Karma e buddismo Tibetano

Aperto da bluemax, 02 Novembre 2016, 15:07:45 PM

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Apeiron

Citazione di: Sariputra il 04 Novembre 2016, 10:18:22 AM
Citazione di: Apeiron il 04 Novembre 2016, 10:13:53 AMKarma=azione. Da come la interpreto io è una sorta di "legge naturale" che produce buoni (cattivi) effetti a chi fa buone (cattive) azioni. Bisogna quindi vederlo come una sorta di premiazione del "merito" acquisito. Chiaramente tutto funziona finché qualcuno si prende i premi e le punizioni. Altrimenti che senso ha il merito se non c'è nessuno che ne beneficia? Tuttavia il Buddha notò che per quanto possiamo aspirare non saremo mai soddisfatti finchè cerchiamo un premio. Quindi per il Buddha bisogna per così dire "andare oltre" il concetto di merito. Per farlo, visto che è una "legge naturale", non possiamo far altro che bloccare il meccanismo dalla partenza, cioè dall'assunzione fondamentale, che ci sia "il portatore del merito e delle azioni" (potremo anche dire il portatore dell'etica...), o meglio che si possa trovare nel mondo tale portatore. Riconoscendo che il portatore "non si trova" nemmeno il merito si applica più e il meccanismo si blocca. Il Karma sparisce in pratica non appena non si ragiona più in termini di "mio e io" (possesso e identità). Così almeno è la mia interpretazione...
E secondo me interpreti bene!... ;D Al cessare dell'attaccamento all'Io-mio, cessa l'accumulo di kamma. Perché è proprio l'attaccamento all' Io-mio che genera dukkha , che genera nuovo dukkha ( nuova nascita di dukkha). P.S. Bisogna anche dire, con onestà, che la legge del Kamma/rinascita è veramente ardua da penetrare per noi occidentali. E' sicuramente una cosa che richiede un cambio di approccio. Forse la difficoltà nasce dal fatto che per noi il tempo è lineare, mentre in Oriente è circolare? Noi vediamo sempre un inizio e una fine, mentre loro lo vedono come un cerchio , una ruota ( il famoso "cerchio del Samsara" ??? )...

Perfetto e interpreto bene grazie anche alle tue spiegazioni! (N.B. Se devo essere pignolo la questione dell'anatman non mi convince ancora in realtà, però credo di aver afferrato il senso della cosa. Personalmente ritengo la meta-fisica del buddismo corretta ma incompleta)

Per le rinascite. A noi ci viene abbastanza semplice in realtà immaginarci la reincarnazione visto che "qualcosa" passa da un corpo all'altro. Il vero problema è la reincarnazione senza anima immortale e in realtà questa parte non convince nemmeno gli orientali: tant'è che il Buddha stesso ha dovuto paragonare la rinascita come l'accensione di un fuoco ad opera di un altro fuoco (mentre la reincarnazione se vogliamo è più come versare dell'acqua da un recipiente all'altro). La circolarità del tempo in realtà non è necessaria per spiegare la reincarnazione/rinascita (per il buddismo Theravada la rinascita è istantanea, per quello tibetano invece non lo è ma è un processo che dura qualche giorno...) anche se l'idea che "rinasca" anche il cosmo certamente la rende in un certo senso "plausibile" (almeno una rinascita per ogni ciclo cosmico).

In ogni caso la dottrina del karma credo che nasca dal fatto che non si riesce ad accettare che il mondo non è "giusto" e perciò si postula una sorta di meccanismo che promuove i meritevoli (non è un ragionamento diverso dal nostro in occidente, solo che noi abbiamo un Dio che "detta leggi" mentre il karma è "naturale").
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Duc in altum!

**  scritto da Apeiron:
CitazioneIn ogni caso la dottrina del karma credo che nasca dal fatto che non si riesce ad accettare che il mondo non è "giusto" e perciò si postula una sorta di meccanismo che promuove i meritevoli (non è un ragionamento diverso dal nostro in occidente, solo che noi abbiamo un Dio che "detta leggi" mentre il karma è "naturale").
No, il ragionamento è molto differente.
Per Dio il mondo è tutto ciò che allontana l'uomo dalla Sua salvezza, infatti il demonio viene denominato "il principe di questo mondo" o "il mondo non lo riconobbe", ma a motivo delle colpe del mondo, ossia di coloro che amano il mondo. Quindi il mondo non è giusto in assenza di Dio, infatti il Suo regno è al di là delle ragioni del mondo.
Per Dio ad ogni azione può anche corrispondere un'assurda reazione, si muore e poi si vive per sempre (siamo alla megafantascienza!!), quindi sia il karma, sia la teoria della retribuzione ebraica non sono lo stesso ragionamento.
Inoltre, visto che si parla di reincarnazione, a titolo informativo e non per controbattere, il Dio del nostro occidente salva o condanna la persona unica che ha vissuto solo quella determinata vita offertagli, per le azioni decise e volute fatte con quel determinato corpo, e non sull'accumulo delle scelte effettuate anche con altri involucri dell'anima, finché si redima nettamente.
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

Apeiron

Citazione di: Duc in altum! il 04 Novembre 2016, 21:31:22 PM** scritto da Apeiron:
CitazioneIn ogni caso la dottrina del karma credo che nasca dal fatto che non si riesce ad accettare che il mondo non è "giusto" e perciò si postula una sorta di meccanismo che promuove i meritevoli (non è un ragionamento diverso dal nostro in occidente, solo che noi abbiamo un Dio che "detta leggi" mentre il karma è "naturale").
No, il ragionamento è molto differente. Per Dio il mondo è tutto ciò che allontana l'uomo dalla Sua salvezza, infatti il demonio viene denominato "il principe di questo mondo" o "il mondo non lo riconobbe", ma a motivo delle colpe del mondo, ossia di coloro che amano il mondo. Quindi il mondo non è giusto in assenza di Dio, infatti il Suo regno è al di là delle ragioni del mondo. Per Dio ad ogni azione può anche corrispondere un'assurda reazione, si muore e poi si vive per sempre (siamo alla megafantascienza!!), quindi sia il karma, sia la teoria della retribuzione ebraica non sono lo stesso ragionamento. Inoltre, visto che si parla di reincarnazione, a titolo informativo e non per controbattere, il Dio del nostro occidente salva o condanna la persona unica che ha vissuto solo quella determinata vita offertagli, per le azioni decise e volute fatte con quel determinato corpo, e non sull'accumulo delle scelte effettuate anche con altri involucri dell'anima, finché si redima nettamente.

Duc precisazione molto interessante, grazie. Sinceramente non avevo mai sentito che secondo il cristianesimo il mondo è tutto ciò che allontana da Dio.  

Comunque quello che volevo dire io col post di prima è che visto che nella pratica vediamo che i giusti non ottengono spesso ciò che meritano allora il karma e la legge divina (permettimi di usare questo termine) danno un "ordine morale" alla questione (con questo non voglio dire che sia errato).
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

Una delle cose interessanti da tenere in considerazione, quando si parla di Kamma e rinascita nell'accezione buddhista dei termini, è la conseguenzialità di ogni atto. Dal male non può nascere che male, e mai in nessun caso del bene; dal bene non può nascere che bene, e mai in nessun caso del male. Come da un albero di fichi mai si avranno delle mele, così l'azione virtuosa non può che produrre virtù; l'azione malvagia non può produrre che malvagità. Ma questa non è da intendersi come una legge morale che guida il processo di produzione condizionata. Il kamma non è morale, né immorale, è una necessità implicita proprio nel processo di costruzione e dissoluzione condizionata. Ma qui sorge la domanda: chi o che cosa decide che un'atto è virtuoso o malvagio? La risposta è: i suoi frutti. Tutto ciò che porta ad una diminuzione di dukkha è virtuoso, di giovamento ai nobili; Tutto ciò che aumenta dukkha è nocivo, da evitare per i saggi. Tutto molto concreto e pragmatico.  Tutto ciò che aumenta il nostro attaccamento è kamma negativo; tutto ciò che allenta il  nostro aggrapparci alla falsa idea di un Io sostanziale è kamma positivo. Abbiamo visto come il Buddha si tenga alla larga dai due estremi dell'idea di esistenza e di non-esistenza ( eternalismo e nichilismo vengono definiti nei sutra). Come non si nasce dal nulla, nello stesso modo non si muore svanendo nel nulla. I componenti fisici e mentali semplicemente proseguono il loro continuo flusso del divenire , di trasformazione. Questo flusso in divenire è determinato ( anche) dagli atti compiuti . Il Divenire stesso è il Kamma. Una mente che muore con poco dukkha darà origine, nel processo kammico indimostrabile empiricamente, a una nuova nascita con poco dukkha. Una mente attaccata all'esistenza ( e quindi con molto dukkha) darà origine ad una nuova nascita in un tipo di esistenza più "grossolana", ricolma di attaccamento e quindi di dukkha. Si pone una "continuita" in quella che si può definire come "qualità della via". Viene definita come una legge inflessibile proprio per il carattere condizionante della produzione di kamma. Se un albero di fico darà sempre, invariabilmente, come prodotto dei fichi e non mele, pere o altro, così un'azione malvagia darà sempre, invariabilmente, come frutto ( che può maturare ora , domani o tra innumerevoli esistenze nel divenire) sofferenza e non felicità, gioia, distacco.
Proprio per questo carattere di legge rigorosamente ineluttabile è possibile, come afferma Siddhatta , trovare la possibilità di uscita da questo flusso continuo del Divenire, sentito intimamente come doloroso e insoddisfacente, e questa uscita, questo affrancamento corrisponde alla terza Nobile Verità ( la Cessazione).

Vatsiputriya - Perchè il Buddha non dichiarò che "essere vivente" è un termine convenzionale per un gruppo di elementi in costante mutamento?
Vasubandhu -  Perché il suo interlocutore non era in grado di afferrare la teoria degli elementi...Questo metodo di insegnare in conformità alle capacità mentali di chi riceve l'insegnamento può essere visto chiaramente nelle parole rivolte dal Buddha ad Ananda, dopo che il Buddha aveva risposto col silenzio a Vatsagotra e quest'ultimo si era allontanato...Questo punto è stato così spiegato da Kumaralabha:"Il Buddha voleva costruire la sua dottrina riguardante gli elementi dell'esistenza con la massima cautela, come una tigre che tiene il piccolo fra i denti ( la sua presa non è troppo forte per non fargli del male; né è troppo debole per non  farlo cadere). Il Buddha vide i mali prodotti dal dente affilato del dogmatico ( credenza nell'eternità) da una parte, e dalla caduta di ogni responsabilità per le proprie azioni dall'altra (la legge kammica diventa efficace antidoto contro questa caduta di responsabilità che la concezione dell'anatman può provocare in menti non preparate; nota del Sari...), Se l'umanità accettasse l'idea di un'anima esistente , giacerebbe colpita dall'arma affilata del dogmatismo. ma se cessasse di credere nell'esistenza di un sé condizionato, il frutto dei suoi meriti morali perirebbe!" Lo stesso autore procede così:" Poiché l'essere vivente non esiste, il Buddha non dichiarò che esso è diverso dal corpo. Nè egli dichiarò che esso non esiste, temendo che ciò venisse inteso come negazione del sé empirico".
In "L'interpretazione abhidharmika degli avyakrta" del Murti
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Phil

Citazione di: Sariputra il 05 Novembre 2016, 01:05:38 AMIl kamma non è morale, né immorale, è una necessità implicita proprio nel processo di costruzione e dissoluzione condizionata. Ma qui sorge la domanda: chi o che cosa decide che un'atto è virtuoso o malvagio? La risposta è: i suoi frutti. Tutto ciò che porta ad una diminuzione di dukkha è virtuoso, di giovamento ai nobili; Tutto ciò che aumenta dukkha è nocivo, da evitare per i saggi.
Queste osservazioni mi fanno porre la seguente questione: che rapporto c'è fra il male come malessere/sofferenza psico-fisica e il male morale?
Il primo è esperibile, ma il secondo (fuori dal giusnaturalismo e dalle religioni rivelate) si presenta come poco più di una convenzione sociale... e, tornando al buddhismo, se il bene (sia psico-fisico che morale) è direttamente proporzionale alla diminuizione di dukkah, allora la morale buddhista si fonda sulla trasposizione socio-culturale del meccanismo fisiologico di avversione al dolore? Questa "immanentizzazione corporale" della morale è una mossa forte... eppure, se siamo "biologicamente programmati" per rifuggire da ciò che il nostro corpo individuale riconosce come doloroso, possiamo davvero coniugare questa repulsione nel rapporto con gli altri? La sola empatia non sarebbe adeguata...

Se non erro, nell'ottuplice sentiero non compare l'altro (il "prossimo" del cristianesimo) ed è un sentiero essenzialmente solitario (anche al netto della differenza fra Theravada e Mahayana...). Certo, la dimensione sociale del buddhismo è storia nota (il gioiello "sangha", il voto di salvare gli altri esseri senzienti, etc.), ma la sua etica non è in fondo il prezzo da pagare (seppur economico!) per adattarsi ad un contesto sociale laico, a discapito del suo nucleo più "profondo"?

In sintesi (e al di là dello spauracchio della rinascita in forme infime), se non c'è un'Io (anatman) come può esserci un Tu, e quindi un'etica di relazione e responsabilità?
Nella citazione che hai riportato, la legge karmica viene presentata come garante della responsabilità sociale (nonostante l'anatman), ma mi pare sia una risposta a posteriori alla "necessità" di calare la dottrina nella società, che tuttavia quasi contraddice il suo nocciolo teoretico: se ogni mia azione negativa produce una conseguenza nefasta, bisogna intendersi su cosa sia "negativo" e "nefasto" per me che compio tale azione, che non coincide necessariamente con una forma di vissuto-dukkah... inoltre per pagare dazio tramite la conseguenza delle mie malefatte, si deve presupporre necessariamente che ci sia un io molto "costante e solido" che espii la sue colpe, oppure un'anima individuale che le sconti nella sua vita successiva, ma entrambi gli scenari vengono scartati dall'impostazione buddhista...
Il passaggio dall'estirpazione del dukkah individuale (ovvero niente illusione di un io) alla dimensione etica (ovvero responsabilizzazione dell'io) non è quasi un paradosso, in cui ognuno dei due "atteggiamenti" ostacola l'altro?

P.s.
Mi è tornato in mente l'epicureismo, meno fortunato storicamente del buddhismo, che ambiva ad una simile eliminazione della sofferenza, almeno in senso fisico (aponia) e a una "liberazione dalle passioni" (atarassia) che ricorda molto lo sradicamento della "passione agitatrice" (raga) propugnato dal buddhismo.

Apeiron

Citazione di: Phil il 06 Novembre 2016, 15:51:33 PM
Citazione di: Sariputra il 05 Novembre 2016, 01:05:38 AMIl kamma non è morale, né immorale, è una necessità implicita proprio nel processo di costruzione e dissoluzione condizionata. Ma qui sorge la domanda: chi o che cosa decide che un'atto è virtuoso o malvagio? La risposta è: i suoi frutti. Tutto ciò che porta ad una diminuzione di dukkha è virtuoso, di giovamento ai nobili; Tutto ciò che aumenta dukkha è nocivo, da evitare per i saggi.
Queste osservazioni mi fanno porre la seguente questione: che rapporto c'è fra il male come malessere/sofferenza psico-fisica e il male morale? Il primo è esperibile, ma il secondo (fuori dal giusnaturalismo e dalle religioni rivelate) si presenta come poco più di una convenzione sociale... e, tornando al buddhismo, se il bene (sia psico-fisico che morale) è direttamente proporzionale alla diminuizione di dukkah, allora la morale buddhista si fonda sulla trasposizione socio-culturale del meccanismo fisiologico di avversione al dolore? Questa "immanentizzazione corporale" della morale è una mossa forte... eppure, se siamo "biologicamente programmati" per rifuggire da ciò che il nostro corpo individuale riconosce come doloroso, possiamo davvero coniugare questa repulsione nel rapporto con gli altri? La sola empatia non sarebbe adeguata... Se non erro, nell'ottuplice sentiero non compare l'altro (il "prossimo" del cristianesimo) ed è un sentiero essenzialmente solitario (anche al netto della differenza fra Theravada e Mahayana...). Certo, la dimensione sociale del buddhismo è storia nota (il gioiello "sangha", il voto di salvare gli altri esseri senzienti, etc.), ma la sua etica non è in fondo il prezzo da pagare (seppur economico!) per adattarsi ad un contesto sociale laico, a discapito del suo nucleo più "profondo"? In sintesi (e al di là dello spauracchio della rinascita in forme infime), se non c'è un'Io (anatman) come può esserci un Tu, e quindi un'etica di relazione e responsabilità? Nella citazione che hai riportato, la legge karmica viene presentata come garante della responsabilità sociale (nonostante l'anatman), ma mi pare sia una risposta a posteriori alla "necessità" di calare la dottrina nella società, che tuttavia quasi contraddice il suo nocciolo teoretico: se ogni mia azione negativa produce una conseguenza nefasta, bisogna intendersi su cosa sia "negativo" e "nefasto" per me che compio tale azione, che non coincide necessariamente con una forma di vissuto-dukkah... inoltre per pagare dazio tramite la conseguenza delle mie malefatte, si deve presupporre necessariamente che ci sia un io molto "costante e solido" che espii la sue colpe, oppure un'anima individuale che le sconti nella sua vita successiva, ma entrambi gli scenari vengono scartati dall'impostazione buddhista... Il passaggio dall'estirpazione del dukkah individuale (ovvero niente illusione di un io) alla dimensione etica (ovvero responsabilizzazione dell'io) non è quasi un paradosso, in cui ognuno dei due "atteggiamenti" ostacola l'altro? P.s. Mi è tornato in mente l'epicureismo, meno fortunato storicamente del buddhismo, che ambiva ad una simile eliminazione della sofferenza, almeno in senso fisico (aponia) e a una "liberazione dalle passioni" (atarassia) che ricorda molto lo sradicamento della "passione agitatrice" (raga) propugnato dal buddhismo.

Allora: il Buddhismo fonda la sua morale sulla compassione. Si deve capire che gli altri esseri soffrono (e fanno soffrire gli altri...) a causa della loro identificazione con qualcosa (il mio "io/atman" è., questo è mio..). La tesi del buddismo è invece la seguente: visto che la sofferenza è causata dall'identificazione allora eliminando l'identificazione si elimina la sofferenza. A questo punto il buddismo dice che la Cessazione è l'obbiettivo finale, il dharma "supremo", la pace assoluta.

"Dove l'acqua, la terra, il fuoco ed il vento
non riposano su nulla?
Dove il lungo e il corto,
il grossolano e il sottile,
il bello ed il brutto,
il nome e la forma
arrivano al loro termine?
'E la risposta a ciò è:
La coscienza illimitata,
assoluta, ultima:
In questa mondo l'acqua, la terra, il fuoco ed il vento
non riposano su nulla.
In questo mondo
il lungo e il corto,
il grossolano e il sottile,
il bello ed il brutto,
il nome e la forma
arrivano tutti al loro termine.
Con la cessazione della [attività di] coscienza
ogni cosa arriva, in questo mondo, al suo termine.
"  (Kevatta sutta)

Visto che non ci sono più "distinzioni" non c'è più nessuna identificazione e nessuna sofferenza può avvenire. MA il fatto che "ogni cosa è priva di un Sé" (Dhammpada) NON implica che "un Sé non ci sia" perchè questo sarebbe ancora una posizione in cui si ragiona in termini di Io. Ergo: si va oltre l'io e perciò chiaramente "al di là del bene e del male" perchè appunto in assenza di "nomi e forme" come si fa a parlare di "bene e male"?

Sull'epicureismo la differenza è che mentre il buddismo "promette" una pace assoluta nell'epicureismo si ha una sorta di "aiuto psicologico" in cui l'io è libero da passioni e dolori fisici. Tuttavia di certo non si parla nell'epicureismo di "coscienza assoluta, illimitata...". Non ha avuto successo storico credo perchè era troppo "razionalista".

Personalmente comunque è proprio l'etica che non mi fa "prendere la via" del buddismo, pur rispettando e ammirando moltissime cose della dottrina.

P.S. In oriente il concetto di andare oltre alla moralità a quanto pare è molto diffuso:  quando il Tao fu negletto si ebbero carità e giustizia (Tao Te Ching). Come dice Sariputra per la reincarnazione forse è il nostro background culturale che ci fa sembrare assurda anche una dottrina che non mette al posto l'etica. Però forse il motivo è che loro hanno la convinzione che il merito venga "ripagato" sempre in modo naturale. MA essendo anche per loro la natura fonte di "dukkha" va oltrepassata.
  
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Phil

Citazione di: Apeiron il 06 Novembre 2016, 17:42:42 PMMA il fatto che "ogni cosa è priva di un Sé" (Dhammpada) NON implica che "un Sé non ci sia" perchè questo sarebbe ancora una posizione in cui si ragiona in termini di Io. Ergo: si va oltre l'io e perciò chiaramente "al di là del bene e del male" perchè appunto in assenza di "nomi e forme" come si fa a parlare di "bene e male"?
Esatto, e senza "bene e male" non può esserci etica... la compassione e la saggezza sono i due colori (anche delle tuniche buddhiste, se non erro) che mi sembrano quasi escludersi reciprocamente (e forse per questo sono entrambe necessarie :) ): per gli altri la veste della compassione, "intimamente" quella della saggezza (ovvero: più comprendo l'impermanenza, il non-sè e la sofferenza/attaccamento, meno ha senso avere un "codice etico"... inversamente, più mi impegno a praticare un "codice etico", più mi attacco alla individuazione e all'illusione...). 
Questo "bipolarismo dialettico" è riassunto nel mantra "om mani padme hum", che il dalai lama spiega in questo video https://www.youtube.com/watch?v=6pAZH23YSyU

Apeiron

Citazione di: Phil il 06 Novembre 2016, 18:07:25 PM
Citazione di: Apeiron il 06 Novembre 2016, 17:42:42 PMMA il fatto che "ogni cosa è priva di un Sé" (Dhammpada) NON implica che "un Sé non ci sia" perchè questo sarebbe ancora una posizione in cui si ragiona in termini di Io. Ergo: si va oltre l'io e perciò chiaramente "al di là del bene e del male" perchè appunto in assenza di "nomi e forme" come si fa a parlare di "bene e male"?
Esatto, e senza "bene e male" non può esserci etica... la compassione e la saggezza sono i due colori (anche delle tuniche buddhiste, se non erro) che mi sembrano quasi escludersi reciprocamente (e forse per questo sono entrambe necessarie :) ): per gli altri la veste della compassione, "intimamente" quella della saggezza (ovvero: più comprendo l'impermanenza, il non-sè e la sofferenza/attaccamento, meno ha senso avere un "codice etico"... inversamente, più mi impegno a praticare un "codice etico", più mi attacco alla individuazione e all'illusione...). Questo "bipolarismo dialettico" è riassunto nel mantra "om mani padme hum", che il dalai lama spiega in questo video https://www.youtube.com/watch?v=6pAZH23YSyU

Completamente d'accordo con te: più do importanza alla morale e all'etica più mi convinco dell'esistenza del sé/anima/atman/io proprio perchè altrimenti non c'è responsabilità morale e viceversa più nego l'esistenza del sé/anima/atman/io meno do valore all'etica. Forse il Buddha voleva proprio fare in modo che dessimo importanza ad entrambe le cose  ::)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

L'Insegnamento autentico non è "al di là del bene e del male" e questo perchè è esso stesso bene( per meglio dire "salutare"...). Perché è bene ? Perchè aspira alla cessazione della brama, dell'odio e dell'illusione, che sono le tre robuste radici di ogni male. Perché la brama , l'odio e l'illusione sono male? Perchè ci legano al divenire nel kamma e impediscono la realizzazione dello stato di cessazione. 
La brama, l'odio (o rabbia) e l'illusione e i loro opposti l'assenza di brama, di odio e d'illusione sono le radici degli atti volontari (Kamma) nocivi e salutari, compiuti per mezzo di azioni, parole o pensieri.
Il termine "radice" (mula) , ha il significato di solido sostegno, causa, condizione e Produttore. Metaforicamente il termine suggerisce che le radici si possono considerare come i "veicoli" della "linfa nutritiva" di ciò che è salutare o nocivo. Esse trasportano la linfa ai fattori e alle funzioni mentali simultaneamente coesistenti e anche alle azioni salutari o nocive nelle quali risultano. Esse sono produttrici  in quanto producono la ri-nascita. I termini pali akusala e kusala indicano rispettivamente ciò che è nocivo e  quello che invece è salutare. Non si parla di "bene" o "male" ma di salutare e nocivo. Questi due termini vengono anche intesi come salutare=vantaggioso, abile; nocivo come= non vantaggioso, non abile. I termini "salutari" e "nocive" comprendono tutte le azioni volontarie che vincolano gli esseri senzienti al samsara, il ciclo della ri-nascita e quindi della sofferenza. Per questo motivo le azioni che hanno queste radici possono essere definire karmicamente salutari o dannose. Tutte le azioni salutari possono essere descritte come "abili", in quanto fanno progredire sul sentiero che conduce alla liberazione. Viceverse quelle dannose ci incatenano all'attaccamento e alla schiavitù e possono essere definite come "reazioni alla vita" prive di abilità. Sulla valenza etica del sentiero buddhista credo che non possiamo valutarlo, come mi sembra stiate facendo, sulla base della concezione di bene o male della tradizione giudaico-cristiana. Il "bene" è ciò che è salutare per la liberazione, il "male" è ciò che è "nocivo" per la stessa. Per es. Perché si deve praticare la compassione (karuna) ? Non certo per ingraziarsi qualche divinità o perché si tema qualche forma di castigo o di riprovazione sociale, ma perché l'amorevolezza, la bontà, la compassione sono antidoti alla potentissima radice dell'odio, la indeboliscono, ne mettono in evidenza il carattere dannoso, vincolante. L'odio ha la caratteristica  della ferocia, la sua funzione consiste nel diffondersi, nel propagarsi come un veleno, come un fuoco che brucia ciò che lo sostiene. La sua causa principale ,secondo i sutra, sta nei motivi di irritazione (aghata-vatthu). Cosa opporre agli effetti contagiosi e propagativi dell'odio? Qualcosa di altrettanto capace di diffondersi, di propagarsi, di indebolirlo: la compassione, l'amore, la benevolenza ( ritorno qui al concetto fondamentale di Buddha= Medico, essenziale per capire il Dharma...).IL buddhismo originario guarda ai fattori dell'esistenza in modo che appare "utilitaristico", che noi , permeati fino alle ossa dal cristianesimo ( anche quelli che lo rifiutano sono condizionati dalle sue definizioni di etica e morale) non riusciamo ad accettare, sentendolo come freddo, arido, tecnico. In realtà questa è solo la visione della "cura" somministrata al malato. Ma la guarigione cos'é ? Attenzione ancora a considerare la Cessazione, come Nulla. Questo è l'estremo del nichilismo, chiaramente rifiutato da Gautama. Domandiamoci: -Perché Siddharta, dopo il risveglio, incontrando i suoi vecchi compagni di ascetismo, predica la Dottrina? Perché mette in moto la ruota del Dharma ? Non poteva gustarsi tranquillamente , in solitudine, il Nibbana lungamente cercato? Perché, dice ancora il Murti:

La Sunyata e la Karuna sono i due aspetti principali del Bodhicitta. La Sunyata è prajna, intuizione. La karuna è il principio attivo della compassione ,che dà espressione concreta alla Sunyata nei fenomeni.
La Sunyata è lo stato potenziale, la Karuna è lo stato attualizzato. Non si pensi che il Bodhicitta sia lo stadio preliminare di un ideale ultramondano, privo di importanza per i problemi del mondo che ci circonda.Anche in questo mondo il suo influsso è molto grande; in quanto base di ogni forma di altruismo, essa promuove la solidarietà sociale e la felicità nei rapporti umani.

Prajna, sila ( moralità, virtù)  e  samadhi non sono atti separati e privi di un fine. Non vengono praticati solo per conformarsi alla tradizione o alla pressione sociale. Essi hanno un unico fine: preparare l'uomo alla conoscenza superiore. Conoscenza che una mente in preda alla brama, all'odio e all'illusione non può raggiungere.
Ritengo che ci troviamo di fronte ad un sistema altamente etico: "Proteggendo me stesso, proteggo gli altri. Proteggendo gli altri, proteggo me stesso".
Da cosa devio proteggermi proteggendomi e proteggendo gli altri? Dalla brama , dall'odio e dall'illusione, le tre robuste radici di ogni male/nocività.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Phil

Se ho ben capito: brama, odio e illusione sono radici del "male", o meglio, del nocivo, del non-vantaggioso, poichè comportano rinascita e, di conseguenza, sofferenza... e questa impostazione si basa sull'assioma che 
Citazione di: Sariputra il 06 Novembre 2016, 23:11:13 PMIl "bene" è ciò che è salutare per la liberazione, il "male" è ciò che è "nocivo" per la stessa. 
Tuttavia, tale liberazione mi pare assunta come "bene" in modo (inevitabilmente?) dogmatico... ad esempio, se vivo nell'illusione (intesa come visione distorta e "ignorante"), ciò non implica che io non possa essere tendenzialmete felice e soddisfatto della mia vita (magari visuta in tutt'altro modo rispetto ai saggi consigli del buddhismo) e restarne compiaciuto fino alla morte. Eppure ciò viene inteso "buddhicamente" come "male", nocivo e non vantaggioso... per essere d'accordo con ciò che contraddice la tonalità piacevole della mia autovalutazione, dovrei compiere un "salto nella fede" (à la Kierkegaard) e fidarmi che in fondo il mio giudizio positivo su una vita vissuta nell'illusione (e magari con ampie dosi di brama e odio) sia sbagliato, alla luce di una paventata rinascita (che resta un meccanismo congetturato, oggetto, appunto, di fede...).

Allargando la prospettiva alla dimensione sociale: la compassione è meritevole, propizia, "salutare per la liberazione" solo perchè giova a scongiurare suddetta rinascita? Purtroppo, ciò non è affatto sperimentabile, ed è qui che si pone il distacco radicale (e secondo me incolmabile) fra la saggezza pratica e "personale" del buddhismo (la cui logica di fondo è esperibile) e la moralità funzionale rivolta ai rapporti interpersonali (che resta fideisticamente fondata su un "premio", seppur non paradisiaco ma parimenti dogmatico: l'uscita dal ciclo delle rinascite).

Citazione di: Sariputra il 06 Novembre 2016, 23:11:13 PMPrajna, sila ( moralità, virtù) e samadhi non sono atti separati e privi di un fine. Non vengono praticati solo per conformarsi alla tradizione o alla pressione sociale. Essi hanno un unico fine: preparare l'uomo alla conoscenza superiore. Conoscenza che una mente in preda alla brama, all'odio e all'illusione non può raggiungere
Non vorrei sembrare irriverente, ma il rapporto fra etica e conoscenza mi sembra un po' ambiguo: come accennato in precedenza, la conoscenza a cui mi pare inviti il buddhismo (quattro nobili verità, anatman, anicca, etc.) non ha nulla di necessariamente etico, al punto che, se non erro, un eremita non sarebbe svantaggiato nel suo cammino verso tale conscenza, anzi...
Anche la morale buddhista, in fin dei conti come tutte le altre, sembra destinata a essere fondata su un'adesione acritica che ne accetta a priori i dogmi (della rinascita e della rispettiva estinzione), mentre l'"eudemonologia" buddhista mi sembra nettamente più illuminante... poi, ovviamente, in società "dobbiamo" pur sempre viverci, e la proposta dell'etica buddhista non è affatto inopportuna  ;)

Apeiron

Citazione di: Sariputra il 06 Novembre 2016, 23:11:13 PML'Insegnamento autentico non è "al di là del bene e del male" e questo perchè è esso stesso bene( per meglio dire "salutare"...). Perché è bene ? Perchè aspira alla cessazione della brama, dell'odio e dell'illusione, che sono le tre robuste radici di ogni male. Perché la brama , l'odio e l'illusione sono male? Perchè ci legano al divenire nel kamma e impediscono la realizzazione dello stato di cessazione. La brama, l'odio (o rabbia) e l'illusione e i loro opposti l'assenza di brama, di odio e d'illusione sono le radici degli atti volontari (Kamma) nocivi e salutari, compiuti per mezzo di azioni, parole o pensieri. Il termine "radice" (mula) , ha il significato di solido sostegno, causa, condizione e Produttore. Metaforicamente il termine suggerisce che le radici si possono considerare come i "veicoli" della "linfa nutritiva" di ciò che è salutare o nocivo. Esse trasportano la linfa ai fattori e alle funzioni mentali simultaneamente coesistenti e anche alle azioni salutari o nocive nelle quali risultano. Esse sono produttrici in quanto producono la ri-nascita. I termini pali akusala e kusala indicano rispettivamente ciò che è nocivo e quello che invece è salutare. Non si parla di "bene" o "male" ma di salutare e nocivo. Questi due termini vengono anche intesi come salutare=vantaggioso, abile; nocivo come= non vantaggioso, non abile. I termini "salutari" e "nocive" comprendono tutte le azioni volontarie che vincolano gli esseri senzienti al samsara, il ciclo della ri-nascita e quindi della sofferenza. Per questo motivo le azioni che hanno queste radici possono essere definire karmicamente salutari o dannose. Tutte le azioni salutari possono essere descritte come "abili", in quanto fanno progredire sul sentiero che conduce alla liberazione. Viceverse quelle dannose ci incatenano all'attaccamento e alla schiavitù e possono essere definite come "reazioni alla vita" prive di abilità. Sulla valenza etica del sentiero buddhista credo che non possiamo valutarlo, come mi sembra stiate facendo, sulla base della concezione di bene o male della tradizione giudaico-cristiana. Il "bene" è ciò che è salutare per la liberazione, il "male" è ciò che è "nocivo" per la stessa. Per es. Perché si deve praticare la compassione (karuna) ? Non certo per ingraziarsi qualche divinità o perché si tema qualche forma di castigo o di riprovazione sociale, ma perché l'amorevolezza, la bontà, la compassione sono antidoti alla potentissima radice dell'odio, la indeboliscono, ne mettono in evidenza il carattere dannoso, vincolante. L'odio ha la caratteristica della ferocia, la sua funzione consiste nel diffondersi, nel propagarsi come un veleno, come un fuoco che brucia ciò che lo sostiene. La sua causa principale ,secondo i sutra, sta nei motivi di irritazione (aghata-vatthu). Cosa opporre agli effetti contagiosi e propagativi dell'odio? Qualcosa di altrettanto capace di diffondersi, di propagarsi, di indebolirlo: la compassione, l'amore, la benevolenza ( ritorno qui al concetto fondamentale di Buddha= Medico, essenziale per capire il Dharma...).IL buddhismo originario guarda ai fattori dell'esistenza in modo che appare "utilitaristico", che noi , permeati fino alle ossa dal cristianesimo ( anche quelli che lo rifiutano sono condizionati dalle sue definizioni di etica e morale) non riusciamo ad accettare, sentendolo come freddo, arido, tecnico. In realtà questa è solo la visione della "cura" somministrata al malato. Ma la guarigione cos'é ? Attenzione ancora a considerare la Cessazione, come Nulla. Questo è l'estremo del nichilismo, chiaramente rifiutato da Gautama. Domandiamoci: -Perché Siddharta, dopo il risveglio, incontrando i suoi vecchi compagni di ascetismo, predica la Dottrina? Perché mette in moto la ruota del Dharma ? Non poteva gustarsi tranquillamente , in solitudine, il Nibbana lungamente cercato? Perché, dice ancora il Murti: La Sunyata e la Karuna sono i due aspetti principali del Bodhicitta. La Sunyata è prajna, intuizione. La karuna è il principio attivo della compassione ,che dà espressione concreta alla Sunyata nei fenomeni. La Sunyata è lo stato potenziale, la Karuna è lo stato attualizzato. Non si pensi che il Bodhicitta sia lo stadio preliminare di un ideale ultramondano, privo di importanza per i problemi del mondo che ci circonda.Anche in questo mondo il suo influsso è molto grande; in quanto base di ogni forma di altruismo, essa promuove la solidarietà sociale e la felicità nei rapporti umani. Prajna, sila ( moralità, virtù) e samadhi non sono atti separati e privi di un fine. Non vengono praticati solo per conformarsi alla tradizione o alla pressione sociale. Essi hanno un unico fine: preparare l'uomo alla conoscenza superiore. Conoscenza che una mente in preda alla brama, all'odio e all'illusione non può raggiungere. Ritengo che ci troviamo di fronte ad un sistema altamente etico: "Proteggendo me stesso, proteggo gli altri. Proteggendo gli altri, proteggo me stesso". Da cosa devio proteggermi proteggendomi e proteggendo gli altri? Dalla brama , dall'odio e dall'illusione, le tre robuste radici di ogni male/nocività.

Concordo con te che l'estinzione dei tre fuochi "ignoranza", "brama" e "odio" comporta la liberazione dalla sofferenza. E in un certo senso ciò porta all'"estinzione" di pensieri del tipo "io/mio", dell'egosimo ecc. E ciò ti concedo porta ad una coscienza "assoluta" e non al Nulla (ogni volta che uno è in uno stato di gioia ha meno preoccupazioni individuali e quindi in un certo senso è "senza io"). Tuttavia a mio giudizio la dottrina dell'anatman poco si "collega" all'etica: se tutto è "senza Sé" siamo anche spinti ad aiutare meno il prossimo in quanto appunto "non aiutiamo nessuno". Inoltre nel cristianesimo l'idea è che fai del bene disinteressato e non per "piacere a Dio". La differenza col buddismo è che la salvezza ha come condizione la grazia divina.

In ogni caso: FORSE il Buddha voleva proprio costruire un'etica nonostante l'Anatman nel senso che voleva sia eliminare la sofferenza ("estinguendo" i pensieri "io/mio") sia far esercitare la compassione che deriverebbe dall'assenza di egosismo. E forse voleva fare ciò perchè appunto chi solitamente è attento alla moralità soffre proprio perchè si sente responsabile (e qualcuno è responsabile). In ogni caso concordo che l'assenza di preoccupazioni individuali sia una sorta di "coscienza assoluta" ma ritengo io che in assenza di Dio ciò non sia possibile.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

green demetr

In effetti quando Sariputra introduce la parola Dharma, non si sofferma.

In realtà la principale differenza tra le visioni etiche sta proprio lì.

La visione etica nostra (cattolica, che si creda o meno) è basata sull'idea che esista una Storia, che abbia una freccia ed una escatologia, fatta di compensi e promesse.(in realtà anche musulmani ed ebrei)

In India la faccenda è diversa, un paria mai si sognerebbe di poter passare da una casta all'altra, ma solo di migliorare la propria condizione nella stessa.

Perchè? questa faccenda è complicata, perchè nelle loro menti VIGE il DHARMA, che sarebbe poi quella LEGGE SOSTANZIALE, che noi chiameremmo legge divina. Ma per loro è qualcosa di molto più fisico. E che vivendolo tutti i giorni nella adorazione (a noi parrebbe idolatrica) delle loro infinite divinità a mò di statuette vasi animali e non so quali altre assurde forme.

Loro non vedono un animale divinizzato, loro vedono proprio il dio stesso, o la divinità stessa, in quanto materiale, in un ordine simbolico potentissimo che relega il reale a mero accessorio. (per un occidentale questo è fonte di vertigine, si tratterebbe di ribaltare completamente il nostro ordine simbolico, in quanto per noi è il divino che si piega al reale, che si esplica nel reale come volontà e libertà).

In India il concetto di libertà non esiste (nè più nè meno che come in Cina). Non esiste cioè la storia.

Se dunque il BUDDHA è colpito dalla povertà, è perchè vede in atto il male.

Ma cosa è il male nella tradizione induista? Non ve ne è uno solo, questo è il punto. Per loro vige la legge di MAYA, da cui il nostro termine MAGIA. Ossia l'illusione. L'illusione è quella che vi siano caste, che vi siano templi, che vi siano divinità. Ossia la loro è una visione immanentista della realtà, come se fosse composta di materia sottile e grossolana. Il prana è l'energia vitale, da cui il prana-yama, l'arte del controllo del respiro, ossia per loro della forza vitale. Non esiste YOGA senza prana-yama, non esiste scuola senza prana-yama.

Il Buddha si interroga dunque sull'origine di quella grossolanità. che sarebbe decadenza del prana in guna.



Ecco lo schema del maestro del mio maestro lo swami sri yukteswar.

Non essendo il mio maestro vi lascio il link dal sito che tenta di interpretarlo, non so fino a che punto correttamente. (non l'ho letto tutto).

http://kriyayoga.altervista.org/kriya_7.html

La decadenza dell'energia cosmica increata e infinita è ciò che viene chiamata il KARMA,

E sostanzialmente riguarda la caduta in trappola dell'energia nel suo stato mentale prima, e nel suo stato sensitivo dopo.

Effettivamente numerose sono le scuole che si occupano della metodologia del ritorno all'energia, materia prima. In realtà appunto al prana (che non è
niente di quello scritto da me, è una specie di atomo del dharma, di tutto ciò che è decaduto, formato diremmo noi occidentali.

NB.
Io sono arrivato alla pratica del quinto gradino, ma non sono mai riuscito a superare i 45 minuti di meditazione, tanto era difficile farlo.

Pratyāhāra
"Il conseguimento del quinto gradino sulla via dello Yoga è necessario per raggiungere l'Auto Realizzazione. Senza di esso nessun ulteriore progresso è possibile. L'interiorizzazione della mente nello stato chiamato dagli yogi "Pratyahara" è una condizione essenziale per la libertà della mente stessa e solo da ciò può derivare la capacità di usare appropriatamente questa mente interiorizzata per il fine che ci si è posti. Se si seguiranno fedelmente gli insegnamenti ricevuti e si comprenderanno i risultati di ogni singolo passo,o gradino, sulla scala dell'evoluzione spirituale si vedrà da sè che le cose stanno in questo modo."
Paramahansa Yogananda. (mio maestro)
 


Pratyāhāra è quindi uno stato mentale nel quale la mente è "disconnessa" dai cinque sensi. Praticare il prānāyāma, o qualsiasi altro metodo di controllo del respiro e della forza vitale, senza avere ben chiaro in mente lo scopo per cui si stanno facendo tali pratiche, ben difficilmente porterà al raggiungimento dello stato mentale di pratyāhāra. Patanjali afferma che lo scopo del prānāyāma deve essere pratyāhāra, il fare ritornare la mente all' interno. Tutti i ricercatori spirituali che perseguono lo scopo dell' Auto-Realizzazione devono essere in grado di praticare il prānāyāma in modo tale da riuscire ad ottenere, in poco tempo se non immediatamente, l'interiorizzazione della mente. Molti si accontentano di osservare solo le leggi di yama e niyama, ad altri è sufficiente la pratica delle sole āsanas mentre altri ancora praticano unicamente il prānāyāma. I migliori risultati e lo stato mentale del pratyāhāra si ottengono con la pratica combinata dei quattro passi appena menzionati.
Oggi non sarei in grado di fare neppure un minuto ovvio. Sono rimbalzato indietro alla via devozionale.


nel sito sopracitato anche alcuni passi del Buddha a testimonianza che è la stessa cosa- (quando si dice il caso....lo prendo come un segno ;) )


"Colui che ha visto le cose come stanno in realtà, con la retta comprensione,
abbandona la sete di esistere: egli si rallegra che la sete sia stata estinta.
L'estinzione, però, e' la cessazione di tutti gli appetiti
ed e' la cessazione senza residui di ogni passione."
Gautama Buddha - Udana, III
 


"Dominate dalla sete di sensazioni le persone balzano qua e là,
come lepri incappate nella rete.
Soggetti a vincoli e legami,
continuamente e a lungo, vanno verso il dolore"
Gautama Buddha - Dhammapada, 342


"Come una goccia d'acqua su una foglia di loto,
come un seme di senape sulla punta d'un ago,
non s'aggrappa al piacere dei sensi"
Gautama Buddha - Dhammapada, 401


" L'uomo deve usare la propria mente per liberarsi, non per degradarsi.
La mente è amica dell'anima condizionata, ma può anche essere la sua nemica.
Per colui che ne ha il controllo, la mente è la migliore amica,
ma per colui che ha fallito nell'intento, diventa la peggiore nemica."
Bhagavad - Gita VI. 5-6

...che "tradotto" nei termini del Buddha (cit dal sito)

"Se la tua mente diverrà stabile come una roccia e non vacillerà più,
in questo mondo in cui tutto vacilla,
allora essa sarà il tuo migliore amico
e la sofferenza non ti attraverserà più la via."

Theragatha - parole degli anziani



' La mente, o Krsna, è fuggente, febbrile, potente e tenace;
dominarla mi sembra più arduo che controllare il vento'
Bhagavad - Gita VI. 34
 
' Il Signore, Sri Krishna, disse:
O Arjuna dalle braccia potenti,
è indubbiamente molto difficile dominare la mente irrequieta;
tuttavia, o figlio di Kunti, è possibile con la pratica costante e col distacco.'
Bhagavad - Gita VI. 35


Solo colla pratica, e quanta pratica amici miei!!!!!


" dal sito
Normalmente le persone rifiutano completamente l'atto del ritiro dei sensi, anche quelle che si dicono disposte a "meditare". Il termine è sovente usato impropriamente e quello che viene definito "meditazione" si traduce spesso nel sedere quietamente in mezzo alla natura, ascoltare musica ad occhi chiusi oppure nel cercare visioni interiori. La meditazione Yoga non è questo, poiché tutte queste attività implicano l'uso (e quindi l' attaccamento) di qualcuno dei sensi. Il ritiro dei sensi significa sospendere l' uso di tutti gli strumenti interni di percezione sensoria sia verso l'esterno che verso l'interno di noi stessi. La volontà di essere aperti o chiusi all' atto del ritiro dei sensi segna la linea di demarcazione tra coloro che vogliono sperimentare la profondità della meditazione e coloro che vogliono soltanto ottenere qualche grado di rilassamento mentale. Solo una piccola minoranza opterà per la profondità della meditazione che inizia sempre con il ritiro dei sensi, o pratyāhāra. Si noti come col giusto atteggiamento e con la giusta preparazione questo stato venga naturalmente; vivere in modo naturale, come prescrive il Kriya, è condurre uno stile di vita regolato secondo le regole di yama e niyama; questo porta alla purificazione della mente. Praticare āsanas e prānāyāma con la mente concentrata aiuta quest'ultima nel focalizzarsi sul modo di operare dei dieci sensi e nella loro esplorazione. Con queste pratiche, nel tempo, si opera un sostanziale cambiamento interiore per cui il ritiro dei sensi avviene naturalmente; con la dovuta applicazione ciò porterà poi alla concentrazione ed alla meditazione vera e propria.
 

"Colui che camminando, stando fermo in piedi, stando seduto oppure
giacendo controlla i propri pensieri, godendo della loro cessazione,
un tale praticante giunge al conseguimento del supremo risveglio.
"
Gautama Buddha - Itivuttaka, 110



A testimonianza del Dharma, e cioè della necessità di essere iscritti nel Karma ancora la B.G.



"
Tutti gli uomini sono inevitabilmente costretti ad agire secondo le tendenze acquisite sulla base delle influenze della natura materiale; per ciò nessuno può astenersi dall'agire, nemmeno per un istante."
Bhagavad Gita: 3, 5



"Colui che cerca di controllare i sensi attivi con l'aiuto della mente, e s'impegna senza attaccamento è stabilito nel karma-yoga."
Bhagavad Gita: 3, 7
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Sariputra

#27
@ Phil
Mi sembra evidente che, se uno ritiene di non essere ammalato, non andrà certo in cerca di un dottore per guarire. Se uno sente la sua vita come soddisfacente, piena di gioia , appagante difficilmente volgerà la sua mente alla ricerca del Risveglio ( citando Yeoshwa:"E' più difficle per un ricco entrare...").  Se manca il presupposto dellla comprensione del carattere onnipervadente di dukkha, manca la base per accostarsi con profitto al Dharma ( qui inteso come Dottrina, Insegnamento dell'Illuminato e non come Legge universale nell'accezione induista del termine).
La tonalità autopiacevole dell'esistenza io la interpreto come un vivere nell'illusione ( una delle tre robuste radici del male e anche la più tenace da estirpare...). Come dei bimbi che giocano in una casa in fiamme. Presto o tardi la fiamme arrivano e niuno può sfuggire. Se poi intendi che uno può ritenere di godersi l'autopiacevolezza dell'esistere "anche" pagando lo scotto di finire abbrustolito...beh, credo che rientri nella libertà personale ( che poi è quello che, più o meno, tutti facciamo... :-\).
La compassione non è "salutare" perché ha come scopo di scongiurare una rinascita, ma perchè è, oltre che potente farmaco contro l'odio, una manifestazione della mente risvegliata.  Man mano che la radice dell'odio perde il suo appiglio in noi, cresce la compassione e la benevolenza verso tutte le creature che soffrono. Anche qui...non è che uno si dice:" Se non pratico la compassione, cosa che ritengo piuttosta fastidiosa, sarò punito con una pessima rinascita"...ma, man mano che la pratica del sentiero si rafforza, spontaneamente si è portati a provare compassione.
Se l'accettazione della prima Nobile Verità e la teoria del kamma fossero un dogma, Siddharta non avrebbe pronunciato quel "Che invita a venire e vedere..." riferendosi al suo insegnamento. Non è una cosa che bisogna semplicemente accettare, ma bensi "vedere" e sperimentare con la pratica e con la retta vita. Non dimentichiamoci che l'Insegnamento è paragonato ad una zattera. raggiunta l'altra sponda , ci si libera della zattera, non più necessaria. Nello stesso modo , raggiunta l'altra sponda, ci si libera anche dell'idea del Kamma e della rinascita, viste finalmente come vuote di esistenza intrinseca.
Che poi l'eremita , con una vita meno a contatto con radici nocive, abbia più possibilità di approfondire la pratica con beneficio ciò è ovvio. La solitudine ha sempre alimentato la spiritualità ( e anche la follia...).
Il discorso sull'etica buddhista , almeno nel buddhismo delle origini, non è particolarmente complesso, a parer mio. Sappiamo che il bikkhu (monaco) segue un modello di etica con lo scopo di giungere alla liberazione. L'azione "salutare" è necessaria come pratica per sconfiggere l'attaccamento alle tre radici che sono in noi  e realizzare lo stato di arahant ( venerando, degno di venerazione).  Per il devoto laico l'etica è strumento indispensabile per vivere con rettitudine ( ossia con minor brama, odio e illusione) in modo di proteggersi  e proteggendosi proteggere anche l'altro membro della società , il famoso prossimo del cristianesimo.Nello stesso modo, come ho già scritto, proteggendo l'altro ottengo di proteggere anche me stesso. Nei suoi limiti l'etica è strumento per vivere meglio, anche egoisticamente meglio. Infatti , in un mondo privo di etica e moralità, vigerebbe la legge della forza e della violenza , così connaturate alle tre radici del male da essere un tutt'uno con esse. Non sarebbe certo piacevole e rilassante passare la vita , come assediati dentro Fort Apache, a doversi difendere da tutti. Anche se fossi molto forte, alla fine troverei certamente chi mi mena...e non è piacevole.
E siccome tutto questo rappresenta dolore, un'etica necessaria appare "salutare" anche per il Buddha stesso.
Anche qui, la zattera dell'etica, giunti sull'altra sponda, si può lasciare vista come vuota di esistenza intrinseca e non più necessaria, in quanto, raggiunta la liberazione dalle radici del male, che senso avrebbe un'etica che mi dovrebbe proteggere dalle stesse, da ciò che ho abbandonato? Come Risvegliato non sono più un attore del non salutare, ma sono espressione spontanea di tutto ciò che è salutare/abile.
@ Apeiron
La "coscienza assoluta" di cui parli, appare come coscienza di assoluto vuoto ( di esistenza intrinseca), non come la Coscienza Assoluta di un Dio, per intenderci. Questa coscienza di Buddha comprende l'assoluta certezza di aver raggiunto la cessazione, che questo stato è duraturo e non passeggero, che non si è più legati all'impermanenza ( pur persistendo gli effetti residui degli atti che devono giungere a termine) e quindi al dolore, e la certezza che tutto è compiuto, che la vita santa è stata vissuta, che non ci sarà ulteriore nascita ( dell'io). Se affermiamo, come fanno i buddhisti, che la realizzazione della Cessazione è la "verità" più alta, ne consegue che, chi ha realizzato questo stato "è" nella realtà "assoluta", che non è la realtà come è pensata.
@ Green demetr
Non conosco a fondo l'induismo , anche se ho approfondito un pò la mistica Vishnuita, in relazione al mio/ nostro racconto "Sono un essere inadeguato", con i suoi avatar Rama e Krshna.
Il buddhismo, come sai, nasce come critica profonda al brahmanesimo, in primis socialmente con il suo rifiuto del complesso sistema ritualistico del "sacrificio" e delle caste ( chiunque poteva farsi bikkhu, al di là della casta di appartenenza) e poi come critica filosofica della visione atta vedica e upanishadica. Questi due sistemi, così filosoficamente lontani, però curiosamente attingono entrambi dallo yoga per le loro tecniche di introspezione e meditazione. Come dice Mircea Eliade ( che ha pure praticato yoga nelle foreste indiane negli anni trenta) lo Yoga è il grande utero da cui sono uscite le fondamenta di ogni pratica meditativa ( che sia anapanasati o vipassana). Lo yoga potrebbe quasi definirsi come la matrice :
...Dunque ho scoperto questa dimensione alquanto ignorata dagli orientalisti, ho scoperto che l'India ha conosciuto determinate tecniche psicofisiologiche grazie alle quali l'uomo può al tempo stesso godere della vita e dominarla. La vita può essere trasfigurata attraverso un'esperienza sacramentale...Si tratta di vedere che attraverso questa tecnica, ma anche attraverso altre vie e metodi, è possibile risantificare la vita, risantificare la natura...La seconda scoperta, il secondo insegnamento, è il senso del simbolo...
E sono rimasto molto colpito nel vedere che l'India affonda ancora le sue radici (qui però Eliade narra un'India di cinquant'anni fa...) profondissime non soltanto nell'eredità ariana o dravidica, ma altresì nell'humus asiatico, nella cultura aborigena...Era una cultura neolitica, fondata sull'agricoltura, ovvero sulla religione e la cultura che accompagnarono la scoperta dell'agricoltura, in particolare la visione del mondo della natura in quanto ciclo ininterrotto di vita, morte, risurrezione: ciclo specifico alla vegetazione, ma che governa altresì la vita umana e costituisce al tempo stesso un modello per la vita spirituale...(M.Eliade - Notti a Serampore).
E poi va avanti a spiegare come questo modello fondato sul mistero dell'agricoltura abbia radici ben più profonde di quel che si ritiene, ben più profonde del mondo greco o romano o anche mediterraneo, più profonde del Vicino oriente dell'antichità. Queste radici , secondo Eliade, ci rivelano l'unità fondamentale non soltanto dell'india, ma anche di tutto l'oekumène  che si stende dal Portogallo alla Cina e dalla Scandinavia allo Sri Lanka.  E precisamente contro questo si scaglieranno i profeti d'Israele...
Per quanto riguarda le difficoltà della pratica , Dasgupta soleva dire:" Per voi europei la pratica dello yoga è ancor più difficile che per noi hindù". E te credo... ;D
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

@Sariputra,
A volte non mi faccio proprio capire. So benissimo che il buddismo è agnostico (se non "apateo" ?) e quindi il concetto di Dio non entra in questa religione. MA la descrizione del Nirvana come "cessazione della sofferenza", come "assenza di distinzioni", "superamento dell'io" ecc mi sembra estremamente simile allo "stato" descritto da ad esempio la liberazione dei Vedanta, l'unione con Dio in occidente ecc. Sembra cioè che tutti si riferiscano allo stesso stato di "beatitudine" ma l'interpretazione è diversa. Volevo poi dire che questa "liberazione"/salvezza nel buddismo è raggiungibile tramite uno sforzo del solo individuo, nel cristianesimo serve anche la grazia divina.

In sostanza è come se per liberarsi dal karma ci vorrebbe l'"aiuto" divino.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

bluemax

Colgo l'occasione per condividere alcune risposte che ho trovato comprando un libro che parla delle ultime scoperte in ambito scientifico riguardanti il funzionamento del cervello umano. 

(lo consiglio. Il libro si intitola "L'io come cervello" di Patricia S. Churchland)

Beh... a quanto pare sembre non esistere nulla di metafisico che vada al di fuori di quel che accade all'interno del cervello.
Pare che non vi sia una mente distinta dal cervello... e sopratutto, quella sensazione di SE', di IO distinto dal resto del mondo (che in ambito scientifico fa perte delle SENSAZIONI) avviene con un meccanismo al quanto semplice.

In altre parole quando le luci fuori a noi si spostano, la retina vede semplicemente dei fasci di luce la cui mappatura cerebrale identifica come "familiari". Solo che si pone un problema. E' il mondo che si muove o quel che il cervello identifica come "io" ?

beh... si accorge che è la testa a muoversi e non il mondo semplicemente sovrapponendo le mappature di immagini e quelle delle sensazioni corporee...  generando anzi, avendo la necessità per fare cio' di creare la mappatura dell' IO per confrontarla con le immagini ricevute.

Pare che anche la coscienza sia una sensazione, come il libero arbitrio in realtà del tutto inesistente...

in altre parole... non c'è nulla di nulla oltre al cervello... 

grazie per le risposte comunque molto interessanti :)

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