nella sorgente, anche l'individualità resta, benché inclusa nel Sé universale, e mantiene piena coscienza di Sé e di tutta la sua storia. Diciamo che, ricongiunta alla sorgente, la monade ha la facoltà di entrare in una modalità di coscienza tale da recuperare il senso dell'individualità che è stata sua per miliardi di anni. Non so se qualcuno di voi avverte, come io avverto, la grandiosa bellezza di una concezione del genere, dove tutto acquista un senso, e dove anche la vita terrena con le sue sofferenze non è qualcosa da cui fuggire (come sembra essere per il buddismo), ma è solo come il faticoso studio dell'alunno che sa di dover sgobbare per essere promosso... Quindi, in definitiva, per un teosofo quel che si reincarna (il corpo causale) è solo un veicolo, certamente illusorio rispetto al Sé universale da cui proviene, ma sempre meno illusorio del corpo materiale e psichico che corrisponde al sé personale della sua vita terrena. Illusione dentro illusione, scatole cinesi: l'illusione di ordine superiore contiene quella di ordine inferiore, ed è realtà per essa... Alla domanda se l'essere umano possa reincarnarsi in un animale, la risposta del teosofo è (come prevedevi)no: lo studente può essere bocciato, ma non retrocesso. Quel che ha acquisito, l'ha acquisito per sempre. P.S. Quel che ha appena scritto Bluemax mi torna molto bene... ;-)

Grazie mille della spiegazione, interessante  :D

Ma la "bocciatura" può prevede una sorta di "inferno temporaneo"?  

Riguardo alla "reincarnazione" è in realtà più simile alla versione Buddhista di quanto pensi.  In ambo i casi la rinascita è un processo del tutto illusorio. Comunque come dice il @Sari per il Buddhismo - a meno che non ci sia la Liberazione - @Apeiron non riaprirà gli occhi, strettamente parlando ma il "processo vitale" cercherà un'altra rinascita. L'essere che rinasce non è né uguale né diverso da @Apeiron. Bruco e farfalla non sono né uguali né diversi, tuttavia c'è ovviamente continuità. Tuttavia né il Buddhismo né la Teosofia - da quanto capisco - accettano che gli esseri individuali siano "totalmente reali". Dunque in realtà per entrambi non c'è re-incarnazione ma sono ri-nascita. In ultima analisi nessuno veramente rinasce, ma c'è la rinascita ecc

Riguardo alla Teosofia ritengo che la grossa differenza tra di essa e le religioni indiane sia il fatto che per la Teosofia la Storia ha dunque un fine. Progredisce. C'è una freccia del tempo: prima ci sono minerali, poi piante ecc. Ma mi pare che nessuna delle religioni indiane sia d'accordo che su tale questione. Mi risulta che l'Induismo, il Buddhismo e lo Gianismo siano tutte concordi nel dire che il "progresso" sia completamente illusorio per il fatto che l'universo è ciclico. Anche se viene raggiunto il più alto dei "paradisi" comunque si regredisce se non ci si "risveglia" (forse ciò non è vero per qualche sottoscuola induista...). In sostanza l'idea è che se non ci libera dal ciclo samsarico non c'è "scampo" al regresso, al declino e alla sofferenza. E da qui si capisce la forte tendenza "rinunciante" della filosofia indiana. Inoltre il concetto di "progresso" mi sembra pure alieno nella Cina. Per esempio il Daoismo raccomanda di vivere senza "agende", nella "non-azione". E anche il Confucianesimo mira all'armonia nel qui ed ora... La visione del progresso è in realtà abramitica e occidentale. Platone per esempio raccomandava al "filosofo giusto" di governare e di non rinunciare al mondo (pur accettando apparentemente che c'era un ciclo di rinascite e che era necessario conoscere le "forme eterne" per "liberarsi"...), Aristotele parlava spesso di teleologia. Ovviamente, per esempio, il Cristianesimo ha una storia lineare che punta verso un momento ben preciso. Forse ci sono somiglianze maggiori tra Neoplatonismo e Teosofia. Dunque la Teosofia sembra una sorta di Advaita "ottimista".

Comunque sì, mi sembra proprio che la forte differenza con le religioni indiane sia questa idea di "progresso". Gli indiani vedono la storia come un ciclo dove in ultima analisi non si può trovare alcun "senso" o "progresso" (a parte quello, in ultima analisi insoddisfacente, dovuto al fatto che le azioni hanno conseguenze).

Mi sembra inoltre che ci sia una sorta di assunzione che ci sia una "riconciliazione universale" e che cioè tutti gli esseri si "liberino" (o "acquisicano l'illuminazione").  Su questo però ti chiederei conferma ;)
Rispondo subito alla prima domanda: no, nella concezione teosofica non esiste l'inferno. Soltanto in casi di "anime" (uso questo termine improprio per semplicità) eccezionalmente malvagie esiste la possibilità di finire nell'Avitchi (di cui parla anche il buddismo, mi pare), ossia una condizione di estrema sofferenza psichica e spirituale, che si protrae per qualche vita (e nei periodi fra un'incarnazione e l'altra). La monade si distacca dal corpo causale dell'individuo, che quindi finisce per dissolversi completamente, a un certo punto. Si può dire che la monade abbandona un progetto umano evidentemente fallito.
Ma come regola non si si finisce in Avitchi. La faccio breve, ma in sintesi, dopo la morte fisica, l'individuo staziona per un periodo più o meno lungo nel piano astrale (altro termine estremamente ambiguo), dove un po' alla volta abbandona tutti gli attaccamenti al mondo terreno, e quindi può sperimentare anche molta sofferenza, a seconda di come ha vissuto. Poi l'individuo abbandona anche il veicolo astrale, che si dissolve, e passa ad un altro piano di esistenza, descritto come paradisiaco, dove sperimenta un mondo puramente soggettivo di pura beatitudine (devachan); poi, verrà il momento di passare a una nuova incarnazione, secondo un progetto di vita che è l'individuo stesso a stabilire prima di reincarnarsi. Questo, in estrema sintesi.

Andando avanti nel tuo post, sì, sono assolutamente d'accordo con te. Tu confermi la mia impressione che, al di là di alcune dispute più terminologiche che concettuali, teosofia e buddismo condividano un buon terreno in comune, e che si dica reincarnazione, o si dica rinascita, comunque entrambe le concezioni si riferiscono a un processo sostanzialmente (ahi, altro termine infelice...) molto simile. Del resto, l'assoluta verità non la conosce nessuno (a parte Budda e pochi altri, che però non ci hanno detto tutto...) e quindi c'è spazio per visioni leggermente diverse, dove ciascuna pone l'accento più su un aspetto che su un altro. Forse può restarne soddisfatto anche Suttre, le cui perplessità comprendo e condivido perfettamente.

Andando ancora avanti nel tuo post, Apeiron, noto che hai molto acutamente individuato uno degli aspetti chiave che contraddistinguono la teosofia rispetto ad altri concezioni: il tema centrale dell'evoluzione, del progresso, che però non è da intendersi in senso banalmente lineare (come nella visione cristiana). In teosofia l'evoluzione non è né lineare né circolare. Se fosse circolare, come nell'induismo (e in Nietzsche), vi sarebbe l'eterno ritorno delle cose (che personalmente mi fa rabbrividire d'orrore...); l'immagine più appropriata è quella di una molla, una scala a chiocciola che ritorna su se stessa ma ad una quota superiore. Una scala però che non ha un inizio né una fine, perché l'esplorazione delle infinite possibilità del TUTTO non avrà mai fine. E inoltre questo movimento ascendente non è così regolare, ha cambiamenti di ritmo, alti e bassi ciclici, ci sono fasi di apparente regresso e altre di forte spinta evolutiva. E poi c'è il respiro di Brahma, l'emissione di un universo e il suo finale riassorbimento, per poi riemetterne un altro in seguito, e così via...

E, molto acutamente, hai rilevato anche il carattere ottimista e non rinunciante della teosofia (carattere che trovo splendido): la visione teosofica dà un senso e un valore ad ogni fase del ciclo evolutivo, anche alla vita terrena che sembra così "bistrattata" sia dal buddismo che dal cristianesimo. Trovo che la visione teosofica rappresenti un buon punto di equilibrio fra materialismo e spiritualismo estremizzati.

E infine, rispondo alla tua ultima domanda: esattamente, non c'è nessuno che non si salvi. Ci vorrà il suo tempo, ma neanche una goccia di Atman andrà perduta; anche l'ultima goccia di Atman ritornerà all'Oceano da cui si è separata. Del resto, se è vero che la sola realtà è l'UNO, vi potrà mai essere qualcosa che si separa da esso, qualcosa che esce dall'UNO? ::)

Apeiron

#64
Ciao @Suttree,

Premessa "tanha" significa "sete" ma come ben dici è il desiderio  

Come ti dicevo, ammetto che la cosa non è chiara nemmeno a me. Il punto è che per il Buddhismo (ma non solo, come dicevo...) il Sé individuale non è una "sostanza" nemmeno durante la vita. Ovvero anche adesso abbiamo una percezione distorta delle cose che ci fa credere che ci sia dentro di noi un "principio unificatore", qualche "sostanza" che renda me, me. Dunque la continuità tra una vita e l'altra non è vista in modo differente dalla continuità durante la vita stessa. Prima paragonavo la morte e la rinascita al sonno e al risveglio, tuttavia ovviamente la differenza è che il corpo è "vivo" in un caso e nell'altro non lo è  (per definizione) . Tuttavia per il Buddhismo l'elemento "vinnana" (tradotto solitamente con "coscienza") non cessa come pesa il materialismo che lo vede come un fenomeno emergente, ma "si trasmette" altrove. L'elemento "vinnana" non è identificabile con una "sostanza" visto che è in realtà è una successione di "momenti". I post di @Sariputra di cui avevo messo il link in questa discussione, in una risposta a @Loris, lo spiegano molto meglio di quanto lo possa fare io. Ad ogni modo la differenza tra "me" e l'essere di una "mia vita futura" è vista come analoga alla differenza tra il "me" di oggi e il "me bambino". Quindi sì, c'è trasmissione dell'informazione tra una vita e un'altra, ma non ti saprei dire come. L'analogia, menzionata da @bluemax che alcuni Buddhisti utilizzano è quella di un fuoco che si spegne su una candela ma prima di estinguersi completamente passa ad un'altra candela. La nuova fiamma non è né uguale né diversa a quella precedente. Ma anche questa analogia è limitata perché in fin dei conti, come dice la citazione che trovi nella mia risposta a @bluemax qui sotto, niente cambia più rapidamente della mente.

Ad ogni modo lo stesso problema lo hanno le filosofie non-duali induiste e la Teosofia di Loris. In fin dei conti il loro "centro unificatore" è lo stesso per tutte le cose e, dunque, anche per loro anche durante la vita la nostra convinzione che ci sia in noi qualcosa che ci renda "noi" è illusorio. Nel caso di tali filosofie monistiche tuttavia esiste una vera sostanza che è uguale per tutti. Il Buddhismo invece nega anche ciò. Non c'è niente di "sostanziale". La "Cessazione", la fine delle rinascite non può essere interpretata come l'unione con il "Principio Universale". Tuttavia la "Cessazione" non è un "semplice nulla" perchè vi è un elemento che non nasce e non muore nel Buddhismo, il Nibbana (come diceva @Sari in una sua risposta).    

Spero di esserti stato utile, ma ricordati che sono solo un dilettante ;)  

@bluemax,
grazie mille della tua risposta!
Credo che su ciò ci sia semplicemente una differenza di linguaggio tra "le mie fonti" e le tue. Nel Buddhismo Theravada, Nibbana è certamente la cessazione della sofferenza ma è anche un elemento non-nato, non-divenuto, non-formato - tuttavia anch'esso è vacuo, "senza Sé". Entrambe le correnti del Buddhismo parlano di un "Sé empirico" (o fenomenico o "convenzionale"). Negano però che ci sia un "vero Sé" sostanziale, un Atman. Ciò che può definire la nostra identità, ovvero ciò che rende me, me.  Posso essere d'accordo che c'è un'anima... Ma dunque è mai stata fissa questa "corrente mentale" (citta-santana)? Si può trovare una "identità" in essa. Beh, abbiamo dall'Anguttara Nikaya:
"Monaci, la mente cambia rapidamente. Non vi è nulla di paragonabile in natura al rapido cambiamento della mente." https://www.canonepali.net/2017/08/an-1-41-50-panihita-acchavaggo-pura/  Dunque in questo processo ci può essere qualcosa che rimane costante, qualcosa che dà un'identità?  


Detto questo né il Buddhismo Theravada né il Buddhismo Mahayana negano la continuità della "corrente mentale" che può, volendo, essere considerata un'anima. Entrambi però concordano sul fatto che questa corrente è una successione di momenti, non c'è qualcosa che persiste (altrimenti si cadrebbe o nell'eternalismo o nell'estremo opposto). La rinascita sarebbe impossibile se non si trasmettesse da un corpo all'altro questa corrente, questa "anima". Tuttavia è una cosa che continua a mutare, è appunto più simile ad un fiume o ad una fiamma piuttosto che ad una roccia. E così come non c'è alcunché di solido nella fiamma e nel fiume, allo stesso modo non si può trovare una "sostanza" dentro questa corrente. Questo chiaramente vale per chi non ha ancora raggiunto il risveglio. E qui c'è la differenza tra le due scuole (in realtà anche prima che la corrente Mahayana nascesse come movimento ben "identificabile" c'erano ben 18 scuole di Buddhismo, il Theravada è solo una di esse). Per il Theravada il completamente liberato (l'arhant) non è più soggetto al ciclo di rinascite. Non si può "classificare" né come esistente né come "non-esistente", es: https://www.canonepali.net/2015/06/snp-5-6-upasiva-manava-puccha-le-domande-di-upasiva/ . Per il "veicolo" Mahayana (e il suo "sottoveicolo" Vajrayana) invece c'è ancora continuità del "flusso",

Inoltre come ben dici, i Theravada ("ortodossi") affermano che tutta l'esperienza possa essere ridotta in quattro "elementi": mente(citta), contenuti mentali (cetastika), materia (rupa), Nibbana. I primi tre "elementi" sono condizionati, sono soggetti alla generazione e alla distruzione. Nibbana invece è il non-condizionato. I Mahayana invece ritengono impossibile trovare un termine nell'analisi dell'esperienza. Non esiste un livello "fondamentale", l'esperienza non può essere spiegata riducendola a determinati elementi. Ma ogni cosa è senza esistenza intrinseca (vacuità, sunyata). Ma nemmeno "sunyata" è una "realtà" a cui ci si può aggrappare, la vacuità è vuota. Non si può trovare un "livello fondamentale" della realtà che può spiegare gli altri.
Infatti il Sutra del Cuore dice: "La forma è vuota, la vacuità è forma, la vacuità non è altro che forma e la forma non è altro che vacuità. Allo stesso modo sono vuoti sensazioni, discriminazioni, fattori di composizione e coscienze. Similmente, Shariputra, tutti i fenomeni sono vacuità; sono privi di caratteristiche; non sono prodotti e non cessano; non sono contaminati e non sono privi di contaminazioni; non diminuiscono e non crescono. Perciò Shariputra, nella vacuità non c'è forma, né sensazione, né discriminazione, né fattore di composizione, né coscienza. Non c'è occhio, né orecchio, né naso, né lingua, né corpo, né mente. Non ci sono forme visive, né suoni, né odori, né sapori, né oggetti tangibili, né fenomeni; e neppure il costituente dell'occhio e così via, fino ad includere il costituente della mente e il costituente della coscienza mentale" (per il testo: http://www.ghepelling.com/index.php?option=com_content&view=article&id=127&Itemid=597&lang=it )

Dunque il buddhismo negal'anima? La nega se per "anima" pensiamo a qualcosa che persiste, che ci dà un'identità fissa. "No" se per "anima" intendiamo la "corrente mentale". Buddha nega "Dio"? Beh dipende ;)  Certamente nega l'esistenza di un "Dio Personale e creatore". Riguardo ad altre idee di "Dio"... Nega che ci sia un principio primo di tutte le cose, quindi non è nemmeno una filosofia monista come l'Advaita, la Teosofia o altro.  Non vi è nemmeno un "principio" dinamico, come il Dao dei Daoisti. Nel Theravada c'è però il non-condizionato... (https://www.canonepali.net/2015/06/udana-8-3-nibbana-sutta-la-completa-liberazione-3/ , https://www.canonepali.net/2015/06/an-3-47-sankhata-sutta-condizionato/ e altri discorsi). Ma questo non-condizionato non crea niente, non è un "principio".
Riguardo alla dottrina Mahayana, come dici tu c'è questo "Assoluto" – credo che tu ti riferisci a "Tathata". Ma "Tathata", la "natura delle cose", è aldilà di ogni concettualizzazione (dal Sutra del Cuore, "non c'è occhio, forma..."). La parola "Assoluto" invece richiamo molti concetti, molti concetti di realtà "fisse".

@Loris,
Grazie per la risposta!
Da quanto ne so il buddhismo classico accetta vari "reami infernali" e l'Avicii è quello peggiore. Nel buddhismo però questi "inferni" però non sono eterni (ma il "soggiorno" in essi dura molto...). Anche per chi "cade" nei reami di "perdizione" c'è speranza. Idem per chi rinasce nel mondo animale. Dico "classico" perché oggi pare che si tende a vedere questi "reami" come stati mentali. Ad ogni modo l'idea è che chi compie azioni malvagie tende a soffrire per esse.

Quindi se uno "fallisce" la Teosofia dice che viene distrutto, che ad un certo punto non rinasce più?

Comunque il meccanismo della reincarnazione ricorda quello di Platone ne "la Repubblica": dopo un periodo di intermezzo è l'individuo che sceglie dove andare. La differenza però è che Platone non accetta il monismo.

Piccola correzione: per gli indiani (non solo indù) il tempo non è ciclico nel senso dell'Eterno Ritorno. Se ciò fosse vero la liberazione sarebbe impossibile. Somiglia più ad un'elica o ad una scala a chiocciola. Ma a differenza della teosofia, per gli indiani non c'è un "progresso". È un continuo ciclo di nascite e rinascite senza alcun vero "fine". Come ben dici è una visione piuttosto deprimente, tutt'altro che consolatoria. E infatti la contemplazione di tale "ciclicità" motiva alla liberazione.  Al contempo però l'idea di ciclicità contiene un aspetto "positivo". Infatti si "trascende" la prospettiva di questa vita e ci si sente parte di qualcosa di più grande. Si capisce la "piccolezza" e la transitorietà della realtà quotidiana e ciò dovrebbe condurre al "distacco". Inoltre questa contemplazione dovrebbe dare un incentivo alla compassione perché si diventa più consapevoli della propria sofferenza e si comprende che gli "altri" non sono in una situazione diversa da noi.

Detto questo, concordo con te che la prospettiva teosofica è, per certi versi, più "attraente". Pensare che ci sia un progresso certamente aiuta. Ma gli indiani, coloro che cercano la "liberazione" non accetterebbero mai una cosa simile, la vedrebbero come una credenza consolatoria, un attaccamento subdolo al samsara. La differenza è appunto che la "freccia nel tempo" mira a qualcosa nella teosofia, nelle religioni indiane invece a nulla. Per gli indiani dunque il "fine" è qualcosa che al massimo imponiamo a noi sulla freccia del tempo e il "fine" più alto è proprio la "fuga" dal ciclo.  



Proprio questa differenza dà importanza alla vita "mondana". E qui mi sembra invece più simile al Cristianesimo: come nel Cristianesimo c'è un senso, un fine vero e proprio. E questo permette di lavorare e vivere nel mondo senza doverlo trascendere (almeno per ora). Ma a differenza sia delle religioni indiane che del Cristianesimo mi pare che la Teosofia non abbia una vera e propria "soteriologia", visto il suo ottimismo.

Riguardo infine all'Universalismo... Purtroppo mi pare una sorta di "predestinazione". Ovvero come "speranza" posso anche accettarla ma come "realtà di fatto" non credo ;)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Suttree

Ciao Apeiron, grazie per la risposta  :) che la coscienza non sia un prodotto del nostro cervello, ma che venga da esso ricevuta ne sono quasi convinto anch'io (più su facevo l'anologia con un decoder ricevente e forse trasmittente verso un Hub). La cosa che mi ha sempre fatto sbroccare è il pensiero che se fosse arrivato prima un altro spermatozoo al traguardo, sarei stato comunque qui? Fisicamente no certo, sarei diverso... sarei stato magari più alto, più intelligente, biondo (o magari bionda). Avrei avuto un'altra vita, altre esperienze e memorie... ma tutto questo conta poco o nulla. Sarei stato cosciente di me, come lo sono ora? Per farla breve: sarei nato e sarei presente a me stesso/a ora?
C'è da sempre qualcosa che non mi torna, ma non lo so spiegare... e sicuramente non mi son fatto capire :)

Apeiron

Citazione di: Suttree il 21 Marzo 2018, 19:21:36 PMCiao Apeiron, grazie per la risposta :) che la coscienza non sia un prodotto del nostro cervello, ma che venga da esso ricevuta ne sono quasi convinto anch'io (più su facevo l'anologia con un decoder ricevente e forse trasmittente verso un Hub). La cosa che mi ha sempre fatto sbroccare è il pensiero che se fosse arrivato prima un altro spermatozoo al traguardo, sarei stato comunque qui? Fisicamente no certo, sarei diverso... sarei stato magari più alto, più intelligente, biondo (o magari bionda). Avrei avuto un'altra vita, altre esperienze e memorie... ma tutto questo conta poco o nulla. Sarei stato cosciente di me, come lo sono ora? Per farla breve: sarei nato e sarei presente a me stesso/a ora? C'è da sempre qualcosa che non mi torna, ma non lo so spiegare... e sicuramente non mi son fatto capire :)

Figurati :)

Tra l'altro ho scritto male la parte rivolta a te. Non so perchè ma a volte mi capita di scrivere in un'altra lingua  ;D

Ad essere sincero, non capisco dove vuoi arrivare con queste domande. Vuoi sapere se saresti "te stesso" anche se un altro spermatozoo fosse arrivato prima?
Nel Buddhismo da quanto ho capito oltre a spermatozoo ed ovulo serve anche che la coscienza "scenda" nell'utero... Spero d'essermi fatto capire stavolta.
Ma non saprei cosa ti risponderebbe un Buddhista a questo tuo dubbio  ;)...

Addendum: Forse ti direbbe questo: la "tua" coscienza sarebbbe "discesa" in un altro utero, forse.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Suttree

Citazione di: Apeiron il 21 Marzo 2018, 19:29:10 PM
Citazione di: Suttree il 21 Marzo 2018, 19:21:36 PMCiao Apeiron, grazie per la risposta :) che la coscienza non sia un prodotto del nostro cervello, ma che venga da esso ricevuta ne sono quasi convinto anch'io (più su facevo l'anologia con un decoder ricevente e forse trasmittente verso un Hub). La cosa che mi ha sempre fatto sbroccare è il pensiero che se fosse arrivato prima un altro spermatozoo al traguardo, sarei stato comunque qui? Fisicamente no certo, sarei diverso... sarei stato magari più alto, più intelligente, biondo (o magari bionda). Avrei avuto un'altra vita, altre esperienze e memorie... ma tutto questo conta poco o nulla. Sarei stato cosciente di me, come lo sono ora? Per farla breve: sarei nato e sarei presente a me stesso/a ora? C'è da sempre qualcosa che non mi torna, ma non lo so spiegare... e sicuramente non mi son fatto capire :)

Figurati :)

Tra l'altro ho scritto male la parte rivolta a te. Non so perchè ma a volte mi capita di scrivere in un'altra lingua  ;D

Ad essere sincero, non capisco dove vuoi arrivare con queste domande. Vuoi sapere se saresti "te stesso" anche se un altro spermatozoo fosse arrivato prima?
Nel Buddhismo da quanto ho capito oltre a spermatozoo ed ovulo serve anche che la coscienza "scenda" nell'utero... Spero d'essermi fatto capire stavolta.
Ma non saprei cosa ti risponderebbe un Buddhista a questo tuo dubbio  ;)...

Addendum: Forse ti direbbe questo: la "tua" coscienza sarebbbe "discesa" in un altro utero, forse.

Esatto: pur completamente diverso,  sarei presente a me stesso come lo sono ora? Avrei coscienza di esistere? So che è difficile esprimere correttamente questi tarli di pensiero...

Apeiron

Citazione di: Suttree il 21 Marzo 2018, 19:48:48 PMEsatto: pur completamente diverso, sarei presente a me stesso come lo sono ora? Avrei coscienza di esistere? So che è difficile esprimere correttamente questi tarli di pensiero...

Siccome di fatto sarebbe stata la stessa "corrente mentale" a "scendere" altrove, sarei orientato a risponderti "sì".   

Ma come dicevo altrove, non ci si dovrebbe identificare nemmeno con la "corrente mentale" per il Buddhismo.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Suttree

Citazione di: Apeiron il 21 Marzo 2018, 19:55:01 PM
Citazione di: Suttree il 21 Marzo 2018, 19:48:48 PMEsatto: pur completamente diverso, sarei presente a me stesso come lo sono ora? Avrei coscienza di esistere? So che è difficile esprimere correttamente questi tarli di pensiero...

Siccome di fatto sarebbe stata la stessa "corrente mentale" a "scendere" altrove, sarei orientato a risponderti "sì".    

Ma come dicevo altrove, non ci si dovrebbe identificare nemmeno con la "corrente mentale" per il Buddhismo.

Anche io propenderei per il si. Con buona pace delle correnti mentali buddiste e gravitazionali di Franco Battiato :)

Loris Bagnara

Citazione di: Apeiron il 21 Marzo 2018, 19:04:07 PM@Loris,
Grazie per la risposta!
Da quanto ne so il buddhismo classico accetta vari "reami infernali" e l'Avicii è quello peggiore. Nel buddhismo però questi "inferni" però non sono eterni (ma il "soggiorno" in essi dura molto...). Anche per chi "cade" nei reami di "perdizione" c'è speranza. Idem per chi rinasce nel mondo animale. Dico "classico" perché oggi pare che si tende a vedere questi "reami" come stati mentali. Ad ogni modo l'idea è che chi compie azioni malvagie tende a soffrire per esse.

Quindi se uno "fallisce" la Teosofia dice che viene distrutto, che ad un certo punto non rinasce più?

[...]

Proprio questa differenza dà importanza alla vita "mondana". E qui mi sembra invece più simile al Cristianesimo: come nel Cristianesimo c'è un senso, un fine vero e proprio. E questo permette di lavorare e vivere nel mondo senza doverlo trascendere (almeno per ora). Ma a differenza sia delle religioni indiane che del Cristianesimo mi pare che la Teosofia non abbia una vera e propria "soteriologia", visto il suo ottimismo.

Riguardo infine all'Universalismo... Purtroppo mi pare una sorta di "predestinazione". Ovvero come "speranza" posso anche accettarla ma come "realtà di fatto" non credo ;)
Sulla questione del fallimento, direi questo. Ho parlato di una fondamentale tripartizione dell'essere umano: monade, corpo causale, corpo materiale-psichico. Il corpo materiale-psichico si dissolve al termine di ogni vita; il corpo causale è quello che garantisce la continuità di vita in vita (il "flusso" di cui parlavi tu); ma la sede "più vera" (non dico "assolutamente vera") dell'individualità è comunque la monade. Quindi, se diciamo che la monade si ritira da un individuo che ha evidentemente fallito nel suo ciclo di esistenze, non diciamo che l'individualità venga distrutta: diciamo che essa ritorna alla sorgente della coscienza assoluta, mentre quel che viene distrutto è il corpo causale con tutte le fallimentari esperienza accumulate. Insomma, è il veicolo che viene distrutto, non la coscienza, che semmai possiamo dire perda l'individualizzazione conquistata nel ciclo di vite. Ma non distrutta. Ritengo che in una visione monista non ci sia nulla che possa essere realmente distrutto.

Sul confronto col Cristianesimo, credo che la teosofia possa dare ancor più valore alla vita terrena. Faccio quest'esempio. Se un essere umano muore in giovanissima età, ancora infante, quale sarà il suo destino in ottica cristiana? Non ha compiuto nulla di male, quindi non si può mandarlo all'inferno. Ma non ha compiuto neanche nulla di bene, e dunque non sarebbe giusto mandarlo direttamente in paradiso, nei confronti di tutti gli altri che vivono una vita intera con tutti i rischi che ci sono di sbagliare e di cadere nel peccato... Dunque? Credo che il cristiano direbbe questo: l'infinita saggezza divina sa esattamente qual è il valore di quell'animuccia e quindi saprà destinarla dove merita, paradiso o inferno che sia. E il cristiano si ferma lì.

Ora, però, se Dio è in grado di giudicare un'anima senza che questa viva compiutamente una vita terrena, a che cosa serve appunto vivere la vita terrena? Non potrebbe Dio far così con tutte le anime che crea? Giudicarle appena create e destinarle dove meritano, senza far vivere ad esse un'inutile vita terrena che tanto non sposterebbe di una virgola l'infallibile giudizio divino già acquisito in partenza?

In questo la teosofia propone qualcosa di decisamente diverso: la vita terrena ha valore perché è proprio su questa arena che abbiamo costruito ciò che siamo ora, e che costruiremo il nostro futuro. E senza Salvatori (hai ragione: non c'è soteriologia nella teosofia): l'individuo è l'unico responsabile del proprio destino.

Aggiungo una riflessione. Come dicevo sopra, Dio avrebbe potuto fare a meno di creare l'inutile baraccone dell'universo, e avrebbe potuto creare direttamente le anime per popolare paradiso e inferno... Ma, un momento... Dio, infinito amore, saggezza e conoscenza, creerebbe un'anima ben sapendo che essa andrà direttamente all'inferno ("senza passare dal via", come si dice a Monopoly  :( )? Che razza di giustizia sarebbe? Signore onnipotente, mi tiri fuori dal nulla e mi sbatti direttamente all'inferno, senza che nemmeno abbia fiatato? Ti ho forse chiesto io di venire al mondo? Non potevi lasciarmi dov'ero, che male almeno non stavo?

No, Dio non può compiere una mostruosità del genere. Dio potrebbe solo creare anime buone che vanno in paradiso. Dio dunque non sarebbe onnipotente. E il suo inferno sarebbe spaventosamente vuoto...
Mi piacerebbe che ci fosse qualche convinto cristiano a commentare queste riflessioni...

Infine, Apeiron, non afferro il tuo riferimento all'Universalismo nell'ultima frase del tuo post: a quale punto delle precedenti discussioni ti riferisci?

Suttree

#71
Citazione di: Loris Bagnara il 21 Marzo 2018, 22:50:24 PM


No, Dio non può compiere una mostruosità del genere. Dio potrebbe solo creare anime buone che vanno in paradiso. Dio dunque non sarebbe onnipotente. E il suo inferno sarebbe spaventosamente vuoto...
Mi piacerebbe che ci fosse qualche convinto cristiano a commentare queste riflessioni...

Infine, Apeiron, non afferro il tuo riferimento all'Universalismo nell'ultima frase del tuo post: a quale punto delle precedenti discussioni ti riferisci?
Immagino che un cristiano, ma non solo un cristiano, ti risponderebbe che Dio non vuole un esercito di schiavi cloni, ma esseri liberi. E che quindi necessariamente ti fa nascere in questo folle caravanserraglio itinerante tra fango e sangue per vedere cosa combinerai. Dico necessariamente, perchè penso che l'onnipotenza di Dio sia ampiamente fraintesa.
Sull'animuccia del bimbo morto, immagino ti risponderebbe con le parole di Gesù: la casa di mio padre ha molte stanze. Se non ha fatto nè male nè bene perchè non ha potuto scegliere, ha comunque sperimentato la sua dose di dolore, come qualunque essere vivente. Starà ridendo, giocando con cani e gatti nel cortile :)

Loris Bagnara

Citazione di: Suttree il 22 Marzo 2018, 08:36:42 AM
Citazione di: Loris Bagnara il 21 Marzo 2018, 22:50:24 PM


No, Dio non può compiere una mostruosità del genere. Dio potrebbe solo creare anime buone che vanno in paradiso. Dio dunque non sarebbe onnipotente. E il suo inferno sarebbe spaventosamente vuoto...
Mi piacerebbe che ci fosse qualche convinto cristiano a commentare queste riflessioni...

Infine, Apeiron, non afferro il tuo riferimento all'Universalismo nell'ultima frase del tuo post: a quale punto delle precedenti discussioni ti riferisci?
Immagino che un cristiano, ma non solo un cristiano, ti risponderebbe che Dio non vuole un esercito di schiavi cloni, ma esseri liberi. E che quindi necessariamente ti fa nascere in questo folle caravanserraglio itinerante tra fango e sangue per vedere cosa combinerai. Dico necessariamente, perchè penso che l'onnipotenza di Dio sia ampiamente fraintesa.
Sull'animuccia del bimbo morto, immagino ti risponderebbe con le parole di Gesù: la casa di mio padre ha molte stanze. Se non ha fatto nè male nè bene perchè non ha potuto scegliere, ha comunque sperimentato la sua dose di dolore, come qualunque essere vivente. Starà ridendo, giocando con cani e gatti nel cortile :)
Sì Suttree, ma io ho anche detto che se davvero Dio è onnisciente, conosce già tutto in partenza, e quindi non ha bisogno di farti "nascere in questo folle caravanserraglio itinerante tra fango e sangue per vedere cosa combinerai". Lo sa già cosa combinerai. L'universo sarebbe solo un inutile baraccone, una farsa, una presa in giro.

E sul fatto dell'individuo che muore prematuramente, senza poter scegliere né in bene né in male, ha comunque sofferto e quindi si merita il paradiso, non sono poi molto d'accordo. Innanzitutto perché in molti casi non c'è neanche grande sofferenza in queste morti premature (pensa alle morti bianche); neanche paragonabile ai dolori che si può andare incontro in una lunga vita vissuta. E in secondo luogo, anche nei casi in cui c'è sofferenza, perché uno dovrebbe guadagnarsi il paradiso eterno al prezzo di un po' di sofferenza? Direi che è quasi regalato, il paradiso, in questo modo. Perché allora ad alcuni il paradiso è quasi regalato, mentre ad altri noUn altro paradossalmente potrebbe dire: Signore, perché non hai trattato così anche me? Il cristiano è costretto a rispondere che l'infinita saggezza di Dio conosce anche i meriti in potenza della anime, ma allora io ribatto nuovamente con l'obiezione che in questo modo si toglie valore alla vita vissuta, che non serve realmente più a nulla.

E po è deviante l'idea che sia la sofferenza a renderti meritorio del paradiso, come se fosse un indennizzo pagato dall'assicurazione per un torto subito.
Ma quale indennizzo? L'individuo deve costruire se stesso per rendersi degno del "paradiso", è a questo che serve la vita vissuta.

Per non parlare poi della grottesca idea della resurrezione dei corpi: con quale corpo va in paradiso, un individuo morto prematuramente' E uno con gravissime infermità?
E' chiaro allora che non si va in paradiso con il corpo effettivamente posseduto in vita (e poi, quale corpo, di quale età?). si va con un corpo ideale.
Ma allora, mi domando, perché parlare di resurrezione dei corpi? Non si tratta del corpo che possedemmo in vita. Si tratta di un altro corpo.

Suttree

#73
Citazione di: Loris Bagnara il 22 Marzo 2018, 09:54:56 AM
Citazione di: Suttree il 22 Marzo 2018, 08:36:42 AM
Citazione di: Loris Bagnara il 21 Marzo 2018, 22:50:24 PM


No, Dio non può compiere una mostruosità del genere. Dio potrebbe solo creare anime buone che vanno in paradiso. Dio dunque non sarebbe onnipotente. E il suo inferno sarebbe spaventosamente vuoto...
Mi piacerebbe che ci fosse qualche convinto cristiano a commentare queste riflessioni...

Infine, Apeiron, non afferro il tuo riferimento all'Universalismo nell'ultima frase del tuo post: a quale punto delle precedenti discussioni ti riferisci?
Immagino che un cristiano, ma non solo un cristiano, ti risponderebbe che Dio non vuole un esercito di schiavi cloni, ma esseri liberi. E che quindi necessariamente ti fa nascere in questo folle caravanserraglio itinerante tra fango e sangue per vedere cosa combinerai. Dico necessariamente, perchè penso che l'onnipotenza di Dio sia ampiamente fraintesa.
Sull'animuccia del bimbo morto, immagino ti risponderebbe con le parole di Gesù: la casa di mio padre ha molte stanze. Se non ha fatto nè male nè bene perchè non ha potuto scegliere, ha comunque sperimentato la sua dose di dolore, come qualunque essere vivente. Starà ridendo, giocando con cani e gatti nel cortile :)
Sì Suttree, ma io ho anche detto che se davvero Dio è onnisciente, conosce già tutto in partenza, e quindi non ha bisogno di farti "nascere in questo folle caravanserraglio itinerante tra fango e sangue per vedere cosa combinerai". Lo sa già cosa combinerai. L'universo sarebbe solo un inutile baraccone, una farsa, una presa in giro.

E sul fatto dell'individuo che muore prematuramente, senza poter scegliere né in bene né in male, ha comunque sofferto e quindi si merita il paradiso, non sono poi molto d'accordo. Innanzitutto perché in molti casi non c'è neanche grande sofferenza in queste morti premature (pensa alle morti bianche); neanche paragonabile ai dolori che si può andare incontro in una lunga vita vissuta. E in secondo luogo, anche nei casi in cui c'è sofferenza, perché uno dovrebbe guadagnarsi il paradiso eterno al prezzo di un po' di sofferenza? Direi che è quasi regalato, il paradiso, in questo modo. Perché allora ad alcuni il paradiso è quasi regalato, mentre ad altri no? Un altro paradossalmente potrebbe dire: Signore, perché non hai trattato così anche me? Il cristiano è costretto a rispondere che l'infinita saggezza di Dio conosce anche i meriti in potenza della anime, ma allora io ribatto nuovamente con l'obiezione che in questo modo si toglie valore alla vita vissuta, che non serve realmente più a nulla.

E po è deviante l'idea che sia la sofferenza a renderti meritorio del paradiso, come se fosse un indennizzo pagato dall'assicurazione per un torto subito.
Ma quale indennizzo? L'individuo deve costruire se stesso per rendersi degno del "paradiso", è a questo che serve la vita vissuta.

Per non parlare poi della grottesca idea della resurrezione dei corpi: con quale corpo va in paradiso, un individuo morto prematuramente' E uno con gravissime infermità?
E' chiaro allora che non si va in paradiso con il corpo effettivamente posseduto in vita (e poi, quale corpo, di quale età?). si va con un corpo ideale.
Ma allora, mi domando, perché parlare di resurrezione dei corpi? Non si tratta del corpo che possedemmo in vita. Si tratta di un altro corpo.

Ma Dio se davvero esiste non è onnisciente, nè onnipotente (se davvero è Logos, non può far si che 2+2=5 ad esempio, sarebbe negare la sua natura) come comunemente e umanamente intediamo questi due termini. Di ciò sono convinto. Quando si dice che l'uomo ha creato Dio è versissimo, ed ora il termine "Dio" è ancorato a millenni di tradizioni, dogmi, schemi mentali, che sicuramente son lontani dall'inquadrarlo.
O quando si dice: Dio è amore. Cosa vorrebbe dire? E prima di tutto allora, cos'è l'amore?
Io non so dirti nemmeno se Dio c'è per me, figurati se immagino, nel caso esista, quali possano essere i suoi criteri per differenziare sofferenza ed azione umana in un aldilà :) Non mi riferivo però ad un indennizzo, ovviamente. Ma semmai ad una conclusione per il fatto stesso di esser stati nell'immanente.
Sulla resurrezione dei corpi, davvero non saprei cosa dirti... non ha alcun significato per me.
Insomma, per farla breve, non so praticamente nulla, ed il poco che so è probabilmente sbagliato :D Però sento profondamente il mistero di un'esistenza che non riesco a ridurre a puro caso e ad una totale mancanza di senso. Potrei chiamare questo mistero e questo senso ultimo, Dio. Che poi vuol dire poco o nulla, ne sono cosciente.

baylham

Citazione di: Loris Bagnara il 21 Marzo 2018, 22:50:24 PMIn questo la teosofia propone qualcosa di decisamente diverso: la vita terrena ha valore perché è proprio su questa arena che abbiamo costruito ciò che siamo ora, e che costruiremo il nostro futuro. E senza Salvatori (hai ragione: non c'è soteriologia nella teosofia): l'individuo è l'unico responsabile del proprio destino.

Se l'individuo è responsabile del proprio destino allora è responsabile di tutto.
Non lo ritengo né vero né possibile.
E' uno dei motivi fondamentali di mia contestazione delle religioni e dello stesso buddismo.

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