Karma e reincarnazione

Aperto da Loris Bagnara, 15 Marzo 2018, 11:21:45 AM

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Angelo Cannata

È chiaro che lo scetticismo non può apparire costruttivo a chi ritiene che le costruzioni debbano esistere esclusivamente secondo certi criteri. Anche scoprire che la terra non era il centro dell'universo non dovette risultare per niente costruttivo, visto che minava alla radice la sensazione dell'uomo di essere qualcosa di importante. Poi però si vide che si poteva vivere lo stesso, per certi versi anche meglio, senza bisogno di ritenersi il centro dell'universo. Che senso ha stabilire in anticipo che esplorare modi di pensare diversi non possa essere costruttivo? Non serve ad altro che a precludersi la conoscenza prima ancora di averne fatto esperienza. Anche delle geometrie non euclidee si sarebbe potuto stabilire in anticipo che non avrebbero potuto avere niente di costruttivo.

Lo scettico sa di farsi male, ma non scambia questo male con ragione: farsi male non dimostra niente; la violenza, anche quella della natura contro noi umani, non è dimostrazione di alcunché, è solo violenza.

Figuriamoci se meriti di essere elevato a guida il "sano buonsenso": ogni epoca ha ritenuto buonsenso i propri modi di pensare, salvo poi scontrarsi con civiltà diverse, culture diverse, epoche storiche diverse.

iano

#31
Citazione di: Loris Bagnara il 17 Marzo 2018, 10:04:37 AM
Citazione di: Apeiron il 16 Marzo 2018, 19:46:26 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 16 Marzo 2018, 16:39:31 PM
Citazione di: Suttree il 16 Marzo 2018, 13:27:49 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 16 Marzo 2018, 13:18:30 PM
Citazione di: Apeiron il 16 Marzo 2018, 12:55:45 PMSi può non essere d'accordo con ciò, ma questo non significa che non si può fare a meno di una spiegazione religiosa. Infatti la scienza spiega "perchè esistiamo?" senza andare a parare "teleologie" di vario tipo. Ciò non significa, chiaramente, che non esistono. Ma quello che voglio dire è che la spiegazione dei fenomeni non necessariamente deve essere teleologica e, anzi, nella scienza non lo è.
Se mi dici che la scienza afferma la possibilità che l'universo emerga per caso dal nulla, ebbene, questa NON è una spiegazione, e l'universo della scienza allora NON è intelligibile. A parte il fatto che trovo singolarissimo che lo scienziato trascorra la vita a cercare le cause dei fenomeni e poi, giunto al Big Bang, trovi coerente affermare che "è nato tutto per caso"... no?
Che poi si guarda bene dal dire così, perchè la cosiddetta fluttuazione quantistica del vuoto è molto diversa dal nulla. Il vuoto quantistico in realtà è assai pieno :) Nessuno scienziato può dire che l'universo sia emerso dal nulla, se lo dice fa un'affermazione filosofica non scientifica.
Infatti, concordo. Ma, aggiungo, sia chiaro che la scienza non se la cava dicendo che esiste il vuoto quantistico e che questo può fluttuare generando entità di energia, spazio e tempo... Perché esiste il vuoto quantistico? Perché ha quelle precise leggi e non altre? Perché l'esistente sottostà a delle leggi e non è semplicemente caos?

Ok, provo a spiegarmi meglio  ;)

Non ho mai detto che secondo la cosmologia moderna l'universo viene dal "nulla" (anche se effettivamente il fisico Krauss lo ha detto). Semplicemente quello che volevo dire è che anche dire che "esistiamo per caso" è una possibile spiegazione. Semplicemente il nostro universo è "nato" e noi esistiamo come effetto dell'evoluzione naturale senza "tirare in ballo" un Creatore o il karma o quant'altro. Uno può non essere d'accordo con la visione "materialista", tuttavia bisogna riconoscere che dal punto di vista scientifico è ineccepibile. Come ho detto altrove non sono d'accordo con essa nemmeno io, però posso ben capire perchè pensatori di tutto rispetto abbracciano una visione di questo tipo.

cit Loris Bagnara
Allora non mi leggi attentamente, Apeiron   ! Non ho affatto parlato di spiegazioni religiose o teleologiche. Ho parlato di intelligibilità: ossia, ogni cosa deve avere una ragione necessaria e sufficiente che ne spieghi l'esistenza.

Secondo me invece il caso è una possibile spiegazione, validissima dal punto di vista scientifico. Se però cominciamo ad analizzare la dimensione dell'etica, per esempio, comincia secondo me a vacillare. ;)


Riguardo al buddhismo...

cit Loris Bagnara
Ora, non posso credere che Buddha abbia impiegato anni di durissime pratiche e profondissime meditazioni per giungere a un risultato tanto banale.
E' evidente per me che ha inteso dire altro, e che l'insussistenza dell'io è vera solo se si intende la personalità, quella che nel post precedente ho chiamato anima; ma non lo spirito, il Sé superiore.

Secondo le scritture buddhiste Buddha non ha trovato un "Sé superiore".  Secondo il buddhismo le dottrine che parlano di un "Sé" contengono una traccia di quel desiderio di "persistenza" che mantiene in essere il samsara.
Una spiegazione della posizione della scuola Theravada la puoi trovare in questi due eccellenti post di @Sariputra: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/dubbio-ltlt-mentale-gtgt/msg18256/#msg18256, https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/dubbio-ltlt-mentale-gtgt/msg18257/#msg18257  

Ad ogni modo Buddha nega anche l'esistenza di un "principio originatore di tutte le cose", ovvero di una "causa ontologica" di tutte le cose. In sostanza mentre l'advaita ritiene che Brahman sia "il Sole dell'esistenza" (ovvero la causa di tutto, così come il Sole rende luminose le nostre giornate e ci trasferisce il calore necessario alla vita) e che il nostro "vero Sé" sia Brahman, il buddhismo vede la posizione dell'advaita come dovuta ad un desiderio di "persistenza" molto "sottile". Nel buddhismo infatti la liberazione non è data dalla conoscenza del "vero Sé", bensì dalla completa estinzione del processo di identificazione. Inoltre come dicevo prima non c'è "causa prima" (di nessun tipo, nemmeno di quelle più "filosofiche").
Non sono affatto d'accordo: affermare che l'universo possa esistere "per caso" è eccepibilissimo proprio dal punto di vista scientifico, proprio in relazione alle premesse da cui parte la scienza. E' una soluzione di comodo per non sentirsi tenuti a fornire spiegazioni.

Innanzitutto il "caso", a ben vedere, non è altro che un'etichetta data ai fenomeni non conosciamo esaurientemente, e che quindi noi approcciamo con alcuni strumenti matematici che ci consentono una conoscenza approssimativa dei fenomeni in questione. Dunque, applicare all'universo l'etichetta del "caso" significa semplicemente riconoscere che non conosciamo esaurientemente l'universo. Bella spiegazione, no?
E poi il caso, operativamente, è legato all'approccio matematico-probabilistico, ma la vedo veramente dura applicare questo approccio all'esistenza dell'universo. Quante sono le probabilità che l'universo esista? Qual è la popolazione statistica che esaminiamo per valutare le probabilità che l'universo esista, rispetto alla sua non esistenza? E' evidente che sono domande prive di senso, perché appunto è priva di senso l'etichetta di casualità applicata all'universo.

Aggiungo questo. La scienza afferma il principio di causalità, e lo applica implacabilmente a tutti i fenomeni. Poi, giunta al fenomeno dei fenomeni, l'universo... be', qui no, qui se ne può anche fare a meno, qui basta invocare il caso, e magari anche un po' di fortuna... Dov'è la coerenza? Se SI afferMA il principio di causalità, lo si deve fare senza eccezionI, e poi trarne tutte le necessarie conseguenze logiche.

Postilla. Nemmeno la meccanica quantistica può essere chiamata in causa per legittimare scientificamente il caso. una delle più brillanti interpretazioni della meccanica quantistica, quella di David Bohm, afferma che sotto l'apparente causalità c'è l'ordine implicito che non siamo in grado di percepire...

Postilla 2. In risposta all'ultimo messaggio di Iano. Sulla meccanica quantistica, vedi sopra. Sul rapporto fra caos e leggi, a mio avviso l'esistenza di leggi è più problematica del caos. Troverei più "naturale" l'esistenza del puro caos, che non un cosmo (etimologicamente: "ordine").
Ma in effetti la nostra conoscenza è approssimativa , a partire dalle misure che sanzionano i fatti .E quindi?
Se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno , al massimo possiamo dire che è approssimativa quanto basta , o quanto ce la facciamo bastare.
Dire che ciò deriva da un nostro limite , che magari si sposta sempre avanti, senza pur mai essere eliminato, vale come dichiarare l'esistenza di un processo che , al limite, ci conduce alla perfezione , senza poterla mai raggiungere. Un modo da un lato di riconoscere necessariamente i nostri limiti , e dal!altro di sentirsi parte in causa di una qualche perfezione.
Questo atteggiamento mentale comporta che ad ogni progresso della scienza , specie quando sembri comportare cambiamenti radicali di paradigma mentali , dobbiamo ammettere di aver sbagliato , intraprendendo un penoso ravvedimento.
Ma quante volte possiamo ripetere questa pantomima prima di stufarcene ?
Aggiungi a ciò che comunque troviamo utile usare ancora le vecchie teorie sbagliate , e capisci che il minimo comun denominatore di tutte le teorie è la loro utilità.
Questa utilità non avrebbe luogo se non esistesse un meccanismo di causa effetto , tanto che se non esistesse bisognerebbe inventarlo. Il meccanismo di causa ed effetto non garantisce però la conciliabilità a priori delle teorie che ne fanno uso.
Le teorie sono diverse tra loro fino al punto che alcune sembrano del tutto inconciliabili , e basta vedere quanto siano diverse le loro premesse , per mettere da parte la sorpresa che ciò sembra suscitare in noi.
Ognuna ci propone un diverso ordine fra le cose del mondo , e ogni cosa del mondo è essa stessa una teoria , è certamente quando queste diverse teorie si conciliano , quando cioè troviamo un ordine tra queste diverse proposte di ordine , il mondo appare in una unità meglio gestibile.
Una cosa è che ciò sia desiderabile dunque , altro è dare per scontato che alla fine le cose devono necessariamente prendere questa piega.
Partendo da qui capisco che vien da se' l'ipotizzare un ordine assoluto ,e  cercare quest'ordine attraverso gli strumenti usati per trovare gli ordini parziali è naturale pure , ma anche potenzialmente fuorviante.
Ma non è una cosa che dovrebbe venire da se' , anche se fino a un certo punto ci è andata bene così.Ha ragione Angelo.
Quando la fisica quantistica propone il caso alla sua base , non sta buttando via i meccanismi di causa ed effetto, ma ne mette in luce il carattere strumentale l continuando a  farne uso .
L'unica causa vera che ci interessa è quella che determina la nostra conoscenza , e quindi l'esistenza di un mondo assoluto, che però non potremo mai dimostrare , per quanto facciamo il tifo , ma i meccanismi con cui questa viene a determinarsi , che a priori sono relativi , compresi i meccanismi di causa ed effetto.
Gli ordini che intravediamo in questo supposto mondo non sono mai assoluti , ma relativi al nostro punto di vista e relativi sono anche gli strumenti con cui costruiamo questi ordini.
Questo non dovrebbe ,  vorrebbe ,  essere un disincentivo a una ricerca costruttiva  , ma l'invito ad una ricerca consapevole , che ci responsabilizzi e che ci faccia sentire artefici e non vittime predestinate di una scienza assoluta e impersonale. Singolare che oggi la scienza reciti il ruolo di matrigna , che una volta era della natura che essa sembra aver dominato.
Se l'acquisizione di consapevolezza non fosse un processo continuo , potremmo semplificare dicendo che un punto di rottura nella storia della scienza sia l'acquisizione della consapevolezza dei suoi processi, con l'inevitabile messa in discussione degli strumenti usati in quei processi , compreso il determinismo.
Usare il determinismo con maggior consapevolezza , non certo ripudiarlo , è , come credo , la meta.
In fisica quantistica lo abbiamo già fatto , anche se ancora lo dobbiamo digerire.
Quando lo avremo digerito cambieremo da così a così, ammesso che l'evoluzione sia un processo discontinuo , ma almeno quello possiamo ancora pensarlo come continuo senza fare troppo danno.😄
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Apeiron

#32
Nota su Bohm: l'interpretazione della meccanica quantistica di Bohm "originale" - quella del 1952 - descrive un universo deterministico formato da particelle puntiformi che interagiscono non-localmente. La distinzione tra ordine implicito e ordine esplicito che dal punto di vista filosofico è piuttosto interessante l'ha introdotta molto più tardi su influenza probabilmente di Krishnamurti.  Tuttavia tra i fisici l'interpretazione bohmiana è quella del 1952 (anzi negli ultimi vent'anni si è anche visto che non è necessario il "potenziale quantistico" e la realtà fisica della funzione d'onda, a differenza di quanto Bohm pensava).

La mia opinione sullo scetticismo...
Il punto è che un minimo di "fede" nell'intelligibilità delle cose è presente anche tra gli scienziati. Mentre la parola "dimostrazione" può avere senso a livello della matematica, della logica o di qualche discussione filosofica (es: dimostrare l'incoerenza di una posizione filosofica) nel caso della scienza ci sono un sacco di problemi ad usare tale parola (da qui le "polemiche" sulla demarcazione, sul verificazionismo, falsificazionismo e così via).

Per esempio uno scettico tout court potrebbe mettere in discussione che la Terra è "quasi sferica" dicendo che è possibile che ci sia un "Genio Maligno" che ci inganna. La scienza si limita a testare le ipotesi, a verificarle di volta in volta ecc. Rigorosamente dunque la scienza non arriva a "dimostrare" (o "scoprire") niente. A meno che non si ha un po' di "fede" nella scienza stessa. Per esempio devo avere un minimo di fiducia che il microscopio non mi inganna se voglio parlare di batteri e così via.

E qui dunque si mostra la problematicità dello "scetticismo": nel fatto che in realtà è preferibile prendere posizione a volte. Lo scetticismo estremo è in fin dei conti una fuga. Dunque dobbiamo essere pronti anche ad accettare certe posizioni piuttosto che altre dopo aver analizzato esse con la ragione. Ergo, il problema non è "prendere una posizione" quanto l'attaccamento alle posizioni. Attualmente ho certamente una mia "visione delle cose" e attualmente ritengo che la mia visione delle cose sia "migliore" rispetto a molte altre. Però cerco di tenere la mente aperta per accogliere una posizione che mi sembrerà migliore della mia. Rischio di finire nella gabbia dell'illusione? Sì. Tuttavia non posso non prendere posizioni. Fin dalle questioni più semplici come ad esempio gestire un normalissimo imprevisto e scegliere cosa scrivere su questo Forum (scrivo ciò che scrivo perchè credo che sia giusto scriverlo). Oppure quando scelgo una interpretazione della meccanica quantistica piuttosto che un'altra. Fino ad arrivare a decidere se credere per esempio l'universo è stato creato o meno. Non posso saperlo però posso confrontare le varie "visioni del mondo" che sono state esposte dai pensatori del passato e del presente e scegliere quella che mi sembra la migliore, cercando di mantenere per quanto possibile una mentalità aperta e disposta a cambiare idea. Sì anche questa è una forma di "scetticismo". Tuttavia è una forma di scetticismo che mi permette di dire che è preferibile pensare che noi possiamo sapere che esistono batteri e virus e che posso curare le malattie dovute ad essi con i farmaci opportuni. Mi permette di dire che è ragionevole pensare che la relatività generale è una più ragionevole descrizione della "gravità" della fisica newtoniana. Mi permette di dire che è più ragionevole pensare che domattina il Sole sorgerà ancora. Ma oltre a queste "cose scontate" questo mio scetticismo mi permette di interrogarmi e provare a dare per quanto possibile delle risposte anche su argomenti più spinosi come la natura dell'etica, su cosa è giusto e cosa non lo è, se ci sarà una continuazione dell'esistenza dopo la morte, se la matematica è solo convenzionale e così via. Questo scetticismo è vivo, attivo e aperto alla novità. Ovviamente ciò non toglie che tutto ciò che dico, tutte le mie risposte possono essere errate. A suo modo inoltre è coraggioso e produttivo. Invita alla ricerca. Se parto dall'idea che questa mia ricerca non mi porterà mai a nulla, non mi aiuterà in nessun modo a "uscire" dalla gabbia (o almeno in parte) che non potrò stabilire niente allora parto con un assioma. Così come è un assioma pensare che nessuno nella storia sia riuscito ad uscire dalla gabbia, almeno in parte. Assiomi che non condivido anche se posso rispettare. Motivo per cui il mio scetticismo in realtà è una ricerca.

Ovviamente è solo la mia opinione. Altri potranno non essere d'accordo.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

#33
Citazione di: iano il 17 Marzo 2018, 14:40:40 PMPer Iano
Possiamo stabilire ragionevolmente che una teoria è migliore di un'altra. Per esempio la relatività ci dà un'immagina migliore delle cose rispetto alla fisica newtoniana. Se non ammettiamo questo non ha nemmeno senso parlare di "evoluzione". Dunque la scienza ci permette di "uscire" in parte dalla gabbia della nostra "ignoranza". Uno scettico potrebbe dire che non posso dirlo con certezza. Io gli rispondo che lui è troppo pedante: ad un certo punto lo scetticismo deve essere abbandonato in parte. Ma tutti questi discorsi hanno come assioma di partenza che la realtà è per noi almeno parzialmente comprensibile. Se togliamo questo assioma non si può nemmeno parlare di "evouzione"
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Angelo Cannata

Citazione di: Apeiron il 17 Marzo 2018, 15:36:36 PMPer esempio devo avere un minimo di fiducia che il microscopio non mi inganna se voglio parlare di batteri e così via.
Lo scienziato non ha bisogno di aver fiducia nel microscopio, perché egli non va in cerca di verità ultime, né le chiede al suo microscopio. La scienza non cerca verità, cerca sperimentabilità. Se uno scienziato scopre un batterio attraverso il suo microscopio, il suo compito non è concludere che quel batterio esiste in senso ultimo, irriducibile, assoluto. Il suo compito è prendere nota che i risultati dati dal microscopio inducono a ritenere opportuno trattare quel batterio come presente, attivo, vivo, ecc., con tutte le caratteristiche proprie di quel batterio. Ma da qui a concludere che quel batterio esiste in un senso fondamentale e assoluto ne corre. Lo scienziato cerca esperimenti, applicabilità, verificabilità, falsificabilità, insomma cerca il pratico.
Qualcuno potrebbe chiedersi come si possono attribuire a quel batterio proprietà e capacità di alcun genere se si dubita della sua esistenza. Ma questo significa confondere filosofia e scienza. Esistere in senso scientifico non significa esistere in senso assoluto, significa semplicemente essere sperimentabile. Che poi questa sperimentabilità sia tutta un'illusione, non è affare della scienza; la scienza se ne può occupare solo se esistono ulteriori esperimenti in grado di introdurre chiarezze pratiche sulla questione. Ma niente che non sia sperimentabile.
La scienza non dice, strettamente parlando, che i globuli rossi esistono; dice che gli esperimenti forniscono certi risultati. Se vogliamo dire che esistono in senso scientifico, significa dire che riteniamo opportuno trattarli come esistenti, secondo ciò che nella nostra rude vita pratica significa trattare le cose come esistenti. Ma trattare le cose come esistenti non significa aver stabilito che esistono in senso fondamentale e assoluto. Sono due cose diverse.

Apeiron

Citazione di: Angelo Cannata il 17 Marzo 2018, 15:51:38 PM
Citazione di: Apeiron il 17 Marzo 2018, 15:36:36 PMPer esempio devo avere un minimo di fiducia che il microscopio non mi inganna se voglio parlare di batteri e così via.
Lo scienziato non ha bisogno di aver fiducia nel microscopio, perché egli non va in cerca di verità ultime, né le chiede al suo microscopio. La scienza non cerca verità, cerca sperimentabilità. Se uno scienziato scopre un batterio attraverso il suo microscopio, il suo compito non è concludere che quel batterio esiste in senso ultimo, irriducibile, assoluto. Il suo compito è prendere nota che i risultati dati dal microscopio inducono a ritenere opportuno trattare quel batterio come presente, attivo, vivo, ecc., con tutte le caratteristiche proprie di quel batterio. Ma da qui a concludere che quel batterio esiste in un senso fondamentale e assoluto ne corre. Lo scienziato cerca esperimenti, applicabilità, verificabilità, falsificabilità, insomma cerca il pratico. Qualcuno potrebbe chiedersi come si possono attribuire a quel batterio proprietà e capacità di alcun genere se si dubita della sua esistenza. Ma questo significa confondere filosofia e scienza. Esistere in senso scientifico non significa esistere in senso assoluto, significa semplicemente essere sperimentabile. Che poi questa sperimentabilità sia tutta un'illusione, non è affare della scienza; la scienza se ne può occupare solo se esistono ulteriori esperimenti in grado di introdurre chiarezze pratiche sulla questione. Ma niente che non sia sperimentabile. La scienza non dice, strettamente parlando, che i globuli rossi esistono; dice che gli esperimenti forniscono certi risultati. Se vogliamo dire che esistono in senso scientifico, significa dire che riteniamo opportuno trattarli come esistenti, secondo ciò che nella nostra rude vita pratica significa trattare le cose come esistenti. Ma trattare le cose come esistenti non significa aver stabilito che esistono in senso fondamentale e assoluto. Sono due cose diverse.

No, purtroppo questo è il punto dolente  ;D 

I filosofi della scienza dicono quanto tu dici. Il medico è ben convinto che esistono globuli rossi ed esistono batteri. Il fisico è convinto che la Terra è quasi sferica e che la nostra conoscenza delle cose è maggiore di quella che aveva l'umanità millenni fa. 

I medici sono convinti che ad esempio il nostro corpo è composto di cellule. In realtà sono proprio i filosofi della scienza a dire che la scienza non dimostra l'esistenza dei batteri. Il medico invece ne è ben convinto. Se non sei d'accordo, indicami una citazione di un medico che dice che i batteri non esistono o che non è necessario avere fiducia dei microscopi.

Presentami una citazione di un fisico che crede che oggi non possiamo dire ragionevolmente di comprendere meglio i fenomeni naturali di 3000 anni fa. Dopo ne riparliamo  ;)



Ripeto ancora: "Ragionevole" non implica "certo". "Convinto" non implica "certezza che non può essere mutata da nuove evidenze". E così via...
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Angelo Cannata

Citazione di: Apeiron il 17 Marzo 2018, 16:02:06 PMRipeto ancora: "Ragionevole" non implica "certo". "Convinto" non implica "certezza che non può essere mutata da nuove evidenze". E così via...
Se precisi questo, allora siamo d'accordo. Il problema è che su questo non si fa mai chiarezza. Si confonde in continuazione il senso che le parole hanno in filosofia e il senso che hanno nella scienza.

Se in filosofia si parla dell'essere, non si può intendere che si stia parlando di un essere che potrebbe anche non essere. Parmenide su questo è stato chiaro: l'essere è, non ci sono discussioni. Dire con Parmenide che l'essere è significa che esso non può essere soggetto ad evidenza alcuna, perché qualsiasi evidenza è sempre soggetta a mille critiche, mille discussioni. Invece l'affermazione filosofica di base di Parmenide "l'essere è" non ammette alcuna critica, nessuna discussione: se è è, non sono ammessi discorsi di sorta secondo i quali l'essere potrebbe anche non essere. Se è è. In questo senso la filosofia dell'essere è più radicale, più fanatica, di qualsiasi religione, di qualsiasi fanatismo. Ciò avviene perché la filosofia, quanto a radicalità delle questioni, non ammette di essere seconda a nessuno. Appena si scopre una questione che risulta essere più radicale di un'altra, la filosofia se ne assume immediatamente l'incarico, direi perfino il monopolio, perché questo è il compito della filosofia: andare in continuazione al massimo di radicalità. In questo senso la convinzione, se intesa in senso filosofico, è una presa di posizione radicale. Naturalmente il filosofo non fa questo per pretese di potere, per superbia o per fanatismo personale; lo fa perché vuole vedere dove conduce questo metodo, cioè il metodo di andare in continuazione al massimo della radicalità che ci è possibile mettere in pratica col nostro riflettere.

Dire che uno scienziato è convinto che quel batterio esiste è in questo senso di un'ambiguità micidiale, che porta un mare di confusione. Anch'io, se vedo una pietra che mi sta cadendo sulla testa sono convintissimo che essa mi ucciderà se non mi tolgo di mezzo. Ma si tratta di una convinzione che non raggiunge la radicalità della filosofia. La filosofia è ancora più radicale dell'impulso a togliermi di mezzo, perché la filosofia è riflessione e la riflessione consente di indagare sull'essere oltre le sue conseguenze sul nostro corpo. La filosofia indaga sull'essere in merito alle sue implicazioni sulla riflessione stessa, sull'indagare stesso, per cui è in grado di oltrepassare i significati pratici dell'essere convinti, del ritenere un assunto qualsiasi in senso meramente pratico.

Phil

Citazione di: Apeiron il 17 Marzo 2018, 15:36:36 PM
Ergo, il problema non è "prendere una posizione" quanto l'attaccamento alle posizioni. [...] Se parto dall'idea che questa mia ricerca non mi porterà mai a nulla [...] che non potrò stabilire niente allora parto con un assioma. Così come è un assioma pensare che nessuno nella storia sia riuscito ad uscire dalla gabbia, almeno in parte. Assiomi che non condivido anche se posso rispettare. Motivo per cui il mio scetticismo in realtà è una ricerca.

Ovviamente è solo la mia opinione. Altri potranno non essere d'accordo.
Personalmente, concordo con questo approccio in stile "epistemologia buddista"  ;)

Citazione di: Angelo Cannata il 17 Marzo 2018, 16:20:40 PM
Ciò avviene perché la filosofia, quanto a radicalità delle questioni, non ammette di essere seconda a nessuno. Appena si scopre una questione che risulta essere più radicale di un'altra, la filosofia se ne assume immediatamente l'incarico, direi perfino il monopolio, perché questo è il compito della filosofia: andare in continuazione al massimo di radicalità.
Qui invece concordo solo se rimpiazziamo "filosofia" con "metafisica": parlare di radicalità filosofica nel XXI secolo, è una gaffe da inguaribili nostalgici (e so che non lo sei...).  :) 

Angelo Cannata

Sì, infatti intendo dire che, da come vedo impostati i discorsi e da come mi vedo dare le risposte, trovo in queste occasioni confermati i miei sospetti. Cioè, i miei interlocutori stanno adottando, con o senza consapevolezza, una filosofia di tipo metafisico.

Se vedo che il mio interlocutore difende la certezza delle sue affermazioni facendo appello a tutti i paletti che riesce ad individuare, allora mi diventa naturale ritenere che egli sta pensando in maniera metafisica.

Ad esempio, un appello al "sano buon senso", al di là delle apparenze è segno di un pensare metafisico, cioè un dare per scontate delle certezze che, in realtà, vanno ben oltre il semplice e pratico buon senso.

Apeiron

#39
Citazione di: Angelo Cannata il 17 Marzo 2018, 16:20:40 PM
Citazione di: Apeiron il 17 Marzo 2018, 16:02:06 PMRipeto ancora: "Ragionevole" non implica "certo". "Convinto" non implica "certezza che non può essere mutata da nuove evidenze". E così via...
Se precisi questo, allora siamo d'accordo. Il problema è che su questo non si fa mai chiarezza. Si confonde in continuazione il senso che le parole hanno in filosofia e il senso che hanno nella scienza. Se in filosofia si parla dell'essere, non si può intendere che si stia parlando di un essere che potrebbe anche non essere. Parmenide su questo è stato chiaro: l'essere è, non ci sono discussioni. Dire con Parmenide che l'essere è significa che esso non può essere soggetto ad evidenza alcuna, perché qualsiasi evidenza è sempre soggetta a mille critiche, mille discussioni. Invece l'affermazione filosofica di base di Parmenide "l'essere è" non ammette alcuna critica, nessuna discussione: se è è, non sono ammessi discorsi di sorta secondo i quali l'essere potrebbe anche non essere. Se è è. In questo senso la filosofia dell'essere è più radicale, più fanatica, di qualsiasi religione, di qualsiasi fanatismo. Ciò avviene perché la filosofia, quanto a radicalità delle questioni, non ammette di essere seconda a nessuno. Appena si scopre una questione che risulta essere più radicale di un'altra, la filosofia se ne assume immediatamente l'incarico, direi perfino il monopolio, perché questo è il compito della filosofia: andare in continuazione al massimo di radicalità. In questo senso la convinzione, se intesa in senso filosofico, è una presa di posizione radicale. Naturalmente il filosofo non fa questo per pretese di potere, per superbia o per fanatismo personale; lo fa perché vuole vedere dove conduce questo metodo, cioè il metodo di andare in continuazione al massimo della radicalità che ci è possibile mettere in pratica col nostro riflettere. Dire che uno scienziato è convinto che quel batterio esiste è in questo senso di un'ambiguità micidiale, che porta un mare di confusione. Anch'io, se vedo una pietra che mi sta cadendo sulla testa sono convintissimo che essa mi ucciderà se non mi tolgo di mezzo. Ma si tratta di una convinzione che non raggiunge la radicalità della filosofia. La filosofia è ancora più radicale dell'impulso a togliermi di mezzo, perché la filosofia è riflessione e la riflessione consente di indagare sull'essere oltre le sue conseguenze sul nostro corpo. La filosofia indaga sull'essere in merito alle sue implicazioni sulla riflessione stessa, sull'indagare stesso, per cui è in grado di oltrepassare i significati pratici dell'essere convinti, del ritenere un assunto qualsiasi in senso meramente pratico.

Punti condivisibili  :) come ho cercato dire, io sono sempre pronto a cambiare le mie idee se trovo qualcosa che mi sembra migliore. Ma se non trovo nulla di migliore e le obiezioni che mi vengono rivolte non mi sembrano sufficienti per farmi abbandonare le mie idee non le cambio ;)  
La metafisica non è un male per me.  Non credo che porti a niente di male. Uno può credere nell'esistenza delle forme platoniche. Ciò non significa che sia un dogmatico e non voglia assolutamente mettersi in discussione.  

A proposito di Parmenide... in realtà vorrei spezzare una lancia a suo favore se mi è concesso. Parmenide scoprì che da un lato c'è la realtà mutevole e dall'altro ci sono i concetti - che ci piaccia o no anche per parlare adesso stiamo utilizzando concetti. Detto questo Parmenide ha scoperto che i nostri concetti sono dopotutto "fissi" e il concetto più "semplice" è in fin dei conti quello di essere. "L'essere è" appunto. Tuttavia Parmenide fu il primo a rendersi conto che la nostra capacità di comprendere è in fin dei conti basata su concetti che per loro natura sono fissi anche quando si devono riferire a qualcosa di mutevole. Dunque Parmenide enunciò il suo famosissimo aforisma: "l'essere è e non può non è essere. Il non essere non è e non può essere". Dal mio punto di vista questa è un'intuizione geniale: visto che l'esperienza sensibile non è fissa allora non ha nemmeno senso prendersi la briga di stabilire dividere la realtà in "cose" e mantenere tale divisione in modo dogmatico.

Se ci pensiamo siamo molto bravi a dividere la realtà. Questo è il "monte Bianco", quello è il "monte Rosa". E siamo talmente bravi a farlo che finiamo per credere che queste divisioni siano nella realtà sensibile. E invece se analizziamo il monte Bianco e il monte Rosa vediamo che mutano, variano ecc. A ben vedere il "monte Bianco" di ieri non è il "monte Bianco" di oggi. Ma si somigliano molto. Anche io somiglio molto a "me" di ieri. Tuttavia qualcosa è cambiato, quindi non sono esattamente "me" di ieri. E dunque Parmenide, se non erro, arrivò a dire che possiamo solo avere opinioni sulla realtà. Opinioni e non conoscenza certa. Ma secondo me nell'antichità probabilmente i filosofi erano poco interessati ad una conoscenza sterile, volevano arrivare ad un altro obbiettivo. Quale? Forse la pace interiore... Sì, così si spiega la "fuga" di Parmenide. Dogmatismo? No, non c'è il dogmatismo secondo me. Anzi dice precisamente quello che direbbe un Sesto Empirico o un Pirrone: è impossibile comprendere con concetti immutabili il mutevole... Parmenide comprese che possiamo solo aver conoscenza certa di ciò che è stabile e immutabile, ovvero "l'essere" - non certo di qualcosa di ambiguo come il nostro mondo.Vedo un'analogia con la filosofia indiana*. Solo chi trema (e ha buonissime ragioni per farlo) davanti alla violenza, al flusso, a un mondo che come scrive Eraclito sembra dato alla guerra, può cercare un rifugio stabile. L'Essere, la pace dell'essere. La fissità. Eraclito invece guardò allo stesso divenire e non si rifugiò nell'essere: vide conflitto e guerra. E arrivò a dire che i poeti erano folli proprio perchè si lamentavano della guerra, del flusso. Non a caso Nietzsche ebbe un altissimo rispetto per Eraclito e poco per Parmenide. Per quanto mi riguarda, mi sento più vicino a Parmenide.

Qualche tempo dopo arrivò Platone. Platone in fin dei conti era molto vicino a Parmenide: le cose in questo modo in continuo mutare non rimangono sé stesse ma nemmeno vengono completamente trasformate. "Essere" e "non Essere" non possono applicarsi alle cose in questo continuo flusso. Platone ebbe probabilmente un'intuizione: questo flusso in realtà è regolare. Le mele cadono dagli alberi, gli animali necessitano di acqua per vivere e non possono mangiare i sassi. Qualsiasi animale non può mangiare sassi. Ecco dunque che Platone ebbe questa intuizione: certo il divenire è qualcosa che non posso negare - non posso di certo ignorare che le mie concettualizzazioni non possono catturare una realtà in continuo fluire. Tuttavia... tuttavia i meli danno come frutto le mele e non le pere. Anche tra le più diverse mele c'è una fortissima somiglianza rispetto a ciascuna di esse e una pera. Ci deve essere qualcosa di comune. Cosa? ma certo, ciò che rende la mela una "mela". E cos'è? Cos'è? Cos'è che rende un cavallo un "cavallo"? Ebbene se tutti i cavalli si somigliano allora ci deve essere qualcosa che li renda tali. Ma il "cavallo" - ciò che rende un cavallo tale non può dipendere dall'esistenza di un cavallo particolare. Dove sono dunque le forme del cavallo, della mela? Ebbene non qui, quindi devono essere "là". Dopo di lui l'Accademia passò a Spesusippo il quale rifiutò la teoria delle Forme. E anzi nel "Parmenide" Platone sembra quasi a tratti rifiutare la sua teoria. Vediamo un dogmatico o un ricercatore qui? Anche lui vedeva la realtà in continuo fluire, una realtà di conflitto. Ma a differenza di Eraclito anche Platone voleva la stabilità. E trovò le idee. Nuovamente Nietzsche fu estremamente critico nei riguardi di Platone. Nuovamente mi sento più vicino a Platone rispetto ad Eraclito (ciò non è vero per la filosofia politica. Il Platone politico non mi piace per niente anche se effettivamente se lo contestualizziamo al suo tempo probabilmente era quasi un "riformista". Si può discutere di ciò, ma non qui...).

Millenni dopo arrivò Nietzsche e cercò di distruggere la metafisica. Eppure... eppure i problemi di Parmenide e Platone sono ancora qua.

Che rapporto c'è tra concetti e realtà?
Cosa rende un cavallo tale? Perchè una mela è simile ad una mela e diversa da un'arancia?
Perchè le mele cadono dagli alberi e non vediamo mai che volano in cielo?
Possiamo avere una conoscenza adeguata delle cose?
I nostri concetti si riferiscono a qualcosa o no?
Qual è la natura delle cose?
Esiste un modo per trovare la pace interiore?
Desideriamo veramente la pace interiore o no?
Cos'è la giustizia?
Cos'è la felicità?
Perchè le mele cadono dagli alberi?
Perchè la matematica funziona?
...

Platone e Parmenide hanno cercato di rispondere ad alcune di queste domande e molte altre domande. Oggi sappiamo che hanno dato delle risposte. Si tratta di volerle accettare liberamente o rifiutarle con la stessa libertà. Si può essere attaccati a tale risposte e non voler dialogare (Platone scrisse dialoghi...). Si può negare che quelle domande abbiano un valore. Si può negare che quelle domande portino da qualche parte. Si può negare le risposte che i filosofi hanno dato. Nessuno impone nulla.

L'imposizione è ciò che dobbiamo evitare, l'attaccamento alle opinioni è da evitare. Ma è da evitare - per quanto mi riguarda - anche la convinzione che non sia possibile riuscire a rispondere nel modo corretto a tali domande e così via...

Se provo a rispondere alla domanda "perchè la matematica funziona" chiaramente entro nella "meta-fisica" (vado oltre la "fisica"). Io sinceramente ci provo. Sbaglierò, ma preferisco sbagliare piuttosto di non provare  ;)

*avevo scritto che Nietzsche aveva trovato una somiglianza tra Parmenide e la filosofia indiana. In realtà mi sbagliavo.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Angelo Cannata

Chiedersi perché la matematica funziona sembra una domanda, ma in realtà afferma una certezza: la certezza che la matematica funziona.

Il problema dei modi di pensare metafisici consiste proprio nel fatto che danno per scontate certe cose, trascurando di interrogarsi riguardo ad esse.

Allo stesso modo, per quanto riguarda i cavalli, si dà per scontato che esista tra di loro qualcosa di simile, tant'è vero che riusciamo ad attribuire loro lo stesso nome di cavalli. Ma chi ha detto che tra un cavallo e un altro esista la benché minima somiglianza? Ora qualcuno mi dirà che, ad esempio, non sarà difficile notare che in una mandria di cavalli tutti hanno quattro zampe. Anche in questo caso ci sono verità che vengono date per scontate, senza interrogarsi su di esse.

Procedendo in questo modo, non è difficile notare che la domanda madre di tutte le domande non poste, e quindi date per scontate, riguarda noi soggetti pensanti. Ci si dimentica di interrogarci riguardo al nostro coinvolgimento in qualsiasi cosa diciamo e pensiamo.

Prendere in considerazione questo coinvolgimento dà la sensazione di rendere impossibile il pensiero, perché mette in questione tutto. In realtà mette in questione soltanto il modo di pensare metafisico.

Se vogliamo interrogarci con correttezza sulla matematica, dobbiamo tener conto che anzitutto noi siamo matematica: un essere umano che s'interroga sulla matematica è matematica che s'interroga sulla matematica. Noi siamo spazio e tempo: un essere umano che s'interroga su spazio e tempo è spazio e tempo che s'interroga su spazio e tempo.

Siamo coinvolti in qualsiasi cosa pensiamo, qualsiasi cosa su cui c'interroghiamo. È questa la trascuratezza fondamentale del pensare metafisico.

Una volta che prendiamo atto di questo, ne consegue l'impossibilità per qualsiasi discorso di giungere a conclusioni: qualsiasi discorso diventa infinito, perché un soggetto che s'interroga su sé stesso o sulla realtà, prendendo atto del proprio coinvolgimento, dovrà in continuazione prendere atto del proprio coinvolgimento anche nel prendere atto. In altre parole, ci è impossibile staccarci da noi stessi, il che è invece proprio ciò che la metafisica trascura, facendo finta che sia possibile oggettivare, trattare un discorso qualsiasi in modo oggettivo, cioè staccato dalla nostra soggettività.

Interrogarsi sul perché la matematica funziona significa presupporre che essa funzioni da sola, senza il nostro coinvolgimento. Ma pensare ciò è umanamente impossibile, perché appena lo pensiamo vi siamo già coinvolti, stiamo in realtà pensando noi stessi. Qualunque cosa pensiamo, non stiamo pensando quella cosa, ma l'immagine umana che di quella cosa ci siamo costruiti per renderla a noi stessi pensabile. Cioè, l'abbiamo immediatamente distorta e inquinata.

Loris Bagnara

Citazione di: Angelo Cannata il 17 Marzo 2018, 17:40:35 PMAd esempio, un appello al "sano buon senso", al di là delle apparenze è segno di un pensare metafisico, cioè un dare per scontate delle certezze che, in realtà, vanno ben oltre il semplice e pratico buon senso.
L'affermazione di cui sopra è di un'assurdità esemplare.
Il buon senso a cui faccio appello è la stessa ragionevolezza di cui ha parlato Apeiron qualche post fa (con cui concordo pienamente).
La stessa ragionevolezza che anche tu, Angelo, usi nella PRATICA quotidiana, non certo nella METAFISICA quotidiana.
L'esperienza PRATICA mi mostra tutti i giorni che il principio di causalità vige implacabilmente: tutti i fenomeni sono causalmente legati l'uno all'altro, nella PRATICA.
Che poi i fenomeni siano illusori, non sostanziali, sono io il primo a dirlo, poiché sono convinto che tutto sia maya, io come soggetto compreso. Ma ciò non toglie che questi fenomeni illusori si manifestino implacabilmente, nella PRATICA, connessi da legami di causalità. A quanto pare, sembri essere più tu quello interessato al problema metafisico della (in)sostanzialità delle cose, che io.
CitazioneLo scienziato cerca esperimenti, applicabilità, verificabilità, falsificabilità, insomma cerca il pratico.
No, e l'ha già detto anche Apeiron. Quelli sono solo gli strumenti che lo scienziato usa per raggiungere la (sua) verità. Tutte le scienze fisiche si pongono come scopo la ricerca della verità (per come la intende lo scienziato, beninteso), ossia proprio le CAUSE dei fenomeni. Perfino le scienze non fisiche cercano le cause dei fenomeni: la psicologia cerca le cause dei blocchi psichici, la storia cerca le cause degli eventi storici etc. Tutta la nostra conoscenza si basa in PRATICA sull'applicazione del principio di causalità.
Per non parlare della tecnologia. Prova a costruire in PRATICA un qualunque oggetto d'uso senza applicare il principio di causalità...

Allora che faccio io? Ragionevolmente estendo il principio di causalità anche a domini che non sono sperimentabili nella pratica (quelli che tu chiami metafisica); mi pare meno ragionevole fare il contrario. Ma se tu trovi più ragionevole il contrario, fai pure. Io però continuerei a chiedermi perché un principio che funziona tanto bene nella PRATICA non dovrebbe più valere dove l'esperienza pratica non arriva...

Per concludere, mettiamola così.
Io sento il bisogno di dare sempre una spiegazione a qualunque fenomeno (rigorosa applicazione del principio di causalità).
Tu, evidentemente, no (ma non ho capito se mai, spesso, o solo qualche volta...).

Detto questo, noto che la discussione si è involuta su quella che doveva solo essere la mia premessa logica.
Mi piacerebbe che si tornasse al focus di questo 3D.

Angelo Cannata

Citazione di: Loris Bagnara il 17 Marzo 2018, 20:16:08 PM...ciò non toglie che questi fenomeni illusori si manifestino implacabilmente, nella PRATICA, connessi da legami di causalità...
Se si tratta di fenomeni illusori, non ci sarà da dedurre che sia illusoria anche la loro implacabilità?

iano

#43
Citazione di: Apeiron il 17 Marzo 2018, 15:46:31 PM
Citazione di: iano il 17 Marzo 2018, 14:40:40 PMPer Iano
Possiamo stabilire ragionevolmente che una teoria è migliore di un'altra. Per esempio la relatività ci dà un'immagina migliore delle cose rispetto alla fisica newtoniana. Se non ammettiamo questo non ha nemmeno senso parlare di "evoluzione". Dunque la scienza ci permette di "uscire" in parte dalla gabbia della nostra "ignoranza". Uno scettico potrebbe dire che non posso dirlo con certezza. Io gli rispondo che lui è troppo pedante: ad un certo punto lo scetticismo deve essere abbandonato in parte. Ma tutti questi discorsi hanno come assioma di partenza che la realtà è per noi almeno parzialmente comprensibile. Se togliamo questo assioma non si può nemmeno parlare di "evouzione"
Non era un mio post.
Comunque nella mia ignoranza della filosofia da questa discussione deduco di essere uno scettico , ma soft , più o meno come te.
È' vero , come dici tu , che comunque una posizione va' presa.
Che la realtà sia una illusione o meno in fondo conta solo da un punto di vista psicologico.
Ma è' per fortuna nella natura dell'uomo prendere maledettamente sul serio anche un gioco e questo dovrebbe scongiurare comunque il rischio di un nostro disimpegno.
Pero' certamente se uno crede in ciò in cui è impegnato è meglio.
Per contrappasso però sarà meno elastrico.
Sono atteggiamenti diversi coi loro pro e contro , e quello che dobbiamo chiederci è quale atteggiamento sarebbe più utile nel contingente.
Sappiamo che finora ha pagato l'atteggiamento di chi ha preso posizioni forti.
Questo ci ha portato finora a vivere dentro una realtà certa per noi in senso letterale , perché quando credi ti immedesimi.
Tutto ciò è frutto della nostra evoluzione e nessuno vuole buttare il bambino con l'acqua sporca.
Perché se si tratta di una illusione , questa illusione ha avuto la sua funzione e che continua ad averla , e comunque non è pensabile che il senso di realtà che ho ricevuto in eredità io riesca a spazzarlo , se pure volessi , con un atto di volontà,perché non è stato un atto di volontà a crearlo.
Non si può abbandonare una strada che ci ha dato certezze per una che fosse pure migliore , ma che ancora non c'è di fatto.
Non è peccato però saggiare una possibile strada alternativa , partendo ad esempio dalla ipotesi molto semplice ed efficace che equipari il processo percettivo a quello scientifico, la natura delle illusioni del quale ultimo ormai ben conosciamo , barattando un po' di certezze con un equivalente in consapevolezza.
Succede in questo caso quello che succede quando si prova ad uscire dalle routine che presiedono ai processi umani.
I processi ne risultano rallentati e impacciati , ma potrebbero esserci altri vantaggi in cambio , considerando che le,routine possono essere delegate alle macchine , e questo in effetti è ciò che sta avvenendo. Quando si sarà' creato un nuovo senso di realtà, nato da nuove prese di posizioni , non sarà il nostro senso di realtà, ma dell'uomo che sarà.
Non è pensabile che la realtà in cui viviamo o crediamo di vivere , ci accompagni da sempre , come qualcosa di indipendente da noi , seppure mi piace pensare che ci sia qualcosa di indipendente da noi , dall'interazione col quale creiamo la realtà.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Apeiron

@Iano, mi riferivo ad una parte del tuo post.

Mi sembrava che tu dicevi che c'era l'evoluzione ma al tempo stesso una parte del tuo post mi sembrava che implicasse il contrario. Quindi ho frainteso, chiedo scusa. 
Su quanto hai scritto adesso direi di essere d'accordo  :) 

@Angelo,

ci stiamo arenando di nuovo nel solito dibattito - che ancora penso sia dovuto in parte ad un equivoco  :) direi però di non continuarlo, almeno in questo topic. Semmai facciamo un'altra volta!
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

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