Karma e reincarnazione

Aperto da Loris Bagnara, 15 Marzo 2018, 11:21:45 AM

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Loris Bagnara

Citazione di: Angelo Cannata il 17 Marzo 2018, 20:39:34 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 17 Marzo 2018, 20:16:08 PM...ciò non toglie che questi fenomeni illusori si manifestino implacabilmente, nella PRATICA, connessi da legami di causalità...
Se si tratta di fenomeni illusori, non ci sarà da dedurre che sia illusoria anche la loro implacabilità?
Non si deve dedurre nulla, basta OSSERVARE l'esperienza. Se osservo l'esperienza, mi posso fare la ragionevole opinione che al fenomeno A segua il fenomeno B. Così, se passa un treno, mi sposto dai binari, e non sto a disquisire sul fatto che la relazione fra il passaggio del treno e il mio presumibile schiacciamento possa essere più o meno illusorio...
Per chi è dentro l'illusione (e noi siamo essere illusori dentro un mondo illusorio) l'illusione è del tutto reale, nel senso che è imprescindibile (si pensi a Matrix).

Questo mi dà l'occasione per tornare "a bomba". Mi piacerebbe discutere il concetto buddista della rinascita, a cui ho accennato in un mio precedente post che qui cito:
CitazioneSe eliminiamo l'idea di una sopravvivenza individuale, e parliamo dell'io come di un'illusione alimentata da aggregati psichici etc, giungiamo ad una visione che ha ben poche differenze con la visione materialista e riduzionista dei nostri giorni.
Inoltre, se non vi è una sopravvivenza individuale, che senso ha parlare di liberazione dalla catena delle rinascite (come ha fatto Buddha)? Che senso hanno le pratiche, le virtù etc etc? E' la morte la grande liberatrice: basta attenderla, e l'individuo è libero.
Ancora, se non vi è una sopravvivenza individuale, diventa del tutto casuale il genere di karma che mi ritrovo addosso, nel senso che non fui io a generarlo, ma fu un altro. Che giustizia c'è in questo?
Infine, se non vi è una sopravvivenza individuale, che me ne frega se di me resteranno degli aggregati che andranno ad attaccarsi a qualcun altro dopo di me? Tanto non sarò io. E come io mi sono beccato gli aggregati lasciati da altri, così altri si beccheranno quelli lasciati da me.

Ora, non posso credere che Buddha abbia impiegato anni di durissime pratiche e profondissime meditazioni per giungere a un risultato tanto banale.
E' evidente per me che ha inteso dire altro, e che l'insussistenza dell'io è vera solo se si intende la personalità, quella che nel post precedente ho chiamato anima; ma non lo spirito, il Sé superiore.
Aggiungo, la tradizione riferisce del fatto che Budda stesso, illuminato, avrebbe ricordato tutte le sue innumerevoli vite precedenti... Ora, come avrebbe potuto ricordare le proprie vite precedenti, se non si fosse reincarnato? Quali vite avrebbe ricordato, Budda? Vite di altri?
E' chiaro che non ha senso.

Però la soluzione potrebbe proprio essere nel concetto di illusione dentro l'illusione.
Il nostro Sé può anche essere inteso come illusione, ma è un'illusione che perdura di vita in vita nella cornice dell'illusione più grande che è il cosmo e la sua evoluzione. Solo quando il Sé individuale si rende conto della propria illusorietà, allora la catena si spezza, l'illusione si rompe ed esce dalla ruota del samsara, per confluire nella sorgente sovra-individuale.

In questo articolo (in inglese) è esposto più o meno questo concetto.
http://reluctant-messenger.com/reincarnation-buddha.htm

iano

#46
L'illusione dell'io , come tutte le illusioni , ha la sua funzione.
Ogni uomo è una chance vitale in più per l'umanità in virtù di questa illusione.
Se questa illusione è così forte non mi sorprende che la si voglia conservare sotto forma di anima o spirito, a discriminare i quali non mi avventuro.
Se ciò serve a rafforzare questa illusione , bene.
Anche se personalmente sono convinto che l'amore reciproco che proviamo possa sanare ogni dubbio sull'io , fino a non farci temere la fine che farà.
Però intanto , guai a chi ce lo tocca.😄
Se la tradizione dice che qualcuno dice di aver ricordato vite precedenti si è liberi di crederlo , e applicare soggettivamente il principio di autorità non è peccato.
Possiamo provare amore perfino per i personaggi inventati di un libro , soffrendo e gioendo con loro , e anche questo mi sembra molto bello ,  e comunque i libri continuiamo a leggerli anche se sappiamo che finiscono. Nel tempo qualcosa di quei libri rimane, anche quando non ricordiamo più l'autore , né' la precisa trama , anche quando col tempo  quindi l'io di ogni libro si perde nel nostro.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Angelo Cannata

Non vorrei dare la sensazione di voler vietare certe discussioni. Per me non è affatto vietato ipotizzare reincarnazione, karma e quant'altro. In questo senso mi sento un grande estimatore di qualsiasi religione, qualsiasi spiritualità e perfino anche delle superstizioni più rozze che solitamente vengono considerate come punti molto bassi della cultura umana.

Trovo però fondamentalmente errato tentare di trovare ad una spiritualità qualsiasi delle basi di sostegno di tipo metafisico, cioè caratterizzate dall'attribuzione ad esse di qualità di certezza, assolutezza, oggettività. Fare questo significa sostituire sé stessi alle basi di una qualsiasi religione o spiritualità.

Le religioni reggono da millenni non perché possiedano delle basi di certezza, ma perché sono ricche di vita, di umanità e di spiritualità.

Quando in un discorso come quello sulla reincarnazione vedo che vengono introdotti dei puntelli di certezza, mi viene l'istinto alla critica non solo a causa del fatto che ogni certezza è criticabile, ma anche perché sento che cercare quei puntelli significa non rendersi conto della ricchezza e della profondità di ciò di cui si sta parlando, significa banalizzare il discorso e affidarne la consistenza a basi di certezza che non hanno niente di consistente.

Così, affidare la solidità di una spiritualità della reincarnazione a metodi di pensiero basati sulla fiducia nella causalità viene a significare per me svuotare, banalizzare il discorso sulla reincarnazione, privarlo della sua ricchezza di significati.

In fondo il meccanismo è questo: se si cercano puntelli, vuol dire che non si è capito quanto il discorso sia capace di essere valido da sé, senza bisogno di quei puntelli.

In altre parole, con un discorso leggermente diverso, si potrebbe dire che Dio non ha mai avuto bisogno di avvocati difensori e chiunque si sia cimentato nel difenderlo gli ha sempre reso un cattivissimo servizio, non ha fatto altro che creare difficoltà alla percezione della sua immensità.

Non c'è alcun bisogno di cercare di fondare la reincarnazione su certezze concettuali come la causalità. Pensare di difenderla in questo modo significa rendere ad essa un cattivissimo servizio, significa banalizzarla, non aver capito che essa non ha alcun bisogno di avvocati difensori.

Apeiron

#48
@Loris Bagnara,

Cerco di dirti la mia. Ma se sei veramente curioso del Buddhismo ti consiglio di visitare questo sito https://www.canonepali.net/il-canone-pali/. Ci sono molti discorsi tradotti in Italiano. Non voglio sembrare "avverso" alla teosofia ma sappi che al centro del Buddhismo c'è la frase "ogni cosa è senza Sé" ("sabbe dhamma anatta"). Nonostante questa chiara affermazione, molti ritengono che ci sia un "vero Io" anche nel Buddhismo. E prendono parti di qualche discorso - spesso decontestualizzate -  per dire che anche nel Buddhismo c'è un "vero Io".  Adesso cerco di spiegarti a parole mie quanto ho capito io. Comunque ti consiglio veramente di leggerti i post di @Sariputra che ti avevo indicato se non lo hai già fatto.

non c'è alcuna "re-incarnazione" nel Buddhismo. Il processo di ri-nascita è dovuto all'illusione dell'identificazione. In sostanza l'idea è che la brama (tanha) fa in modo che sorga l'attaccamento e l'avversione alle forme materiali (rupa), alle sensazioni (vedana), alle percezioni (sanna), alle costruzioni mentali (sankhara) e infine alla cognizione (vinnana). Il processo è mantenuto in vita dalla brama, dall'identificarsi con questi aspetti della nostra esperienza.
Le rinascite non sono dovute all'esistenza di un "Sé" bensì sono dovute all'esistenza della brama. Ma qual è il problema?
Il problema è che secondo il Buddhismo vale la legge universale del Paticcasamuppada ("originazione dipendente") che afferma che ogni esperienza che possiamo avere è impermanente. Perchè è impermanente? Per il fatto che nasce (originazione) ed è mantenuta in essere da determinate condizioni (dipendente) e non appena le condizioni favorevoli cessano anche l'esperienza cessa. E siccome ogni rinascita è dovuta a questo processo di "originazione dipendente" allora ogni rinascita è impermanente. Un esempio lampante sono le malattie del nostro corpo: per restare in salute in fin dei conti dobbiamo stare molto attenti, dobbiamo mangiare in un certo modo, coprirci quando c'è freddo e così via, tuttavia per quanto possiamo stare attenti prima o poi il declino prende il sopravvento. Possiamo infatti stare attenti quanto vogliamo ma prima o poi purtroppo dobbiamo rassegnarci all'inevitabilità. La realtà è che siamo molto fragili. Senza andare a parare al "declino" possiamo pensare alle malattie, a quanti progetti possono fallire a causa di una inevitabile malattia. Questa realtà è inaccettabile per chi è attaccato al proprio corpo. Infatti noi vogliamo che il nostro corpo sia sempre sano, vogliamo non invecchiare, vogliamo stare bene e così via. E l'attaccamento conduce a dire "questo corpo è mio" o "questo corpo sono io". Ma se ciò fosse vero il nostro corpo dovrebbe sottostare alla nostra volontà. Non lo fa.
Ma finché ci identifichiamo con gli elementi della nostra esperienza e/o pensiamo che siano "nostri" non possiamo liberarci dalla sofferenza perchè rimane sempre un po' di "sete" o brama (tanha). E la nostra esperienza secondo il Buddhismo è composta dalle suguenti "parti": occhi e sensazioni visive, orecchie e sensazioni uditive, corpo e sensazioni tattili, naso e sensazioni olfattive, gusto e sensazioni gustative e infine mente e contenuti mentali. Da notare che per il Buddhismo (e credo anche per altre filosofie indiane)   ci sono sei organi di senso con le relative sensazioni: il sesto organo di senso è la mente. Tuttavia anche la mente come il corpo è tutt'altro che permanente. Se pensiamo alla nostra esperienza quotidiana ci accorgiamo di come continua a mutare: pensiamo a quello o a questo, ragioniamo, ce la prendiamo contro il computer quando si blocca, ci arrabbiamo, siamo stanchi, siamo felici... e dunque anche i contenuti mentali causano attaccamento. Alcuni pensieri sono piacevoli, altri no. Altri sono neutri. Proviamo avversione per quelli che non ci piacciono. E finiamo per dire "questo pensiero è mio". Secondo il Buddhismo anche l'attaccamento alle idee ci porta ad una felicità illusoria. Non possiamo "trattenere" i contenuti piacevoli. La legge della originazione dipendente non ce lo permette. E la legge dell'originazione dipendente vale oggi, valeva nel passato e sarà valida nel futuro. Come puoi leggere qui https://www.canonepali.net/2016/09/sn-12-20-paccaya-sutta-condizioni-2/ (qui si parla del Dhamma ovvero della verità dell'insegnamento che rimane vera indipendentemente dalla presenza o meno di un Buddha. Un aspetto centrale (o forse l'aspetto centrale) del Dhamma è la legge dell'originazione dipendente...)

La soluzione? Non pensarci più in relazione alla nostra esperienza. Cosa significa? Non identificarci più né con la nostra esperienza né con qualcosa di diverso. Non siamo né il nostro corpo né altro dal nostro corpo, né la nostra mente né altro dalla nostra mente e così via. Infatti dire anche di essere altro da ciò che è impermanente e causa di sofferenza in realtà è una forma molto sottile di brama. Ci costruiamo un concetto di "Io" e cerchiamo di trattenerlo. No, secondo il Buddhismo la strada è diversa: smettere di dire "io sono questo". Mentre l'Advaita dice "non (sono) questo, non (sono) quello" (neti, neti) presupponendo che ci sia un Sé, il Buddhismo dice solo "non sono questo, non sono quello, questo non è mio, quello non è mio, non sono diverso da questo, non sono diverso da quello...". Eliminare dunque la tendenza all'identificazione con i componenti della nostra esperienza. Questo porta al distacco (viraga) e infine all'estinzione (nibbana). E l'estinzione, la cessazione dell'attività di costruire esperienze condizionate (e quindi impermanenti e quindi causa di sofferenza) è la cessazione della sofferenza e quindi la cessazione del ciclo del samsara. Ma il Nibbana non è mai spiegato come l'unione dell'Io con la Realtà come fanno alcune scuole induiste. No perchè anche pensarsi come identici alla Realtà probabilmente nasconde ancora brama. E quindi non conduce alla cessazione della brama. Solo l'estinzione della brama e della produzione di condizionamenti conduce alla cessazione della sofferenza. D'altronde la metafora che viene usata per dare l'idea del Nibbana è l'estinzione di una fiamma.

Ma se non c'è un Sé come è possibile che Buddha parlava di "vite precedenti"? Secondo il Buddhismo le nostre menti sono come dei fiumi. Così come i fiumi pur non avendo "stabilità" possono essere chiaramente distinti l'uno dall'altro allo stesso modo possono essere distinte le menti individuali. Il Buddhismo non nega la soggettività, anzi unita al processo di dis-identificazione c'è allo stesso tempo un esercizio di disciplina mentale, di costruire un "io empirico" molto ben sviluppato, pronto a lasciare andare gli attaccamenti. E questo "io empirico" saldo è dato dalla pratica spirituale e parte di essa è una dura disciplina etica. Il Buddhismo è molto etico. L'etica e la meditazione servono per "allegerire" la mente dal "peso" dovuto all'incomprensione (avijja o avidya), all'attaccamento e all'avversione. Il livello di "purezza" della mente è ciò che porta uno ad avere rinascite felici o infelici. Qui sta, volendo, l'"oggettivazione" dell'etica delle filosofie indiane e non solo del buddhismo. Più una persona ha una mente libera dagli influssi "maligni" più uno tende ad avere un "destino" migliore. Più uno ha una mente "schiava" degli influssi "maligni" (incomprensione, attaccamento e avversione) più tende ad avere un "destino" peggiore. Tuttavia se l'incomprensione non viene rimossa (che è alla base di ogni tipo di identificazione - "io sono questo" ,"io sono diverso da questo"...) la "purezza" della mente non viene mantenuta e quindi prima o poi uno ritorna "schiavo" di sé stesso, per così dire.  Ma a differenza dell'induismo la liberazione non è la conoscenza di un "vero Io" bensì la cessazione dell'identificazione.

Ah un'altra cosa. Molto spesso il "buddhismo secolare" tende ad eliminare la parte "sovrannaturale" del buddhismo. Per esempio si negano le rinascite, il kamma, i Buddha passati e futuri, l'aspetto rinunciante, l'aspetto di "negazione del mondo" (per dirla alla Nietzsche).  Tuttavia nessuna scrittura antica Theravada o Mahayana o di altre scuole porta a dire che Buddha non parlava di queste cose "controverse". Anzi queste scritture pullulano di elementi "sovrannaturali" e disturbanti. Si mette molto in luce la miseria dovuta alla sofferenza e al "ciclo".  Per esempio: " E tutto ciò che qui è ancora formabile, sensibile, percettibile, concepibile, conoscibile, egli riguarda tali cose come cose impermanenti, dolorose, inferme, malate, tormentose....." (MN 64 https://www.canonepali.net/2015/05/mn-64-maha-malunkyovada-sutta-il-figlio-della-malunkya-2/). Di certo non è un messaggio molto "consolatorio" o "affermatrice della storia" (come è invece la filosofie di Nietzsche)  ;) in realtà l'obbiettivo è proprio il distacco dalle cose impermanenti...

Comunque è anche vero che molti buddhisti mirano ad una migliore rinascita e non all'estinzione e quindi coltivano la virtù (sila) e il dono (dana). Inoltre c'è un aspetto molto importante che non ho sottolineato. Una parte molto importante nella purificazione della mente è l'esercizio della compassione, dell'amore (karuna, metta) ecc. E anche se la pratica della virtù secondo il Buddhismo non conduce alla liberazione/estinzione la facilita. Infatti secondo il Buddhismo compassione e saggezza (karuna e prajna) sono elementi che si rafforzano l'un l'altro. Un altro post molto interessante lo puoi trovare qui https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/buddhismo/msg16481/#msg16481

Addendum: ovviamente il Buddhismo non nega che ci siano piaceri nella vita. Anzi. Tuttavia ciò che nega è che questi piaceri portino ad una soddisfazione completa e che ci riparano dal "pericolo" del "declino". Inoltre come dicevo sembra anche abbastanza evidente la consapevolezza che il Nibbana non è cercato da tutti ma per molte persone l'obiettivo è un altro (tuttavia visto dai Buddhisti come "inferiore", per così dire).
Detto questo prima parlavo anche del "Buddhismo secolare" che tende ad eliminare il "sovrannaturale" e gli aspetti più "disturbanti". Questo movimento è nato per una proprietà molto attraente del Buddhismo per l'uomo moderno. Ovvero il non accettare "per fede cieca" i dogmi ma testarli nella propria esperienza. Effettivamente non è necessario credere nel Nibbana o nelle rinascite per praticare la moralità e la meditazione ;)

Ah, nel link che hai postato @Loris c'è scritto che chi dice che non c'è reincarnazione (o meglio: rinascita) dice che il Buddha è un bugiardo. Ciò è sbagliato per vari motivi per esempio:  1) il Buddha potrebbe essersi semplicemente sbagliato e aver interpretato male alcune sue esperienze 2) potrebbe essere stata una aggiunta successiva. Nella parola "bugiardo" inoltre c'è una connotazione di intenzionalità "maligna" che non è per niente necessaria. Ad ogni modo concordo che è ovvio che il Buddha dei "Nikaya/Agama"* (del Canone Pali e di altri scritti delle prime scuole buddhiste) parlava di rinascita e che sono i testi più vicini alla posizione del "Buddha storico". Tuttavia ciò non toglie che uno che non crede nelle rinascite, nel sovrannaturale o nel Nibbana possa trarre beneficio dalla pratica e che non possa vedere testando con la propria esperienza la veridicità (o meno) degli insegnamenti e delle dottrine esposte dalle varie scuole buddhiste.      

*Agama o Nikaya sono le collezioni dei "discorsi" relativi al "primo Buddhismo"
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Loris Bagnara

#49
Apeiron, ti ringrazio molto della tua approfondita spiegazione, ma forse sono di coccio io e continuo a non capire.

Premetto che anche il teosofo riconosce tranquillamente che tutto è impermamente, anche il sé personale.
E' vero che i contenuti della mente variano costantemente, ma quel che non varia è l'esperienza soggettiva dell'io-sono-io.
Con una metafora: pensiamo a una lavagna su cui si cancella e si riscrive continuamente. I contenuti cambiano, ma quel che resta è la lavagna.
Che poi è quel che si fa in meditazione: si cerca di "svuotare" la mente dei suoi contenuti, per cercare di avere esperienza della "lavagna".
Quel che voglio dire è che non si può pensare a "contenuti mentali" senza la "lavagna mentale" su cui sono scritti e che li unifica in una esperienza unitaria (benché impermanente e illusoria).

Detto questo, come dicevo all'inizio, non riesco ancora a capire quale sia il preciso significato di rinascita, rispetto a quello di reincarnazione.
Per essere diretti, la metto come segue.
Supponiamo che io non faccia nulla, in questa vita, per estinguere la mia brama, il mio attaccamento alle cose impermanenti.
A questo mio comportamento dovrebbe seguire, per il buddismo, una rinascita. Ma di cosa?
La domanda secca, a cui dovrebbe seguire una risposta secca, è la seguente:
mi ritroverò io, soggettivamente (benché illusoriamente), in una nuova futura esperienza corporea?

Se la risposta è , allora non vedo differenza fra rinascita e reincarnazione.

Se la risposta è no, allora parlare di "rinascita" è fuorviante, perché si tratterebbe del semplice processo di trasformazione continua di materia ed energia:
cioè, esattamente quel che afferma la scienza materialista e riduzionista.
Ma allora a che mi servirebbe essere buddista e praticare da buddista? Non posso restare semplicemente nichilista e materialista?
Se è vero che non sperimenterò più esperienze corporee (nemmeno illusorie) allora mi basterebbe attendere la morte: quando quella arriverà, sarò certamente libero dal samsara. Posso tranquillamente non fare nulla e attendere la fine: anzi, se è vero che la vita è sofferenza, allora la scelta giusta sarebbe paradossalmente quella di terminarla subito...

Apeiron, te la senti di darmi una risposta secca, sì o no?  ::)
(P.S. Anche gli altri ovviamente, anzi...)

Loris Bagnara

Citazione di: Angelo Cannata il 18 Marzo 2018, 01:56:44 AM[...] Trovo però fondamentalmente errato tentare di trovare ad una spiritualità qualsiasi delle basi di sostegno di tipo metafisico, cioè caratterizzate dall'attribuzione ad esse di qualità di certezza, assolutezza, oggettività. Fare questo significa sostituire sé stessi alle basi di una qualsiasi religione o spiritualità. [...]
Non c'è alcun bisogno di cercare di fondare la reincarnazione su certezze concettuali come la causalità. Pensare di difenderla in questo modo significa rendere ad essa un cattivissimo servizio, significa banalizzarla, non aver capito che essa non ha alcun bisogno di avvocati difensori.
Credo che quando ci siamo messi a discutere sul principio di causalità, si sia perso il filo del discorso.
Proviamo a rimettere il discorso sul binario giusto.

Sono d'accordo con te Angelo, e infatti io non voglio affatto fondare la certezza del karma+reincarnazione sul principio di causalità.
E' un po' il contrario: io vorrei prendere in esame la dottrina del karma+reincarnazione per approfondire con voi se è vero (come io credo)
che è proprio questa la dottrina che è maggiormente in grado di fornire spiegazioni esaurienti e convincenti.
Non voglio dimostrare la dottrina, voglio ricavarne spiegazioni; e sulla base delle spiegazioni che ne riesco a derivarne
(messe a confronto con le spiegazioni derivanti da altre dottrine) posso poi giudicare la ragionevolezza dell'assumere come vera
la dottrina del karma+reincarnazione.

Il mio richiamo al principio di causalità è ricollegato all'esigenza di senso (di spiegazioni) che io sento fortissima e imprescindibile.

Sariputra

#51
La ri-nascita , nella concezione del Buddhismo delle origini, è un evento che vede all'opera tre forze  che agiscono in perfetta interconnessione: la coscienza ( che chiameremo più correttamente, nella specifica terminologia buddhista vinnana...), l'agire ( detto kamma...) e la brama d'esistere ( che chiameremo tanha...). Ora, a differenza della concezione comune occidentale,la coscienza/vinnana non è qualcosa di unitario e statico, bensì viene vista come un flusso condizionato di elementi che insorgono , divengono e cessano.
Le dottrine del kamma e della rinascita appaiono come concezioni metafisiche , ma per il Buddha invece si trattava di un fatto verificabile, esperibile. Si affermava infatti che chiunque, concentrando la propria mente, era in grado di rammentare almeno una delle vite precedenti ( questo mi lascia perplesso sull'abbandono , da parte dell'uomo attuale, della coltivazione del raccoglimento interiore e della retta concentrazione, giusto per fare una verifica di questa affermazione... ;D ).
Il Kamma, che sottintende il processo della rinascita, non è un semplice meccanismo riduzionista di causa-effetto, ma qualcosa di molto più complesso che ha a che fare con i 'bisogni' generati dall'attaccamento alla catena del Paticcasamuppada (co-originazione interdipendente... della quale abbiamo già accennato in altro topic). Non si ha mai, nelle conseguenze generate dall'azione, un assoluto determinismo. Non c'è una corrispondenza biunivoca fra l'azione e il suo risultato futuro:
"Se uno dovesse affermare: 'Come costui compie un'azione, così, nello stesso modo, ne sperimenterà la conseguenza'- se questo fosse vero, non si avrebbe in alcun caso una vita santa, nè si potrebbe conoscere un'opportunità per arrestare il dolore" (Ang.3:110)
Secondo il Buddhismo la ri-nascita è condizionata , per l'appunto, da tre fattori:
"L'azione è il campo, la coscienza il seme e la brama l'umidità".
Il kamma determina il livello generale della successiva esistenza, il vinnana è legato alle aspirazioni e ai pensieri ( in particolare agli ultimi della propria esistenza...) e la tanha lega tutto il processo al dinamismo del paticcasamuppada.
La brama d'esistere/tanha inizia il processo di edificazione di una personalità, che ha luogo attraverso l'upadana ( l'attaccamento al piacere...). La tanha rappresenta la condizione di legame, di dipendenza al mondo e che ci costringe a tornare ad esso. Questo processo di accumulazione   e di costruzione inizia con la nascita e si sviluppa per tutta la vita. La sperimentazione dell'azione del kamma è presente già in questo aggregato corporeo anche se spesso non ne notiamo subito gli effetti ( come quando si viene infettati da qualche virus ma i cui effetti, come lo scoppio di una malattia, si possono subire anche dopo parecchio tempo...).
Un errore d'interpretazione del kamma è dovuto al fatto che lo si vede come una semplice accumulazione di azioni, mentre in realtà dovremmo vederlo piuttosto come un'accumulazione di forze. Le azioni, infatti, non sono che risultati di forze, vale a dire delle intenzioni salutari o nocive che le sottendono. Queste accumulazioni rappresentano così gli aspetti etici e morali della formazione della personalità nella vita presente. E' in questo modo che la coscienza/vinnana viene a formarsi come una "personalità di rinascita", appunto come un 'seme' che cercherà nuova 'umidità' ( brama) per rinascere.
(Utilizzo i termini della vegetazione, perchè è proprio in questa 'calda umidità vincolante' che prende forma la concezione del samsara tipica di tutte le tradizioni filosofiche del sub-continente indiano....)
Bisogna sottolineare con forza l'importanza di tanha/brama nel processo di costruzione della personalità di rinascita che vinnana opera di continuo, questo perché la nostra cultura occidentale  ha la tendenza innata di esteriorizzare ogni cosa e, se possibile, a trascurare e svalutare nel modo più completo la coscienza. Nel Buddhismo, al contrario, i processi coscienti erano considerati di fondamentale importanza. E' veramente difficile distinguere tra la vinnana e la tanha in quanto fattori di ri-nascita, poiché la seconda opera attraverso la prima ( questa fusione viene chiamataabhavatanha, 'brama di divenire'):
"Sradicata è la brama di divenire, distrutto il canale del divenire, ora non c'è più ritorno".(Sam. V 432).
Un altro termine con cui viene definito questo processo di ideazione e costruzione è chandaraga, 'ambizione e desiderio':
"...la coscienza si lega ad essi per ambizione e desiderio; dal momento che la coscienza è legata da ambizione e desiderio, ci si diletta in essa; deliziandosi in essa, si fa ritornare il passato" (Majj.III196).
Questo passo ci dà l'idea di come la coscienza/vinnana si attacca a determinate situazioni del passato e desidera ottenere di nuovo lo stesso tipo di sensazioni e quindi lo stesso tipo di "esistenza". Questo desiderio e ambizione ha lo scopo di legare la vinnana, ossia d'impegnare la coscienza per uno scopo ben determinato, ancorchè spesso inconscio: sognare una condizione futura desiderabile, di piacere. Si vengono così a costruire pensieri e immagini che potremmo definire come 'dinamicamente gravati' e in grado di spingere all'azione kammica ( cioè la ricerca intenzionale della soddisfazione di questa brama...).
Nel Samyutta N. troviamo un brano che dice:
"Se c'è desiderio, diletto e brama per il cibo materiale, per il contatto, per la volizione mentale e per la coscienza, allora lì si fissa e cresce la coscienza. Allora si ha la discesa del nome e forma, e ove c'è la discesa del nome e forma, crescono le attività. Ove crescono le attività, ci saranno ri-divenire e ri-produzione futuri. e quindi seguiranno nascita, vecchiaia e morte".
Il processo è simile a quello della pittura di un ritratto. Il pittore può creare il suo quadro solo se dispone dei colori e di una superficie su cui dipingere. Allo stesso modo noi ' costruiamo' la nostra vinnana/coscienza futura provando desiderio per questi quattro generi di 'cibo', ossia i generi di materiale adatti all'insorgere di una nuova personalità. La creazione, attraverso l'agire, è opera nostra, però troverà nuova forma solo se abbiamo tanha ( brama ).
In assenza di brama d'esistere cessa la costruzione...

Ora, lasciando da parte la dottrina buddhista, che ormai penso sia chiaro che per essa è il kamma stesso , e non altro, che viene a rinascere e quindi non si può parlare di reincarnazione ( Sari non muore qui e riappare là, dentro un altro corpo...ma il contenuto dinamicamente gravato della coscienza che muore determina l'insorgere della coscienza che nasce. Non c'è continuità di personalità, ma continuità di flusso kammico e perciò, esattamente, ri-nascita, ossia ri-apparire del kamma, sostenuto dalla brama d'esistere, che darà origine ad una nuova coscienza, gravata dal peso kammico che l'ha generata...) possiamo riflettere sul concetto di ri-nascita come una forma di spiritualità che ha il pregio di 'aprire' la prospettiva dell'esistenza. Ad esser onesti dovremmo dire che la rinascita,  quale risultato del nostro agire etico, quasi si oppone alla visione del "carpe diem", di quel "cogli l'attimo' che ormai sembra diventato il mantra ossessivo dei nostri tempi spaesati; 'carpe diem'  che sembra quasi tentare di formulare un nuovo tipo di etica spirituale liberata dalla paura del risultato delle proprie azioni. La visione kammica dell'esistenza invece impone una costante attenzione al nostro agire nel mondo in quanto, tutto ciò che facciamo e pensiamo, "darà frutti". Possono essere frutti sani o frutti bacati in ragione dell'etica stessa del nostro agire.
Il concetto è semplice: un albero di mele non darà mai come frutto dei fichi. Un azione malvagia non darà mai come frutto del bene. E cos'è un'"azione gravata di malvagità" se non un'azione che perpetua in noi un ri-nascere della malvagità stessa? Ecco che, seppur non accettiamo l'idea della rinascita kammica postmorte, considerandola una semplice speculazione metafisica, possiamo ben sperimentare, nel nostro attuale vissuto, nel nostro quotidiano agire e relazionarci con il 'mondo' ,costruito dalla nostra coscienza e dalla nostra brama, l'effetto dell'azione kammicamente gravata dall'intenzione. Una profonda consapevolezza dell'importanza del nostro agire, fisico e verbale, come qualcosa che non muore e si dissolve, ma che invece crea in continuazione stati salutari o nocivi in noi e in chi ci sta attorno e quindi crea 'mondi' di dolore, se l'agire è non salutare, o invece pianta semi di compassione e benevolenza, se la nostra attitudine è salutare, ci dono una grande prospettiva umana. Diventiamo artefici di un reale, possibile cambiamento. Il kamma quindi non è più un "fato" senza senso che ci grava sulle spalle, ma è la possibilità di uscire da un 'mondo' di sofferenza e, cosa ancor più importante, aiutare gli altri esseri senzienti, che soffrono per le nostre azioni, ad affrancarsene quanto più possibile.
Oscar Wilde diceva che "ognuno ha in sè inferno e paradiso". La visione del kamma direbbe che "ognuno ha in sé la possibilità di costruire la propria salvezza o la propria rovina"...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Loris Bagnara

Citazione di: Sariputra il 19 Marzo 2018, 11:10:08 AMLe dottrine del kamma e della rinascita appaiono come concezioni metafisiche , ma per il Buddha invece si trattava di un fatto verificabile, esperibile. Si affermava infatti che chiunque, concentrando la propria mente, era in grado di rammentare almeno una delle vite precedenti ( questo mi lascia perplesso sull'abbandono , da parte dell'uomo attuale, della coltivazione del raccoglimento interiore e della retta concentrazione, giusto per fare una verifica di questa affermazione... ;D ).
[...]
Ora, lasciando da parte la dottrina buddhista, che ormai penso sia chiaro che per essa è il kamma stesso , e non altro, che viene a rinascere e quindi non si può parlare di reincarnazione ( Sari non muore qui e riappare là, dentro un altro corpo...ma il contenuto dinamicamente gravato della coscienza che muore determina l'insorgere della coscienza che nasce. Non c'è continuità di personalità, ma continuità di flusso kammico e perciò, esattamente, ri-nascita, ossia ri-apparire del kamma, sostenuto dalla brama d'esistere, che darà origine ad una nuova coscienza, gravata dal peso kammico che l'ha generata...) [...]
Sari, devi scusarmi, ma a me non riesce di mettere insieme coerentemente le due affermazioni sopra evidenziate.

Se ricordo almeno una delle mie vite precedenti, vuol dire che ho vissuto vite precedenti; ma allora, come ho vissuto vite precedenti, così è ragionevole aspettarsi di vivere vite future. Questa è reincarnazione. Non della personalità che, siamo tutti d'accordo, è impermanente; ma del suo supporto, quella "lavagna" di cui parlavo nel mio post precedente. Che poi è l'Atman dell'induismo, la scintilla divina.

Però nella seconda affermazione sembri negare questo, e dici che, quando si muore qui, non si riappare là...
Ma allora che cosa si ricorda?
Se ricordo vite vissute da me, è reincarnazione.
Se ricordo vite vissute da altri, allora si tratta di un qualche processo che impianta ricordi non miei nel mio cervello. La scienza materialista moderna non ha grosse difficoltà ad accettare, in linea di principio, un concetto del genere. I concetti del buddismo, allora, non sarebbero altro che una diversa formulazione dei moderni concetti scientifici di memoria genetica etc. A me sembra una conclusione molto deludente. Troppo deludente. C'è qualcosa che non torna.

Per me il punto chiave è proprio nel concetto di personalità, e nel fatto che negare la personalità (sul che siamo tutti d'accordo) non significa negare l'individualità (la "lavagna").

Io amo la sintesi, e credo che a domande così dirette si debbano dare risposte dirette.
Sari, riesci in a rispondere in una parola a questa domanda: dopo la morte, credi che riaprirai gli occhi, SI' O NO?
(questa domanda vale per tutti...)

Apeiron

#53
Anche se non credo di dare una spiegazione migliore del @Sari provo a rispondere anche io:

Citazione di: Loris Bagnara il 19 Marzo 2018, 09:50:43 AMApeiron, ti ringrazio molto della tua approfondita spiegazione, ma forse sono di coccio io e continuo a non capire.

Figurati! tranquillo che la mia comprensione è intuitiva. Per fare un paragone da prendere con le pinze è più o meno la comprensione che avevo quando ero al liceo della relatività rispetto a quella che ho oggi dopo cinque anni di università (e ancora ho dubbi  ;D ).

Citazione di: Loris Bagnara il 19 Marzo 2018, 09:50:43 AM
Premetto che anche il teosofo riconosce tranquillamente che tutto è impermamente, anche il sé personale. E' vero che i contenuti della mente variano costantemente, ma quel che non varia è l'esperienza soggettiva dell'io-sono-io. Con una metafora: pensiamo a una lavagna su cui si cancella e si riscrive continuamente. I contenuti cambiano, ma quel che resta è la lavagna. Che poi è quel che si fa in meditazione: si cerca di "svuotare" la mente dei suoi contenuti, per cercare di avere esperienza della "lavagna". Quel che voglio dire è che non si può pensare a "contenuti mentali" senza la "lavagna mentale" su cui sono scritti e che li unifica in una esperienza unitaria (benché impermanente e illusoria).


In realtà sono curioso del processo della reincarnazione/rinascita nella teosofia. Nel buddhismo e nell'induismo la rinascita può anche avvenire nel mondo animale. Nella teosofia è possibile cio? Da quel pochissimo che so non è possibile (un po' come nel caso di Platone...)



Comunque il problema della reincarnazione/rinascita è presente anche nella filosofia monista. Se a livello ultimo tutto è uno, cos'è che si reincarna? Direi un processo, no? Dunque da questo punto di vista monismo e Buddhismo non sono poi così diversi. Ne approfitto per dire che nonostante l'enfasi del Buddhismo sull'anatta sono convinto che ci siano molte somiglianze con filosofie affini. Tu parli di "lavagna". Il Buddhista ti direbbe che rischi di identificarti con la lavagna, dicendo "la lavagna sono io, la lavagna è mia" e siccome l'identificazione è "sintomo" di brama, attaccamento o avversione allora non ti "liberi". D'altro canto però l'"ortodossia" della scuola Theravada ha sempre sostenuto che "Nibbana" non è non-esistenza (come una minoranza di monaci di tale scuola negli ultimi decenni dice e come diceva l'antica scuola Sautrantika)* ma è il non-condizionato, il non-nato, il non-formato... Il problema è che con la concettualizzazione si rischia di crearsi una "falsa idea di Nibbana" e quindi invece di raggiungere il Nibbana si cerca inutilmente di raggiungere un concetto che non corrisponde a niente di reale**. Per spezzare una lancia a favore dell'induismo c'è da dire che molti indù dicono cose molte simili riguardo a Brahman (è "Nirguna", senza "attributi"). Ah, dimenticavo... Due differenze molto importanti: 1) Brahman è la "causa di tutto" mentre Nibbana non ha alcun ruolo di causa, non è un "principio" da cui deriva tutto 2) a livello relativo/convenzionale (o "illusorio")  a differenza di Brahman non si manifesta come una Divinità Personale ("Saguna" Brahman).    


Citazione di: Loris Bagnara il 19 Marzo 2018, 09:50:43 AM
Detto questo, come dicevo all'inizio, non riesco ancora a capire quale sia il preciso significato di rinascita, rispetto a quello di reincarnazione.
Citazione di: Loris Bagnara il 19 Marzo 2018, 09:50:43 AMPer essere diretti, la metto come segue. Supponiamo che io non faccia nulla, in questa vita, per estinguere la mia brama, il mio attaccamento alle cose impermanenti. A questo mio comportamento dovrebbe seguire, per il buddismo, una rinascita. Ma di cosa? La domanda secca, a cui dovrebbe seguire una risposta secca, è la seguente: mi ritroverò io, soggettivamente (benché illusoriamente), in una nuova futura esperienza corporea? Se la risposta è , allora non vedo differenza fra rinascita e reincarnazione. Se la risposta è no, allora parlare di "rinascita" è fuorviante, perché si tratterebbe del semplice processo di trasformazione continua di materia ed energia: cioè, esattamente quel che afferma la scienza materialista e riduzionista. Ma allora a che mi servirebbe essere buddista e praticare da buddista? Non posso restare semplicemente nichilista e materialista? Se è vero che non sperimenterò più esperienze corporee (nemmeno illusorie) allora mi basterebbe attendere la morte: quando quella arriverà, sarò certamente libero dal samsara. Posso tranquillamente non fare nulla e attendere la fine: anzi, se è vero che la vita è sofferenza, allora la scelta giusta sarebbe paradossalmente quella di terminarla subito... Apeiron, te la senti di darmi una risposta secca, sì o no? ::) (P.S. Anche gli altri ovviamente, anzi...)

Risposta secca: a livello convenzionale ci sono esseri che rinascono. Es: https://www.canonepali.net/2015/06/an-10-176-cunda-kammaraputta-sutta-a-cunda-il-gioielliere/ "Ha delle rette visioni: "C'è ciò che è dato, ciò che è offerto, ciò che è sacrificato. Ci sono dei frutti e dei risultati dalle buoni e dalle cattive azioni. Si ha questo mondo ed il mondo che segue. Si ha madre e padre. Ci sono degli esseri che rinascono; ci sono dei bramani e degli asceti che, comportandosi rettamente e praticando rettamente, proclamano questo mondo ed il successivo dopo averlo conosciuto direttamente e realizzato personalmente'."  (sottolineatura mia) Come nell'Advaita (e da quanto dici nella teosofia) però a livello ultimo ciò non è più vero. Ergo se non fai niente per liberarti certamente rimani nel samsara. E se ti comporti male... i discorsi parlano da soli  ::) detto questo una buona condotta, essere disposti a donare e a comportarsi bene produce buoni frutti es per il dono: https://www.canonepali.net/2015/06/an-7-49-dana-sutta-donare/ . Ma come dice il @Sari non è un rigido determinismo. Se uno si comporta bene si tende ad avere buoni frutti (e viceversa).

Tuttavia come dice giustamente il @Sari a un livello più avanzato della nostra analisi, secondo il Buddhismo non c'è alcun Sé individuale che passa da una vita all'altra. Ciò che ricorda di più, secondo me, il processo della rinascita sono le metamorfosi degli insetti. L'insetto per certi aspetti è sempre lo stesso, per altri no. Ovvero il Buddhismo ti dice che c'è una continuità ma non c'è alcuna vera trasmigrazione perchè nessuna sostanza passa da una vita all'altra. Ma a livello "pratico" come dice la situazione sopra ci sono "esseri che rinascono". Le azioni malvagie tendono a dare cattivi frutti e inversamente le buone azioni tendono a dare buoni frutti. La moralità non è come si pensa oggi basata su semplici convenzioni, bensì ha una base ben più solida. Come dice il @Sari questa visione che mette in guardia sulle conseguenze delle nostre azioni (in positivo o in negativo) è ben contraria alla filosofia del "cogliere l'attimo" anche se il "buddhismo secolare" a volte fa pensare che il Buddhismo sia una filosofia solo del qui-ed-ora. La grossa differenza tra Epicureismo e Buddhismo è proprio data dal "moralismo", dall'ideale della rinuncia e della "trascendenza". Il "Buddhismo secolare" è in fin dei conti un misto tra Epicureismo e qualche aspetto del Buddhismo.  

Comunque, come dicevo, se la Teosofia è monista non c'è nemmeno una vera "reincarnazione" nemmeno nella Teosofia, visto che a livello ultimo non ci sono "esseri individuali" (i quali esistono a livello del famoso "Velo di Maya").

Addendum: Riguardo alla domanda finale del tuo ultimo post, il Buddhismo crede che "riaprirai gli occhi". Tuttavia a livello ultimo non c'è una sostanza nel flusso del kamma. Ergo, si deve dire che "c'è una riapertura degli occhi". Ma come dicevo prima se nella Teosofia c'è il monismo anche nella Teosofia non c'è nessun "io" che riapre gli occhi visto che l'unico "io" è il Sé universale!

Sia nel Buddhismo che nell'Advaita non si può parlare di "re-incarnazione" perchè non c'è una sostanza individuale che si reincarna. In ambo i casi c'è una rinascita.

*riguardo alla "non-esistenza", chi propone tale "posizione" non parla di "annientamento" solo perchè non esiste alcun "io" che può essere annientato. Ma in fin dei conti per loro il non-condizionato è la semplice cessazione o assenza del condizionato. La tradizione Theravada rifiuta questa dottrina della "semplice assenza". Nelle scuole Mahayana ci sono ancora altre opinioni...  ma direi che stavamo parlando di rinascita e quindi la questione del Nibbana la lascerei perdere adesso. Se vuol leggere il topic sul Buddhismo della sezione filosofia troverai una lunga discussione su ciò.


Scusate le molte modifiche...


**14:57 ho modificato questa frase. Oggi non è giornata, si vede  :(
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Suttree

Scusate, sarò fatto del peggior coccio, ma io davvero non riesco a capire una cosa: se tutto, ma proprio tutto è impermanente, che senso ha parlare di rinascita? Dopo la morte il nostro fisico torna polvere, e questo lo sappiamo. Ma se tutto è transitorio, se anche dei nostri pensieri, la nostra memoria, il nostro Sè superiore non resta alcuna traccia... beh allora basta leggere un Giacomo Leopardi o un Sartre  :)
Potete spiegare in parole povere ad un povero ignorante che differenza sostanziale c'è tra il nichilismo e il buddismo, nell'ottica della morte annientatrice?

Apeiron

Citazione di: Suttree il 19 Marzo 2018, 13:48:22 PM
Scusate, sarò fatto del peggior coccio, ma io davvero non riesco a capire una cosa: se tutto, ma proprio tutto è impermanente, che senso ha parlare di rinascita? Dopo la morte il nostro fisico torna polvere, e questo lo sappiamo. Ma se tutto è transitorio, se anche dei nostri pensieri, la nostra memoria, il nostro Sè superiore non resta alcuna traccia... beh allora basta leggere un Giacomo Leopardi o un Sartre  :)
Potete spiegare in parole povere ad un povero ignorante che differenza sostanziale c'è tra il nichilismo e il buddismo, nell'ottica della morte annientatrice?

Provo io... ;)

Quella che viene chiamata "esperienza" non è una "cosa" bensì un processo. Dunque, anche se non si trasmette nessuna sostanza da una vita all'altra il processo continua. Non c'è una "sostanza" ma questo non significa che il processo si debba arrestare. La morte per il Buddhismo non è la fine di questo processo, perchè il processo è mantenuto dalla "sete" (tanha). In realtà la morte secondo il Buddhismo è piuttosto simile al sonno e la "rinascita" è simile al risveglio dal sonno. Chiaramente c'è continuità tra un giorno e l'altro. Dunque per un Buddhista c'è continuità tra una vita e l'altra.
Inoltre, come nelle altre religioni indiane c'è l'idea che una mente ben allenata possa ricordare le "vite precedenti" e stabilire che c'è vita dopo la morte. Non a caso nel testo che ho citato nella mia risposta precedente si dice che è corretta visione dire che: "ci sono dei bramani e degli asceti che, comportandosi rettamente e praticando rettamente, proclamano questo mondo ed il successivo dopo averlo conosciuto direttamente e realizzato personalmente'."

Comunque riguardo al Sé superiore come dicevo a @Loris... Per molti pensatori induisti l'unica cosa che non muore è il Principio Universale, Brahman - l'unica cosa che esiste veramente è proprio Brahman mentre la molteplicità è illusoria. Dunque anche in questo caso non c'è veramente "reincarnazione" ma solo "rinascita" degli "individui". Altri pensatori indiani invece dicevano (e dicono) che ognuno di noi possiede un elemento indistruttibile (il nostro Sé). Solo ammettendo questo si può veramente parlare di "reincarnazione".
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

cit.L.Bagnara
Se ricordo almeno una delle mie vite precedenti, vuol dire che ho vissuto vite precedenti; ma allora, come ho vissuto vite precedenti, così è ragionevole aspettarsi di vivere vite future. Questa è reincarnazione. Non della personalità che, siamo tutti d'accordo, è impermanente; ma del suo supporto, quella "lavagna" di cui parlavo nel mio post precedente.

Se tiri via la "personalità" puoi affermare che quella "lavagna" è 'tua'?  Il ricordarsi non significa che ci sia un'identità fissa e immutabile che possiede quei ricordi. Il termine 'reincarnazione' mi sembra supporre che ci sia qualcosa di 'fisso' che passa attraverso varie vite, "di carne in carne" per così dire. Mentre nella rinascita c'è qualcosa di nuovo che si viene a formare gravato del peso di ciò che lo ha preceduto ( visto che nulla si distrugge ma tutto si trasforma...). Infatti ri-nascere sottintende che c'è una nuova nascita di "qualcosa" (nella concezione buddhista dell'aggregato coscienza/frutto dell'azione/brama d'esistere, quindi di un 'processo' non di una individualità).
Ho riflettuto quest'oggi su come trovare un esempio concreto per meglio esemplificare 'sta teoria e...non mi è venuto in mente niente di meglio purtroppo che riprendere il tema del ciclo naturale della vegetazione. Ogni albero produce un seme che, quando cade nel terreno, e in presenza di favorevoli condizioni, germina e dà vita ad una nuova pianta.
Il vinnana/coscienza che si sostiene e trova nutrimento nella propria brama d'esistere, nel proprio ardente desiderio di durare e che così genera continuamente nuove azioni atte a soddisfare questo desiderio, è paragonabile all'albero che produce un nuovo seme. Seme che, in presenza delle condizioni adatte genera una nuova 'personalità' fittizia, un nuovo fantasma atto a soddisfare questa brama inesauribile. Se non c'è albero non può esserci seme che rinasce. Il processo di coscienza che tende sempre a rinascere genera la coscienza che rinasce. Rinasce nè uguale nè del tutto diversa dal processo che l'ha generata. Come il seme non è l'albero , ma nemmeno è del tutto diverso da questi.
cit.
Io amo la sintesi, e credo che a domande così dirette si debbano dare risposte dirette.
Sari, riesci in a rispondere in una parola a questa domanda: dopo la morte, credi che riaprirai gli occhi, SI' O NO?

NO, il Sari non riaprirà i suoi occhi, ma temo che il pocesso che ha generato il Sari proseguirà la sua attività e ancora cercherà l'umidità adatta per ri-nascere , per placare la sua sete...sempre se, nel frattempo, il fantasma Sari non realizzerà la Suprema Illuminazione... ;D  ;D
Il fatto non mi consola per nulla...Questa mente, quando deve relazionarsi con L.Bagnara,,con Suttree, con Apeiron, ecc. usa un linguaggio che non può trascendere l'uso dei termini: io-tu-noi, ecc. Quindi non può sfuggire alle contraddizioni del linguaggio.
Quindi sicuramente questa identità ballerina mi seguirà come un ombra ogni volta che aprirò bocca per dire che è proprio una gran impicciona...Dovrei stare in silenzio? E' una bella domanda...che mi faccio spesso anch'"io" ( ma anche la domanda va e viene nella mia zucca vuota...) cit. da me stesso...

cit.Suttree:
Scusate, sarò fatto del peggior coccio, ma io davvero non riesco a capire una cosa: se tutto, ma proprio tutto è impermanente, che senso ha parlare di rinascita? Dopo la morte il nostro fisico torna polvere, e questo lo sappiamo. Ma se tutto è transitorio, se anche dei nostri pensieri, la nostra memoria, il nostro Sè superiore non resta alcuna traccia... beh allora basta leggere un Giacomo Leopardi o un Sartre  :)
Potete spiegare in parole povere ad un povero ignorante che differenza sostanziale c'è tra il nichilismo e il buddismo, nell'ottica della morte annientatrice?

Proprio per la loro impermanenza e vacuità le cose possono esistere e divenire. Non è annichilimento perché , nella visione buddhista, vi è un elemento che non appare ma che trascende l'impermanenza, ed è l'elemento Nibbana/nirvana, ciò che non rinasce, che non diviene, che non brama nulla, ecc....l'"altra riva". Il Senza Nome...ciò che si 'tocca' quando l'incessante rinascita cessa...ed è "qui e ora"...la sua funzione è "dare pace"...
A volte possiamo 'gustarlo' nei brevi attimi in cui sappiamo e possiamo lasciar andare il nostro attaccamento a questo incessante divenire e cessiamo di identificarci con il nostro senso dell'io-mio...

cit:Apeiron:
Quella che viene chiamata "esperienza" non è una "cosa" bensì un processo. Dunque, anche se non si trasmette nessuna sostanza da una vita all'altra il processo continua. Non c'è una "sostanza" ma questo non significa che il processo si debba arrestare. La morte per il Buddhismo non è la fine di questo processo, perchè il processo è mantenuto dalla "sete" (tanha). In realtà la morte secondo il Buddhismo è piuttosto simile al sonno e la "rinascita" è simile al risveglio dal sonno. Chiaramente c'è continuità tra un giorno e l'altro. Dunque per un Buddhista c'è continuità tra una vita e l'altra.
Inoltre, come nelle altre religioni indiane c'è l'idea che una mente ben allenata possa ricordare le "vite precedenti" e stabilire che c'è vita dopo la morte. Non a caso nel testo che ho citato nella mia risposta precedente si dice che è corretta visione dire che: "ci sono dei bramani e degli asceti che, comportandosi rettamente e praticando rettamente, proclamano questo mondo ed il successivo dopo averlo conosciuto direttamente e realizzato personalmente'."

Caro Apeiron, sono stanco ormai, e Villa Sariputra ha bisogno di un nuovo patriarca. La paga è bassa, ma il paesaggio è ameno, le dolci colline ricoperte di vigneti rosso fuoco al tramonto, le botti piene, gli animali da accudire, le cipolle, ecc.. e le abitanti della Contea....non so se mi spiego  ;)
Che ne dici?...
Posso finalmente salire la montagna?...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

bluemax

tutto quello detto da Sari è "accademicamente" vero...

Ultimamente stiamo discutendo una cosa fondamentale e molto interessante al centro dove vado a prendere lezioni di buddismo.
Tra gli aggregati che costituiscono l' "essere" vi sono le cinque coscienze sensoriali piu' la coscienza mentale.

Vero è che ogni coscienza è impermanente ed interdipendende da cause e fattori esterni. Ma è pur vero che esiste uno "SPERIMENTATORE" di tali esperienze. Un giudice se vogliamo, una sorta di "sacco" dove vanno a fire le "ESPERIENZE" o se vogliamo lo spettatore che vede il film proiettato sullo schermo. Se vogliamo la possiamo chiamare INDOLE che viene modificata da varie esperienze nel corso delle vite.

Tale indole è vero che è impermanente e dipendente dalle ESPERIENZE, quindi mutevole per fortuna altrimenti non potrebbe "evolvere". Ed è in tale INDOLE che sono "registrate" gli effetti delle nostre esperienze.

Come per quando ci svegliamo la mattina, il nostro carattere non è modificato dal sonno rispetto la giornata precedente, cosi' la rinascita nella vita futura non modifica sostanzialmente l' INDOLE precedente.
In definitiva la tesi secondo la quale non ESISTE uno sperimentatore non è prerogativa del BUDDISMO ma solo del buddismo Theravada altre scuole buddiste "ammettono" che esista una mente sottilissima (che potremmo chiamare Anima o Io o Sè o se vogliamo bagaglio di esperienze).

Si potrebbe obbiettare al fatto che se anche l'INDOLE (maturata di vita in vita) svanisce con la morte, non vi sarebbe alcun chè che possa andare nel nirvana. Dove nel nirvana esiste uno STATO PERMANENTE della mente che ha raggiunto il massimo stato esperenziale e non deve piu' passare da uno stato all'altro.

Praticamente la morte sarebbe simile al passaggio dal sonno alla veglia e dalla veglia al sonno dove ad ogni risveglio (ogni mattina) tutti i ricordi del giorno precedente svaniscono (in quanto materia) ma rimane l'indole intatta.
Bene... pare che per altre scuole buddiste sia questa INDOLE a passare di vita in vita.

(motivo per cui, alcuni bambini hanno l'indole di uccidere le formiche, altri di difenderle avendo avuto ad esempio medesima educazione e medesime esperienze)

scusate ho scritto di ultra fretta perchè sono a lavoro quindi perdonate orrori ortografici. Non ho riletto :D :D :D

Loris Bagnara

Citazione di: Apeiron il 19 Marzo 2018, 12:41:22 PM
In realtà sono curioso del processo della reincarnazione/rinascita nella teosofia. Nel buddhismo e nell'induismo la rinascita può anche avvenire nel mondo animale. Nella teosofia è possibile cio? Da quel pochissimo che so non è possibile (un po' come nel caso di Platone...)
Avete detto molte cose, tu Apeiron e Sariputra, che vanno digerite con calma: e allora "prendo tempo" rispondendo alla tua domanda di cui sopra.

La concezione teosofica è assolutamente monista, come ben dici. L'unica vera essenza è il non-manifesto, Brahman, detto anche Parabrahman, detto anche semplicemente QUELLO, ad indicare il fatto che è assolutamente privo di attributi. QUELLO è la radice ultima di tutto ciò che è manifesto. Quindi, è chiaro che solo QUELLO è vero, e tutto il resto è uno scendere sempre più in profondità nell'illusione. Paradossalmente, perfino il Sé universale è un'illusione rispetto a QUELLO.

Ora, secondo questa visione (che è molto prossima a quella induista, come giustamente riconosci) dal piano divino del Sé universale si generano delle scintille, le monadi, intese come una"porzione" di sostanza divina (scusate l'inadeguatezza del linguaggio) che si riveste di un velo, o in altri termini si dotano di un veicolo, di un corpo per poter scendere più in profondità nell'illusione. A che scopo? L'illusione è un gioco divino (Lila) che serve al Sé universale per fare esperienza di Se stesso, attraverso le esperienze delle singole monadi.

Man mano che l'universo intero si articola e si dispiega in piani sempre più grossolani, dove vige la dualità della contrapposizione (illusoria) fra spirito e materia, anche le monadi si dotano di veicoli via via più grossolani, per sperimentare quei piani.
Al livello di questo universo materiale, le monadi si "incarnano" dapprima come minerali, e fanno esperienza del regno minerale; passano poi al regno vegetale, e fanno esperienza del regno vegetale; passano quindi al regno animale, e quando hanno completato l'esperienza di questo passano al regno umano. Ci sono anche regni oltre-umani, ma di questi ben poco possiamo dire.

Man mano che la monade progredisce di vita in vita, di regno in regno, accadono due cose:

  • il suo veicolo meno grossolano, che viene detto "corpo causale", conserva le registrazioni delle esperienze fatte nelle singole vite dai corpi più grossolani (i corpi materiali e psichici);
  • il "raggio della sua individualità" (scusate ancora la goffaggine del linguaggio) si restringe sempre più, si affila sempre più: se nel regno minerale una monade è vasta quanto un intero pianeta, nel regno vegetale può estendersi a un bosco, nel regno animale può circoscriversi ad uno sciame d'api, negli animali superiori arriva a limitarsi agli individui di un gruppo familiare finché, in alcuni animali che hanno fatto sufficiente esperienza, scatta l'individuazione e divengono veri individui, incarnandosi come esseri umani nella vita successiva (questi animali sono cani, gatti, elefanti: quelli che sono in contatto con esseri umani).

E' evidente quindi che tutto il processo sopra descritto ha lo scopo accumulare esperienze per costruire l'individualità dell'essere umano, poi oltre-umano. Ma questo è solo il ramo discendente dell'evoluzione, quello che affonda nella materia. Ad un certo punto, l'individuo riconosce la vera realtà (che è l'UNO) e comincia il suo percorso ascendente che lo porta ad abbandonare (perché superati) gli strumenti che servirono a costruire la sua individualità; fino a che, dopo un tempo più o meno lungo, potrà ricongiungersi alla Sorgente.
Ma - e qui è il mistero, l'incomprensibile per le nostre menti limitate - il ricongiungimento non è annullamento, tutta l'esperienza accumulata si riversa nella sorgente, anche l'individualità resta, benché inclusa nel Sé universale, e mantiene piena coscienza di Sé e di tutta la sua storia. Diciamo che, ricongiunta alla sorgente, la monade ha la facoltà di entrare in una modalità di coscienza tale da recuperare il senso dell'individualità che è stata sua per miliardi di anni.

Non so se qualcuno di voi avverte, come io avverto, la grandiosa bellezza di una concezione del genere, dove tutto acquista un senso, e dove anche la vita terrena con le sue sofferenze non è qualcosa da cui fuggire (come sembra essere per il buddismo), ma è solo come il faticoso studio dell'alunno che sa di dover sgobbare per essere promosso...

Quindi, in definitiva, per un teosofo quel che si reincarna (il corpo causale) è solo un veicolo, certamente illusorio rispetto al Sé universale da cui proviene, ma sempre meno illusorio del corpo materiale e psichico che corrisponde al sé personale della sua vita terrena. Illusione dentro illusione, scatole cinesi: l'illusione di ordine superiore contiene quella di ordine inferiore, ed è realtà per essa...

Alla domanda se l'essere umano possa reincarnarsi in un animale, la risposta del teosofo è (come prevedevi)no: lo studente può essere bocciato, ma non retrocesso. Quel che ha acquisito, l'ha acquisito per sempre.

P.S. Quel che ha appena scritto Bluemax mi torna molto bene... ;-)

acquario69

Citazione di: Loris Bagnara il 19 Marzo 2018, 19:03:31 PM
La concezione teosofica è assolutamente monista, come ben dici. L'unica vera essenza è il non-manifesto, Brahman, detto anche Parabrahman, detto anche semplicemente QUELLO, ad indicare il fatto che è assolutamente privo di attributi. QUELLO è la radice ultima di tutto ciò che è manifesto. Quindi, è chiaro che solo QUELLO è vero, e tutto il resto è uno scendere sempre più in profondità nell'illusione. Paradossalmente, perfino il Sé universale è un'illusione rispetto a QUELLO.

Ora, secondo questa visione (che è molto prossima a quella induista, come giustamente riconosci) dal piano divino del Sé universale si generano delle scintille, le monadi, intese come una"porzione" di sostanza divina (scusate l'inadeguatezza del linguaggio) che si riveste di un velo, o in altri termini si dotano di un veicolo, di un corpo per poter scendere più in profondità nell'illusione. A che scopo? L'illusione è un gioco divino (Lila) che serve al Sé universale per fare esperienza di Se stesso, attraverso le esperienze delle singole monadi.

Man mano che l'universo intero si articola e si dispiega in piani sempre più grossolani, dove vige la dualità della contrapposizione (illusoria) fra spirito e materia, anche le monadi si dotano di veicoli via via più grossolani, per sperimentare quei piani.
Al livello di questo universo materiale, le monadi si "incarnano" dapprima come minerali, e fanno esperienza del regno minerale; passano poi al regno vegetale, e fanno esperienza del regno vegetale; passano quindi al regno animale, e quando hanno completato l'esperienza di questo passano al regno umano. Ci sono anche regni oltre-umani, ma di questi ben poco possiamo dire.

Man mano che la monade progredisce di vita in vita, di regno in regno, accadono due cose:

  • il suo veicolo meno grossolano, che viene detto "corpo causale", conserva le registrazioni delle esperienze fatte nelle singole vite dai corpi più grossolani (i corpi materiali e psichici);
  • il "raggio della sua individualità" (scusate ancora la goffaggine del linguaggio) si restringe sempre più, si affila sempre più: se nel regno minerale una monade è vasta quanto un intero pianeta, nel regno vegetale può estendersi a un bosco, nel regno animale può circoscriversi ad uno sciame d'api, negli animali superiori arriva a limitarsi agli individui di un gruppo familiare finché, in alcuni animali che hanno fatto sufficiente esperienza, scatta l'individuazione e divengono veri individui, incarnandosi come esseri umani nella vita successiva (questi animali sono cani, gatti, elefanti: quelli che sono in contatto con esseri umani).

E' evidente quindi che tutto il processo sopra descritto ha lo scopo accumulare esperienze per costruire l'individualità dell'essere umano, poi oltre-umano. Ma questo è solo il ramo discendente dell'evoluzione, quello che affonda nella materia. Ad un certo punto, l'individuo riconosce la vera realtà (che è l'UNO) e comincia il suo percorso ascendente che lo porta ad abbandonare (perché superati) gli strumenti che servirono a costruire la sua individualità; fino a che, dopo un tempo più o meno lungo, potrà ricongiungersi alla Sorgente.
Ma - e qui è il mistero, l'incomprensibile per le nostre menti limitate - il ricongiungimento non è annullamento, tutta l'esperienza accumulata si riversa nella sorgente, anche l'individualità resta, benché inclusa nel Sé universale, e mantiene piena coscienza di Sé e di tutta la sua storia. Diciamo che, ricongiunta alla sorgente, la monade ha la facoltà di entrare in una modalità di coscienza tale da recuperare il senso dell'individualità che è stata sua per miliardi di anni.

Non so se qualcuno di voi avverte, come io avverto, la grandiosa bellezza di una concezione del genere, dove tutto acquista un senso, e dove anche la vita terrena con le sue sofferenze non è qualcosa da cui fuggire (come sembra essere per il buddismo), ma è solo come il faticoso studio dell'alunno che sa di dover sgobbare per essere promosso...

Quindi, in definitiva, per un teosofo quel che si reincarna (il corpo causale) è solo un veicolo, certamente illusorio rispetto al Sé universale da cui proviene, ma sempre meno illusorio del corpo materiale e psichico che corrisponde al sé personale della sua vita terrena. Illusione dentro illusione, scatole cinesi: l'illusione di ordine superiore contiene quella di ordine inferiore, ed è realtà per essa...

Alla domanda se l'essere umano possa reincarnarsi in un animale, la risposta del teosofo è (come prevedevi)no: lo studente può essere bocciato, ma non retrocesso. Quel che ha acquisito, l'ha acquisito per sempre.


Molto interessante la tua esposizione.
certo personalmente non posso fare a meno di chiedermi il motivo fondamentale di quest' "esame" a cui pare anche a me siamo sotto-posti...anche perché questo implica, sempre secondo me una condizione, che francamente non mi sembra particolarmente favorevole.
ma forse questo sarebbe solo un problema secondario.

Ad ogni modo l'interpretazione che ne do io dell'incarnazione e' che questa non può concepirsi come un banale reincarnarsi in un altro corpo, quale che sia, dopo la morte.
Secondo me non vi sarebbe nessuna incarnazione, intesa appunto nel senso letterale del termine

Per quanto si possa appunto presumere un "evoluzione" ,forse si può anche dire che questa andrebbe intesa in senso universale ma non strettamente individuale.
L'individuo allora e' una -delle tante indefinite- forme,e che essendo tale,si esprime (o si manifesta) nella dimensione spazio-temporale
Mi viene in mente l'idea della coagulazione, che e' pure della materia, fino a scendere a quella più grossolana, (discendente), mentre a salire (ascendente) vi sarebbe l'altra estremità dello Spirito. 
Questo dovrebbe far presumere che siano in realtà un unica e identica cosa.
ossia sempre lo stesso Spirito indifferenziato e non manifesto..che si manifesta..che "scende" per appunto manifestarsi.
questo in un certo senso mi pare lo riscontri anche la fisica moderna ma lo sapevano già molto prima di noi le "antiche" scienze sacre di tutti i tempi

Detto questo (probabilmente in maniera un po confusa dati i miei ovvi limiti delle mie stesse possibilità  :) ) allora ritengo che cio che si "reincarna" e' lo stesso SE di sempre (eterno-immutabile) in altre forme o in altre condizioni di manifestazione.

Forse quando ti riferisci  a quel faticoso studio e a quel dover sgobbare ,e' come se,in altre parole (le mie in questo caso),sarebbe appunto quel "salire" fino a ricongiungerci allo Spirito,o al SE' , come totale consapevolezza della nostra reale natura (la goccia che si ricongiunge all'oceano,nella quale non era in realtà mai separato...cio che lo separava era "semplicemente" la nostra stessa illusione di separazione)

PS: 
credo sia interessante far notare come nella generale mentalità attuale (in verità a partire da qualche secolo indietro) si sia fatto esattamente il percorso all'inverso - cioè quello di concepire un IO separato e perciò a tutte le conseguenze che questa erronea concezione ha prodotto e ci ha condotto,oggi più che mai riscontrabili - 
..e secondo me bisognerebbe proprio ripartire da questo, per poter cambiare veramente 

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